"THE END"

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domenica 10 giugno 2012

SIAMO forse prosperi e felici solo perché siamo viziosi?


I conformisti che predicano la libertà 

SIAMO forse prosperi e felici solo perché siamo viziosi? Le nostre società moderne sembrano davvero confermare la Favola delle api di Mandeville (1705), dove si narra di un alveare prospero perché basato sui vizi? Un alveare che però declina e si impoverisce nel momento in cui - le api incapaci di comprendere che i vizi e la disonestà di cui si lamentano sono il vero fondamento della loro ricchezza - decide di perseguire la virtù. La nostra economia fondata sullo scambio e il profitto prospera solo perché - dopo avere soddisfatto nel passato i nostri bisogni fondamentali - oggi produce prima i desideri (i vizi moderni), poi i bisogni e dopo i beni per soddisfarli - o magari non soddisfarli mai appieno, così da creare sempre nuovi desideri-vizi affinché il sistema (tecnica più economia) non si interrompa mai, attraverso questa incessante creazione di dipendenza. E la noia (l'accidia), considerata un tempo vizio capitale, che sembra diventare un moderno vizio utile e necessario al fare e al produrre? Come ricordava Kierkegaard - furono dèi annoiati che fecero gli uomini, Eva venne creata perché Adamo si annoiava da solo, e poi venne costruita una Torre alta fino al cielo, sempre per distrarsi - perché tutti si annoiavano. E da allora, il lavoro, il fare, fino alla nostra attuale passione per l'illimitato non sono altro che un modo per sfuggire alla noia? Tutti impiegandoci ai voleri del sistema-organizzazione, sedotti dalle sue offerte di consumo e ritualità (attivate magari dal vizio dell'invidia), ma anche perennemente annoiati, e quindi perennemente tentati da nuovi vizi, spesso creati ad arte per modificare i nostri comportamenti sociali. Attualizzando il pensiero di Mandeville secondo cui «non siamo abbastanza viziosi quanto lo si potrebbe essere». Attuando un nichilismo assoluto, per cui tutto deve essere consumato e dunque sostituito, per un “principio di distruzione” in cui solo il “non-essere” delle cose (il consumarle e dunque distruggerle) ci farebbe progredire. Umberto Galimberti - uno dei massimi filosofi italiani, docente di Filosofia della storia e Psicologia generale all'Università di Venezia - ci guida nel suo libro I vizi capitali e i nuovi vizi in un viaggio attorno a noi stessi e alle nostre società, che riprende ma anche rielabora una serie di articoli scritti per Repubblica. Libro prezioso, penetrante, da leggere e rileggere per guardarci allo specchio e capire qualcosa di noi. Perché se i vizi capitali (ira, accidia, invidia, superbia, avarizia, gola, lussuria) sono i vecchi vizi della tradizione morale (oggi derubricati a “malattie dello spirito”), i nuovi vizi secondo Galimberti (consumismo, conformismo, spudoratezza, sessomania, sociopatia, diniego e vuoto) non hanno storia, non ancora: sono vizi del presente, non indicano più una “deviazione personale” rispetto alla morale, ma «tendenze collettive, a cui l'individuo non può opporre un'efficace resistenza individuale, pena l'esclusione sociale». La voluttà dello shopping, il culto del vuoto, il sesso ridotto a meccanica: nuovi vizi, e non come deviazione della personalità, ma come suo dissolvimento. Prendiamo il conformismo. Rispetto al passato, oggi qualcosa è cambiato. In peggio. Perché «nell'età della tecnica e dell'economia globale - scrive Galimberti, riprendendo il tema a lui caro della Tecnica (il suo celebre Psiche e techne è oggi anche nell'Universale Economica Feltrinelli) - lavorare significa collaborare all'interno di un apparato dove le azioni di ciascuno sono già anticipatamente descritte e pre-scritte», passive conformazioni ai voleri dell'apparato (la fabbrica, l'ufficio, oggi l'economia globalizzata). Diventiamo così del tutto «irresponsabili, perché ciò che a noi si chiede è solo la responsabilità della buona esecuzione, non la responsabilità dello scopo finale di ciò che facciamo. Abbiamo imparato che ciò che paga è l'uniformità più rigorosa». E con questa capillare pedagogia «l'ordine e l'obbedienza non sono più percepiti come fatti coercitivi», ma come positiva normalità. Oggi l'omologazione raggiunge livelli di perfezione (e di auto-accettazione) sconosciuti ai conformismi e agli assolutismi del passato. Il tutto vestito con un sogno di libertà (mode, consumi, Internet, gioco), che maschera però il massimo conformismo. Di più: nelle società così omologate, «la differenza, la specificità e la peculiarità individuale, oltre a non essere remunerative, destano persino qualche sospetto». Vizi vecchi e nuovi, dunque: condivisi, usati, accettati. «Perché parlarne, allora? - si chiede Galimberti - Per esserne almeno consapevoli, e non scambiare come “valori della modernità” quelli che invece sono solo i suoi disastrosi inconvenienti».
 

2 commenti:

Pascal ha detto...

Ma come riesci a scrivere questa montagna di cose interessanti e impegnate e scritte bene?
Sono ammirata.
Faccio fatica a starti dietro, ma ce la voglio fare

*Dioniso*777* ha detto...

Grazie ... ne sono lusingato! Leggo tanto e dedico molto tempo alla scrittura\lettura, ma bada bene che questo l'ho preso da Galimberti, letto e sottolineato, quando non vedi la firma Dioniso777 alla fine sono presi in giro e valutati come buoni. Solo la quintessenza vorrei ...

LKWTHIN

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