"THE END"

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domenica 28 aprile 2013

Crisi economica: magnifica opportunità


Diciamocelo: noi credenti, in particolare noi cattolici, un po’ strani lo siamo. Cos’altro si potrebbe dire infatti di chi definisce una magnifica opportunità questa crisi economica apparentemente irrisolvibile? Un rompicapo, un paradosso, dove neanche i migliori economisti, che si fregiano di lauree e anni di docenza nelle più prestigiose università di economia, riescono non dico a mettere un po’ d’ordine, ma neanche a far intravvedere un futuro, una uscita dal tunnel. Abbarbicati su grafici, definizioni, correlazioni pseudo-matematiche e molto stocastiche, fra spread, CDO e CDS, sembrano moderni alchimisti che parlano una lingua che nessuno o quasi capisce, ma alla fine non riescono a trovare nessun bandolo della matassa, nessuna soluzione, nessun coniglio fuori dal cilindro.

Questa crisi economica che, a pensarci bene, è tutta un paradosso: con la tecnologia agli apici, nella storia dell’umanità, con i processi industriali e l’automazione a livelli mai visti prima, con i progressi nella scienza, nella medicina, nell’informatica, dovremmo essere nel migliore dei mondi possibili. E invece negozi con scaffali pieni di merci invendute, e contemporaneamente una povertà sempre più dilagante, una disoccupazione sempre più diffusa, destinata ad aumentare ancora. E aziende che chiudono, cessano le partite IVA, e chi ha un lavoro nel pubblico impiego, se solo fino a qualche anno fa si sentiva quasi di serie B, ora se lo tiene ben stretto, felice di appartenere (ancora per quanto?) ad una specie protetta. Per non fare il confronto con i nostri genitori: infatti la generazione che ci ha preceduto riusciva a mettere da parte qualcosa, e a comprare casa con un solo lavoratore per famiglia, qui se non si lavora in due si fatica ad arrivare a fine mese.

Ma noi cristiani siamo quelli del paradosso. Fin dall’inizio, seguaci di un Uno che viene messo a morte con il più infamante dei supplizi, segno di una totale disfatta del progetto di Dio, se letta con i parametri umani. Noi siamo fatti così: possediamo una chiave di lettura diversa. Con quali lenti guardare allora la crisi di questi tempi? Perchè definirla una magnifica opportunità? Certo, se fossimo calvinisti, solo il successo negli affari ci potrebbe confermare l’Amore e la predilezione di Dio per noi: ma non lo siamo, siamo cattolici, ben consci che l’Amore e la predilezione di Dio non hanno risparmiato il supplizio all’amatissimo Figlio ma neanche sofferenze e persecuzione a tanti santi, a riprova che “non sempre” (eufemisticamente) i disegni le aspirazioni e la visione di Dio coincidono con i nostri. Non voglio qui sostenere la tesi che spesso si sente dire: che l’oro si tempra col fuoco, e che la sofferenza è un segno evidente di predilezione (Dio corregge chi ama): credo invece che questa crisi sia una vera e propria opportunità di cambiamento, di risveglio, di presa di coscienza che stanno diventando ormai improcrastinabili.


John Perkins, autore del famoso “Confessioni di un sicario dell’economia”, chiese ad una conferenza: “quale fatto grave successe l’11 settembre 2001?” e il pubblico, ovviamente, rispose che c’era stato l’attacco alle torri gemelle, quello che causò la morte di quasi 3.000 persone all’interno delle twin towers. Allora lui insistette: “No, qualcosa di molto più grave!”. E di fronte alla titubanza del pubblico, disse: “L’11 Settembre 2001 sono morte 30.000 persone di fame, nel mondo. E anche il 12, il 13, il 14 settembre.. insomma, ogni giorno dell’anno.”. Touchè.

È evidente che troppo spesso ci concentriamo sui nostri problemi, piccoli, contingenti, a volte passeggeri, e non riusciamo ad innalzare lo sguardo. Come possiamo preoccuparci della crisi di un sistema economico che permette (anzi costringe) che 30.000 persone muoiano ogni giorno per la fame? Che gli stati, soprattutto quelli del terzo mondo ma non solo, siano sopraffatti da debiti impagabili sempre maggiori, e le tasse che si pagano vadano quasi esclusivamente pagare gli interessi su questi debiti? Dobbiamo proprio disperarci, e combattere per mantenere lo status quo, lottare per non far morire un sistema che si fregia delle proprie conquiste tecnologiche, ma non sa come smettere di sporcare e inquinare il pianeta, e lascerà in eredità ai propri figli un modo più sporco, più inquinato, più velenoso? Come possiamo insomma farci portabandiera di questo sistema ed essere preoccupati se questo modello di società è in crisi?

Forse, a forza di guardare nel nostro piccolo orticello, in cerca di qualche verme da mangiare, abbiamo dimenticato le sconfinate praterie del cielo che Dio ci ha destinato, come l’aquila di De Mello che si era convinta di essere un pollo?

Ecco allora, nell’infinita intelligenza di Dio, una opportunità magnifica: una sberla, una secchiata d’acqua fredda in faccia, qualcosa che, insomma, anche a costo di farci un po’ male (San Paolo sulla via di Damasco era rimasto cieco, mica una robetta da niente… però quanto avrà benedetto e ringraziato, col senno di poi, per quello schiaffo?) ci riporti a ripensare alla nostra vita, alle nostre priorità, ai valori veri. E a riscoprire la solidarietà, tanto per cominciare; e passando di atto in atto, di piccolo gesto in piccolo gesto, a rigettare le basi per una società basata sulla condivisione al posto della competizione; sulla collaborazione piuttosto che sulla divisione; sulla compassione per gli altri piuttosto che l’attenzione per sè stessi.

Perchè, in fin dei conti, la vera scoperta che dobbiamo fare, è che siamo tutti uno, e non esiste il bene individuale: il bene o è condiviso, comune, universale, o, semplicemente, non è.

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