"THE END"

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sabato 18 agosto 2012

Avere 20 Anni – Remake di un ragazzo

NB: quelle che scrivo qui sotto sono le mie idee, personali. Le scrivo e le condivido su internet con gente che non conosco perché un gentile signore, che non conosco ma spero un giorno di farlo, le pubblica sul suo bellissimo sito, non chiamatelo blogger sennò s’incazza. Liberi di pensare quello che volete…

Oggi dopo pranzo quando ho visto la mail di MC con i nuovi articoli pubblicati il mio viso si è illuminato. E leggendo il pezzo di Gilda, al quale questo è quasi una risposta, mi è arrivato l’input per scrivere quanto segue. Oggi è stata una giornata proficua, in mattinata ho scritto un altro pezzo che sarà pubblicato a breve. Edit: visto che sono pigro, molto pigro, ci ho messo qualche giorno per terminare lo scritto e riordinare le idee. L’importante è raggiungere la meta, quale che sia il viaggio. [Cit.]
Deve essere una caratteristica intrinseca nella natura umana quella di volere sempre qualcosa in più, oppure ottenuta una cosa, volerne subito un’altra completamente diversa, oppure ancora volere qualcosa di diverso. E non basta mai. Forse deriva da anni e anni (secoli) di privazioni più o meno forti ma sempre costanti, che ci hanno resi di fatto insaziabili. E incontentabili. Poco di quanto detto sopra ha a che fare con me, di obiettivi raggiunti ne ho ben pochi in elenco, per ora vivo di sogni.
Vorrei cambiare la mia vita. Non fare chissà cosa, ma fare per una volta qualcosa che ho deciso e scelto io, solo io senza influenze esterne di nessun tipo. Vorrei vivere la mai vita, senza condizionamenti e pregiudizi, senza moralismi vari e tutta la marea di cazzate di cui ormai gran parte della gente si nutre, se non fisicamente, mentalmente.

Per certi punti di vista Gilda e io siamo simili. Penso di essere depresso, non depresso-depresso, so che la depressione è una malattia e che chi è depresso non sa di essere malato, quindi o sono il primo uomo consciamente depresso oppure, comunque, c’è qualcosa che non va in me. Probabilmente la seconda. La metto giù così: sono stufo della situazione che vivo da un po’ a questa parte. Sono triste e amareggiato (anche se amareggiato non rende l’idea), frustrato, sconsolato e infelice, tante cose, troppe non sono andate come avrei voluto.
Ti interessa la mia storia? Continua a leggere e fatti una marea di cazzi miei; non te ne frega niente? Hai ragione anche tu, forse anche a me non interesserebbe la questione se non ci fossi dentro…
Luglio 2011. Dopo la maturità conseguita con un voto prossimo all’80 non sapevo bene cosa fare. Verso maggio di quello stesso anno stavo pensando che sarei andato all’università ma non ero sicuro anche perché non avevo idea di quale facoltà scegliere. In realtà dopo le 2 settimane di studio “matto e disperatissimo” in cui avevo ripassato due volte tutto il programma di tutto un anno, e passata la “bestia nera” della maturità ero proprio stufo di studiare e passare tempo sui libri, l’altra scelta era lavorare. I miei mi misero alle strette (…) e alla fine decisi di iscrivermi alla facoltà di economia, scelta più che altro scartando le altre disponibili in loco. Non ero molto convinto ma i miei avevano deciso, meglio si erano da subito convinti che quella era la facoltà presso la quale mi sarei laureato.
I fatti dimostrarono il contrario; già verso gennaio/febbraio di questo anno, in tempo di esami del primo semestre le cose non andavano bene con voti bassi o non sufficienti. In effetti non mi piaceva molto quella facoltà e come era organizzata la didattica. Davano tutto per scontato, io che venivo da ragioneria un po’ di cose le capivo e già le sapevo ma quelli che erano reduci di uno scientifico o di un classico avevano facce strane quando spiegavano concetti prettamente tecnici. Le lezioni poi, di alcune materie erano assurde. Il professore che entrava, spiegava qualche concetto completamente distaccato dai precedenti e continuava così fino alla fine della lezione. Altra cosa: alcuni argomenti che già feci alle superiori, lì venivano prima semplificati in modo assurdo e imbarazzante, e poi, nel 2 e 3 anno, ripresentati sotto un’altra veste. O come dovevano essere fatti fin dall’inizio. Tralascio altre critiche, quella facoltà non mi piaceva sotto molti, troppi punti di vista e gli sbocchi professionali offerti da quella che avrebbe potuto essere la mia laurea, non mi attiravano più di tanto. Quello che volevo era altro. Segue il secondo semestre, senza nessuna sostanziale novità, ma sempre più con un senso di smarrimento e distacco volontario e consapevole da parte mia verso tali studi e materie.
Maggio. Un mese prima della fine delle lezioni esprimo ai mie genitori le mie perplessità riguardo la mia iniziale scelta universitaria e espongo loro il mio sentito interesse, visto che mi ero informato, verso la facoltà di studi sociologici e in particolare verso un corso di studi nazionali e internazionali. Insomma qualcosa di interessante e diverso da quello che avevo visto fino a quel punto e che veramente mi ispirava interesse. Segue una feroce opposizione dai miei genitori ma dico che, o quella (l’altra) o che avrei lasciato l’università. Cercandomi un lavoro.
[Tralascio tutti i discorsi ricattatori e meschini che mi vengono rivolti e le varie “vessazioni” psicologiche..]



Continuo a frequentare le ultime settimane di università, andando sì e no a lezione, giusto per non stare a casa a non fare nulla per vedere/salutare i nuovi amici. E finisce anche il secondo semestre. Alla fine di maggio, ho ri-espresso la mia intenzione di cambiare facoltà. Durante l’estate mi sarei cercato un lavoro.
Siamo in agosto e un lavoro non l’ho trovato. Ho fatto qualche colloquio qui e lì, cercavano un magazziniere, un aiuto cuoco, un tuttofare, altri lavori minori.. Ma, giustamente, cercavano persone con esperienza e io non ne avevo. Quindi niente da fare. Non do la colpa a nessuno delle mie non-assunzioni, non avrebbe senso. Penso che quando le cose andavano bene, poteva darsi che assumessero uno anche se non aveva esperienza ma vedevano che aveva voglia di fare, buona volontà, ecc. Ora con questa stramaledetta crisi cercano gente a posto, già formata e preparata. E la trovano, quello non è il problema; il problema è per chi non ha esperienza e di questo passo non se la farà mai. Le cose stanno ancora peggio per noi giovani.



In vita mia ho lavorato solo un’estate per una cooperativa, un mese e mezzo, 1500 euro in tutto, netti. E poi basta. L’anno dopo feci il tirocinio per un progetto con la scuola in un ufficio per due mesi e non lavorai. Le soddisfazioni di lavorare sono molte. Tra le ultime il discorso prettamente economico; lavorare significa usare la testa, mettere in pratica idee e concetti nuovi, rendersi utili per gli altri. Forse questo aspetto per me è stato tra quelli più gratificanti. Sentirsi parte di un sistema, di qualcosa più grande di te ma al quale puoi contribuire insieme agli altri è fantastico. Poi anche il fatto di guadagnarsi del denaro e di comprarsi qualcosa che sia veramente tuo è un’altra bella soddisfazione.
Tornando al discorso del cambio di facoltà, ero sereno. Le persone con le quali avevo parlato, amici, conoscenti, e anche un mio professore, mi avevano tutte detto che se non mi piaceva e volevo cambiare, posto di fare una scelta che fosse per quanto possibile definitiva, non lo consideravano un problema, anzi era la scelta giusta. Ripensandoci poi, considerai questa decisione non come un fallimento o un anno buttato nel cesso (cit. genitori) ma come una vittoria. Insomma, avevo provato quella facoltà, non mi piaceva, avevo capito che non ne sarei uscito e avevo scelto un’altra facoltà. Che ritenevo quella giusta. (In realtà, sinceramente parlando, questa idea l’ho fatta mia col tempo.) A me questa sembrava la naturale prosecuzione, con deviazione, del “percorso” di studi iniziato l’anno prima. Percorso di studi o di vita, perché anche di vita si tratta.
Devo dire che il rapporto con i miei non è sempre andato bene. Niente di che ma un certo distacco, da entrambe le parti, più o meno sempre presente che a me non dava poi così fastidio, una volta fatta l’abitudine. Se la cosa è reciproca e ci va bene non è un grosso problema. (Capisco che il problema c’è, la situazione non è di certo rosea ma non ci abbiamo dato troppo peso) Aggiungo che, io ho un certo timore dei miei. Non so perché, certo è una cazzata ma ora come ora, anche adesso un po’ li temo. Non che possano farmi qualcosa, sono grande e grosso, capace di difendermi ma, non so. Un’altra anomalia che si aggiunge al puzzle. Anche per questo vivo un disagio pressoché costante a casa. Questa è la situazione. Anche per questo il nostro rapporto non è un granché, ma a me va bene così. Meno mi rompono le scatole e più lasciano in pace, meglio è per tutti, me compreso.
Questa situazione nel suo complesso era per me sopportabile fino a maggio di questo anno. Già da tempo, molto prima, comunque c’era quel senso di mal-sopportazione delle scelte ferme e indiscutibili dei miei, praticamente su tutto.
Poi con la storia di giugno e altre cosette successive è andata peggiorando. Al limite della sopportazione. Va bene che non gli piaccia più di tanto la mia scelta, credo che più di tutto gli rode il fatto stesso che sia una mia scelta. Ci ho pensato bene, tutte le mie precedenti scelte, scuole superiori compresa bene o male sono state influenzate dai miei. Mi sta anche bene, ma fino a un certo punto. Fino al punto in cui devo fare una facoltà solo perché lo vogliono loro. Questo no.
È da tanto che sto stretto a casa con i miei, forse non lo hanno capito ma se potessi me ne andrei subito. Per un motivo, per l’altro, per le continue storie, rotture di scatole che non mancano mai. Se non fossi mentalmente lucido penserei che in fondo ci trovano gusto.
Vorrei andarmene di casa, trasferirmi in città a fare la mia fottuta università in pace. Non credo che il primo obiettivo delle università sia insegnare un lavoro, molte ti preparano per accedere agli esami (statali) per poter esercitare un lavoro. La “mia” università un lavoro non lo insegna. Mi piace pensare che tali luoghi di studio e ricerca servano principalmente a insegnare a vivere, a risolvere certi problemi piccoli o grandi che siano, insegnano a pensare con la propria testa, ragionare e trovare soluzioni a tutti i problemi. Da un certo punto di vista la vita è un insieme di problemi, più o meno grandi. Vorrei anche trovarmi un lavoretto o qualcosa part-time. Qualcosa con cui vivere e pagarmi gli studi. Non penso che la mia sia una idea così brutta o cattiva. Non so se a settembre mi iscriverò all’università. Devo ancora capire se i miei ci metteranno i soldi, almeno inizialmente. Non è un problema di soldi, è che fin dall’inizio è come se non avessero accettato la mia scelta e facessero di tutto per ostacolarla. Ma ormai non posso tornare indietro, se non me la pagano non so cosa farò. Non penso che i miei portino conti, e a me non piace pensare che li portino o che prima o poi dovrò restituirgli tutti i soldi che hanno speso per me, è un conto assurdo e impossibile da fare. Come loro anche io non porto conti. Quando avevo dei soldi da piccolo li davo a loro. Li ho sempre aiutati con certi progetti a cui collaboravano o che facevano loro, qui dove viviamo, in un piccolo paese al nord. Non li ho mai voluti indietro e mai li chiederò, spero facciano lo stesso. Spero faranno lo stesso. Magari leggendo questo qualcuno penserà che sia “stronzo” nel significato del termine o ingrato. Non è così. Li rispetto e sono loro grato per tutto quello che hanno fatto per me e con me. Non ce l’ho con loro per tutta questa storia, sarà colpa mia. Me ne sono fatto e me ne farò una ragione. Ma ormai viaggiamo su larghezze d’onda differenti. I rapporti si sono guastati da tempo.

Sono triste, frustato, ho solo incertezze per il futuro. Vivo pensando che le cose andranno meglio, immagino ipotetiche soluzioni ai miei problemi. Sogno a occhi aperti. È così che vado avanti, tutti i giorni aspettando la svolta di questa situazione paralizzata da tanto tempo. Troppo tempo. Vivo un costante senso di impotenza, quasi come se fossi fuori luogo. Spero un giorno di sentirmi meglio.



Cosa voglio fare “da grande”? Ancora non lo so. Non ho ancora deciso. Per ora voglio crescere, conoscere il mondo e se possibile visitarlo. Capire come funzionano certe cose. Sono aperto a tutto. Non voglio pensare che farò lo stesso lavoro per tutta la vita, non che sia qualcosa di male ma penso che non mi piacerebbe, poi dipende anche dal tipo di lavoro. Ci ho pensato molto in questo periodo al mio futuro e alla mia vita in generale. Vorrei lasciare il mondo migliore di come lo ho trovato, altrimenti la mia vita sarà stata inutile. Siamo 7 miliardi sulla terra io conto poco, pochissimo, non sono nessuno. Ma tutti nel piccolo possiamo fare qualcosa per gli altri. Non importa cosa, le scelte sono molte. Mi piace pensare che il mondo sarà migliore, può essere migliore, deve essere migliore. Prima o poi tutti i casini e le guerre finiranno, spero di esserci quando succederà, sarà bello vedere cosa uscirà poi.

Lo stesso vale per l’Italia, non oggi, non domani, più avanti, ma qualcosa cambierà. È la naturale evoluzione delle cose. Oggi sei qua, domani chi lo sa.

Se fossi un maschio e facessi lo scaricatore di porto (…) certi problemi non me li porrei. Avrei un lavoro ma probabilmente non studierei. Forse Gilda intendeva altro con lo scaricatore di porto. Probabilmente sì. Rimane il costante senso di impotenza, per ora. Il tempo che passa e tutto il resto che mi scivola addosso. Intanto fuori ha cominciato a piovere, tanto per rimanere nel discorso. Mi piace comunque constatare che non sono solo nel mio disagio. Cioè sono solo ma non sono l’unico, è già una piccola consolazione.

Grazie Gilda.

“Davanti a me l’infinito, alle spalle il nulla”. [Cit.]

http://www.mentecritica.net

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