Mettersi a documentare, prove alla mano, che i pochi personaggi dei fumetti ispirati a figure apparentemente storiche, come un Kit Carson o un Davy Crockett non furono, in realtà, che feroci delinquenti e assassini, è del tutto frustrante...
Sappiamo bene, e non manchiamo di rilevare in ogni occasione come la liberazione cronica che ci è stata imposta, e contro cui noi più vecchi rivendichiamo l’onore e l’orgoglio di aver combattuto fino all’ultima cartuccia, non sia stata e non sia che l’occupazione militare e finanziaria e la cessazione di ogni sovranità nazionale.
Desideriamo quì porre l’accento su un aspetto sottile di tale schiavizzazione. E’ un aspetto che potremmo definire “sottocutaneo” e non è più doloroso che una qualunque iniezione, ma la cui gravità sarebbe grave errore ignorare da chi si ponga, come questo quotidiano, il fine supremo della liberazione dalla Liberazione.
Si tratta dell’autentico sequestro delle fantasie giovanili. E’ forse, di tutti i modi di penetrare di frodo nella confezione della c.d. “opinione pubblica”, il più insidioso, proprio perché il più facile, in quanto non provoca reazioni anafilattiche.
Non le provoca, perché operando dagli anni della prima formazione infantile, non ve n’è una precedente da scalzare: scrive su una pagina bianca.
Non le provoca, perché, specie nella diffusissima forma dei “fumetti”, riduce al minimo, se non a zero, lo spazio lasciato all’immaginazione individuale, che invece, nella narrativa classica, era ancora vasto.
Non le provoca, perché, non essendo obbligatorio come il condizionamento scolastico, lascia al bambino e all’adolescente l’illusione che sia una propria libera scelta.
Non le provoca, infine, perché la sua grande diffusione, anche commerciale, ha reso possibile agli editori il reclutamento e retribuzione di una categoria di disegnatori specializzati, talora di un elevato livello artistico, e quindi suggestivo.
D’altronde, non vantando finalità didattiche, la fumettistica d’intrattenimento giovanile si pone del tutto al riparo da accuse di diffamazione o di apologia di reato. “Qualsiasi riferimento a fatti o a persone reali è puramente casuale”, no ?
Tutto pulito, tutto candido, tutto innocente! Lasciamoli divertire, poveri figlioli! Lasciamoli adorare i loro idoli inventati! Che male c’è?
Un male c’è, purtroppo, che, attraverso la “formazione” di quegli adolescenti, che diventano giovani e poi adulti, e magari educatori, getta la sua rete su tutto il popolo, abituandolo alle funzioni servili. Nessuna violenza può ridurre un popolo fiero in servitù. Solo farlo sentire servo, secondario, meschino, trascurabile, può indurlo a lucidare le scarpe altrui, come i cosiddetti “governanti” italiani.
Ebbene: entriamo nel mondo in cui vivono, appena alfabeti, i nostri giovani virgulti.
Esso è popolato al 90% di “eroi” anglosassoni. Anglosassoni sono i pionieri che entusiasmano i nuovi prodotti del popolo più pioniere del mondo: quello italiano. E anglosassoni con le ghette sono gli eroi di guerre del Settecento-Ottocento, che, come sappiamo, furono solo quella di Washington e quella di Lincoln. Non parliamo poi dei fumetti italiani sull’ultima guerra, da cui appare che l’Italia non fosse tra i belligeranti. Belligeranti del 1939-45 furono solo masse sterminate e crudelissime di Tedeschi (pardon: Nazisti; preferibilmente SS) eroicamente combattute da poche nobili pattuglie di anglosassoni guerrieri, accorse in difesa degli oppressi dai “dittatori”. Magari negri, ma sempre anglosassoni onorari. Capaci però, con un mitra, di falciare un reggimento, e con poche espressioni fumettabili (ma incisive e taglienti come acciaio) di ridicolizzare qualsiasi Hitler. O magari Mussolini! Ma no: che dico mai! Chi era Mussolini? A Fumettopoli uno nato a Dovia, frazione di Predappio (FO) non ha diritto all’esistenza, non avete capito?
Prendiamo Bonelli, il maggior editore italiano di fumetti, tecnicamente e artisticamente ineccepibili. TUTTI i suoi eroi di carta sono americani (tranne Dylan Dog, inglese). Ma, a sud delle Alpi, non c’era una penisola a forma di stivale? Dev’essere un errore della De Agostini! Dai fumetti non risulta. Un Eroe che si rispetti deve chiamarsi Flick Bolton o Jack Flanagan, o, se femmina, quanto meno Samantha, sennò dove ce l’ha il pathos? Noi “locali” che ci chiamiamo Carlo Ventola o Alberto Fazi, o Giulia Perrone, possiamo essere solo spettatori e ammiratori passivi dell’eroismo (e del pathos) altrui. Mica vogliamo essere megalomani, Dio ci salvi!
E intanto, un ammollo di tre o quattro lustri in intrattenimenti di un simile tenore, destinati a milioni di ragazzi mentalmente indifesi, è più che sufficiente per determinare in essi una comune abitudine mentale. Ed è inutile rammentare ai nostri lettori, che con le abitudini mentali più assurde ed infami hanno da battersi ogni giorno, come esse siano tremende e tenaci, refrattarie ad ogni confutazione, Mettersi a documentare, prove alla mano, che i pochi personaggi dei fumetti ispirati a figure apparentemente storiche, come un Kit Carson o un Davy Crockett non furono, in realtà, che feroci delinquenti e assassini, è del tutto frustraneo, dato che i “tifosi” italici dei medesimi desiderano svagarsi senza impegno, e niente affatto impelagarsi in faticose indagini storiche. E l’italiano impotente e miserello, cui non resta altra risorsa che scimmiottare i “veri uomini” d’oltre Atlantico, nell’abbigliamento, negli usi e nei cibi, diventa così, effettivamente, il tipico italian boy del nostro tempo felice.
Ciò coincide così pienamente con l’interesse dei nostri invasori ormai cronici, perché sia lecito e verosimile pensare che sia avvenuto per puro caso, e non in attuazione di un preciso disegno. Tanto più che la nostra storia, in cui eventualmente incastrare vicende romanzate o del tutto fantastiche è incomparabilmente più lunga, ricca, significativa della squallida storiuccia americana, e popolata di personaggi di un interesse, anche narrativo, ben maggiore.
A prova evidente dell’assurdità, per noi Italiani, di cercarsi tra le balle americhesi le figure da mitizzare ad uso dei giovanissimi, quando disponiamo di nostri esempi che non abbisognerebbero affatto di “maquillage” fantastico per trasformarsi in miti della lotta contro il delitto e la sopraffazione (altro che l’invincibile Tex Willer!) avevo divisato di portare un esempio clamoroso che, proprio per essere del tutto sconosciuto al volgo, si presta ad accusare l’incredibile vezzo xenofilo e americofilo quì deplorato. Ma, meritando l’argomento una trattazione con un minimo di dettagli e dati, a pena di perdere efficacia, devo fermarmi quì e far seguire su RINASCITA un secondo capitolo che s’intitolerà: “Chiaffredo: chi era costui?”
Lo stupore che i Lettori proveranno nel leggerlo sarà la miglior prova della giustizia della mia tesi.
Desideriamo quì porre l’accento su un aspetto sottile di tale schiavizzazione. E’ un aspetto che potremmo definire “sottocutaneo” e non è più doloroso che una qualunque iniezione, ma la cui gravità sarebbe grave errore ignorare da chi si ponga, come questo quotidiano, il fine supremo della liberazione dalla Liberazione.
Si tratta dell’autentico sequestro delle fantasie giovanili. E’ forse, di tutti i modi di penetrare di frodo nella confezione della c.d. “opinione pubblica”, il più insidioso, proprio perché il più facile, in quanto non provoca reazioni anafilattiche.
Non le provoca, perché operando dagli anni della prima formazione infantile, non ve n’è una precedente da scalzare: scrive su una pagina bianca.
Non le provoca, perché, specie nella diffusissima forma dei “fumetti”, riduce al minimo, se non a zero, lo spazio lasciato all’immaginazione individuale, che invece, nella narrativa classica, era ancora vasto.
Non le provoca, perché, non essendo obbligatorio come il condizionamento scolastico, lascia al bambino e all’adolescente l’illusione che sia una propria libera scelta.
Non le provoca, infine, perché la sua grande diffusione, anche commerciale, ha reso possibile agli editori il reclutamento e retribuzione di una categoria di disegnatori specializzati, talora di un elevato livello artistico, e quindi suggestivo.
D’altronde, non vantando finalità didattiche, la fumettistica d’intrattenimento giovanile si pone del tutto al riparo da accuse di diffamazione o di apologia di reato. “Qualsiasi riferimento a fatti o a persone reali è puramente casuale”, no ?
Tutto pulito, tutto candido, tutto innocente! Lasciamoli divertire, poveri figlioli! Lasciamoli adorare i loro idoli inventati! Che male c’è?
Un male c’è, purtroppo, che, attraverso la “formazione” di quegli adolescenti, che diventano giovani e poi adulti, e magari educatori, getta la sua rete su tutto il popolo, abituandolo alle funzioni servili. Nessuna violenza può ridurre un popolo fiero in servitù. Solo farlo sentire servo, secondario, meschino, trascurabile, può indurlo a lucidare le scarpe altrui, come i cosiddetti “governanti” italiani.
Ebbene: entriamo nel mondo in cui vivono, appena alfabeti, i nostri giovani virgulti.
Esso è popolato al 90% di “eroi” anglosassoni. Anglosassoni sono i pionieri che entusiasmano i nuovi prodotti del popolo più pioniere del mondo: quello italiano. E anglosassoni con le ghette sono gli eroi di guerre del Settecento-Ottocento, che, come sappiamo, furono solo quella di Washington e quella di Lincoln. Non parliamo poi dei fumetti italiani sull’ultima guerra, da cui appare che l’Italia non fosse tra i belligeranti. Belligeranti del 1939-45 furono solo masse sterminate e crudelissime di Tedeschi (pardon: Nazisti; preferibilmente SS) eroicamente combattute da poche nobili pattuglie di anglosassoni guerrieri, accorse in difesa degli oppressi dai “dittatori”. Magari negri, ma sempre anglosassoni onorari. Capaci però, con un mitra, di falciare un reggimento, e con poche espressioni fumettabili (ma incisive e taglienti come acciaio) di ridicolizzare qualsiasi Hitler. O magari Mussolini! Ma no: che dico mai! Chi era Mussolini? A Fumettopoli uno nato a Dovia, frazione di Predappio (FO) non ha diritto all’esistenza, non avete capito?
Prendiamo Bonelli, il maggior editore italiano di fumetti, tecnicamente e artisticamente ineccepibili. TUTTI i suoi eroi di carta sono americani (tranne Dylan Dog, inglese). Ma, a sud delle Alpi, non c’era una penisola a forma di stivale? Dev’essere un errore della De Agostini! Dai fumetti non risulta. Un Eroe che si rispetti deve chiamarsi Flick Bolton o Jack Flanagan, o, se femmina, quanto meno Samantha, sennò dove ce l’ha il pathos? Noi “locali” che ci chiamiamo Carlo Ventola o Alberto Fazi, o Giulia Perrone, possiamo essere solo spettatori e ammiratori passivi dell’eroismo (e del pathos) altrui. Mica vogliamo essere megalomani, Dio ci salvi!
E intanto, un ammollo di tre o quattro lustri in intrattenimenti di un simile tenore, destinati a milioni di ragazzi mentalmente indifesi, è più che sufficiente per determinare in essi una comune abitudine mentale. Ed è inutile rammentare ai nostri lettori, che con le abitudini mentali più assurde ed infami hanno da battersi ogni giorno, come esse siano tremende e tenaci, refrattarie ad ogni confutazione, Mettersi a documentare, prove alla mano, che i pochi personaggi dei fumetti ispirati a figure apparentemente storiche, come un Kit Carson o un Davy Crockett non furono, in realtà, che feroci delinquenti e assassini, è del tutto frustraneo, dato che i “tifosi” italici dei medesimi desiderano svagarsi senza impegno, e niente affatto impelagarsi in faticose indagini storiche. E l’italiano impotente e miserello, cui non resta altra risorsa che scimmiottare i “veri uomini” d’oltre Atlantico, nell’abbigliamento, negli usi e nei cibi, diventa così, effettivamente, il tipico italian boy del nostro tempo felice.
Ciò coincide così pienamente con l’interesse dei nostri invasori ormai cronici, perché sia lecito e verosimile pensare che sia avvenuto per puro caso, e non in attuazione di un preciso disegno. Tanto più che la nostra storia, in cui eventualmente incastrare vicende romanzate o del tutto fantastiche è incomparabilmente più lunga, ricca, significativa della squallida storiuccia americana, e popolata di personaggi di un interesse, anche narrativo, ben maggiore.
A prova evidente dell’assurdità, per noi Italiani, di cercarsi tra le balle americhesi le figure da mitizzare ad uso dei giovanissimi, quando disponiamo di nostri esempi che non abbisognerebbero affatto di “maquillage” fantastico per trasformarsi in miti della lotta contro il delitto e la sopraffazione (altro che l’invincibile Tex Willer!) avevo divisato di portare un esempio clamoroso che, proprio per essere del tutto sconosciuto al volgo, si presta ad accusare l’incredibile vezzo xenofilo e americofilo quì deplorato. Ma, meritando l’argomento una trattazione con un minimo di dettagli e dati, a pena di perdere efficacia, devo fermarmi quì e far seguire su RINASCITA un secondo capitolo che s’intitolerà: “Chiaffredo: chi era costui?”
Lo stupore che i Lettori proveranno nel leggerlo sarà la miglior prova della giustizia della mia tesi.
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