Che la paura cambi di campo!
Lo constatiamo tutti i giorni: la situazione economica si inasprisce. I licenziamenti di massa si susseguono, le chiusure di fabbriche e negozi si contano a decine, i sussidi sociali previsti per comprare la pace dei più poveri si assottigliano. In altri paesi come Grecia, Portogallo e Spagna, la situazione è diventata drammatica, a tal punto che sempre più persone iniziano ormai a provare i morsi della fame.
Di fronte a ciò, il potere non si affievolisce. Al contrario, gli stanziamenti per la repressione e la sicurezza aumentano. Più sbirri, più prigioni, più uniformi, più misure repressive: il potere non è cieco e si prepara all'eventualità di una forte tempesta ora che lo specchio della pace sociale si incrina. Gli scontri che hanno luogo a Bruxelles e a Namur nel corso delle manifestazioni dopo l'annuncio della chiusura di gran parte del complesso siderurgico di Arcelor forse non sono che segnali premonitori.
Ciò detto... il vero e proprio bastione del potere, del sistema sociale di oppressione e sfruttamento, forse non è tanto la sua polizia e la sua capacità di acquisire il consenso di coloro che lo subiscono, quanto la paura, che sembra essere un'alleata temibile del potere, un'alleata difficile da abbattere. Paura di perdere la scarna sicurezza dei mezzi di sussistenza che restano; paura di perdere perfino la triste prospettiva di una vita trascorsa a faticare; paura di perdere quel che c'è, per quanto miserabile sia. Se il coraggio può spostare montagne, la paura ne costituisce di sicuro le principali fondamenta.Ma queste fondamenta non sono immutabili... possono essere d'argilla. Per poco che uno slancio prenda il via, che la dignità si drizzi in piedi, che il desiderio di avventura e di libertà sgorghi finalmente dal profondo della nostra anima mutilata da questo mondo tecnologico, la paura comincia a dissiparsi. Essa può allora cedere il posto a ciò che l'individuo ha di migliore in sé: la lotta e la solidarietà contro tutto ciò che ci opprime.Ma la paura si manifesta anche come un poliziotto nelle nostre teste. Non superare i limiti: manifestare, ma saggiamente, senza eccessi; scioperare, ma senza danneggiare le macchine; attaccare i ranghi degli assassini in uniforme, ma non spaccare le vetrine e le merci che cercano di proteggere; contestare e protestare, ma non pensare ad una rivoluzione.I guardiani di questi limiti non sono solo i politici che mostrano la loro compassione o i media che condannano «qualsiasi atto di violenza», di fatto spesso sono, soprattutto, coloro che pretendono di dirigere i movimenti di lotta, come i capi sindacali, gli specialisti inviati dalla sede centrale per far sì che il loro ruolo di rappresentanti dei lavoratori e di negoziatori col potere capitalista non venga messo in discussione.Per vincere la paura, bisogna attaccare. E attaccare lo Stato e il capitale significa sabotarne le piccole strutture disseminate dappertutto, dai supermercati agli uffici, dalle banche ai ripetitori telefonici, dalle agenzie interinali alle auto di lusso. Distruggere il potere e disfarsi dell'abitudine millenaria di obbedire significa autorganizzarsi, senza gerarchie né capi, per estendere la lotta su tutti i fronti. Erodere la concorrenza e la competizione significa trasformare la solidarietà in arma, riconoscersi nella lotta di un altro, gettare ponti tra i differenti conflitti che mettono in discussione il potere. La tempesta è fatta di ogni goccia di pioggia che cade, è il tuono, è il lampo che illumina il cielo, è il vento che soffia da ogni lato, sono tutti gli elementi della natura che diventano incontrollabili...Affinché la paura cambi di campo, occorre osare spezzare la routine che scandisce la nostra sottomissione. Non è possibile lottare senza mettersi in gioco. Fare un salto nell'ignoto è sempre rischioso, ma la certezza di morire schiavi e sottomessi è semplicemente insopportabile per coloro il cui cuore palpita ancora. Esploriamo perciò le forze che abbiamo in noi, non per salvaguardare quello che c'è, ma per distruggere ciò che ci distrugge.
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