"THE END"

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lunedì 18 marzo 2013

CIPRO, UNA LEZIONE PER L'ITALIA

ll prelievo forzoso sui conti correnti è in grado di minare la fiducia del sistema euro e getta un’ombra lunga e pesante sulla nostra penisola, unico Paese della periferia europea a non aver ancora subito il fascino discreto dell'eurocrazia che avanza imperiosa.

In questa operazione non vengono minimamente toccate alcune figure che dal punto di vista della catena giuridica della responsabilità dovrebbero venire prima dei risparmiatori, ovvero:

1) gli azionisti delle banche;
2) i titolari delle obbligazioni subordinate delle banche;
3) gli obbligazionisti puri.


Il piano di salvataggio di Cipro varato nella notte di sabato è un atto che lascia intravedere future conseguenze anche sul nostro Paese. L'accordo concertato e siglato dopo una trattativa durata oltre dieci ore tra Eurogruppo e Fondo Monetario con i rappresentanti istituzionali di Nicosia, prevede infatti che a fronte di un sostegno di 10 miliardi di euro sia disposto un prelievo forzoso su tutti - dicasi tutti - i conti correnti legati alle banche nell'isola.
Martedì 19 marzo, quando le banche riapriranno dopo la festività nazionale di lunedì 18, i risparmiatori si troveranno notevolmente dimagriti. Se hanno depositato in un'agenzia di uno qualsiasi degli istituti di credito ciprioti una somma fino a 100 mila euro si troveranno una tassa pari al 6,75% della cifra custodita. Percentuale che sale al 9,90% se la ricchezza è superiore a 100 mila euro. Questa iniziativa - che dovrà essere approvata dagli stati membri - è in grado di minare la fiducia del sistema euro e getta un'ombra lunga e pesante sulla nostra penisola, essendo l'Italia l'unico Paese della periferia europea a non aver ancora subito il fascino discreto dell'eurocrazia che avanza imperiosa, pezzo dopo pezzo del puzzle.
Vediamo perché.



 Partiamo da Cipro, un Paese che produce un Pil annuo sui 17 miliardi di euro, con un forte indebitamento pubblico e un altrettanto robusto indebitamento estero, ma con risparmi depositati agli sportelli del credito per circa 60 miliardi di euro (quasi 4 volte il Pil) e asset patrimoniali bancari per circa 160 miliardi di euro (pari a 9 volte il Pil): sono numeri da capogiro, se si pensa alle ridotte dimensioni dell'attività economica e produttiva cipriota. Tutto ciò ha una ragione. Infatti, la metà delle ricchezze custodite nelle banche cipriote è legata a risparmiatori e a società estere, tipicamente russe e inglesi. Cipro non è stato e non è propriamente un Paradiso fiscale, ma con vantaggiose agevolazioni ed essendo geograficamente lontana e quasi appartata dal contesto europeo (di fatto è allocata in zone Medio-orientali), ha sempre goduto di un alone di riservata secondarietà. I conti comunque tornano.
Dal momento che alla vigilia degli incontri per il salvataggio di Nicosia si ipotizzava un piano di aiuti a Cipro per 17 miliardi di euro, poi ridotti a 10, i rimanenti 7 miliardi sono quelli che ragionevolmente la Troika si aspetta di prelevare dai conti ciprioti per far risparmiare appunto la somma di 7 miliardi di euro a Bruxelles. In questa operazione non vengono minimamente toccate alcune figure che dal punto di vista della catena giuridica della responsabilità dovrebbero venire prima dei risparmiatori, ovvero:

1) gli azionisti delle banche;
2) i titolari delle obbligazioni subordinate delle banche;
3) gli obbligazionisti puri.

L'azione prevista colpisce solo i correntisti, la gente comune, oltre ai depositanti esteri, su cui potrebbe anche aleggiare l'ombra del riciclaggio o della provenienza illecita, ma se così fosse si dovrebbe intervenire con le leggi antimafia e antiriciclaggio, che pure sono operanti. A questo punto non possono che sorgere alcune domande, le seguenti:

1) che fine ha fatto il Trattato di Schengen sulla libera circolazione dei capitali in Europa?

2) Che senso ha la creazione del Fondo Europeo Salva Stati (EFSF) e del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) se poi si decide di praticare la via del prelievo "forzoso" per risolvere i casi di parziale insolvibilità?.

3), in prospettiva per l'Italia, ha ancora senso parlare di diritto alla tutela del risparmio (articolo 47 della Costituzione), mentre in Europa infuriano imposizioni di austerity che spingono interi paesi alla povertà, come in Grecia?

Atene ha ricevuto finora 240 miliardi di euro di prestiti a fronte di un "haircut" sul debito (un taglio di valore sul capitale) pari a circa 100 miliardi. L'Irlanda ha avuto un piano di salvataggio di poco meno di 70 miliardi di euro. Il Portogallo ha ricevuto 78 miliardi, la Spagna circa 40. Ogni Paese coinvolto da un'operazione di aiuto ha dovuto subire un allentamento della propria sovranità, cedendo di fatto i poteri decisionali a strutture e istituzioni extra-nazionali. In tutti queste nazioni è in atto un più o meno forte programma di "Dumping sociale", con riduzione dei salari, delle pensioni e del welfare. Quando toccherà all'Italia? E come? So osservi che Fitchha ricominciato a declassare il nostro Paese, riducendo recentemente il giudizio di un ulteriore gradino. Se dovesse continuare lo stallo politico per l'incertezza a formare un governo credibile, serio e capace di fare le riforme, la situazione si potrebbe complicare. La recessione economica produrrà una contrazione del Pil, un calo delle entrate tributarie e un peggioramento dei conti complessivi. A quel punto che cosa ci imporranno gli eventi e i funzionari europei?

Paolo Gila è autore di "Capitalesimo. Il Ritorno del Feudalesimo nell'economia mondiale", edito da Bollati Boringhieri (febbraio 2013)

Tratto da: cadoinpiedi.it

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