"THE END"

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sabato 16 giugno 2012

DA LEGGERE: I crimini degli Stati Uniti sono sistematici, costanti, feroci, cinici, ma poche persone ne hanno parlato ... E’ un brillante, perfino umoristico, atto di ipnosi di altissimo successo.


Articolo di Fulvio Grimaldi
http://fulviogrimaldi.blogspot.it/
Damasco, manifestazione di sostegno al presidente Assad
I crimini degli Stati Uniti sono sistematici, costanti, feroci, cinici, ma poche persone ne hanno parlato. Dovete ammetterlo: l’America pratica a livello mondiale una manipolazione clinica del potere, mentre si traveste da forza per il bene universale. E’ un brillante, perfino umoristico, atto di ipnosi di altissimo successo.(Harold Pinter, Premio Nobel per la Letteratura)

La nostra società è governata da psicopatici per obiettivi folli. Credo che siamo gestiti da maniaci per i loro scopi maniacali e penso di rischiare di essere rinchiuso come matto per esprimere tale pensiero. E’ questa la misura della pazzia. (John Lennon)
L’unico progetto che ci dà speranza è la frantumazione della Siria … E’ nostro compito principale prepararci a quel progetto. Tutto il resto è insensato spreco di tempo. (Zeév Jabotinsky, dirigente sionista, 1915)

Una breve premessa. Seccati dallo spappolamento dell’apparato di menzogne intessuto a copertura dell’aggressione alla Siria, alcuni omuncoli e quaquaraquà si accaniscono nello stile Gasparri-Santanché contro coloro che si permettono di uscire dal rassicurante (per carriera, prestigio e remunerazione) coro dei lacchè mediatici Nato. Prendono di mira specificamente me e soprattutto Marinella Correggia, una giornalista che trovate in rete o sul “manifesto” e che ha lo smisurato merito di saper scientificamente, da professionista anziché da garzone di bottega, disintegrare le montature e diffamazioni che l’Impero rovescia – e fa rovesciare ai suddetti velinari -su governi e popoli da sgretolare e far scomparire.  (grassetto della redazione)
C’è tale Amedeo Ricucci, occasionalmente inviato Rai di Minoli, che, savianescamente, prima si costruisce un piedistallo di credibilità ribadendo alcune, ormai scontate, smentite circa i crimini Gheddafi, poi colpisce sotto la cintura i boccaloni con le mazzate del menzognificio imperiale sulla Libia e sulla Siria. Fa sorridere il suo tentativo di dare a noi dei fanatici di Gheddafi e di Assad, il classico bue che dà del cornuto all’asino (vedi il suo blog). Poi c’è un Carneade, un ominicchio zavorrato di trotzkismo d’accatto, che da decenni cerca di emergere a un qualche significato politico, inventandosi gruppi, comitati, partituccoli che, inconsistenti come la neve, ci mettono poco a sciogliersi al sole delle cose serie. Si chiama Germano Monti, lo immaginiamo scrivere a quattro mani con la splatterona del Tg3 Lucia Goracci, passare per l’OK da Gad Lerner o Roberto Saviano, farsi dare un buffetto da Hillary. E’ riuscito a fratturare e inquinare, con un suo Forum Palestina, quello che in buon parte è un rispettabile arcipelago della solidarietà palestinese.
Meritando querele che ne demolirebbero quel poco di credibilità e le ambizioni di risalto politico-giornalistico, questo calunniatore, pur di mettere il culo al caldo del salotto dei portatori di diritti umani e democrazia tramite genocidi, frequentato anche da quei dirigenti palestinesi che Israele ha cooptato, ingiuria Marinella attribuendole “veline farneticanti” (i precisi dati che demoliscono il pulp anti-siriano dei padrini Nato-Golfo) e, addirittura, definendolapunta di lancia della propaganda in Italia del regime di Assad”.  Insomma una venduta al diavolo. E’ virulenza viscerale, cattiva coscienza e affannosa captatio benevolentiae  quella che anima una congrega di opportunisti di discendenza PCI. Da “sinistra” lubrificano i cingoli Nato e, nei fine settimana, recitano sketch alla corte dei monarcodittatori. Il metodo è quello degli arrampicatori sugli specchi: ingiuriare e calunniare la persona, senza mai saperla confutare nel merito. 


Il salvagente cui alla fine si attaccano è l’accusa rivolta al fronte anti-Nato di permettere, nella solidarietà alla Siria di Assad, l’osceno connubio tra fascisti e rossi. Visto che ratti fascisti si sono inseriti nel vuoto spalancato dalla resa di classe di questi testa-coda, e dalla diserzione dall’impegno internazionalista per meritarsi il ruolo di paggetti dello strascico di Hillary Clinton, ecco che la vergogna della commistione rossonera dovrebbe ricadere non sui disertori, ma su coloro che, per quanto aggrediti e offesi, si mantengono nella trincea della resistenza all’imperialismo e alle dittature islamiste, contrastando le infiltrazioni degli eredi dell’imperialismo cialtrone nostrano. Loro, invece, questo campo lo abbandonano e lo tradiscono. Più grottesco che paradossale. Noi ci saremo, il 16 giugno in Piazza del Popolo contro gli antropofagi Nato, il mercenariato Nato-Al Qaida, le mire di Israele, del resto già assecondate dai referenti palestinesi dei “rivoluzionari siriani”. Gradito dalla cerchia di gangster del Consiglio Nazionale Siriano, l’attacco ha voluto minare soprattutto questa manifestazione (che bandisce i fascisti). E anche sbarazzarsi della prova documentata che la Flottiglia per Gaza, per la quale tanto si agitano, è pagata dal tiranno genocida del Qatar, uno che con una mano soffia nelle vele della flottiglia (tanto finisce come al solito) e, con l’altra, rifornisce di petrolio il lanciafiamme anti-arabo di Netaniahu. Noi siamo con chi resiste ai mostri e non si acquatta sotto i loro artigli. Noi saremo a Piazza del Popolo il 16 giugno.
Loro ristagnano nella vergogna. Godetevela, questa vergogna, in fondo al post.
Shopping
Enzo Apicella
Ricevuti crediti illimitati, dopo i mille miliardi di euro offerti alle banche a tasso di vasa vasa, le banche si sono date da fare. Con nelle fauci ancora pezzi di Grecia, Portogallo, Irlanda, tutta la Libia e tutti i Balcani, si sono comprati per 100 miliardi la Spagna, persone, soldi, imprese, territorio, sovranità. Nel loro piccolo, ringalluzzito dall’esempio spagnolo, i nostri commessi viaggiatori della “Cupola” S.p.A, si sono comprati la RAI. Messi banchieri, speculatori e trafficoni alla testa del servizio pubblico, sghei e trasmissioni di cazzate obnubilanti e di sogni che impediscano di svegliarsi diventano affar loro, della “Cupola” e un altro passetto verso la Dittatura Mondiale Mafio-Militar-Finanziario-Confessionale sarà stato fatto sulla salma di un volgo disperso che nome non ha. Saranno ottusi, incompetenti, incolti, lo sono, ma quando hai dalla tua, oltre al denaro e ai media, una maggioranza che neanche Mussolini, puoi essere scemo quanto vuoi. A tirarti dietro la canaglia e la plebe basta la Rai e un po’ di sobria protervia. E di fronte a tutto ciò, cosa fa la sinistra? Si intruppa nell’indignazione di Monti e del suo Cottolengo perché una ministra austriaca ha detto quello che tutti sappiamo: “L’Italia è con l’acqua alla gola e affogherà dopo la Spagna”, e al tempo stesso si rannicchia convinta sotto la frustrata della Gorgone che governa l’FMI, Christine Lagarde, quando terrorizza l’Europa dichiarando che fra tre mesi l’Eurozona va a puttane. Nemico delle sinistre è mica la megera sionista che, su mandato Usa, fa a pezzi l’Europa e l’euro anti-dollaro. Macchè, la nemica è la cattivona di Vienna che si permette di esternare su un altro paese, facendo quello che ha fatto il bimbo di Andersen quando s’è messo a gridare: “Il re non indossa vestiti” e, così, facendo arrapare i mercati. Come se Monti non fosse “i mercati”. Come se Monti e corvi vari non avessero mille volte spaccato le palle ai greci minacciando(ci) che la Grecia sarebbe finita nel baratro. E noi pure,  sempre che non ci facciamo infilare una flebo che succhia al contrario.
Non ammessi simboli fascisti

Siria, siamo all’Armageddon?
Tra i miei interlocutori qualcuno ricorderà gli scambi che avemmo circa  le finte immagini della presa di Tripoli intorno al 20 agosto 2011. Io non credevo che si arrivasse a tanto nella falsificazione della realtà, voi eravate certi che la frode era stata perpetrata. Avevate ragione voi. E io avrei dovuto essere meno ingenuo ricordando le finte fosse comuni di Tripoli, il finto attacco di barchini vietnamiti alla flotta Usa nel Golfo del Tonchino, o quello dei soldati della Wehrmacht che si travestirono da polacchi e spararono addosso ai loro camerati per trarne lo spunto all’invasione. O ancora, e li ero avveduto perché sul posto, la finta presa di Basra “documentata” da immagini Cnn, o l’aereo della finta fuga di Gheddafi in Venezuela, o quegli schermi di Rete Globo a Caracas che tracimavano di manifestanti anti-Chavez, mentre si trattava di un popolo chavista sceso in piazza contro il golpe Usa…

Il grande inganno per la grande guerra
Stavolta, perciò, do una certa credibilità al grande giornalista investigativo francese Thierry Meyssan, in Libia, prima, e ora in Siria, per gran parte del conflitto. Stanno per ripetere la riuscitissima farsa della Piazza Verde di Tripoli quando, per demoralizzare e paralizzare la resistenza approntata dai patrioti libici, costruirono e filmarono in Qatar una falsa Piazza Verde piena di “ribelli” giubilanti e la fecero mandare in onda su tutti i network del mondo, compresi quelli che si vedevano in Libia (la tv libica era stata, come quella serba e quella di Saddam, azzerata con taglio di satelliti e bombe). Combinata con il tradimento e la fuga del comandante di piazza, l’attonimento tra i cittadini e combattenti di Tripoli fu tale da ritardare ogni reazione e dare il tempo alle teste di cuoio Nato di aprire la strada ai tagliagole mercenari. Con susseguente strage di innocenti (che continua).
Ora il giochino – che meriterà il Premio Nobel per la deontologia dell’informazione – starebbe per essere ripetuto a Damasco e in altre città siriane. L’operazione è urgente perché ancora una volta l’esercito siriano ha avuto ragione delle bande di (s)ventura Nato-Al Qaida e ha ripulito molte loro roccaforti (Homs, Hama, Deraa…). Gli sguatteri Usa dell’ONU ne hanno tratto pretesto per distribuire quasi equamente la violenza tra difensori e terroristi. Vorrei vedere come reagirebbe un qualsiasi Stato della “comunità internazionale”, se rivoltosi interni e incursori esterni, con tanto di mercenariato al soldo dei divoratori di nazioni, occupassero con le armi territorio, rapissero, torturassero, massacrassero cittadini, mettessero autobombe tra le case e facessero saltare le infrastrutture del paese. E, per colmo di impudicizia, attribuissero queste facezie al regime. Dopo una serie internazionale di riunioni tra l’opposizione e i suoi sponsor, corredata dell’expertise di specialisti della guerra psicologica, all’ordine dell’ambasciatore Usa James, B. Smith e del principe saudita Bandar bin Sultan, in studi collocati in Arabia Saudita si sarebbero approntate ricostruzioni di due palazzi presidenziali di Assad e delle principali piazze di Damasco, Aleppo e Homs. Una volta eliminate in Siria le comunicazioni tra governo e cittadini, accecandone i satelliti propri e quelli di servizio (non c’è digitale) e aggiunto sugli schermi siriani all’Oligopolio occidentale quello delle emittenti arabo-islamiste, si va giù alla grande. Immagini realizzate in studio mostreranno massacri imputati al governo, manifestazioni di massa (magari tratte da qualche paese arabo e corrette col Photoshop, come successo in Libia), ministri e generali che se la danno a gambe, Assad in fuga o nel “bunker”, i ribelli “Allah U Akbar” che strepitano nelle piazze siriane agitando i Kalachnikov, qualche burattino che proclama un governo provvisorio “di unità nazionale”. Sarebbe il via, come a Tripoli, per l’intervento aereo “per salvare i civili” e, per creare i “famosi corridoi umanitari”, l’irruzione di soldataglie wahabite da Qatar, Libano, Saudia e da quel “campo dei 20mila profughi siriani” in Turchia, dove i giornalisti hanno trovato meno di mille persone, e tutte armate, del Free Syrian Army, pronte alle incursioni in Siria.
Ma le cose non si mettono del tutto bene per questo progetto. Intanto qualcosa nella marcia compatta dei media rompighiaccio della guerra si è inceppato. Ogni giorno, addirittura nei grandi media euro-atlantici, scappano rivelazioni sulle atrocità compiute dai “rivoluzionari”, le stragi tipo Hula, talmente grossolane nell’esecuzione e nell’attribuzione al governo, sono state smentite da una moltitudine di voci, testimonianze, indagini. Nientemeno che la Frankfurter Allgemeine Zeitung, primo giornale tedesco e organo dell’establishment, ha pubblicato le prove che il massacro dei 108, bambini, donne, a Hula è stato compiuto dai ribelli su famiglie inermi dei quartieri schierati con il governo.  E io, girando per le mie presentazioni, trovo sempre più varchi al dubbio nel pubblico comune. Rafforzando stoltamente l’intimidazione a scapito della propaganda, Londra ha ammesso di aver sul terreno forze speciali, cosa confermata anche da un sito dell’intelligence israeliana. Un pezzo di confindustria siriana all’estero, pregustando cospicue briciole del futuro banchetto multinazionale, ha promesso 300 milioni ai ribelli, mentre Qatar, Kuwait ed emirati vari si sono spinti fino ad assicurare armi ai propri miliziani. Il diritto internazionale giace lacero e sanguinante e ne trae vantaggio lo schieramento degli Stati che insistono ad opporsi alla distruzione della Siria, i Brics, la Russia, la Cina, l’America Latina.
Dagli allo zar!
Con Putin, suscitando il rancoroso nervosismo dei succitati violinisti dei diritti umani, la Russia ha drizzato la schiena. Al punto da dare dimostrazione di forza navale e assicurare alla Siria la difesa aerea. Ha anche attivato, oltre all’Organizzazione di Cooperazione di Shanghai che comprende i più grandi paesi asiatici, un nuova struttura di difesa trans-asiatica, che propone l’intervento di suoi Caschi Blu in Siria,  l’OTSC (Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva). Sul piano diplomatico ha proposto un Gruppo di Contatto per una conferenza nazionale sulla Siria, che comprenda tutti i paesi vicini e le maggiori potenze. Hillary,  a sentire “Iran”, ha avuto una crisi epilettica. Speriamo che la Russia tenga. Da Mosca ci cono venute, dopo il 1922, molte sorprese sgradite. Registro un ultimo elemento positivo. Dopo la defenestrazione di Burhan Ghaliun dal Coniglio (la s non deve esserci)  Nazionale Siriano e la parallela frantumazione in sette e cosche di questo grottesco organismo Nato, data la persistente anarchia, lo scoordinamento e le rivalità tra le bande wahabite, vista la spaccatura in Arabia Saudita tra la famiglia reale attorno al prudente re Abdallah I e il clan bellicista filo-israeliano e filo-Usa dei Sudeiri, con i primi contrari a ogni intervento, e udita la fatwa del Consiglio degli Ulema che determina che “la Siria non è terra di jihad”, si può ripetere: grande è il disordine sotto il cielo…” Il seguito lo mettete voi, a seconda dell’ottimismo della volontà, o del pessimismo della ragione.
Il guaio è che, a persuadere i tonti, sono della partita, nel campo destro del terreno di gioco, anche i galoppini ONU della Cupola, i Ban Ki Moon, quella Navi Pilla che, nascondendo i fili che la fanno muovere dal Pentagono, ha trasformato la Commissione per i Diritti Umani in commissione dei giustizieri, alcuni osservatori ONU, Amnesty International, e, nel nostro verminaio, gente rispettabile come Libera, Arci, Tavola della Pace, pacifinti di ogni denominazione. E’ gente che si inalbera contro Fioroni perché rifiuta i matrimoni omosex, inneggia a Obama perché onora tutti i GLBT, straparla ancora di sobrietà dell’accozzaglia di malviventi pasticcioni che abbiamo in capo, mentre sorvola leggera sulle apocalissi antiumane di cui i menzionati sono, chi in prima fila, chi nella riserva, o negli uffici stampa, responsabili. Giorni fa il regime di automi meccanici con le zanne, intruppandosi al seguito di altri governi democratici e rispettosi della legge, ha cacciato dall’Italia l’ambasciatore Hassan Khaddour, uomo gentile, di elevata cultura e, soprattutto rappresentante di un paese che sta subendo la sorte dei tanto compianti palestinesi. O indiani d’America. Il parassita che si fa trasportare dal suo vettore. Hanno usato il pretesto della strage più orrenda fatta dai “ribelli” e attribuita ad Assad per scattare sull’attenti davanti a Obama e Netaniahu. Addirittura davanti a micro-parastati che a una costituzione democratica alla siriana guardano come al giudizio universale. Del resto, c’è tra gli imperiali una coazione a ripetere che si tramuta in automatismo: prima di ogni aggressione armata parte lo tsunami della diffamazione e del razzismo; prima di ogni riunione sulla Siria di organismi ONU, o Nato, o G8, o “conferenza di amici”, o prima dell’anelata No Fly Zone, esplode un cataclisma assassino in Siria; a ogni minaccia di baratro, default, apocalissi, segue istantaneamente una stangata e una picconata ai diritti dei lavoratori; a ogni atto di terrorismo, segue una Legge Reale, una retata intimidatrice, si potenzia il tintinnar di manette. Ci insegnerà pur qualcosa.
E il papa che fa? Fa il papa.
C’è da dire del papa. I cristiani sono i prescelti, insieme a sciti e sunniti che non stanno con i carnefici del paese, per le incursioni, torture, decimazioni praticate dai terroristi e dalle loro “guide bianche”. Stanno subendo la notissima sorte di cristiani in altri paesi dove è stata attivata l’anonima assassini islamisti: centinaia massacrati, case bruciate, donne stuprate, milioni in fuga. Così in Nigeria. In Egitto. E’ la collaudata strategia israeliana della frantumazione per linee confessionali. In Siria sono state bruciate 150 tra chiese cristiane e scuole per ragazze. Dalla Siria si sprigionano, grazie a qualche eco onesta e coraggiosa, le voci più autorevoli della comunità cattolica, priori e superiore di prestigiosi conventi, cattedratici universitari, centri cattolici di informazione. Sono voci con tanta disperazione, quanto con  ricchezza di dati e testimonianze. Ma il Papa si affaccia all’Angelus e cosa dice? “Ci rivolgiamo in modo del tutto particolare alle autorità siriane perché pongano fine alla violenza”. Aveva detto cose analoghe quando i suoi affini politici stavano sbranando cristiani e “infedeli” in Libia. Come se si fosse rivolto a  Pilato piuttosto che al suo Gesù. Comunque tout se tien: in questi giorni il Vaticano si appresta, finalmente, a firmare  l’accordo le cui trattative si trascinavano da anni. L’accordo sancisce l’accettazione da parte della Chiesa che la legislazione israeliana venga applicata anche ai luoghi e siti religiosi in   Cisgiordania e Gerusalemme. Tutte vaste zone arabe, occupate nel 1976 e su cui neanche l’ONU aveva riconosciuto le pretese israeliane: la legge internazionale le indica come occupate. Ecco che il papa manda in archivio il bla bla sulla soluzione negoziata ed equa del conflitto,  avalla occupazione, violazione del diritto internazionale, risoluzioni ONU e usurpazione di Gerusalemme. Omaggio alla libertà e all’indipendenza dei popoli. Come in Libia, come in Siria. Ci voleva Ratzinger.
 Libia, stregone e apprendisti
Non se ne parla da un pezzo. Comunità internazionale e suoi sguatteri e scagnozzi mediatici occultano crimini e vergogne. La Libia da democratizzare e ornare di diritti umani è esattamente ciò che i morti viventi Nato si ripromettevano: una fetida palude in cui sguazzano e si azzannano  mercenari islamisti, dopo essere stati scatenati contro il più avanzato, benestante e giusto paese di tutto il continente africano. Si tratta di somalizzazione, detta dai serial killer del Pentagono “caos creativo”. Per il futuro prevedibile, la Libia non sarà più uno Stato, una nazione. Cesserà di essere un modello contagioso di sovranità, giustizia sociale, indipendenza, unità. L’Africa avrà perso con Gheddafi la forza propulsiva della sua resistenza all’aggressione economica, militare e subculturale della “comunità internazionale” e le sue risorse torneranno ad essere predate come e peggio che nei gloriosi secoli della colonizzazione (20 milioni di ammazzati in Congo dal Belgio di re Leopoldo). Tuttavia, non tutte le ciambelle riescono col buco. Quello che era stato programmato, dopo i massacri Nato, come l’autogenocidio della Libia attraverso reciproche pulizie etnico-confessionali (come da Piano Yinon elaborato in Israele nel 1982) e la scomposizione del paese in aree di scarso e di alto interesse strategico ed economico, sta rivoltandosi contro i suoi autori. Gli apprendisti stregoni di Bengasi, cacciati dalla città i parenti-serpenti gangster di quel governicchio di Lego affastellato dalla Nato che in Libia conta quanto Scilipoti in Italia, proclamati l’emirato islamico e la sharìa, ora si divertono un mondo a prendere a calci le presenze diplomatiche occidentali e dell’ONU. Non c’è giorno che passa senza che un convoglio o un consolato, o una sede di impresa occidentali, non vengano presi a fucilate e mortaiate.
A Misurata i tagliagole islamisti, installati dalle teste di cuoio anglofrancesi, governano la città nel terrore e si specializzano in incursioni stragiste contro la popolazione nera in tutto il Nord. Il “governo” nazionale, che dovrebbe garantire agli occidentali l’uso del più importante porto della costa, è stato sostituito da emiri che, più che alla Exxon e ad Africom,  danno retta ai padrini di Qatar e Arabia Saudita. I berberi di Sirtan, padroni saltuari dell’aeroporto di Tripoli (ne sono stati cacciati giorni fa da combattenti gheddafiani), dopo averne espulsi i governativi, controllano la frontiera (e il contrabbando) con la Tunisia e si scontrano con la sicurezza tunisina.  Il fratello musulmano manovrato dall’Occidente alla presidenza della Tunisia non sa più a quali fratelli in Libia votarsi. Alla “comunità internazionale” i terroristi di Sirtan hanno rifilato la sberla dell’arresto di quattro inviati della Corte Burletta Penale Internazionale (quella del lacchè Usa, Ocampo), quando si sono avventurati da quelle parti  con la “pretesa inaudita” di prendere in consegna l’incriminato figlio di Gheddafi, Seif al Islam. Ma la Resistenza della Jamahiryia si fa viva un po’ dappertutto, al Nord conta sulla grande tribù dei Tarhouna, controlla gran parte del Sud, tiene tuttora la grande città di Beni Walid, ha respinto con una serie di sanguinose battaglie i governativi dall’area di Kufra in Cirenaica, con gli alleati Tuareg contende agli infiltrati alqaidisti della Nato il dominio del Nord del Mali dichiaratosi repubblica indipendente Azawad. A dispetto dell’illimitata disponibilità delle prostitute del Consiglio Nazionale di Transizione a svendere il paese, le compagnie occidentali hanno difficoltà a controllare le riserve petrolifere e idriche e ad avviarne la rapina. Il disordine è grande sotto il cielo.

Elezioni democratiche, dunque sconvenienti
 Tsipras, leader di Syriza
Quanta parte dell’opinione pubblica occidentale, che pure viene subissata giornalmente da cronache splatter sugli “eccidi di Assad” in Siria, ha saputo delle varie elezioni in Siria? Quanta di quelle in Serbia? Diciamo lo 0,01%? Qualche embedded nelle redazioni e cancellerie ha subito provveduto a sistemarle nei cestini. Quanto a quelle greche, il 17 giugno, se ne blatera invece assai. Ma con colpi di terrorismo ricattatorio che prefigura ai greci, fattisi sotto come avanguardia occidentale del controcanto al criminal tango mondialista dei banchieri, il destino di Atlantide. A pochi giorni dal voto, il consenso per Syriza cresce, a dispetto dei vergognosi attacchi sia degli stalinisti del KKE, sia dei collaborazionisti di Sinistra Democratica, tutta gente che se ne è stata tranquilla alla finestra, ad ascoltare i comizi di Papariga del KKE in piazza Omonomia, mentre lì accanto, in piazza Syntagma il popolo greco, il più intelligente e coraggioso d’Europa, guidato da Syriza, resisteva eroicamente ai macelli degli sgherri della soluzione finale di Bruxelles.
In Siria ha trionfato con l’89% il referendum per la nuova costituzione iperdemocratica e pluralista. Contro l’opposizione democratica, articolatasi in una serie di partiti dopo il referendum, ha stravinto il Fronte Nazionale Patriottico composto dal Baath, dai due partiti comunisti e da altre forze progressiste e laiche, sia nelle amministrative, sia in quelle legislative. La partecipazione ha superato il 60%, dato storicamente fisiologico, ma miracoloso in un paese dilaniato dal terrorismo e dall’impegno militare contro il terrorismo, nel quale, a macchia di leopardo, gli ascari Nato-Golfo hanno tentato di impedire con massacri e minacce di votare. Queste, come le altre elezioni che diremo, sono state tutte seguite da vicino da osservatori internazionali, tutti unanimi nel dichiararle corrette. E non c’erano neppure le liste blindate dai capipartito, o la manna dal cielo del premio di maggioranza, o la decisione dei giudici Usa che danno la vittoria al candidato presidenziale che ha perso. O i persuasori occulti delle parrocchie.
Così in Algeria. Qualche semisegreto colonnino nel “manifesto”, dove immancabilmente ci si indigna di “repressione e brogli”, manco fossimo nella Russia descritta dallo slavofobo Astrit Dakli, o nell’Iran della rivoluzionaria verde Marina Forti. Speravano nella definitiva eliminazione di un’Algeria laica e indipendente, ostile allo stupro della Siria, tramite i fidati berberi del Fronte Socialista, testa di ponte del neocolonialismo francese, o i fiduciari Usa Fratelli Musulmani, qui denominati Algeria Verde, metamorfizzatisi da specialisti delle stragi di civili in competitori democratici. Invece ha stravinto la coalizione patriottica: su 462 seggi, 220 sono andati al Fronte di Liberazione Nazionale e 68  all’Alleanza Nazionale Democratica. Le opposizioni: Algeria Verde, 48, Fronte Socialista 21. Gli osservatori dell’Unione Europea (dunque Nato), di tutto imputabili fuorchè di parzialità filoalgerina, non hanno trovato niente da ridire. Che fare? Zitti e mosca. Il guaio è che, per stavolta, il processo di islamizzazione affidato dall’Occidente ai Fratelli Musulmani, wahabiti del Golfo, salafiti e Al Qaida, ha subito una battuta d’arresto. La comunità integralista islamica, preferibilmente sunnita, cara e affine al Vaticano come ai teocrati d’Israele e agli ultrà evangelici Usa, disponibile alle forme più feroci di capitalismo del 3° millennio e alle depredazioni multinazionali, strumento principe imperialista nella liquidazione degli Stati laici sovrani, plurietnici e pluriconfessionali, in Algeria, quella comunità s’è vista sottrarre il boccone per la seconda volta.
In Siria, battuta militarmente e nel voto, riprovandoci come nell’Algeria degli anni’90, la compagnia di giro atlantico-islamista chiama Allah a benedire i suoi massacri di civili, espressamente bambini e donne, e invoca la Nato a sostegno degli inadeguati aiuti in denaro, armi e mercenari dei petrotiranni. E neanche in Yemen e Bahrein il ghibli islamista riesce a insabbiare una resistenza nazionale e democratica, per quanto gli sponsor politici e mediatici in Occidente diano dell’Al Qaida a chiunque nel mondo alzi la cresta, compresi i combattenti yemeniti, e dell’agente iraniano ai rivoluzionari del Bahrein e ai rivoltosi in Arabia Saudita.

Serbi da morire
E poi c’è la Serbia, vittima dell’automutilazione europea, con bisturi Nato, che deve continuare a pagare lacrime e sangue perché si obliteri dalla cronaca, dalla storia e dai tribunali, il nazionicidio inflittole, tra stragi bosniache a Sarajevo, croate nelle Krajine, UCK in Kosovo, bombardamenti sulla Serbia, farsa di Srebrenica, un milione di profughi serbi da terre serbe, il cappio al collo dei serbi del Kosovo, peraltro grandiosamente irriducibili. Ma non solo loro. Lo svampito De Francesco del “manifesto” può, in coro con tutta la stampa che deve tenere in piedi il cadavere dell’inganno balcanico, biasimare di “conservatorismo” e “ultranazionalismo” (è un suo mantra serbo) i serbi che non si allineano con “l’europeista liberal” Boris Tadic, presidente vendipatria (un suo capolavoro: Marchionne alla Zastava con 3000 operai al posto dei 36mila della Serbia libera, salari di fame, turni da collasso, sindacato giallo, niente tasse e esportazione di tutti gli utili). Questo Tadic che, disonorando una storia nazionale antifascista tra le più nobili d’Europa, insieme al paese, ne aveva venduto la dignità, consegnando allo pseudotribunale dell’Aja due eroi della resistenza serba, Karadzic e Mladic, perchè giudici-boia li sistemino alla maniera di Milosevic e di altri patrioti serbi. Ebbene, non tutto è perduto nella Serbia. Molti sono rimasti “ultranazionalisti”. Qualcuno ha finito di sognare e si è svegliato.
Nelle legislative dei primi di maggio, con il 29,2%, ha vinto il Partito Progressista Serbo di Tomislav Nikolic, nato da una scissione dal vecchio Partito Radicale di Seselj. Il Partito Democratico di Tadic è rimasto al 26,8%. Seguono i socialisti (17,6) e i democratici di Kostunica (6,9). Stavolta, i miliziani Otpor di Soros e del National Endowment for Democracy(leggi Cia), hanno toppato alla grande. Niente “Primavera di Belgrado”, come “Liberazione” aveva definito il colpo di Stato Otpor-Nato del 2001. E anche al ballottaggio per la presidenza, il 20 maggio, chi ha vinto è stato Nikolic, con il 49,55% contro Tadic (47%) che lo aveva sconfitto due volte e puntava, accompagnato dai voti UE e Nato, al terzo mandato.
Nella Serbia dell’abbandono della comunità in Kosovo, del milione di rifugiati, dello strangolamento da parte di FMI e BM, con lo smantellamento del pubblico, l’industria rottamata e svenduta a banditi come Marchionne, i licenziamenti di massa,  la disoccupazione al 35% e al 50 dei giovani, la fine dell’assistenza sanitaria e dell’istruzione gratuita, il Kosovo sotto il despotismo dei trafficanti di droga e narcotici, non ci sono solo i disperati resistenti della comunità serba del Kosmet che al 94% hanno votato contro il riconoscimento del regime Nato di Pristina. Ci sono anche i serbi della vittoria di un partito che potrà anche essere indigesto al “manifesto”, ma ha battuto la leadership filo-occidentale, per quanto sostenuta finanziariamente e politicamente dagli uccisori della Jugoslavia. Un partito, una maggioranza che rifiutano di entrare nudi nell’UE, che respingono il piano di integrazione nella Nato (il 70% della popolazione è contrario), che promettono di reagire a umiliazione, stanchezza e sfinimento e di ridare forza alle sacche di resistenza disperse tra Serbia e Kosovo Metohija. La rinascita della Serbia può partire da lì. Forse anche con l’aiuto di quel vento rosso che ha preso a soffiare impetuoso da sud, dalla Grecia di Syriza. Che potrà anche essere sconfitta nelle elezioni del 17 giungo, ma di cui il mare di fiamme che ho visto per due anni mi dice che non finirebbe così.
Bye bye Palestina?
Di un’altra faccenda elettorale pudicamente non si parla, né nei media della greppia sionista, né tra i dirittoumanisti compassionevoli della solidarietà alla Palestina. Di quelle elezioni che avrebbero dovuto sostituire 18 mesi fa, dal gennaio 2011, il decaduto presidente dell’ANP e quisling palestinese Abu Mazen e la sua cricca di insaziabili satrapini. Non ne parla neanche Hamas, da quando si è acconciato a scambiare il quarantennale sostenitore laico e progressista siriano con l’emiro del Qatar, ufficiale pagatore e fiduciario di Israele e Nato nell’annientamento delle istanze nazionali e democratiche arabe. Eloquente è stata una mia esperienza personale. Giorni fa mi ha contattato un gruppo filo-palestinese per un intervento in occasione del passaggio di una nave dell’ennesima Flottiglia per Gaza. Mi hanno chiesto di raccontare un po’ di Gaza e Palestina. Quando gli ho risposto che sarebbe oggi utile e urgente accompagnare la solidarietà per i palestinesi a quella per libici e siriani, e magari bahreiniti e yemeniti, e magari proiettare il mio film sulle guerre imperialiste da Gerusalemme a Damasco, visto che, dopotutto, la Palestina è stata sempre vista come il cuore della questione nazionale araba, la risposta è stata… zero. Non si sono più fatti vivi. Preferiscono occuparsi di Palestina e basta.
Cosa dice questa storiella? Dice che è più comodo, per i solidaristi e le sinistre organizzate tutte, dedicarsi a vittime tutto sommato  ormai inoffensive che a genti non disposte a rinunciare alla lotta. La solidarietà ha senso quando i solidarizzati lottano. La solidarietà per chi si limita a essere vittima è lo sparo a salve di una scacciacani. Stare con i palestinesi e addirittura condividerne i tradimenti nei confronti dei fratelli siriani, iracheni, libici, yemeniti, oggi è come farsi una canna per scordarsi della coscienza infettata di viltà e opportunismo. Accanto ai palestinesi ci saremo sempre, ma meglio quando riprenderanno a lottare. Intanto ci interessa stare con chi ne ha costituito per mezzo secolo il retroterra e la garanzia del futuro e per questo viene destinato a morte. E batterci per la libertà di chi non tradisce: Maruan Barghuti, Ahmed Saadat, i prigionieri in sciopero della fame.
E’ il morgantinismo (da Luisa Morgantini, vessillifera del disarmo unilaterale nonviolento) che ha opacizzato la mobilitazione, un tempo a fianco di popoli combattenti, in mensa Caritas. E’ la paralisi determinata, anche nei meno proni alle sirene dei negoziati di pace in salsa Obama-Netanihau-Saviano, dall’osceno collaborazionismo di un’ANP in fregola di “aiuti” da Europa e Golfo e che oggi si fa protagonista, sotto il comando dell’ammiraglio Usa Paul Bushong, addestratore degli sbirri di Abu Mazen, di una repressione feroce di qualsiasi alito di protesta e resistenza in Cisgiordania. I militanti delle Brigate di Al Aqsa e di Hamas finiscono, sul modello di Guantanamo, nei centri di detenzione speciale a Gerico (dove da anni  languisce il segretario del FPLP Ahmed al Saadat), senza  processo e senza termine, mentre il silenziatore è imposto a qualsiasi mobilitazione per Maruan Barghuti, leader verodi Fatah e della seconda intifada e che insiste a chiamare alla sollevazione popolare, unica arma del riscatto. Eterna gratitudine dell’ANP per la sfilza di ergastoli rifilatigli da Israele. Ora Abu Mazen ha fatto sbattere a Gerico anche Zakaria Zubeidi, difensore di Jenin durante la mattanza nazisionista e animatore del Freedom Theater, Teatro della Libertà, fulcro della resistenza culturale palestinese, mentre, contrariamente addirittura al vecchio marpione della Fifa, Blatter, e al sindacato internazionale dei calciatori, tiene la bocca serrata su Mahmud Sarsak, calciatore della nazionale palestinese moribondo  in carcere, in sciopero della fame da tre mesi. Anzi, lo sconcio governatore fantoccio di Jenin, Talal Dweikat, sodale di Abu Mazen, ha dichiarato: “Le campagne di arresti in atto servono la causa dell’indipendenza palestinese. Stiamo dimostrando al mondo che l’ANP è in grado di dirigere le istituzioni del futuro Stato di Palestina”.  Il mondo ne è convinto, si rassicuri.
Tutto questo non è argomento neanche per gli “indignados” per l’Ucraina installati dalla Cupola ai vertici dell’UE e che boicottano le europartite in quel paese. Indignati perchè la giustizia ha acchiappato un’amica, alleata, complice: la rivoluzionaria di velluto Julia Timoshenko, in carcere per avere, da premier, truffato lo Stato e con alle spalle una storia infinita di malversazioni, ruberie, corruzione. Del boicottaggio, come del resto di ogni cosa che possa danneggiare popolazioni slave non simili al georgiano Saakashvili, o al serbo Tadic, si compiace l’albanese Astrit Dakli, con Gad Lerner uno dei più appuntiti ferri di lancia allestiti in Occidente contro quel Putin che si permette di alzare la voce contro le scorrerie genocide della Nato e, addirittura, di sostenere in diplomazia e in armi il reietto Bashar el Assad. E la gente che vedete qui sotto, uno per uno più simpatici di Germano Monti o Amedeo Ricucci.
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Utilissimo idiotissimo
E qui affrontate con stoicismo una delle cose più imbecilli e oscene mai uscite dai neuroni di chi si definisce comunista. Dopo aver sostenuto l’annientamento Nato-Al Qaida della libera Libia, Ferrando del Pcl e tutto il tossico sciame dei tafani trotzkisti di varie etichettatura, a nessuna delle quali il povero Lev Bronstejn, detto Trotzky, darebbe la qualifica di DOC, distoltisi un attimo dallo sport preferito di azzannarsi fra di loro, hanno rigurgitato comunicati, appelli e presidi a sostegno “del vero processo rivoluzionario in corso in Siria”. Sono talmente scemi che, per l’aiutino, non  dalla Nato ghignante non si fanno neanche pagare. Credo. Leggete, leggete. Ma munitevi di quei sacchetti che vi danno sugli aerei, per ogni eventualità… La schifezza mi arriva da un bravo compagno che  lo ha corredato di corretto commento.
Mentre in Libia l’attuale governo rivoluzionario e le propaggini di Al Qaeda procedono spediti verso il sol dell’avvenire “rivoluzionario” a suon di pogrom razzisti, torture,detenzioni di massa, stupri e sparizioni i nostri “rivoluzionari” nostrani non perdono occasione di lanciare proclami sulla rivolta del popolo siriano” con lo  stesso tono usato mentre sventolavano le bandiere di re Idris durante i bombaradmenti NATO.
Se per la Libia c’era l’attenuante di una possibile incapacità di leggere e interpretare quanto stava accadendo , ivi incluso il legame diretto con la crisi del capitalismo italiano  , con la Siria questa attenuante decade considerando  l’esperienza politica di decenni di gran parte del gruppo dirigente del PCL e di tutta la galassia dei gruppi che provengono dalla quarta internazionale o fanno parte delle svariate “quarte internazionali”.
C’è qualche cosa che ci sfugge? Il riferimento non è ovviamente ai tanti militanti di questi gruppi  che devono ripetere le “pappine” elaborate dai  dirigenti: ma è l’atteggiamento complessivo di essi non solo sulla questione MedioO. ma anche sul processo rivoluzionario venezuelano, boliviano etc. Si schierano sempre,anche in loco (vedi Venezuela e Bolivia) con i movimenti di opposizione anche di destra o ai Governi che cercano di far decollare processi di trasformazione sociale e politica in contesti niente affatto facili; o contro i regimi laici antimperialisti che si contrappongono agli interessi occidentali. Forse sarà utile aprire una discussione che ci aiuti a comprendere cosa spinge queste forze ad assumere atteggiamenti di questo tipo che guarda caso coincidono con la politica estera del Centro-sinistra in Italia come in Francia. Fuori da ogni anatema anti-Trotskista (anche perchè ci sembra che Trotski avesse le idee certamente più chiare sulle guerre coloniali e imperialistiche) per capire sulla forte influenza negativa che hanno sui movimenti in Italia oggi. E non stiamo parlando di “altro” o di cose di poco conto.
Associazione Pellerossa Cesena
Un vero processo rivoluzionario sta accadendo in Siria,  il popolo è spinto, sotto il vento delle rivoluzioni arabe, da un spirito di vendetta causato da anni di oppressione del regime e dai gerarchi del regime.
La violenza della tirannia siriana che da un anno, oramai,  reprime nel sangue la voglia di cambiamento del popolo, non si ferma davanti a niente. Sono migliaia le persone che sono state uccise in Siria da quando è esplosa la rivolta contro il regime di Bashar al Assad. Secondo i media fra le vittime ci sono molti donne e bambini. Non contento di questa mattanza, il despota siriano avrebbe piazzato mine anti-uomo lungo i confini di Libano e Turchia, ovvero nei pressi delle principali vie di fuga per i rifugiati.
L’imperialismo (che vorrebbe sfruttare a proprio vantaggio la situazione) è all’ empasse più totale, sulla questione “siriana” rimane nel limbo. Le potenze imperialiste stanno ancora discutendo come uscirne, non sanno se un intervento militare debba aver luogo e   quali ripercussioni l’ipotetico attacco alla Siria avrebbe nella nuova geografia politica, in primis per l’Iran.  I veti posti  dalla Russia di Putin ad un ipotetico intervento militare dalle potenze occidentali in Siria va letto, esclusivamente, come la volontà del mantenimento dello status quo e non come pensano le varie organizzazioni dell’arcipelago stalinista come una sorta di opposizione all’imperialismo USA. Gli stalinisti applicano sempre lo stesso schema “campista”, che si portano addosso a mo’ di mantra, e che li ha portati in passato ha sostenere in passato i governi borghesi. Noi come PCL, come trotskysti conseguenti, pensiamo esattamente l’opposto: che il governo di Assad vada cacciato e vada costruito un regime realmente socialista basato sui consigli dei lavoratori.
Il popolo siriano è sceso in strada per chiedere pane, democrazia e migliori condizioni di vita; l’unica possibilità che hanno i lavoratori, donne e studenti  siriani è di vincere è di cacciare questo oppressore è instaurare un governo dei lavoratori. Non vi sono vie d’uscita diplomatiche, non vi sono scelte di “campo, ma c’è solo la rivoluzione.
Contro l’intervento imperialista in Siria!
Per la rivoluzione permanente in Siria!
Per un Medioriente laico e socialista!
Partito Comunista dei Lavoratori
*********************************************************************************************Dai bassifondi imperiali, da dove sono scaturiti e di cui  mi sono arrivati gli effluvii sopra descritti, trovate invece esempi di onesto giornalismo e di limpido internazionalismo proletario.
Chi sono gli amici di Assad
giu 13, 2012 by admin
Da Amedeo Ricucci
Com’era già successo con Muammar Gheddafi, anche il dittatore sirianoBachar al Assad è riuscito a imbarcare nella difesa ad oltranza del suo regime una strana Armata Brancaleone, pittoresca quanto variegata, che unisce “rossi” e “neri”. Ne hanno smascherato le ripetute malefatte in tema di propaganda e disinformazione sia Lorenzo Trombetta sul blogSiriaLibano, sia Lorenzo Declich su Tutto in 30 secondi, così come Cristiano Tinazzi su Il Dottor Gonzo.  Non è quindi il caso di aggiungere altro, se non che questi personaggi non solo non hanno occhi per vedere – accecati come sono dal loro furore ideologico – ma da recidivi  non possono accampare alcuna scusante, anzi, vanno considerati oggettivamente dei complici degli sgherri di Assad, e quindi anche loro con le mani sporche di sangue.
Quello che segue è un post di Germano Monti dal blog Vicino Orientesull’ultima assurda adunata di questi adulatori di Assad, il macellaio.


“Fra pochi giorni Roma sarà teatro di un evento che, molto probabilmente, non passerà alla storia, ma che segna      comunque un punto di caduta nella variegata composizione del mondo      pacifista e della solidarietà internazionalista italiani.Sabato 16 giugno, si sono dati appuntamento a Piazza del Popolo i sostenitori del regime siriano del clan Assad, adottando come  slogan di convocazione dell’adunata il motto “Dio,  Siria, Bashar e basta!”. Lo stesso motto degli shabiha, gli squadristi che si occupano del lavoro sporco contro gli oppositori      del regime. L’iniziativa ha avuto un prologo interessante lo scorso 31 maggio, quando una cinquantina di italiani e siriani hanno manifestato davanti la sede dell’ambasciata siriana, a pochi passi da Piazza Venezia, ostentando pugni chiusi e saluti romani, amorevolmente l’uno a fianco dell’altro.Non si è trattato di un episodio folcloristico: la blasfema  commistione fra neofascisti e sedicenti      “antimperialisti” è un dato di fatto, confermato, da ultimo, proprio dalla convocazione della      manifestazione del 16 giugno. Le figure, anzi, i figuri di spicco del comitato promotore sono due, entrambi animatori del sito Syrian Free Press: Ouday Ramadan, detto “Soso”, e Filippo Pilato Fortunato.Ouday Ramadan è un siriano che vive in Italia ed è stato consigliere comunale del Partito dei Comunisti Italiani a Cascina, un grosso centro della provincia di Pisa. Non sappiamo se sia tuttora iscritto al partito di Diliberto, ma lui si professa comunista, anzi “stalinista in ogni cellula”, ed  è di pochi mesi fa una sua violenta polemica contro Paolo Ferrero, il segretario di Rifondazione Comunista, reo di avere   – sia pure timidamente – difeso le ragioni della rivolta siriana. Stando a quel che dice qualche suo sodale,  Ramadan è anche il figlio del “capo spirituale”  di un’importante comunità alaouita, la stessa setta cui appartiene la famiglia Assad.Filippo Pilato Fortunato, invece, appare come uno schietto fascistone, e basta un veloce giro sulla rete per visualizzare un’incredibile quantità di articoli, interviste, recensioni, ecc., talmente espliciti da togliere ogni dubbio. In ogni caso, a suggellare con il crisma dell’ufficialità le simpatie politiche del Fortunato, nell’agosto dello scorso anno giunge l’iscrizione a Forza Nuova, sezione di Palermo.Il suo “pensiero” è efficacemente sintetizzato in questo stralcio di una sua breve biografia redatta da Giovanna Canzano, che compare al termine di una sua intervista allo stesso  Fortunato: “Filippo F.P. reputa di fondamentale importanza comprendere quale sia il maggior pericolo cui  l’umanità sta andando incontro e creare una rete di opposizione, di formazione e controinformazione che sappia andare oltre i limiti personali di ognuno, per fronteggiare organicamente quello che egli considera il nemico numero uno: il giudaismo sionista, rabbinico-talmudico, massonico per eccellenza”.Il nerissimo Fortunato ed il “rosso” Ramadan sono uniti dall’amore per il regime nazionale e socialista di Assad, al punto di organizzare e partecipare a delegazioni che si recano  fino a Damasco per omaggiare gli esponenti del regime, come avvenuto poche settimane fa. La loro passione per il regime     siriano è condivisa da un’area nebulosa che va da formazioni di estrema destra quali, appunto, Forza Nuova, Stato e Potenza, Eurasia, Socialismo Nazionale, il gruppo romano “Controtempo”, CasaPound, i “comunitaristi”, Millennium, coinvolgendo settori consistenti dell’integralismo cattolico, ma anche movimenti trasversali – come “Per il Bene Comune” dell’ex senatore del PdCI Fernando Rossi – e      realtà ed individui accreditati a sinistra e nei movimenti contro la guerra.Alla manifestazione di Piazza Venezia dove pugni chiusi e saluti romani  convivevano disinvoltamente, hanno preso parte esponenti di un comitato di solidarietà con la Palestina notoriamente schierato a sinistra e della Rete No War, così come ad altre iniziative simili – in solidarietà con il dittatore libico Gheddafi, prima ancora che con il siriano Assad – hanno preso parte il giornalista Fulvio Grimaldi e la  collega Marinella Correggia, che scrive anche per il Manifesto. Quest’ultima, anzi, è la punta di lancia della propaganda in Italia del regime di Assad, rilanciando le veline del centro di informazione cattolico integralista “Vox clamans”, gestito da suor Mariam Agnès De La Croix, monaca lèfebvriana in ottimi rapporti con i falangisti  libanesi ed i fascisti francesi del Front National di Marine Le Pen. Le veline farneticanti di Marinella Correggia e persino quelle di “Vox clamans” vengono rilanciate come      “informazioni indipendenti” anche da radio e riviste  on line della sinistra, per quanto questo possa apparire inverosimile.Le adesioni alla manifestazione del 16 giugno confermano il quadro della sconfortante deriva raggiunta da settori – minoritari, fortunatamente – della sinistra e del movimento contro la guerra. A leggere le pagine Facebook dedicate all’evento, a Piazza del Popolo dovrebbero esserci – insieme a tanti      camerati entusiasti del nazional-socialista Assad – la sezione milanese della FGCI, un misterioso gruppo “Comunisti Uniti Duepuntozero”, nonché pacifisti a tutto tondo, che hanno tentato (senza successo) di convincere a partecipare anche le associazioni pacifiste riunite nel Forum tenutosi a Roma  la settimana scorsa. Anche l’ex segretario della CGIL in Sicilia, Pietro Ancona, ha assicurato la sua adesione. A ben  guardare, le adesioni esplicite da sinistra sono poche e marginali, ma il dato preoccupante è rappresentato dal fatto che questi personaggi – che, lo ripetiamo e sottolineiamo, non mostrano alcun imbarazzo a marciare insieme alla peggiore feccia fascista – siano tuttora interni ad      organizzazioni, reti e movimenti che dovrebbero avere nell’antifascismo, oltre che nella solidarietà  internazionalista, la propria stella polare. /http://vicinoriente.wordpress.com/   

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