"THE END"

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lunedì 18 marzo 2013

VATICANO: L’IMPERO FUORILEGGE DEL MATTONE


San Pietro - foto Gilan

di Gianni Lannes

In Italia la legge non è uguale per tutti. Un esempio a portata d’orizzonte. Il patrimonio di San Pietro: ancora e sempre esentasse. Uno Stato nello Stato tricolore che non paga nulla e vive in maniera parassitaria, succhiando il sangue degli ignari contribuenti, non solo mediante l’8 per mille, ma soprattutto attraverso ininterrotte elargizioni statali di denaro pubblico fuori controllo. Mica c’è solo l’Imu che non sborsano: non pagano neanche una tassa, né a titolo d’esempio il consumo di acqua o lo smaltimento dei rifiuti e la depurazione fognaria. Pagano sempre e soltanto quei fessi di italioti. Altro che crisi.

San Pietro, grazie alle strabilianti operazioni dello Ior - annessi e connessi in Italia e nel resto del mondo - vive di rendite, speculazioni ed affari con le mafie intercontinentali. A titolo di riferimento documentato: il 29 settembre 1978, l’allora Papa Giovanni Paolo I (Albino Luciani), si accingeva fare piazza pulita licenziando in primis il gran corrotto monsignor Paul Marcinkus, a capo della banca vaticana in affari addirittura con Cosa Nostra. Invece, durante la notte tra il 28 ed il 29 settembre fu avvelenato da una dose di digitalina - non lascia tracce nel sangue - che causò un infarto del miocardio. Insomma: una finta morte naturale. E così la potente massoneria eliminò chi voleva cambiare le cose.

Ricchi ieri - E’ scontata la sedicente “Sante Sede”. Perché? «Un quarto di Roma è in mano alle società ombra panamensi, del Liechtenstein, lussemburghesi, svizzere. Un altro quarto è di enti pubblici e dello Stato. Un quarto ancora è di privati grandi e piccoli. Ma l’ultimo quarto, forse il migliore, è nelle mani del Vaticano (…) Dare un valore commerciale a questo impero è impossibile. Ci si può trovare indifferentemente di fronte ad ettari di terreno edificabile o al palazzetto storico pronto alla ristrutturazione. Si inciampa in collegi o conventi, abitati ora da pochi religiosi, che potrebbero (ed è stato già fatto) essere trasformati agevolmente in residence di lusso, in alberghi, in centri commerciali. Il valore attuale di queste proprietà immobiliari dovrebbe essere moltiplicato per mille, diecimila volte. Il tutto come si può leggere nelle norme capestro del vecchio Concordato, esentasse …».

E’ l’incipit di un’importante inchiesta giornalistica intitolata “Vaticano S.p.A.”, pubblicata il 7 gennaio 1977 dal periodico L’Europeo, a firma di Paolo Ojetti. Il meticoloso lavoro di approfondimento di questo giornalista italiano, prosegue elencando in dettaglio tutte le proprietà ecclesiastiche immobiliari a Roma: terreni e palazzi di proprietà della Santa Sede, ma anche dei vari ordini religiosi, che occupano ben sette pagine del giornale. Il dossier pubblicato da L’Europeo suscita scalpore e provoca un’immediata reazione del Vaticano. Ma L’Europeo allora diretto da Gianluigi Meleganon si lascia intimorire (giornalisti d’altri tempi), e pubblica una seconda puntata, intitolata “I mercanti di san Pietro”, con appendice “I conti nella casse vaticane”.

Argomenta ancora il rigoroso Ojetti il 21 gennaio di 36 anni fa: «Non c’è dubbio che una cosa sono i beni immobiliari che, inseriti nel Trattato, godono del privilegio della “extraterritorialità”, e una cosa siano tutti gli altri beni della Santa Sede e degli enti ecclesiastici (…) L’impero vaticano è ancora enorme. Se si pensa che l’inchiesta era limitata alla città di Roma, non riusciamo nemmeno ad immaginare cosa sia il resto d’Italia (…) Tra l’investimento misericordioso e quello redditizio, la Chiesa sceglie tuttora il secondo. Per mantenere e sviluppare questo potere temporale, il Vaticano non ha dovuto nemmeno aguzzare troppo l’ingegno delle gerarchie. La strada gli è sempre stata spianata dalle carenze legislative dello Stato italiano, dalla sudditanza degli istituti di credito a tradizione cattolica, dalla colpevole arrendevolezza del mondo laico, dalla sostanziale inutilità dei formalismi delle procedure di controllo».

Scrive il collega Mario Guarino nel saggio I mercanti del Vaticano pubblicato da Kaos nel 1998, (autore insieme a Giovanni Ruggeri del pionieristico libro Berlusconi: inchiesta sul signor tv, edito dagli Editori Riuniti nel 1987 e poi riedito da Kaos nel 1993): «Alla pubblicazione della seconda puntata dell’inchiesta “L’Europeo”, l’organo del vaticano non reagisce. Non occorre. La Rizzoli Editore, controllata dalla P 2, provvede a licenziare in tronco il direttore del settimanale Gianluigi Melega».

Poverissimi oggi - Un censimento e una valutazione degli immobili di proprietà della sedicente “Santa Sede” in territorio italiano era e resta un’impresa impossibile. Infatti, le proprietà immobiliari regolarmente registrate nei catasti del territorio italiano sono solo una parte: molte di esse non sono registrate in quanto, come è noto, il Vaticano è una nazione estera a tutti gli effetti legali.

Chiese, conventi, monumenti. Ma anche palazzi, interi caseggiati nel centro delle città di mezzo mondo, alberghi, appartamenti extra-lussuosi centri commerciali, e terreni in gran parte del globo terrestre. In altri termini: beni incommensurabili, protetti da società di comodo, e schermi spesso in odore conclamato di mafia, in paradisi off-shore che farebbero impallidire Beppe Grillo.

Il dato ufficiale (una cifra ampiamente sottostimata) stima al 25 per cento circa, il patrimonio immobiliare che fa capo alla Chiesa del Vaticano. Il patrimonio gestito dallo Ior (la banca del Vaticano) e l’Apsa, sfiora i 10 miliardi di euro. Le proporzioni rendono l’idea: esattamente 10 miliardi di euro (denaro pubblico sono stati sperperati impunemente e senza controllo dalla Protezione Civile italiana in particolare sotto il regime di Guido Bertolaso, grazie anche a Silvio Berlusconi (della serie vedi gli affaroni nel proprio clan sul post terremoto di L’aquila e poi muori).

Un quarto di Roma è intesto a diocesi, congregazioni religiose, enti e società del Vaticano. Solo le proprietà che fanno capo a Propaganda Fide (il ministero degli esteri del Vaticano che coordina l’attività delle missioni nel mondo) ammontano a circa 10 miliardi di euro. Dal 2005 il Vaticano ha ricominciato a fare trading immobiliare, vendendo beni per circa un centinaio di milioni.

Nel 2006 soltanto a Roma si sono registrate più di 8 mila donazioni di beni immobiliari, mentre in provincia sono state 3.200.

Il più grande intermediario immobiliare che lavora con la Chiesa cattolica, il gruppo Re S.p.A., realizza da questa attività circa 30 milioni di fatturato.

Santi in paradiso - L’enfant prodige dei nuovi palazzinari capitolini è un casertano, tale Giuseppe Statuto. Più di un lustro fa si è affermato con un colpaccio, acquistando senza battere ciglio, un immenso complesso monastico sulla Camilluccia. Nella stessa zona, Statuto si è accaparrato un convento del XVIII secolo di valenza storica con annesso terreno di 5 mila metri quadrati. Statuto è uno dei rari operatori del mattone a fare affari in esclusiva con il Vaticano. In tal modo la sua ditta Michele Amari e le altre società controllate (Bixio 15, Diemme Immobiliare, Derilca, Egis) ha fatto incetta uno dietro l’altro, di immobili di pregio dismesso da congregazioni religiose.
La nomina 11 anni fa del cardinale Attilio Nicora a capo dell’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica ha segnato la vera svolta affaristica, a stretto contatto con Paolo Mennini (figlio di quel Luigi, consigliere dello Ior, già inseguito da un mandato di cattura per lo scandalo Ambrosiano). Qualcuno rammenta Calvi, Cosa Nostra, Sindona, P2, Gelli e i loro intrecci affaristici con la “Santa Sede”?

L’Apsa - a parte i valori truccati sugli accatastamenti di immobili lussuosi in pieno centro storico capitolino, registrati come ultra popolari – dirige i 30 mila enti religiosi su tutto il territorio italiano. Oltretutto, attraverso la Sirea - che risulta intestataria di due palazzi in piazza Cola di Rienzo, affittati alla Direzione investigativa antimafia - e la Edile Leonina, con locali occupati dal Viminale, è titolare anche della società Nicoloso da Recco (proprietaria di 4 appartamenti). Avete capito bene: DIA e Ministero dell’Interno che sicuramente ora indagheranno dopo questa insignificante sollecitazione giornalistica.

Si tratta di un patrimonio solo per citare un modesto esempio - extra Patti Lateranensi - sfuggito a qualsiasi censimento dello Stato tricolore. Ecco un utile riferimento: nell’aprile del 1985 nel dibattito parlamentare sulla legge degli edifici di culto, si trova agli atti l’elenco sterminato dei palazzi posseduti dagli enti ecclesiastici nella sola città di Roma Il dato inequivocabile offre uno squarcio informativo sulla reale consistenza dei beni della Curia. E rovescia quella visione di una Chiesa “povera” che aveva indotto lo Stato ad elargire all’epoca mille miliardi di lirette sul conto spesse annuale, per il mantenimento dei luoghi adibiti a culto.

Nel dicembre 2005 il Governo Berlusconi (tanto per cambiare) vara l’esenzione totale per le proprietà del Vaticano, compresi i beni ad uso commerciale. In punta di diritto si tratta di un regime speciale - manifestatamente illegale ed anticostituzionale - che sulla carta doveva essere cancellato dal decreto Bersani (il numero 1 del Pd). Ma poi il centro sinistra ha preferito istituire una commissione che ha fatto melina e tutti si sono dimenticati del lucroso argomento.

Il business di tendenza è la riconversione di edifici religiosi in alberghi lussuosi. E’ un’attività gestita quasi in esclusiva dal gruppo RE di Vincenzo Pugliesi e Franco Alemani. Nel 2007 è stato chiamato dalla Spagna tale Antonio Fraga Sanchez. I primi acquirenti di beni della Curia sono le banche: Santander e Bilbao, ovviamente a braccetto con l’ubiquo Opus Dei.

Per la cronaca: nel 2000 - con il Giubileo - il Vaticano ha incassato dallo Stato (vale a dire dai contribuenti) altri 3.500 miliardi di lire. Diamo ancora i numeri: in tutto il Belpaese si contano più di 2 mila monasteri e abbazie. Il giro d’affari del turismo religioso soltanto nella capitale tocca i 200 milioni di euro ogni anno. In Italia si contano 200 mila posti letto gestiti da religiosi, con 3.300 indirizzi tra hotel, case per ferie, centri di accoglienza per pellegrini. Il giro d’affari è stimato in 4,5 miliardi di euro l’anno esentasse.


Vaticano - foto Gilan

IOR & JP MORGAN - Violazione delle legge 231 del 2007 che disciplina, per gli istituti di credito, una serie di norme antiriciclaggio, tra cui la trasparenza della titolarità sul deposito dei conti correnti. Dal 2003, secondo un rapporto della Guardia di Finanza, inviato ai magistrati della Procura della repubblica di Roma - Nello Rossi (procuratore aggiunto) e Stefano Rocco (pm) - movimenti per centinaia di milioni di euro su un deposito intestato alla banca del Vaticano. Si tratta di un conto aperto quando la filiale capitolina era ancora sotto il marchio della banca di Roma, prima che l’istituto di credito confluisse in Unicredit.

«La Banca d’Italia non ha autorizzato lo Ior a operare sul territorio della Repubblica italiana tramite succursali, ovvero in regime di prestazione di servizi senza stabilimento». Lo ha riferito il sottosegretario all’Economia, Vieri Ceriani, in risposta ad un’interrogazione di Maurizio Turco in Commissione Finanze della Camera. Il problema sta nella frase “regime di prestazione di servizi senza stabilimento”, perché nel rapporto del 4 luglio 2012, il Comitato Moneyval del Consiglio d’Europa, a pagina 30, ha affermato che «l’Ior svolge come impresa una o più delle attività o operazioni - per o per conto di un cliente - elencate nella definizione di “istituzione finanziaria” del glossario GAFI».

Presso la filiale di Milano della banca nordamericana JP Morgan, ad esempio, era stato aperto nel 2009 un conto Ior dove, in poco più di 18 mesi (presidente Ettore Gotti Tedeschi, direttore generale Paolo Cipriani) era transitato oltre un miliardo di euro. Il conto (un sweep account) è stato chiuso, su iniziativa di JP Morgan, nel febbraio 2012, tre mesi prima della defenestrazione di Gotti dalla presidenza. Secondo quanto ipotizzato dalla magistratura JP Morgan si decise a questo passo quando si rese conto che gli inquirenti si stavano interessando con continuità della situazione della banca vaticana. I magistrati hanno iniziato ad indagare nell’ipotesi che su quel conto possono essere transitate cospicue tangenti. «Fu la JP Morgan a chiedere a Ior di aprire il “conto secondario” la cui clausola contrattuale era stata avallata dall’Autorità di Vigilanza italiana» (la Banca d’Italia, in realtà non più pubblica ma privata), ha detto il 28 giugno 2012 durante l’open day presso lo Ior, il direttore Cipriani.


Un profitto sacro asservito alle leggi terrene, che i mercanti di San Pietro perseguono come se fosse l’imperativo di un undicesimo comandamento.
Il nuovo Papa Jorge Mario Bergoglio, che sostiene di ispirarsi al frate scalzo di Assisi, vorrà dividere tutta questa immensa ricchezza con i poveri e diseredati della Terra? Ne dubito ma spero di essere smentito dai fatti, non dai proclami altisonanti di Piazza San Pietro.

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