di Catherine O'Driscoll
I cani vaccinati sviluppavano concentrazioni significativamente elevate di anticorpi diretti contro proteine presenti nei vaccini commerciali quali contaminanti del processo produttivo (studio Purdue). Ritenevo che non potevo vivere in un mondo in cui gli animali dovevano patire le conseguenze di una congiura del silenzio. L'industria dei vaccini rappresenta grandi affari e alimenta il bisogno di sempre nuovi farmaci per alleviare il danno causato dai vaccini, che a sua volta gonfia i forzieri dell'industria farmaceutica, Pfizer, Merck and company.
"Come ho scoperto i danni dei vaccini sui cani" di Catherine O'Driscoll
(prologo al libro "Shock al sistema!", edizioni Impronte di luce)
http://www.improntediluce.it/schede_libri/shock_al_sistema.html
http://www.youtube.com/watch?v=DWCNmGikLJw
Andammo a prendere Prudence in allevamento. Pat Bartlett ci portò dai cuccioli. Ce n'erano circa otto; grassi e molli piccoli bandoli scoordinati che rotolavano e ballonzolavano in giro con gli occhi pieni di sonno; inciampavano e cadevano uno sull'altro e correvano senza paura verso le nostre braccia aperte ansiose di afferrarli. E poi Oliver prese il mio dito nella sua piccola bocca, e Prudence si sedette di fronte a John ed emise un dolce piccolo abbaio, e sia Oliver che Prudence divennero dei magneti del cuore, e John ed io eravamo la limatura di ferro.
Oliver e Prudence erano i nostri boccioli di maggio, nati in primavera e colti in piena fioritura.
Poco dopo il nostro matrimonio, John ed io avevamo accolto in casa un Golden retriever di nome Chappie. Poi Sophie, poi Oliver e Prudence. Essi, i nostri figli a quattro zampe, riempivano di felicità la nostra casa. Era una situazione idilliaca. Tante persone vorrebbero avere un cane, ma lavorano e non vogliono lasciare il cane da solo tutto il giorno. Oppure vivono in appartamento o in città, senza prati nelle vicinanze, e così aspettano, e continuano a desiderarlo.
Ma noi eravamo fortunati: i nostri cani venivano in ufficio con noi; John ed io avevamo una nostra attività di marketing. I nostri cani ci facevano da receptionist e da distruttori di documenti, ed erano delle vere star nella città dove passeggiavamo e giocavamo all'ora di pranzo. Un giorno un uomo anziano ci passò accanto nel parco e urlò: «Quelli sono i cani più felici di Northampton», e io ringraziai Dio, perché forse aveva ragione.
Ogni giorno, nel mio ufficio, Chappie si sdraiava accanto alla finestra, Sophie ai piedi della mia scrivania, Prudence di fianco a me, e Oliver, beh, Oliver si sdraiava sui miei piedi oppure esattamente in mezzo all'ingresso. Era fatto così. E ogni visitatore veniva accolto sempre con un sorriso e un benvenuto; sempre, nella stanza, c'erano risate e amore.
Poi, una mattina, John mi svegliò come al solito con una tazza di tè. Ma c'era qualcosa che non andava. Oliver non era accanto a me sul letto. «Dov'è Ollie?», chiesi, con lo sguardo offuscato. Nei quattro anni in cui l'avevo conosciuto, Oliver non mi aveva mai lasciato accogliere una nuova giornata senza la sua luce nel mio cuore.
«Catherine», disse John, con tono davvero preoccupato, «Oliver ha qualcosa che non va. Non riesce a stare in piedi. Ha le zampe posteriori paralizzate.» Così mi alzai e scesi al piano terra, dove Oliver era sdraiato.
Sapete, c'era un programma una volta in TV che s'intitolava "Il giorno che cambiò la mia vita", e questo fu il giorno che cambiò la mia. Esso si dipanò innanzi a me come un incubo, e ancora non mi sono svegliata. Anche John non sarà mai più lo stesso.
E dunque Oliver era sdraiato sul pavimento del salotto, e Prudence, Chappie e Sophie gli stavano alla larga. Non entravano nemmeno nella stanza. Ora so che i cani sentono la morte, e lasciano in pace il morente. Ma questo allora non lo sapevo, perché, se lo avessi saputo, non avrei fatto quello che facemmo quel giorno.
Mi sedetti accanto a Oliver e gli parlai, ricorrendo a tutti i suoni consolatori che riuscivo a mettere insieme. Gli accarezzai la testa e il collo, e anche la pancia, perché gli piaceva, e lo baciai e gli dissi di non preoccuparsi, che l'avremmo portato dal veterinario e che il veterinario lo avrebbe fatto stare meglio. E aspettai che John si lavasse e si vestisse, e poi John scese giù e io andai su a lavarmi e vestirmi. Poi mettemmo insieme una barella con alcune coperte e trasportammo Oliver all'auto.
Dentro di noi, dovevamo sapere che era una cosa grave, perché salii insieme a Oliver nel baule della familiare, appoggiai la sua testa sul mio grembo e mi misi a parlargli mentre l'auto ondeggiava e sussultava lungo la strada. A un certo punto, Oliver si mise in testa che voleva mettersi seduto e guardare fuori dal finestrino, ma non ci riusciva, così lo calmai e gli accarezzai il collo e gli dissi: «Va tutto bene, Oliver. Non ti preoccupare. Starai bene. Mamma si prenderà cura di te».
E i suoi occhi fissarono i miei. Quello fu il momento che cambiò la mia vita. I suoi occhi agganciarono i miei e decisero di credermi, di fidarsi di me, di prendere la mia parola per vera. E in quello sguardo c'era tutto l'amore dell'Universo. La sapienza più saggia che sia mai stata conosciuta.
Così arrivammo dal veterinario e tirammo fuori Oliver dall'auto, e il veterinario ci stava aspettando e ci fece accomodare di corsa nell'ambulatorio e sdraiammo il nostro caro Oliver sul tavolo. Sapete, Oliver, quando andava dal veterinario, di solito tremava e sussultava. Era sempre fuori di sé dalla paura. Ma quel giorno era calmo. Era sereno. Da lui emanava la pace, e rimase lì sdraiato su quel tavolo, e aspettò pazientemente mentre il veterinario provava e riprovava a trovare la vena per un prelievo di sangue, e Oliver non era per nulla preoccupato.
E ora io penso, non lo so ma lo penso, che Oliver sapesse fin dall'inizio che sarebbe morto in quell'ambulatorio veterinario.
E così Oliver è sdraiato sul tavolo dell'ambulatorio veterinario, e John ed io siamo preoccupati, perché non si tratta del solito veterinario; è un sostituto, un giovane insignificante e presuntuoso, e speriamo che sappia quello che sta facendo. Ma lui sorride e ci dice di non preoccuparci, e ci dice che pensa che Oliver abbia un virus nella spina dorsale e che dobbiamo lasciarglielo lì in modo che possa fargli una flebo, una flebo di steroidi, e che Oliver dovrebbe stare bene nel giro di un paio di settimane.
E il giovane veterinario indossa un camice bianco, e noi non sappiamo comunque cos'altro fare, per cui lasciamo Oliver in ambulatorio. E mentre lo trasportano verso le gabbie sul retro dell'ambulatorio, Oliver mi lancia un'occhiata e si protende con la parte anteriore del corpo verso di me, e mi dice con gli occhi: «Ti prego mamma, ti prego, non lasciarmi. Fammi venire a casa con te». E io gli dico: «Va tutto bene Oliver. Starai bene. Ci vediamo più tardi». E poi John ed io usciamo dall'ambulatorio e io crollo in lacrime appoggiandomi al muro. Perché la mia testa mi sta dicendo che Oliver starà bene e il mio cuore sa che non è vero.
E, maledizione, ho ascoltato la mia testa. E ho ascoltato il veterinario. E non ho ascoltato Oliver.
Così John e io ce ne andammo e cercammo di portare avanti il lavoro. Ma io continuavo a telefonare in ambulatorio. Chi se ne frega se pensano che sono una proprietaria nevrotica? Lo sono, in ogni caso. Così continuai a chiamare, e continuai a chiedere se il veterinario anziano poteva andare a dare un'occhiata a Oliver, perché, vedete, lui ci sta molto a cuore. È una persona speciale, e dobbiamo essere certi che il veterinario anziano lo veda. E la segretaria continua a dirmi che il veterinario anziano non è ancora arrivato. E poi ci dice che ha avuto troppo da fare. E io continuo a chiamare. E John chiama pure lui e gli viene detto di andare a casa. E poi chiamo io di nuovo, e il sostituto viene al telefono, e inizia a borbottare e farfugliare e io in silenzio aspetto che lui mi dica che Oliver sta bene.
«È ancora lì?» mi chiede. E io emetto un rumore in modo che capisca che sono ancora lì, e spero, prego, che mi dica che Oliver sta bene. Ma lui mi dice che Oliver è morto.
Vorrei picchiare il veterinario, e allo stesso tempo vorrei abbracciarlo, perché è giovane e ha bisogno di fiducia se vuole salvare delle vite, così me ne sto lì seduta a piangere all'altro capo del telefono. John è in piedi accanto a me, così gli passo il ricevitore. E John dice che non vogliamo un'autopsia, che non vogliamo che il nostro Oliver venga tagliato a pezzetti come se fosse solo un taglio di carne. E poi saliamo in macchina per andare a prendere Oliver e portarlo a casa, dove sarebbe dovuto rimanere per tutto il tempo. E poi ci troviamo a recitare le nostre parti nell'ambulatorio, le parti di quelli che piangono mentre gli altri clienti se ne stanno lì seduti a guardare imbarazzati, e Oliver viene messo su una barella e lo portiamo fuori dalla porta posteriore, e in qualche modo arriviamo a casa.
E poi siamo nel giardino dietro casa a cercare un posto in cui il corpo di Oliver possa riposare. Vivevamo in una casa moderna, e il costruttore aveva deposto la terra del nostro giardino sopra cumuli di macerie edilizie. E John non riusciva a scavare abbastanza in profondità per ricavare la fossa per Oliver. E così se ne sta lì in piedi con la pala in mano e le lacrime che gli scendono lungo il viso, e non riesce a scavare tra quei dannati sassi, mattoni e sacchetti di plastica, e io sono lì in piedi accanto a lui con le lacrime che mi scorrono lungo il viso, e il sole sta iniziando a tramontare, e il corpo di Oliver sta aspettando nell'auto e il tempo sta per scadere. Così John mi chiede di andare a cercare un vicino che ci presti un piccone.
E così cammino lungo il marciapiede con le lacrime che scorrono lungo il viso e i singhiozzi che fanno sussultare il mio corpo, e vago chiedendomi a quale porta posso bussare con le lacrime che mi solcano il viso, e mi chiedo come potrò riuscire a mettere insieme le parole che possano comunicare al mio vicino che ho bisogno di un piccone.
Ian e Sue, che vivono nel cottage alla porta accanto, stanno stendendo il bucato e mi vedono passare, e vedono le mie lacrime e vengono di corsa verso di me. Non è previsto che i vicini ti vedano in queste condizioni. I vicini si suppone debbano vederti sempre calmo e sicuro, con le cose che vanno sempre bene, ma Ian e Sue mi videro singhiozzare sul marciapiede e corsero fuori da me. E dissero: «Oh no, non Ollie», perché sapevano che Oliver era un cane speciale. E il mio cuore e la mia testa continuavano a dire: «Oh no, non Ollie».
Così Ian mi disse di tornare a casa. Disse che mi avrebbe trovato un piccone. E Ian arrivò portando il piccone a John, e John scavò una buca, e seppellimmo Oliver alla luce del tramonto.
È strano come reagirono Chappie, Sophie e Prudence. Sophie rimase seduta all'altro capo del giardino, sorridendo e scherzando, con aria allegra. Stava cercando di tirarci su il morale. Prudence girava di qua e di là preoccupata. E Chappie venne alla tomba di Oliver e gli diede un ultimo saluto. Per la prima volta nella sua vita, Chappie ululò alla luna. E per diversi mesi, Chappie continuò a uscire in giardino e a sedersi sulla tomba di Oliver.
In un qualche momento, nel corso di questa storia, mi chiamò al telefono la mia matrigna e io piansi e le dissi di Oliver e le dissi che non potevo parlare. Poi chiamò mia sorella Leslie, perché Leslie ama i cani e poteva capire, e un'amica ci mandò dei fiori. E tutti gli altri pensarono che Oliver era soltanto un cane. E mi sembrò strano, questo. Voglio dire, io pensavo davvero che il mio cuore stesse per esplodere, mi faceva male lo stomaco e mi doleva la testa, e l'interno del mio corpo era come una pentola a pressione. Se il coperchio si fosse alzato, avrei cominciato a urlare e avrei potuto non fermarmi mai, ma quando dicevo alle persone che Oliver era morto, loro dicevano «Oh», e iniziavano a parlare di qualcos'altro. Come se Oliver fosse stato solo un cane.
Ma non scorderò mai Ian e Sue che mi vennero incontro di corsa quando mi videro con le lacrime che colavano lungo le guance. Perché so che molte persone avrebbero tirato le tendine e non si sarebbero fatte coinvolgere.
E Oliver aveva solo quattro anni.
Due anni più tardi, quando Prudence aveva solo sei anni, ci venne detto che aveva la leucemia; che aveva al massimo un paio di mesi di vita. Questa volta, la perdita non fu improvvisa; abbiamo avuto il tempo di dirle addio. Abbiamo avuto il tempo di dirle quanto la amavamo. Tempo per ringraziarla per l'amore che ci aveva dato. Abbiamo avuto il tempo - trenta giorni - per vedere la vita allontanarsi da lei, come l'aria che esce da un copertone da un piccolo foro. E abbiamo avuto il tempo di sperare e pregare, e guardarla andare via.
E abbiamo avuto il tempo di ascoltare Prudence. In quegli ultimi giorni, Prudence mi disse diverse cose. Cominciò trascinando il suo corpo stanco, con grande determinazione, fino ad ogni casa del paese abitata dai bambini che aveva amato. Il cuore di Pru era grande quanto l'Universo, e lei doveva dire a tutti quanto li amasse. Prima di lasciarci. E mi portava verso ogni persona che ci passava accanto per strada; e si sdraiava a terra soddisfatta non appena cominciavamo a parlare.
Pochi giorni prima di morire, Prudence si diresse verso il centro ricreativo del paese. Guardò dentro dalla finestra e mi disse che voleva entrare. Ma ai cani non era permesso entrare, così la portai a casa. E il giorno dopo prese con determinazione la strada verso il centro ricreativo, e guardò dentro. Così entrammo. E si sdraiò a terra accanto a me e a Sheila e aspettò che io afferrassi il messaggio.
Perché Prudence mi chiese di fare una cosa, prima di morire: mi chiese di dire a tutti voi - voi che amate la vita - perché i nostri cani stanno morendo, perché i nostri bambini stanno morendo, perché gli animali e le persone in tutto il mondo stanno morendo. E piangendo. Così che possiamo imparare a prenderci cura l'uno dell'altro, così come lei si prese cura di noi. Prudence mi ha chiesto di essere la sua voce, e la voce di tutti gli animali e di tutti i bambini, di tutte le persone che hanno il cuore spezzato, e il corpo sofferente.
Prudence mi disse che lei morì, e che Oliver morì, per dimostrare al mondo che l'uomo sta distruggendo il pianeta e la vita su di esso. So che penserete che tutto questo è folle, ma io ve lo devo dire.
Sapete, la gente dice che gli animali sono inconsapevoli. Dice che le loro menti e le loro emozioni sono limitate ai bisogni corporei. Pensa che solo gli esseri umani siano capaci di emozioni complesse; che, se pensiamo diversamente, stiamo antropomorfizzando. Eppure, quando gli elefanti soffrono un lutto, possiamo vedere le loro lacrime. E quando Prudence morì, io vidi la sua tenerezza verso di me e la sua preoccupazione per me.
La malattia di Pru era una malattia crudele; tentammo di salvarla, e alle volte si riprendeva e noi pensavamo che stesse guarendo, ma poi peggiorava di nuovo, magari per riprendersi ancora il giorno successivo. La notte precedente la sua morte, Prudence chiese di venire di sopra a sdraiarsi con me nel letto. Nei giorni precedenti avevo dormito accanto a lei sul pavimento al piano terra. Ma quella notte chiese di venire di sopra, così John la prese in braccio e la depose sul letto.
Me ne stetti lì sdraiata a parlarle mentre lei faticava a respirare, e notai che le sue zampe erano gelide e seppi allora che stava morendo. Così le parlai; dissi: «Sei stata sempre una brava ragazza Prudence, e io ti amo davvero tanto. Hai protetto Chappie e Sammie, e hai giocato con Sophie, e ti sei presa cura di me e di John. Sei una ragazza fantastica, e non vorrei che te ne andassi; ma se non ce la fai più, io capirò».
Prudence mi guardò ed emise quel suo piccolo suono sibilante ed effervescente, come una bottiglia di limonata quando viene stappata; era il suono che emetteva sempre quando esprimeva amore e gratitudine. Mi guardò negli occhi; i suoi occhi erano marroni e profondi mille miglia. Mi stava ringraziando per averle dato il permesso di andare, e mi stava dicendo che anche lei mi amava. Il mattino successivo, prima che arrivasse il veterinario, John portò Prudence in giardino e le disse la stessa cosa. Ci vollero due anni prima che ci dicessimo che ognuno di noi, separatamente, aveva dato a Prudence il permesso di lasciarci.
Tre anni dopo la morte di Pru, leggo il seguente brano nel libro di Sogyal Rinpoche Il libro tibetano del vivere e del morire:
Se rimanete attaccati alla persona morente, potete causarle molta inutile sofferenza e renderle molto difficile lasciarsi andare e morire in pace… affinché la persona possa lasciarsi andare e morire serenamente, essa ha bisogno di sentire due rassicurazioni verbali da parte delle persone amate. Per prima cosa, esse devono dare alla persona il permesso di morire e poi devono rassicurarla che staranno bene una volta che lei se ne sarà andata, e che non c'è bisogno che si preoccupi per loro.
Quando mi chiedono quale sia il modo migliore per dare a una persona il permesso di morire, io dico di immaginarsi al capezzale della persona che amano mentre dicono con la più profonda e sincera tenerezza: «Sono qui con te e ti amo. Tu stai morendo, e questo è del tutto naturale; succede a tutti. Vorrei che potessi restare qui con me, ma non voglio che continui a soffrire. Il tempo che abbiamo trascorso insieme è stato sufficiente, e mi sarà sempre caro. Per favore, non restare più aggrappato a questa vita. Lascia andare. Ti do il mio pieno e sentito permesso di morire. Non sei solo, né ora né mai. Hai tutto il mio amore».
Sapete, quella notte, con Prudence sdraiata sul mio letto, trascorsa guardandola morire, è stato forse il momento più tenero della mia vita. Non stavo condividendo le ultime ore di vita di un essere inferiore. Stavo condividendo le ultime ore di vita di un essere nobile; l'esistenza di un cane la cui principale motivazione nella vita era stata quella di prendersi cura degli altri. E Prudence, fino alla fine, ha sempre e solo voluto farmi piacere, e aveva bisogno del mio permesso per poter morire. Qualche giorno più tardi, presi in mano un libro e lo aprii a casaccio. Dalla pagina, mi fissarono le seguenti parole: «Mi dispiace di essermene dovuta andare, ma il dolore era troppo da sopportare». Non so, ma qualcosa mi dice che quello era un messaggio da parte di Prudence. Dovremmo ascoltare gli animali; essi sono consapevoli.
Oliver e Prudence, quando vennero ad abitare nel mio cuore, accesero ciascuno una piccola candela. Tutti accendiamo una candela. È la candela dell'amore e della luce. Tutti insieme - i cani e i gatti e il bestiame e le pecore, e persino gli esseri umani - possiamo diffondere luce dove c'è oscurità. Perché abbiamo creato un mondo insensato, e ora dobbiamo tornare a dargli un senso. È arrivato il momento.
I cani sono venuti a ricordarcelo.
*********** Avevamo quattro Golden retriever, e due erano morti prima di aver raggiunto la mezza età. Chappie e Sophie erano ancora con noi, ma Chappie aveva un'affezione alla tiroide e si era rotto i legamenti crociati, cosa che lo rendeva zoppo, e Sophie, a soli sei anni di età, aveva sviluppato un'artrite talmente grave che al mattino non voleva alzarsi dal letto.
Dopo la morte di Oliver, in famiglia entrò Samson. Quando aveva solo due anni, scoprimmo che aveva una malattia autoimmune, ovvero una malattia per la quale il sistema immunitario del corpo attacca il corpo stesso. Poi, dopo la morte di Prudence, entrò sulla scena Gwinnie. Era talmente allergica che, se le toccavi la schiena, questa si increspava. Continuava a mordicchiarsi la propria pelle e le zampe; era in un'agonia allergica.
Chiedemmo al veterinario perché Oliver fosse morto. Non lo sapeva. Così cominciai a gemere rivolta al cielo, chiedendo perché. Alla fine, però, trovammo un veterinario omeopata che azzardò un'ipotesi sulla morte di Oliver. Ci disse che sembrava proprio una classica reazione vaccinale: che Oliver era probabilmente stato ucciso da un vaccino. Poi, dopo la morte di Prudence, un'amica, Susan Rezy, ci inviò un articolo scritto da una veterinaria americana, Jean Dodds. La d.ssa Dodds sembrava a sua volta implicare i vaccini nella morte di Oliver, e c'era un nesso anche con la morte di Prudence.
Quando si porta a casa un cucciolo, si pensa di avere fra le mani il proprio sogno. Ma io e John avevamo fra le mani i nostri incubi. Pensavamo di essere i peggiori proprietari di cani al mondo: perché i nostri cani erano così malati, e perché stavano morendo?
Sapete, quando ci troviamo a soffrire di una tragedia personale che è quasi troppo dura da sopportare, abbiamo una scelta. Possiamo permettere a quella sofferenza di amareggiarci; possiamo cercare qualcuno da incolpare e cercare la vendetta. Oppure possiamo sollevarci al di sopra di quella sofferenza, come farebbero i mistici. La terza scelta è quella di trasmutare la sofferenza in una forza rivolta al bene: usare la conoscenza acquisita attraverso l'esperienza per aiutare altri che si trovino in situazioni simili. Pensammo che se almeno fossimo riusciti a scoprire dove stavamo sbagliando, anche altri cani avrebbero potuto giovarne.
Per una serie di coincidenze, venni presentata a una signora di nome Sally Cronk. Sally aveva perduto un cane - Sadie - a causa dell'anemia emolitica autoimmune, e stava facendo il nostro stesso percorso. Anche lei aveva visto il lavoro di Jean Dodds e stava raccogliendo fondi per aiutare il Royal Veterinary College a studiare la straziante malattia che si era portata via Sadie. Sally ci presentò ad altre persone che avevano sperimentato il senso di devastazione che noi stessi avevamo provato. Tutti noi stavamo ponendoci delle domande sui vaccini e fotocopiando articoli e inviandoceli l'un l'altro.
Ma tutti noi, con poche eccezioni, ci trovavamo a sbattere contro il muro dell'establishment veterinario. Singoli veterinari e onorevoli istituzioni negavano la connessione vaccini-malattie autoimmuni. Pochissimi veterinari sembravano pronti ad alzarsi in piedi e a dire ciò che pensavano sui vaccini; altri sembravano non essere proprio consapevoli dei rischi.
Avevamo la nostra esperienza da cui partire, e avevamo anche un gruppo crescente di amici i cui cani avevano sofferto - essi ritenevano - per colpa di un'iniezione. […] Le persone scrivevano ai produttori di vaccini, e le loro paure sui vaccini spesso venivano spietatamente negate. I veterinari usavano parole forti in difesa dei vaccini, dicendo che i nostri cani sarebbero morti senza di essi e che saremmo stati degli irresponsabili a correre il rischio di non vaccinare. E in tutto questo, il danno sospettato veniva negato o - pensavamo - sottostimato.
Essendo persone che lavorano nel mondo degli affari, John ed io immediatamente sospettammo che fosse in corso un qualche genere di processo di copertura per proteggere gli interessi commerciali. Sai Baba, il guru indiano, ha detto: «L'avidità è il semenzaio del lutto», e avevo la sensazione che avesse ragione. Pensavamo che fossero necessarie ricerche indipendenti: ricerche che potevano essere condotte solo dagli amanti dei cani per i loro cani; dalle persone che non avevano niente da perdere, né finanziariamente né professionalmente, se si fosse scoperto che i vaccini erano più dannosi che utili. Fondammo un gruppo chiamato Canine Health Concern ed invitammo gli amanti dei cani di tutto il mondo a partecipare a una ricerca indipendente.
Non ci proponevamo, tuttavia, di testare solo i vaccini. Volevamo testare anche tutte le aree implicate nel penoso stato di salute dei nostri cani: dieta, ambiente, prodotti chimici, stress… il risultato fu un voluminoso questionario. Contattammo i college di veterinaria di tutto il paese, chiedendo sostegno. Ci dissero di stare alla larga.
Contattammo singoli veterinari: veterinari che avevano qualche sassolino nella scarpa relativamente alle proprie aree di specializzazione. Veterinari che incolpavano i cibi industriali; veterinari che incolpavano gli incroci fra cani consanguinei per ottenere i migliori soggetti da esposizione; veterinari che rifuggivano i moderni prodotti farmaceutici a favore di terapie "alternative". Alla fine, avevamo messo insieme una squadra impressionante di veterinari di tutto il mondo, ognuno con le proprie teorie, più altri terapeuti alternativi e comportamentisti che ci avrebbero aiutato a testare la teoria dello stress.
Il passo successivo consisteva nell'ottenere il sostegno di chi amava i cani e la loro collaborazione. Pensavamo che questa sarebbe stata la parte più semplice, ma si rivelò essere la più difficile. Tanto per cominciare, dipendevamo dalle riviste cinofile per riuscire a raggiungere il pubblico e informarlo su ciò che stavamo cercando di fare. Ostentatamente etichettate come riviste destinate a chi ama i cani, divenne presto chiaro che quei periodici dipendevano dalle grosse aziende commerciali per la loro sopravvivenza. Senza entrate pubblicitarie, le riviste avrebbero chiuso; e se avessero pubblicato le teorie che CHC stava cercando di testare, le entrate pubblicitarie sarebbero presto calate. Questo pensavamo. E magari avrebbero potuto essere citate in giudizio se avessero pubblicato le nostre domande, basate sull'opinione di veterinari non conformisti.
Anche quando effettivamente riuscivamo a pubblicizzare la nostra ricerca, non c'erano abbastanza padroni di cani che si prendessero la briga di rispondere. Non stavamo andando da nessuna parte. I normali proprietari di cani non sapevano di cosa ci stessimo occupando. Dopo tutto, se hai un solo cane e questo muore di una malattia autoimmune, pensi semplicemente di essere stato sfortunato. È solo quando hai tanti cani e questi cominciano tutti a morire o ad ammalarsi, che inizi a credere che stia veramente succedendo qualcosa. Scoprimmo che le persone la cui vita era stata toccata dalla tragica fine precoce di un animale tanto amato, a volte rispondevano. Ma avevamo anche bisogno di cani sani con cui confrontare i dati, altrimenti la ricerca sarebbe stata limitata.
Così decisi di scrivere un libro per spiegare a chi ama i cani perché questa ricerca era così cruciale. In esso, intendevo esplorare ciascuna delle teorie: dieta, vaccini, genetica, prodotti chimici nell'ambiente, prodotti farmaceutici, stress… ma la questione dei vaccini emergeva fortemente e richiedeva la mia attenzione: non esisteva alcuna singola fonte di informazione relativamente ai pro e ai contro della vaccinazione per i proprietari di animali. E dal materiale che stavo raccogliendo, sembrava che le vaccinazioni fossero probabilmente il fattore maggiormente distruttivo per la salute dei nostri animali.
Inoltre, sembra esserci, sul tema delle vaccinazioni, una gran quantità di emozioni coinvolte, fanatismo e posizioni di parte, ed è terribilmente facile per le persone prendere decisioni senza conoscere tutti i fatti. Chiedete a qualcuno che abbia visto un cane morire di cimurro se il protocollo vaccinale dovrebbe essere modificato: invariabilmente risponderanno di no. Chiedete a un veterinario tipico, convinto che i vaccini abbiano fermato le epidemie. E poi chiedete a qualcuno il cui cane è morto di anemia emolitica autoimmune o di infarto cardiaco nel giro di poche ore o giorni dal richiamo annuale. Vogliamo tutti il meglio per i nostri cani; ma la questione é: che cosa è il meglio?
I risultati dell'inchiesta sui vaccini della Canine Health Concern mostrano - scientificamente - che fino a un cane su cento presenta una reazione alla vaccinazione. Questa reazione può andare da vomito e diarrea fino alle malattie croniche come l'artrite e l'epilessia, e può anche arrivare alla morte. Quindi ora, studiate le prove e fate la vostra scelta informata.
Ma prima di farlo, considerate questo: la prima edizione di questo libro è stata pubblicata nel febbraio del 1997. Entro aprile dello stesso anno, un vaccino si era preso il terzo dei miei amici speciali. Samson morì, all'età di cinque anni, il 12 aprile 1997. Se notate un po' di rabbia in queste pagine, vi prego di perdonarmi. Vedete, Samson, Oliver e Prudence rientravano tutti nella categoria descritta dalla Merck: non avrebbero mai dovuto ricevere un vaccino a virus vivo. Nessuno me lo aveva detto, e solo una ristretta élite lo sapeva. Tutto ciò che i produttori di vaccini per cani scelgono di condividere con noi, e con i veterinari, è la frase: «L'immunocompetenza può essere compromessa da una serie di fattori». È sufficiente, quando il risultato può essere la morte?
Avendo letto la prima edizione di questo libro, alcune persone hanno detto che non faranno più fare il richiamo annuale ai loro animali, perché non è necessario e nemmeno sicuro. Ma si chiedono se, forse, dovrebbero far fare le vaccinazioni al loro cucciolo e poi il primo richiamo annuale, in quanto, comprensibilmente, vogliono dare ai loro animali un minimo di protezione. Sammie è morto per dirvi che questo è quanto basta.
Quando Samson era un cuccioletto, lo portammo dal veterinario per la sua seconda vaccinazione da cucciolo. Il giorno dopo lo trovammo in giardino con le zampe posteriori paralizzate e la dissenteria. Ai quei tempi non avevamo idea che i vaccini potessero fare una cosa del genere. Ancora non ci eravamo ripresi dalla morte di Oliver e così pensammo - o mio Dio! - che Samson avrebbe percorso la stessa strada. Visto che non sapevo che i vaccini potessero fare questo, corsi in giro per tutte le fattorie dei dintorni chiedendo se qualcuno avesse distribuito del veleno.
Ma Sammie si riprese, e l'anno successivo venne spedito dal veterinario per il suo richiamo - perché lo amavamo, e volevamo proteggerlo. Quando ci svegliammo il mattino successivo, Sammie stava correndo per la casa urlando, con le testa gonfia come un pallone. Lo portammo di corsa dal veterinario, dove gli venne fatta un'iniezione e, di nuovo, non ci venne in mente che potesse essere il vaccino. Prima del richiamo successivo, per fortuna, avevano iniziato a frequentare l'ambulatorio di Chris Day, e Sammie non venne mai più vaccinato. Ma il danno era stato fatto.
In precedenza, quando era morta Prudence, ero entrata nel panico, e avevo fatto controllare tutti i miei cani viventi da Chrissie Mason, una radioestesista. Sammie, apparentemente, sembrava un cane di due anni perfettamente sano, ma l'analisi di Chrissie la fece preoccupare abbastanza da consigliare un'analisi del sangue. Quando arrivarono i risultati, inorridimmo nello scoprire che il nostro cane apparentemente sano aveva una malattia autoimmune. Chris Day ci chiamò con i risultati dicendo: «Il suo sistema immunitario sta ingaggiando una guerra contro se stesso».
Seguirono intense cure omeopatiche e nutrizionali. Effettuammo regolarmente le analisi del sangue e sembrava che stessimo vincendo la battaglia. Nel frattempo, Sammie si era conquistato il mio cuore - lui, che aveva un cuore e un cervello enormi. Poi un giorno, quando Samson aveva cinque anni, John rientrò dalla sua passeggiata mattutina con uno sguardo preoccupato. «Sammie non sta bene», disse. «Durante la passeggiata rimaneva continuamente indietro».
La maggior parte dei proprietari di cani non darebbe molta importanza a una cosa del genere, ma io scoppiai in lacrime. Il mio Sé interiore sapeva esattamente cosa ci aspettava. Vi ho fatto piangere abbastanza; basti sapere che il mio Sammie aveva un enorme cancro sulla milza e venne sottoposto a un intervento urgente per rimuoverla. Di nuovo pensammo di aver vinto la battaglia. Il Natale arrivò e passò e Sammie sembrava più felice di quanto non fosse stato da mesi. Ma poi smise di mangiare, e morì.
Tutto quello che ci volle fu una vaccinazione da cucciolo - paralisi alle zampe posteriori e dissenteria - e un richiamo annuale - reazione di ipersensibilità - per predisporre Sammie a una morte precoce. Samson venne ucciso il giorno in cui un vaccino distrusse il suo sistema immunitario.
Nel corso degli ultimi anni, ho trascorso molte ore al telefono, ascoltando persone che mi raccontavano fra le lacrime come erano morti i loro cani. Per molti di noi ci vogliono anni per fare i conti con una morte non necessaria e crudele di un amico molto speciale. Dalla pubblicazione della prima edizione, ho trascorso ancora più tempo al telefono ascoltando altre persone che piangevano. Queste chiamate sono diventate talmente numerose che molte delle "vittime" hanno unito le loro forze per fornire ascolto ad altre persone che condividono la stessa esperienza. Abbiamo formato una rete internazionale, con lo scopo di avvertire altri dei pericoli di cui i cosiddetti "esperti" non vogliono parlare.
Perché abbiamo il diritto di conoscere la verità. È sbagliato che gli "esperti" prendano decisioni al posto nostro, e che dobbiamo accettare che una certa percentuale di cani, gatti e cavalli soffra di reazioni avverse ai vaccini. La vita non dovrebbe essere misurata dagli scienziati in termini di numeri. E nessuno dovrebbe assumersi la responsabilità di nascondere la completa verità sapendo che, in conseguenza di questo, la vita di alcuni sarà sconvolta.
Voglio che i veterinari sappiano che cosa significa davvero "una piccola minoranza". Non perché voglia scaricare la colpa su qualcuno, ma perché la verità ha il potere di renderci tutti liberi. La scienza può fare ciò che vuole e procedere per la sua strada senza emozioni, ma io ritengo che le emozioni - nella loro forma più elevata dell'amore - sono la forza che porta avanti la vita. La scienza, dopo tutto, esiste a beneficio dell'uomo, e non il contrario - e gli esseri umani non hanno altro scopo se non quello di amare. Tutto il resto è vano.
Gli animali sono molto importanti per le persone. Come ha scritto Capo Seattle: «Cos'è l'uomo senza le bestie? Se tutte le bestie sparissero, l'uomo morirebbe di grande solitudine di Spirito, perché ciò che succede alle bestie, presto succede anche all'uomo. Tutte le cose sono connesse».
Lo scopo di questo libro è di aiutare una rivoluzione dei consumi che è già in corso; una rivoluzione che si sta verificando in tutto il mondo, in ogni sfera. Questa rivoluzione dice che i consumatori - persone comuni - non sono stupidi, e che essi hanno il diritto di conoscere la verità. La verità è molto spesso, anzi invariabilmente, oscurata dalle grandi corporazioni che detengono i budget pubblicitari, il denaro destinato alle sponsorizzazioni e i cordoni della borsa dei sussidi alla ricerca. Noi crediamo, più spesso che no, in ciò che dicono gli scienziati - ma io ho scoperto che gli scienziati regolarmente dicono ciò che sono pagati per dire, e gli altri hanno troppa paura per uscire fuori dalla norma comunemente accettata.
Per questa ragione, un libro che espone i pericoli della vaccinazione è dovuto venire da una "ordinaria amante dei cani": qualcuno che non può essere cacciato dal posto di lavoro per aver sovvertito lo status quo. Ma ho anche ricevuto il sostegno e l'aiuto pratico di molti scienziati e veterinari.
Dopo aver letto questo libro, potrete decidere di continuare a vaccinare il vostro cane tutti gli anni. Questa è una vostra scelta; ma almeno sarà una scelta informata. Se mi guardo indietro negli anni, e piango la perdita di Oliver, Prudence e Samson, sono convinta di un fatto: almeno avrebbero dovuto dircelo.
fonte
I cani vaccinati sviluppavano concentrazioni significativamente elevate di anticorpi diretti contro proteine presenti nei vaccini commerciali quali contaminanti del processo produttivo (studio Purdue). Ritenevo che non potevo vivere in un mondo in cui gli animali dovevano patire le conseguenze di una congiura del silenzio. L'industria dei vaccini rappresenta grandi affari e alimenta il bisogno di sempre nuovi farmaci per alleviare il danno causato dai vaccini, che a sua volta gonfia i forzieri dell'industria farmaceutica, Pfizer, Merck and company.
"Come ho scoperto i danni dei vaccini sui cani" di Catherine O'Driscoll
(prologo al libro "Shock al sistema!", edizioni Impronte di luce)
http://www.improntediluce.it/schede_libri/shock_al_sistema.html
http://www.youtube.com/watch?v=DWCNmGikLJw
Andammo a prendere Prudence in allevamento. Pat Bartlett ci portò dai cuccioli. Ce n'erano circa otto; grassi e molli piccoli bandoli scoordinati che rotolavano e ballonzolavano in giro con gli occhi pieni di sonno; inciampavano e cadevano uno sull'altro e correvano senza paura verso le nostre braccia aperte ansiose di afferrarli. E poi Oliver prese il mio dito nella sua piccola bocca, e Prudence si sedette di fronte a John ed emise un dolce piccolo abbaio, e sia Oliver che Prudence divennero dei magneti del cuore, e John ed io eravamo la limatura di ferro.
Oliver e Prudence erano i nostri boccioli di maggio, nati in primavera e colti in piena fioritura.
Poco dopo il nostro matrimonio, John ed io avevamo accolto in casa un Golden retriever di nome Chappie. Poi Sophie, poi Oliver e Prudence. Essi, i nostri figli a quattro zampe, riempivano di felicità la nostra casa. Era una situazione idilliaca. Tante persone vorrebbero avere un cane, ma lavorano e non vogliono lasciare il cane da solo tutto il giorno. Oppure vivono in appartamento o in città, senza prati nelle vicinanze, e così aspettano, e continuano a desiderarlo.
Ma noi eravamo fortunati: i nostri cani venivano in ufficio con noi; John ed io avevamo una nostra attività di marketing. I nostri cani ci facevano da receptionist e da distruttori di documenti, ed erano delle vere star nella città dove passeggiavamo e giocavamo all'ora di pranzo. Un giorno un uomo anziano ci passò accanto nel parco e urlò: «Quelli sono i cani più felici di Northampton», e io ringraziai Dio, perché forse aveva ragione.
Ogni giorno, nel mio ufficio, Chappie si sdraiava accanto alla finestra, Sophie ai piedi della mia scrivania, Prudence di fianco a me, e Oliver, beh, Oliver si sdraiava sui miei piedi oppure esattamente in mezzo all'ingresso. Era fatto così. E ogni visitatore veniva accolto sempre con un sorriso e un benvenuto; sempre, nella stanza, c'erano risate e amore.
Poi, una mattina, John mi svegliò come al solito con una tazza di tè. Ma c'era qualcosa che non andava. Oliver non era accanto a me sul letto. «Dov'è Ollie?», chiesi, con lo sguardo offuscato. Nei quattro anni in cui l'avevo conosciuto, Oliver non mi aveva mai lasciato accogliere una nuova giornata senza la sua luce nel mio cuore.
«Catherine», disse John, con tono davvero preoccupato, «Oliver ha qualcosa che non va. Non riesce a stare in piedi. Ha le zampe posteriori paralizzate.» Così mi alzai e scesi al piano terra, dove Oliver era sdraiato.
Sapete, c'era un programma una volta in TV che s'intitolava "Il giorno che cambiò la mia vita", e questo fu il giorno che cambiò la mia. Esso si dipanò innanzi a me come un incubo, e ancora non mi sono svegliata. Anche John non sarà mai più lo stesso.
E dunque Oliver era sdraiato sul pavimento del salotto, e Prudence, Chappie e Sophie gli stavano alla larga. Non entravano nemmeno nella stanza. Ora so che i cani sentono la morte, e lasciano in pace il morente. Ma questo allora non lo sapevo, perché, se lo avessi saputo, non avrei fatto quello che facemmo quel giorno.
Mi sedetti accanto a Oliver e gli parlai, ricorrendo a tutti i suoni consolatori che riuscivo a mettere insieme. Gli accarezzai la testa e il collo, e anche la pancia, perché gli piaceva, e lo baciai e gli dissi di non preoccuparsi, che l'avremmo portato dal veterinario e che il veterinario lo avrebbe fatto stare meglio. E aspettai che John si lavasse e si vestisse, e poi John scese giù e io andai su a lavarmi e vestirmi. Poi mettemmo insieme una barella con alcune coperte e trasportammo Oliver all'auto.
Dentro di noi, dovevamo sapere che era una cosa grave, perché salii insieme a Oliver nel baule della familiare, appoggiai la sua testa sul mio grembo e mi misi a parlargli mentre l'auto ondeggiava e sussultava lungo la strada. A un certo punto, Oliver si mise in testa che voleva mettersi seduto e guardare fuori dal finestrino, ma non ci riusciva, così lo calmai e gli accarezzai il collo e gli dissi: «Va tutto bene, Oliver. Non ti preoccupare. Starai bene. Mamma si prenderà cura di te».
E i suoi occhi fissarono i miei. Quello fu il momento che cambiò la mia vita. I suoi occhi agganciarono i miei e decisero di credermi, di fidarsi di me, di prendere la mia parola per vera. E in quello sguardo c'era tutto l'amore dell'Universo. La sapienza più saggia che sia mai stata conosciuta.
Così arrivammo dal veterinario e tirammo fuori Oliver dall'auto, e il veterinario ci stava aspettando e ci fece accomodare di corsa nell'ambulatorio e sdraiammo il nostro caro Oliver sul tavolo. Sapete, Oliver, quando andava dal veterinario, di solito tremava e sussultava. Era sempre fuori di sé dalla paura. Ma quel giorno era calmo. Era sereno. Da lui emanava la pace, e rimase lì sdraiato su quel tavolo, e aspettò pazientemente mentre il veterinario provava e riprovava a trovare la vena per un prelievo di sangue, e Oliver non era per nulla preoccupato.
E ora io penso, non lo so ma lo penso, che Oliver sapesse fin dall'inizio che sarebbe morto in quell'ambulatorio veterinario.
E così Oliver è sdraiato sul tavolo dell'ambulatorio veterinario, e John ed io siamo preoccupati, perché non si tratta del solito veterinario; è un sostituto, un giovane insignificante e presuntuoso, e speriamo che sappia quello che sta facendo. Ma lui sorride e ci dice di non preoccuparci, e ci dice che pensa che Oliver abbia un virus nella spina dorsale e che dobbiamo lasciarglielo lì in modo che possa fargli una flebo, una flebo di steroidi, e che Oliver dovrebbe stare bene nel giro di un paio di settimane.
E il giovane veterinario indossa un camice bianco, e noi non sappiamo comunque cos'altro fare, per cui lasciamo Oliver in ambulatorio. E mentre lo trasportano verso le gabbie sul retro dell'ambulatorio, Oliver mi lancia un'occhiata e si protende con la parte anteriore del corpo verso di me, e mi dice con gli occhi: «Ti prego mamma, ti prego, non lasciarmi. Fammi venire a casa con te». E io gli dico: «Va tutto bene Oliver. Starai bene. Ci vediamo più tardi». E poi John ed io usciamo dall'ambulatorio e io crollo in lacrime appoggiandomi al muro. Perché la mia testa mi sta dicendo che Oliver starà bene e il mio cuore sa che non è vero.
E, maledizione, ho ascoltato la mia testa. E ho ascoltato il veterinario. E non ho ascoltato Oliver.
Così John e io ce ne andammo e cercammo di portare avanti il lavoro. Ma io continuavo a telefonare in ambulatorio. Chi se ne frega se pensano che sono una proprietaria nevrotica? Lo sono, in ogni caso. Così continuai a chiamare, e continuai a chiedere se il veterinario anziano poteva andare a dare un'occhiata a Oliver, perché, vedete, lui ci sta molto a cuore. È una persona speciale, e dobbiamo essere certi che il veterinario anziano lo veda. E la segretaria continua a dirmi che il veterinario anziano non è ancora arrivato. E poi ci dice che ha avuto troppo da fare. E io continuo a chiamare. E John chiama pure lui e gli viene detto di andare a casa. E poi chiamo io di nuovo, e il sostituto viene al telefono, e inizia a borbottare e farfugliare e io in silenzio aspetto che lui mi dica che Oliver sta bene.
«È ancora lì?» mi chiede. E io emetto un rumore in modo che capisca che sono ancora lì, e spero, prego, che mi dica che Oliver sta bene. Ma lui mi dice che Oliver è morto.
Vorrei picchiare il veterinario, e allo stesso tempo vorrei abbracciarlo, perché è giovane e ha bisogno di fiducia se vuole salvare delle vite, così me ne sto lì seduta a piangere all'altro capo del telefono. John è in piedi accanto a me, così gli passo il ricevitore. E John dice che non vogliamo un'autopsia, che non vogliamo che il nostro Oliver venga tagliato a pezzetti come se fosse solo un taglio di carne. E poi saliamo in macchina per andare a prendere Oliver e portarlo a casa, dove sarebbe dovuto rimanere per tutto il tempo. E poi ci troviamo a recitare le nostre parti nell'ambulatorio, le parti di quelli che piangono mentre gli altri clienti se ne stanno lì seduti a guardare imbarazzati, e Oliver viene messo su una barella e lo portiamo fuori dalla porta posteriore, e in qualche modo arriviamo a casa.
E poi siamo nel giardino dietro casa a cercare un posto in cui il corpo di Oliver possa riposare. Vivevamo in una casa moderna, e il costruttore aveva deposto la terra del nostro giardino sopra cumuli di macerie edilizie. E John non riusciva a scavare abbastanza in profondità per ricavare la fossa per Oliver. E così se ne sta lì in piedi con la pala in mano e le lacrime che gli scendono lungo il viso, e non riesce a scavare tra quei dannati sassi, mattoni e sacchetti di plastica, e io sono lì in piedi accanto a lui con le lacrime che mi scorrono lungo il viso, e il sole sta iniziando a tramontare, e il corpo di Oliver sta aspettando nell'auto e il tempo sta per scadere. Così John mi chiede di andare a cercare un vicino che ci presti un piccone.
E così cammino lungo il marciapiede con le lacrime che scorrono lungo il viso e i singhiozzi che fanno sussultare il mio corpo, e vago chiedendomi a quale porta posso bussare con le lacrime che mi solcano il viso, e mi chiedo come potrò riuscire a mettere insieme le parole che possano comunicare al mio vicino che ho bisogno di un piccone.
Ian e Sue, che vivono nel cottage alla porta accanto, stanno stendendo il bucato e mi vedono passare, e vedono le mie lacrime e vengono di corsa verso di me. Non è previsto che i vicini ti vedano in queste condizioni. I vicini si suppone debbano vederti sempre calmo e sicuro, con le cose che vanno sempre bene, ma Ian e Sue mi videro singhiozzare sul marciapiede e corsero fuori da me. E dissero: «Oh no, non Ollie», perché sapevano che Oliver era un cane speciale. E il mio cuore e la mia testa continuavano a dire: «Oh no, non Ollie».
Così Ian mi disse di tornare a casa. Disse che mi avrebbe trovato un piccone. E Ian arrivò portando il piccone a John, e John scavò una buca, e seppellimmo Oliver alla luce del tramonto.
È strano come reagirono Chappie, Sophie e Prudence. Sophie rimase seduta all'altro capo del giardino, sorridendo e scherzando, con aria allegra. Stava cercando di tirarci su il morale. Prudence girava di qua e di là preoccupata. E Chappie venne alla tomba di Oliver e gli diede un ultimo saluto. Per la prima volta nella sua vita, Chappie ululò alla luna. E per diversi mesi, Chappie continuò a uscire in giardino e a sedersi sulla tomba di Oliver.
In un qualche momento, nel corso di questa storia, mi chiamò al telefono la mia matrigna e io piansi e le dissi di Oliver e le dissi che non potevo parlare. Poi chiamò mia sorella Leslie, perché Leslie ama i cani e poteva capire, e un'amica ci mandò dei fiori. E tutti gli altri pensarono che Oliver era soltanto un cane. E mi sembrò strano, questo. Voglio dire, io pensavo davvero che il mio cuore stesse per esplodere, mi faceva male lo stomaco e mi doleva la testa, e l'interno del mio corpo era come una pentola a pressione. Se il coperchio si fosse alzato, avrei cominciato a urlare e avrei potuto non fermarmi mai, ma quando dicevo alle persone che Oliver era morto, loro dicevano «Oh», e iniziavano a parlare di qualcos'altro. Come se Oliver fosse stato solo un cane.
Ma non scorderò mai Ian e Sue che mi vennero incontro di corsa quando mi videro con le lacrime che colavano lungo le guance. Perché so che molte persone avrebbero tirato le tendine e non si sarebbero fatte coinvolgere.
E Oliver aveva solo quattro anni.
Due anni più tardi, quando Prudence aveva solo sei anni, ci venne detto che aveva la leucemia; che aveva al massimo un paio di mesi di vita. Questa volta, la perdita non fu improvvisa; abbiamo avuto il tempo di dirle addio. Abbiamo avuto il tempo di dirle quanto la amavamo. Tempo per ringraziarla per l'amore che ci aveva dato. Abbiamo avuto il tempo - trenta giorni - per vedere la vita allontanarsi da lei, come l'aria che esce da un copertone da un piccolo foro. E abbiamo avuto il tempo di sperare e pregare, e guardarla andare via.
E abbiamo avuto il tempo di ascoltare Prudence. In quegli ultimi giorni, Prudence mi disse diverse cose. Cominciò trascinando il suo corpo stanco, con grande determinazione, fino ad ogni casa del paese abitata dai bambini che aveva amato. Il cuore di Pru era grande quanto l'Universo, e lei doveva dire a tutti quanto li amasse. Prima di lasciarci. E mi portava verso ogni persona che ci passava accanto per strada; e si sdraiava a terra soddisfatta non appena cominciavamo a parlare.
Pochi giorni prima di morire, Prudence si diresse verso il centro ricreativo del paese. Guardò dentro dalla finestra e mi disse che voleva entrare. Ma ai cani non era permesso entrare, così la portai a casa. E il giorno dopo prese con determinazione la strada verso il centro ricreativo, e guardò dentro. Così entrammo. E si sdraiò a terra accanto a me e a Sheila e aspettò che io afferrassi il messaggio.
Perché Prudence mi chiese di fare una cosa, prima di morire: mi chiese di dire a tutti voi - voi che amate la vita - perché i nostri cani stanno morendo, perché i nostri bambini stanno morendo, perché gli animali e le persone in tutto il mondo stanno morendo. E piangendo. Così che possiamo imparare a prenderci cura l'uno dell'altro, così come lei si prese cura di noi. Prudence mi ha chiesto di essere la sua voce, e la voce di tutti gli animali e di tutti i bambini, di tutte le persone che hanno il cuore spezzato, e il corpo sofferente.
Prudence mi disse che lei morì, e che Oliver morì, per dimostrare al mondo che l'uomo sta distruggendo il pianeta e la vita su di esso. So che penserete che tutto questo è folle, ma io ve lo devo dire.
Sapete, la gente dice che gli animali sono inconsapevoli. Dice che le loro menti e le loro emozioni sono limitate ai bisogni corporei. Pensa che solo gli esseri umani siano capaci di emozioni complesse; che, se pensiamo diversamente, stiamo antropomorfizzando. Eppure, quando gli elefanti soffrono un lutto, possiamo vedere le loro lacrime. E quando Prudence morì, io vidi la sua tenerezza verso di me e la sua preoccupazione per me.
La malattia di Pru era una malattia crudele; tentammo di salvarla, e alle volte si riprendeva e noi pensavamo che stesse guarendo, ma poi peggiorava di nuovo, magari per riprendersi ancora il giorno successivo. La notte precedente la sua morte, Prudence chiese di venire di sopra a sdraiarsi con me nel letto. Nei giorni precedenti avevo dormito accanto a lei sul pavimento al piano terra. Ma quella notte chiese di venire di sopra, così John la prese in braccio e la depose sul letto.
Me ne stetti lì sdraiata a parlarle mentre lei faticava a respirare, e notai che le sue zampe erano gelide e seppi allora che stava morendo. Così le parlai; dissi: «Sei stata sempre una brava ragazza Prudence, e io ti amo davvero tanto. Hai protetto Chappie e Sammie, e hai giocato con Sophie, e ti sei presa cura di me e di John. Sei una ragazza fantastica, e non vorrei che te ne andassi; ma se non ce la fai più, io capirò».
Prudence mi guardò ed emise quel suo piccolo suono sibilante ed effervescente, come una bottiglia di limonata quando viene stappata; era il suono che emetteva sempre quando esprimeva amore e gratitudine. Mi guardò negli occhi; i suoi occhi erano marroni e profondi mille miglia. Mi stava ringraziando per averle dato il permesso di andare, e mi stava dicendo che anche lei mi amava. Il mattino successivo, prima che arrivasse il veterinario, John portò Prudence in giardino e le disse la stessa cosa. Ci vollero due anni prima che ci dicessimo che ognuno di noi, separatamente, aveva dato a Prudence il permesso di lasciarci.
Tre anni dopo la morte di Pru, leggo il seguente brano nel libro di Sogyal Rinpoche Il libro tibetano del vivere e del morire:
Se rimanete attaccati alla persona morente, potete causarle molta inutile sofferenza e renderle molto difficile lasciarsi andare e morire in pace… affinché la persona possa lasciarsi andare e morire serenamente, essa ha bisogno di sentire due rassicurazioni verbali da parte delle persone amate. Per prima cosa, esse devono dare alla persona il permesso di morire e poi devono rassicurarla che staranno bene una volta che lei se ne sarà andata, e che non c'è bisogno che si preoccupi per loro.
Quando mi chiedono quale sia il modo migliore per dare a una persona il permesso di morire, io dico di immaginarsi al capezzale della persona che amano mentre dicono con la più profonda e sincera tenerezza: «Sono qui con te e ti amo. Tu stai morendo, e questo è del tutto naturale; succede a tutti. Vorrei che potessi restare qui con me, ma non voglio che continui a soffrire. Il tempo che abbiamo trascorso insieme è stato sufficiente, e mi sarà sempre caro. Per favore, non restare più aggrappato a questa vita. Lascia andare. Ti do il mio pieno e sentito permesso di morire. Non sei solo, né ora né mai. Hai tutto il mio amore».
Sapete, quella notte, con Prudence sdraiata sul mio letto, trascorsa guardandola morire, è stato forse il momento più tenero della mia vita. Non stavo condividendo le ultime ore di vita di un essere inferiore. Stavo condividendo le ultime ore di vita di un essere nobile; l'esistenza di un cane la cui principale motivazione nella vita era stata quella di prendersi cura degli altri. E Prudence, fino alla fine, ha sempre e solo voluto farmi piacere, e aveva bisogno del mio permesso per poter morire. Qualche giorno più tardi, presi in mano un libro e lo aprii a casaccio. Dalla pagina, mi fissarono le seguenti parole: «Mi dispiace di essermene dovuta andare, ma il dolore era troppo da sopportare». Non so, ma qualcosa mi dice che quello era un messaggio da parte di Prudence. Dovremmo ascoltare gli animali; essi sono consapevoli.
Oliver e Prudence, quando vennero ad abitare nel mio cuore, accesero ciascuno una piccola candela. Tutti accendiamo una candela. È la candela dell'amore e della luce. Tutti insieme - i cani e i gatti e il bestiame e le pecore, e persino gli esseri umani - possiamo diffondere luce dove c'è oscurità. Perché abbiamo creato un mondo insensato, e ora dobbiamo tornare a dargli un senso. È arrivato il momento.
I cani sono venuti a ricordarcelo.
*********** Avevamo quattro Golden retriever, e due erano morti prima di aver raggiunto la mezza età. Chappie e Sophie erano ancora con noi, ma Chappie aveva un'affezione alla tiroide e si era rotto i legamenti crociati, cosa che lo rendeva zoppo, e Sophie, a soli sei anni di età, aveva sviluppato un'artrite talmente grave che al mattino non voleva alzarsi dal letto.
Dopo la morte di Oliver, in famiglia entrò Samson. Quando aveva solo due anni, scoprimmo che aveva una malattia autoimmune, ovvero una malattia per la quale il sistema immunitario del corpo attacca il corpo stesso. Poi, dopo la morte di Prudence, entrò sulla scena Gwinnie. Era talmente allergica che, se le toccavi la schiena, questa si increspava. Continuava a mordicchiarsi la propria pelle e le zampe; era in un'agonia allergica.
Chiedemmo al veterinario perché Oliver fosse morto. Non lo sapeva. Così cominciai a gemere rivolta al cielo, chiedendo perché. Alla fine, però, trovammo un veterinario omeopata che azzardò un'ipotesi sulla morte di Oliver. Ci disse che sembrava proprio una classica reazione vaccinale: che Oliver era probabilmente stato ucciso da un vaccino. Poi, dopo la morte di Prudence, un'amica, Susan Rezy, ci inviò un articolo scritto da una veterinaria americana, Jean Dodds. La d.ssa Dodds sembrava a sua volta implicare i vaccini nella morte di Oliver, e c'era un nesso anche con la morte di Prudence.
Quando si porta a casa un cucciolo, si pensa di avere fra le mani il proprio sogno. Ma io e John avevamo fra le mani i nostri incubi. Pensavamo di essere i peggiori proprietari di cani al mondo: perché i nostri cani erano così malati, e perché stavano morendo?
Sapete, quando ci troviamo a soffrire di una tragedia personale che è quasi troppo dura da sopportare, abbiamo una scelta. Possiamo permettere a quella sofferenza di amareggiarci; possiamo cercare qualcuno da incolpare e cercare la vendetta. Oppure possiamo sollevarci al di sopra di quella sofferenza, come farebbero i mistici. La terza scelta è quella di trasmutare la sofferenza in una forza rivolta al bene: usare la conoscenza acquisita attraverso l'esperienza per aiutare altri che si trovino in situazioni simili. Pensammo che se almeno fossimo riusciti a scoprire dove stavamo sbagliando, anche altri cani avrebbero potuto giovarne.
Per una serie di coincidenze, venni presentata a una signora di nome Sally Cronk. Sally aveva perduto un cane - Sadie - a causa dell'anemia emolitica autoimmune, e stava facendo il nostro stesso percorso. Anche lei aveva visto il lavoro di Jean Dodds e stava raccogliendo fondi per aiutare il Royal Veterinary College a studiare la straziante malattia che si era portata via Sadie. Sally ci presentò ad altre persone che avevano sperimentato il senso di devastazione che noi stessi avevamo provato. Tutti noi stavamo ponendoci delle domande sui vaccini e fotocopiando articoli e inviandoceli l'un l'altro.
Ma tutti noi, con poche eccezioni, ci trovavamo a sbattere contro il muro dell'establishment veterinario. Singoli veterinari e onorevoli istituzioni negavano la connessione vaccini-malattie autoimmuni. Pochissimi veterinari sembravano pronti ad alzarsi in piedi e a dire ciò che pensavano sui vaccini; altri sembravano non essere proprio consapevoli dei rischi.
Avevamo la nostra esperienza da cui partire, e avevamo anche un gruppo crescente di amici i cui cani avevano sofferto - essi ritenevano - per colpa di un'iniezione. […] Le persone scrivevano ai produttori di vaccini, e le loro paure sui vaccini spesso venivano spietatamente negate. I veterinari usavano parole forti in difesa dei vaccini, dicendo che i nostri cani sarebbero morti senza di essi e che saremmo stati degli irresponsabili a correre il rischio di non vaccinare. E in tutto questo, il danno sospettato veniva negato o - pensavamo - sottostimato.
Essendo persone che lavorano nel mondo degli affari, John ed io immediatamente sospettammo che fosse in corso un qualche genere di processo di copertura per proteggere gli interessi commerciali. Sai Baba, il guru indiano, ha detto: «L'avidità è il semenzaio del lutto», e avevo la sensazione che avesse ragione. Pensavamo che fossero necessarie ricerche indipendenti: ricerche che potevano essere condotte solo dagli amanti dei cani per i loro cani; dalle persone che non avevano niente da perdere, né finanziariamente né professionalmente, se si fosse scoperto che i vaccini erano più dannosi che utili. Fondammo un gruppo chiamato Canine Health Concern ed invitammo gli amanti dei cani di tutto il mondo a partecipare a una ricerca indipendente.
Non ci proponevamo, tuttavia, di testare solo i vaccini. Volevamo testare anche tutte le aree implicate nel penoso stato di salute dei nostri cani: dieta, ambiente, prodotti chimici, stress… il risultato fu un voluminoso questionario. Contattammo i college di veterinaria di tutto il paese, chiedendo sostegno. Ci dissero di stare alla larga.
Contattammo singoli veterinari: veterinari che avevano qualche sassolino nella scarpa relativamente alle proprie aree di specializzazione. Veterinari che incolpavano i cibi industriali; veterinari che incolpavano gli incroci fra cani consanguinei per ottenere i migliori soggetti da esposizione; veterinari che rifuggivano i moderni prodotti farmaceutici a favore di terapie "alternative". Alla fine, avevamo messo insieme una squadra impressionante di veterinari di tutto il mondo, ognuno con le proprie teorie, più altri terapeuti alternativi e comportamentisti che ci avrebbero aiutato a testare la teoria dello stress.
Il passo successivo consisteva nell'ottenere il sostegno di chi amava i cani e la loro collaborazione. Pensavamo che questa sarebbe stata la parte più semplice, ma si rivelò essere la più difficile. Tanto per cominciare, dipendevamo dalle riviste cinofile per riuscire a raggiungere il pubblico e informarlo su ciò che stavamo cercando di fare. Ostentatamente etichettate come riviste destinate a chi ama i cani, divenne presto chiaro che quei periodici dipendevano dalle grosse aziende commerciali per la loro sopravvivenza. Senza entrate pubblicitarie, le riviste avrebbero chiuso; e se avessero pubblicato le teorie che CHC stava cercando di testare, le entrate pubblicitarie sarebbero presto calate. Questo pensavamo. E magari avrebbero potuto essere citate in giudizio se avessero pubblicato le nostre domande, basate sull'opinione di veterinari non conformisti.
Anche quando effettivamente riuscivamo a pubblicizzare la nostra ricerca, non c'erano abbastanza padroni di cani che si prendessero la briga di rispondere. Non stavamo andando da nessuna parte. I normali proprietari di cani non sapevano di cosa ci stessimo occupando. Dopo tutto, se hai un solo cane e questo muore di una malattia autoimmune, pensi semplicemente di essere stato sfortunato. È solo quando hai tanti cani e questi cominciano tutti a morire o ad ammalarsi, che inizi a credere che stia veramente succedendo qualcosa. Scoprimmo che le persone la cui vita era stata toccata dalla tragica fine precoce di un animale tanto amato, a volte rispondevano. Ma avevamo anche bisogno di cani sani con cui confrontare i dati, altrimenti la ricerca sarebbe stata limitata.
Così decisi di scrivere un libro per spiegare a chi ama i cani perché questa ricerca era così cruciale. In esso, intendevo esplorare ciascuna delle teorie: dieta, vaccini, genetica, prodotti chimici nell'ambiente, prodotti farmaceutici, stress… ma la questione dei vaccini emergeva fortemente e richiedeva la mia attenzione: non esisteva alcuna singola fonte di informazione relativamente ai pro e ai contro della vaccinazione per i proprietari di animali. E dal materiale che stavo raccogliendo, sembrava che le vaccinazioni fossero probabilmente il fattore maggiormente distruttivo per la salute dei nostri animali.
Inoltre, sembra esserci, sul tema delle vaccinazioni, una gran quantità di emozioni coinvolte, fanatismo e posizioni di parte, ed è terribilmente facile per le persone prendere decisioni senza conoscere tutti i fatti. Chiedete a qualcuno che abbia visto un cane morire di cimurro se il protocollo vaccinale dovrebbe essere modificato: invariabilmente risponderanno di no. Chiedete a un veterinario tipico, convinto che i vaccini abbiano fermato le epidemie. E poi chiedete a qualcuno il cui cane è morto di anemia emolitica autoimmune o di infarto cardiaco nel giro di poche ore o giorni dal richiamo annuale. Vogliamo tutti il meglio per i nostri cani; ma la questione é: che cosa è il meglio?
I risultati dell'inchiesta sui vaccini della Canine Health Concern mostrano - scientificamente - che fino a un cane su cento presenta una reazione alla vaccinazione. Questa reazione può andare da vomito e diarrea fino alle malattie croniche come l'artrite e l'epilessia, e può anche arrivare alla morte. Quindi ora, studiate le prove e fate la vostra scelta informata.
Ma prima di farlo, considerate questo: la prima edizione di questo libro è stata pubblicata nel febbraio del 1997. Entro aprile dello stesso anno, un vaccino si era preso il terzo dei miei amici speciali. Samson morì, all'età di cinque anni, il 12 aprile 1997. Se notate un po' di rabbia in queste pagine, vi prego di perdonarmi. Vedete, Samson, Oliver e Prudence rientravano tutti nella categoria descritta dalla Merck: non avrebbero mai dovuto ricevere un vaccino a virus vivo. Nessuno me lo aveva detto, e solo una ristretta élite lo sapeva. Tutto ciò che i produttori di vaccini per cani scelgono di condividere con noi, e con i veterinari, è la frase: «L'immunocompetenza può essere compromessa da una serie di fattori». È sufficiente, quando il risultato può essere la morte?
Avendo letto la prima edizione di questo libro, alcune persone hanno detto che non faranno più fare il richiamo annuale ai loro animali, perché non è necessario e nemmeno sicuro. Ma si chiedono se, forse, dovrebbero far fare le vaccinazioni al loro cucciolo e poi il primo richiamo annuale, in quanto, comprensibilmente, vogliono dare ai loro animali un minimo di protezione. Sammie è morto per dirvi che questo è quanto basta.
Quando Samson era un cuccioletto, lo portammo dal veterinario per la sua seconda vaccinazione da cucciolo. Il giorno dopo lo trovammo in giardino con le zampe posteriori paralizzate e la dissenteria. Ai quei tempi non avevamo idea che i vaccini potessero fare una cosa del genere. Ancora non ci eravamo ripresi dalla morte di Oliver e così pensammo - o mio Dio! - che Samson avrebbe percorso la stessa strada. Visto che non sapevo che i vaccini potessero fare questo, corsi in giro per tutte le fattorie dei dintorni chiedendo se qualcuno avesse distribuito del veleno.
Ma Sammie si riprese, e l'anno successivo venne spedito dal veterinario per il suo richiamo - perché lo amavamo, e volevamo proteggerlo. Quando ci svegliammo il mattino successivo, Sammie stava correndo per la casa urlando, con le testa gonfia come un pallone. Lo portammo di corsa dal veterinario, dove gli venne fatta un'iniezione e, di nuovo, non ci venne in mente che potesse essere il vaccino. Prima del richiamo successivo, per fortuna, avevano iniziato a frequentare l'ambulatorio di Chris Day, e Sammie non venne mai più vaccinato. Ma il danno era stato fatto.
In precedenza, quando era morta Prudence, ero entrata nel panico, e avevo fatto controllare tutti i miei cani viventi da Chrissie Mason, una radioestesista. Sammie, apparentemente, sembrava un cane di due anni perfettamente sano, ma l'analisi di Chrissie la fece preoccupare abbastanza da consigliare un'analisi del sangue. Quando arrivarono i risultati, inorridimmo nello scoprire che il nostro cane apparentemente sano aveva una malattia autoimmune. Chris Day ci chiamò con i risultati dicendo: «Il suo sistema immunitario sta ingaggiando una guerra contro se stesso».
Seguirono intense cure omeopatiche e nutrizionali. Effettuammo regolarmente le analisi del sangue e sembrava che stessimo vincendo la battaglia. Nel frattempo, Sammie si era conquistato il mio cuore - lui, che aveva un cuore e un cervello enormi. Poi un giorno, quando Samson aveva cinque anni, John rientrò dalla sua passeggiata mattutina con uno sguardo preoccupato. «Sammie non sta bene», disse. «Durante la passeggiata rimaneva continuamente indietro».
La maggior parte dei proprietari di cani non darebbe molta importanza a una cosa del genere, ma io scoppiai in lacrime. Il mio Sé interiore sapeva esattamente cosa ci aspettava. Vi ho fatto piangere abbastanza; basti sapere che il mio Sammie aveva un enorme cancro sulla milza e venne sottoposto a un intervento urgente per rimuoverla. Di nuovo pensammo di aver vinto la battaglia. Il Natale arrivò e passò e Sammie sembrava più felice di quanto non fosse stato da mesi. Ma poi smise di mangiare, e morì.
Tutto quello che ci volle fu una vaccinazione da cucciolo - paralisi alle zampe posteriori e dissenteria - e un richiamo annuale - reazione di ipersensibilità - per predisporre Sammie a una morte precoce. Samson venne ucciso il giorno in cui un vaccino distrusse il suo sistema immunitario.
Nel corso degli ultimi anni, ho trascorso molte ore al telefono, ascoltando persone che mi raccontavano fra le lacrime come erano morti i loro cani. Per molti di noi ci vogliono anni per fare i conti con una morte non necessaria e crudele di un amico molto speciale. Dalla pubblicazione della prima edizione, ho trascorso ancora più tempo al telefono ascoltando altre persone che piangevano. Queste chiamate sono diventate talmente numerose che molte delle "vittime" hanno unito le loro forze per fornire ascolto ad altre persone che condividono la stessa esperienza. Abbiamo formato una rete internazionale, con lo scopo di avvertire altri dei pericoli di cui i cosiddetti "esperti" non vogliono parlare.
Perché abbiamo il diritto di conoscere la verità. È sbagliato che gli "esperti" prendano decisioni al posto nostro, e che dobbiamo accettare che una certa percentuale di cani, gatti e cavalli soffra di reazioni avverse ai vaccini. La vita non dovrebbe essere misurata dagli scienziati in termini di numeri. E nessuno dovrebbe assumersi la responsabilità di nascondere la completa verità sapendo che, in conseguenza di questo, la vita di alcuni sarà sconvolta.
Voglio che i veterinari sappiano che cosa significa davvero "una piccola minoranza". Non perché voglia scaricare la colpa su qualcuno, ma perché la verità ha il potere di renderci tutti liberi. La scienza può fare ciò che vuole e procedere per la sua strada senza emozioni, ma io ritengo che le emozioni - nella loro forma più elevata dell'amore - sono la forza che porta avanti la vita. La scienza, dopo tutto, esiste a beneficio dell'uomo, e non il contrario - e gli esseri umani non hanno altro scopo se non quello di amare. Tutto il resto è vano.
Gli animali sono molto importanti per le persone. Come ha scritto Capo Seattle: «Cos'è l'uomo senza le bestie? Se tutte le bestie sparissero, l'uomo morirebbe di grande solitudine di Spirito, perché ciò che succede alle bestie, presto succede anche all'uomo. Tutte le cose sono connesse».
Lo scopo di questo libro è di aiutare una rivoluzione dei consumi che è già in corso; una rivoluzione che si sta verificando in tutto il mondo, in ogni sfera. Questa rivoluzione dice che i consumatori - persone comuni - non sono stupidi, e che essi hanno il diritto di conoscere la verità. La verità è molto spesso, anzi invariabilmente, oscurata dalle grandi corporazioni che detengono i budget pubblicitari, il denaro destinato alle sponsorizzazioni e i cordoni della borsa dei sussidi alla ricerca. Noi crediamo, più spesso che no, in ciò che dicono gli scienziati - ma io ho scoperto che gli scienziati regolarmente dicono ciò che sono pagati per dire, e gli altri hanno troppa paura per uscire fuori dalla norma comunemente accettata.
Per questa ragione, un libro che espone i pericoli della vaccinazione è dovuto venire da una "ordinaria amante dei cani": qualcuno che non può essere cacciato dal posto di lavoro per aver sovvertito lo status quo. Ma ho anche ricevuto il sostegno e l'aiuto pratico di molti scienziati e veterinari.
Dopo aver letto questo libro, potrete decidere di continuare a vaccinare il vostro cane tutti gli anni. Questa è una vostra scelta; ma almeno sarà una scelta informata. Se mi guardo indietro negli anni, e piango la perdita di Oliver, Prudence e Samson, sono convinta di un fatto: almeno avrebbero dovuto dircelo.
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