Karl Marx aveva ragione.
« Il sistema creditizio che ha come centro le pretese banche nazionali e i potenti prestatori di denaro, e gli usurai che pullulano attorno ad essi, rappresenta un accentramento enorme e assicura a questa classe di parassiti una forza favolosa, tale non solo da decimare periodicamente i capitalisti industriali, ma anche da intervenire nel modo più pericoloso nella produzione effettiva – e questa banda non sa nulla della produzione e non ha nulla a che fare con essa (...) banditi ai quali si uniscono i finanzieri e gli speculatori. » (Karl Marx, Il capitale)
di Paolo Becchi
Cerchiamo di spiegare con una semplice metafora quello che sta succedendo in questo periodo di crisi ormai persistente. Quando si è mangiato troppo e si è fatto indigestione, magari anche a causa di qualche cibo tossico, la cosa migliore è vomitare, liberarsi del peso che si ha sullo stomaco e rimettersi in salute. Prima o poi ci cascheremo di nuovo, l’uomo sembra proprio avere la memoria della mosca – ma intanto per un po' ci sentiremo di nuovo meglio. E invece no, quello che oggi sta avvenendo è che ci teniamo ancora tutto sullo stomaco, ingurgitando dosi crescenti di Gaviscon nella speranza che non si brucino le budella.
Fuor di metafora: si è cercato di contenere l'esplosione della “bolla” finanziaria iniettando dosi sempre più massicce di liquidità nel settore bancario e ci si appresta a fare altrettanto se sarà il caso. Molte banche italiane sono sull'orlo del fallimento: già in grosse difficoltà economiche a causa della svalutazione degli asset in portafoglio (immobili valutati a valori maggiori di quelli reali presi a garanzia su mutui concessi troppo facilmente, finanziamenti alle imprese degli amici degli amici diventate poi insolventi, e poi tutti i derivati in portafoglio –, prodotti dell’ingegneria finanziaria che valgono a volte nemmeno un decimo del loro valore d’acquisto. Ebbene, nonostante ciò sono state altresì costrette dalla BCE ad acquistare titoli di stato in asta primaria, con la conseguenza che ogni volta che il valore dei nostri titoli di stato diminuisce (l’altalena dello spread) diminuisce anche il reale valore della banca.
E’ ben noto che, per sua costituzione, la BCE non può quando uno Stato emette dei titoli e questi non vengono assorbiti dal mercato, sostituirsi ad esso, comprando tutto quello che in commercio potremmo definire “l’invenduto” durante l’asta di emissione. A questo punto, la BCE con le mani legate dal suo statuto ha trovato il modo, – solo un fiorentino (Mario Draghi n.d.r) poteva essere così sottile - di prestare quasi mille miliardi di € alle banche (si chiama LTRO). Questo denaro è stato concesso con l’invito ad essere usato non per finanziare l’economia reale, bensì per sostituirsi alla BCE ed andare a comprare quello che per semplicità ho definito “l’invenduto”, al fine di non fare crollare il prezzo dei titoli in emissione. In questo modo però la crisi non è affatto risolta. Stiamo soltanto comprando tempo. La liquidità pompata sul mercato, con la speranza di far ripartire il sistema, in realtà al momento non fa che aumentare lo stock del debito. Perché le banche in un primo momento hanno usato il denaro ricevuto per fare finanza (questo spiega il rialzo del mercato azionario dal 2009 al 2010) e poi, come prima spiegato, hanno usato le successive iniezioni di liquidità della BCE per acquistare quote di debito pubblico. Così però la crisi si avvita su stessa. È sempre lo stesso debito che gira da una parte, dalle banche agli Stati, dagli Stati alle banche, è sempre capitale fittizio in movimento privo di valorizzazione reale.
Indebitandosi sempre di più gli Stati non possono fare altro che scaricare gran parte del deficit sulla fiscalità generale. Questo spiega le politiche di austerity ed il fiscal compact ne che ne è una conseguenza. Gli Stati hanno tentato di salvare il sistema mediante la creazione di credito, ma questo processo non ha fatto altro che aumentare l'indebitamento e prolungare l'agonia. È come dare dosi crescenti di eroina ad un drogato e la speculazione, ovviamente, ha buon gioco ad attaccare come un virus gli organismi più deboli. Ci si ostina a non volersi rendere conto di una cosa fondamentale: l’euro è stato imposto ad economie con livelli di produttività e situazioni finanziarie molto diverse. Tra Italia e Germania, ad esempio, l’introduzione dell’euro ha fatto registrare un differenziale del 30-40% sia in termini di costo unitario del lavoro, sia in termini di produzione industriale. Inoltre l’euro è stato costruito in vitro come un organismo privo di sistema immunitario. Non c'è quindi da sorprendersi se la speculazione oggi si scagli proprio sui paesi deboli che hanno aderito alla moneta unica. Se piccolo e grosso devono correre alla stessa velocità con lo stesso peso sulle spalle, il grosso, va più forte.
È possibile uscire da questa spirale? Difficile dirlo, ma affidare ai banchieri il governo dell'economia, come stiamo facendo, significa darsi la zappa sui piedi. Questi “banditi” – come li apostrofa Karl Marx nel terzo libro del Capitale – “nulla sanno della produzione e nulla hanno a che fare con essa”. Finora si sono limitati a salvare le banche con la scusa che erano „too big to fail“ e lo hanno fatto trasformando debito privato in debito pubblico, insomma socializzando le perdite e coinvolgendo gli Stati nel salvataggio del sistema creditizio. In questo modo però hanno portato al collasso gli Stati e sono loro ora a rischiare il default. Non bisogna essere marxisti per accettare questa analisi. Marx però era convinto che la rivoluzione proletaria avrebbe posto fine al modo di produzione capitalistico e alla sua forma assoluta raggiunta con il capitale fittizio. Su questo si era sbagliato. La crisi „catastrofica“ del capitalismo non c’è stata e il marxismo è fallito. Ma questo non ha fatto venir meno l’analisi scientifica di Marx, dalla quale possiamo ricavare la previsione preziosissima che si esce da una crisi solo con un nuovo ciclo del capitale industriale, una nuova rivoluzione industriale che sia in grado di rivitalizzare il capitalismo. Pur con la consapevolezza che la crisi è comunque connaturata al sistema, non ci resta – ahimè – che sperare che anche questa sua previsione si avveri.
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