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Perché, dicono, in quei momenti il cervello non sta poltrendo, anzi: si sta esercitando nella dimenticata, ma utilissima, arte dell'introspezione.
Lo studio, apparso in un numero della rivista Perspectives on Psychological Science, è una revisione di ricerche precedenti, condotte da psicologi e neurologi per capire che cosa succede davvero quando il nostro cervello è a riposo. Molti dati indicano, innanzitutto, che quando siamo immersi nel dolce far niente si attiva un network cerebrale di base "acceso" quando siamo focalizzati sul nostro io e riflettiamo o meditiamo; inoltre, queste fasi di autoanalisi sembrano potenziare le capacità di imparare e la memoria, oltre che componenti del "funzionamento sociale" come la consapevolezza di sé o il giudizio morale.
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Il problema è che non stiamo insegnando ai nostri bambini come rivolgere l'attenzione al loro io, come meditare: tutto il sistema educativo punta a far acquisire ai giovanissimi la capacità di portare a termine compiti, focalizzarsi su ciò che li circonda, imparare dalle lezioni spostando tutto il loro interesse all'esterno. Questo tipo di attenzione è senza dubbio essenziale, ma è altrettanto importante saper riflettere perché serve quantomeno a consolidare ciò che si impara».
Fermarsi a riflettere
In altre parole entrambi i tipi di attenzione, verso l'interno e verso l'esterno, sono ugualmente essenziali e dobbiamo saperli bilanciare per "funzionare" davvero bene: «Il tempo trascorso sognando a occhi aperti può migliorare la qualità della concentrazione dei bimbi su elementi esterni: dovremmo insegnare l'introspezione ai nostri figli, magari anche a scuola, perché serve ad avere voti migliori ma anche al loro benessere emotivo e sociale», dice la psicologa.
Quando infatti ai bambini vengono dati gli strumenti e il tempo per pensare in maniera costruttiva, i piccoli mostrano meno ansia, sono più motivati, ottengono migliori risultati nei test scolastici e mostrano anche una maggior capacità di pianificazione per il futuro. «Purtroppo il mondo attuale, urbano e digitale, richiede ai giovanissimi un impegno mentale totalmente proiettato al di fuori di sé: i tempi e i modi per favorire la riflessione mancano o non sono considerati importanti», riprende la Immordino-Yang.
«Questo può avere un impatto negativo sullo sviluppo psicologico dei bambini e dei ragazzi, soprattutto in un'epoca in cui i social media invadono sempre più le loro vite. Imporre ai ragazzi attività in cui è continuamente necessario focalizzarsi all'esterno, a scuola e pure durante il tempo libero, significa rubare loro l'opportunità di meditare su che cosa gli è accaduto, che cosa significano le loro esperienze o i loro comportamenti, quale approccio scegliere di fronte a problemi.
Il "riposo" della mente non è affatto un'occasione persa per produrre, anzi: l'introspezione serve per imparare dalle proprie esperienze e farne tesoro per le scelte future, consente di capire meglio come siamo fatti e come dobbiamo muoverci in mezzo agli altri», conclude la psicologa. [Elena Meli su il Corriere della Sera].
Tratto da http://ilnavigatorecurioso.myblog.it
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