di Giuseppe Esposito*
Charlie Chaplin, nel suo film “Tempi moderni” degli anni ’30 del XX secolo, mostra sarcasticamente in qual modo si possa annullare e mortificare la personalità di uno, quando gli si toglie la armoniosa gestione del proprio tempo. Il filosofo romano Seneca, fatto uccidere dall’imperatore Nerone nel 65 d.C., in una sua lettera all’amico Lucilio, rifletteva sul valore del tempo. Eccola:
Fa così, caro Lucilio: rivendica a te il possesso di te stesso, e il tempo, che finora ti veniva sottratto apertamente, oppure rubato, oppure ti sfuggiva, raccoglilo e conservalo. Convinciti che le cose stanno così come ti scrivo: una parte del tempo ci viene portata via, una parte ci viene rapita furtivamente, una parte scorre via. La perdita più vergognosa, tuttavia, è quella che avviene per la nostra negligenza. E se vorrai far bene attenzione, ti accorgerai che gli uomini sprecano gran parte della vita facendo il male, la massima parte non facendo nulla, la vita intera facendo altro.
Chi mi troverai che fissi un prezzo al tempo, che dia valore ad un giorno, che si renda conto di morire ogni giorno? In questo infatti c’inganniamo, che vediamo la morte dinanzi a noi: ma gran parte di essa è già passata, tutto il tempo che abbiamo dietro le spalle lo possiede la morte. Fa’ dunque, caro Lucilio, quello che mi scrivi di star facendo: afferra e tieni stretta ogni ora; dipenderai meno dal domani se ti impadronirai saldamente dell’oggi. Mentre rinviamo al futuro, la vita se ne va. Tutto il resto, o Lucilio, appartiene agli altri, solo il tempo è nostro; la natura ci ha dato il possesso di quest’unico bene fuggevole e malsicuro, e da questo possesso ci scaccia chiunque lo voglia. Ma la stoltezza dei mortali è tanto grande, che accettano di farsi mettere in conto, se li hanno ottenuti, oggetti insignificanti e di nessun valore, comunque sostituibili con altri, mentre nessuno ritiene di essere debitore di alcunchè per aver ricevuto in dono il tempo; eppure questo è l’unico bene che neanche chi è riconoscente può restituire.
Forse mi chiederai come mi comporto io che ti do questi consigli. Te lo confesserò schiettamente: faccio come chi è spendaccione, ma preciso: tengo i conti delle spese. Non posso dire di non sprecare, ma ti potrei dire quanto spreco e perché e come: ti potrei spiegare i motivi della mia povertà. Mi càpita però ciò che càpita di solito a chi è caduto in miseria non per colpa sua: tutti lo scusano, nessuno lo aiuta. E allora? Non considero povero l’uomo a cui basta quel poco che gli rimane; preferirei tuttavia che tu facessi tesoro delle cose tue; e comincerai per tempo. Infatti, secondo il parere dei nostri antichi, “è troppo tardi per risparmiare quando si è arrivati alla feccia”; perchè la parte che rimane sul fondo non è soltanto la più piccola, ma anche la peggiore. Stammi bene.
Con queste metafore finanziarie, Seneca riflette sul valore del tempo. Il tempo è nostro, è la sola cosa che veramente ci appartiene, le altre vanno e vengono, ma molti non se ne rendono conto e non sanno appieno usare il proprio tempo. Molti si volgono al passato, che non c’è già più, oppure sono fermi nell’attesa del futuro, che non c’è ancora, ed evitano di agire nel presente, il solo tempo che possiamo gestire. Due esempi, Charlie Chaplin e Seneca, distanti tra loro duemila anni, ma la tematica è fondamentalmente la stessa. Altri personaggi, filosofi, artisti hanno discettato sul tema. Nella città che rinasceva nel medioevo, la Chiesa condannava (e speriamo che lo faccia ancora) la borghesia, quando lucrava sui prestiti ad interesse, dato che lucrava sul tempo, che è sacro, di Dio, creato per e con l’uomo affinché cammini e costruisca nella storia la Città Celeste. La polemica sul cambiamento dei ritmi di vita che appena si intravedeva allora, racchiuso nella formula “il tempo è denaro”, viene drammaticamente riproposto anche dai laici nella società industrializzata. Le città non più a misura d’uomo, le periferie degradate, abitate dagli operai sfruttati per 10 – 12 ore al giorno nelle fabbriche, furono denunciate come disumane già dalla metà dell’Ottocento. Il lavoro, invece di essere completamento dell’uomo, diventa la sua alienazione. E il tempo diventa la merce che il lavoratore spesso svende per poter vivere, ma a quale prezzo! La situazione oggi non è tanto diversa da allora, fatti i confronti con le epoche, nei suoi concetti fondamentali. Il tempo, come diceva Seneca, la vera ricchezza di ognuno, al li là delle abilità personali, viene alienato, cioè preso da coloro che dirigono la produzione a tutti i livelli, economici o burocratici che siano. Lavorare sempre di più e a salari sempre più bassi, in nome della produttività, del Prodotto Interno Lordo, della Patria. La parola magica è: sono sacrifici necessari per i nostri figli, per il futuro. Il lavoro, la produzione e quindi il denaro, sono i veri valori su cui si basa il furto che si fa del tempo altrui, in genere dei più disgraziati. Coloro che comandano incentivano la corsa ad allungare gli orari di lavoro, ad ammazzarsi di lavoro. Molti, a causa dei bassi salari, fanno due, tre lavori extra; la cosa strana è che anch’essi si fanno prendere dalla retorica ufficiale, per cui si autoesaltano mostrando sé stessi come dei martiri del lavoro, come chi il proprio tempo lo spende tutto per il lavoro, il bene assoluto.
Ma la contraddizione e l’ipocrisia si cela sotto la retorica. Si parla tanto di etica, di valori religiosi, della famiglia, del matrimonio; anzi, gli stessi che alienano e rubano il tempo agli altri, si mostrano come premurosi per i suddetti valori, scandalizzandosi dei giovani “che oggi non hanno più valori”. Come se i giovani, che non decidono niente nella società, fossero i responsabili del degrado di tali valori. Chi decide in una società: i ragazzi, o chi sta al comando del potere economico o politico? E chi decide le leggi sul tempo esagerato da dedicare al lavoro, alla produzione, al denaro? Non certo i ragazzi. Chi dà il cattivo esempio per primo? Coloro che conoscono il vero valore umano del tempo, sono quelli che stanno fuori dall’ingranaggio accelerato del sistema economico: cioè gli emarginati, i disoccupati, i ragazzi: ma sono considerati da chi decide, come persone di scarso valore.
Parafrasando il filosofo Karl Marx, “la Filosofia finora ha interpretato il mondo, adesso deve cambiarlo”. Così, di Etica finora se ne è parlato, adesso si deve applicarla veramente. Il tempo umano fa parte dell’uso, dell’Etica. Siamo oramai tutti d’accordo (almeno a sentire la retorica ufficiale), che i veri valori sono la persona, la famiglia, i rapporti umani, la pace, la convivenza civile, il vivere senza stress, ecc. , ecc. , ecc. ...
E che cosa si fa per essi? Pochissimo, quasi niente, al di là della scenografia. Quanti di quelli che dirigono un’impresa, quanti di quelli che sono al governo in una nazione, quanti insomma di quelli che decidono, trattano i loro dipendenti, i cittadini, quelli che non possono disporre del proprio tempo, come delle persone con la loro umanità e i loro bisogni? Che hanno degli affetti familiari, cui dedicare il tempo adeguato; che hanno delle esigenze culturali, per far crescere e coltivare la propria personalità e spiritualità; che sentono il bisogno di relazioni sociali, relazioni con l’ambiente circostante, con la natura, gli animali, e che per tutto ciò hanno bisogno del proprio tempo? Un tempo che non sia solo il riposo dallo stress, dall’affanno, dalla tensione e dalla stanchezza, causati specialmente sui luoghi di lavoro? Invece che cosa si fa? Si cerca di prendere quanto più tempo sia possibile dalla gente, alienarla, per fini diversi, e per meglio sottometterla. Il lavoro, la produzione, non sono valori in sé, ma completamenti della persona e della società. Il lavoro è per l’uomo, non il contrario. Assistiamo ad un paradosso: siamo nell’esplosione della tecnologia, dell’informatica, delle macchine; queste sono state inventate per alleviare il lavoro all’uomo, perché dedichi più tempo al suo benessere personale, familiare, spirituale, sociale: è questa la retorica ufficiale. Ed invece, pare che sia il contrario: si è appesantito il ritmo di lavoro, il tempo sembra che mai basti, lo stress è incalzante... e allora uno si chiede, a che pro? Perché? Non dovremmo vivere meglio, con poche preoccupazioni? Quando si mette in pratica l’Etica e la Retorica Ufficiale? È chiaro che ciò ha dei costi, ma se l’obiettivo è di ridare il tempo alla persona, ebbene è una spesa da fare. Già Seneca duemila anni fa vi aveva riflettuto.
Giuseppe Esposito
Copyright 2007
Articolo scritto a Medellín, Colombia, nel maggio del 2007
*Giuseppe Esposito è un filosofo salernitano.
Nessun commento:
Posta un commento