"THE END"

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lunedì 30 luglio 2012

Le Olimpiadi di Londra. Che cosa ci dicono, in realtà?




di Sergio Di Cori Modigliani

Olimpiadi olimpiadi. Non si può non parlarne.
E’necessario farlo.
Non perché il medico lo ordini, quanto piuttosto per il fatto che l’evento viene seguito da 4 miliardi di persone nel mondo. Tenendo presente che del restante 3 miliardi, almeno 1,5 non ha neppure l’elettricità e la maggior parte del proprio tempo è, purtroppo per loro, ancora investita alla ricerca di un pozzo d’acqua o di qualche radice commestibile, il dato statistico che ne viene fuori indica un interesse nell’ordine del 75%. Si tratta quindi di un record assoluto registrato sul pianeta Terra dall’inizio della civiltà. Mai tutte le etnie, culture così diverse, religioni così distanti, e popoli attualmente in guerra tra di loro, sono stati attirati e magnetizzati dallo stesso tipo di evento.
Partire dal presupposto che il 75% dell’umanità sia composta da idioti manipolabili, mi sembra davvero troppo, anche per uno snob come me. C’è un limite al narcisismo collettivo ...
Quindi, se non altro per curiosità antropologica, può essere interessante confrontare le diverse idee che si hanno su tale kermesse sportivo- mediatica.
Chi sostiene “a me non me ne importa nulla” vuol dire che sceglie di non occuparsi dell’umanità. Penso che sia più utile, invece, cercare di capire questo fenomeno, ma soprattutto che cosa ci dice.
Perché avviene a Londra.
Se fosse stato a Bogotà, Nairobi o Bucarest sarebbe stato completamente diverso.
Perché Londra è la capitale dell’Impero Britannico, e –oggi più che mai- in tempi post-moderni, si va situazionando sempre di più come l’unico vero impero del pianeta, con la differenza rispetto a un tempo (tipo 60 anni fa, 100 anni fa e via dicendo) che consiste nel fatto di non essere “ufficiale”, a differenza di quanto è stata l’Urss quando esisteva, gli Usa dal 15 agosto del 1945 fino all’agosto del 2011, il Giappone fino al 1945, e “l’attuale impero finto della Cina” clamoroso falso inventato dalla perversione (ingenua e superficiale) degli Usa, ormai declinanti, con l’appoggio dei britannici. Se un mattino la finanza inglese ricevesse un perentorio ordine da parte dalla corona, in pieno accordo con le 1000 famiglie che contano in Inghilterra, del tipo “staccate la spina alla Cina” l’economia cinese crolla in dieci settimane con un tonfo secco. Se lo fa la Cina, affondano gli Usa, l’Europa scompare dentro il mar mediterraneo e dalle coste nord-africane la vacanza sarà quella di andare in barca in Inghilterra che sarà sopravissuta all’impatto.
Può essere considerata una notizia rassicurante e gradevole; oppure può essere considerata una notizia tragica e terribile, positiva, neutra o negativa. Dipende dai punti di vista. Ma il fatto resta. I dati, pure. Anche le cifre. E i simboli. E’ molto chiaro.
L’impero britannico c’è, esiste, impera. Ma non si vede. E’ Invisibile. Non è mai declinato (in quanto impero) negli ultimi 200 anni. Passa da una crisi all’altra come accade a tutti gli imperi, non ha mai perso una guerra in tutta la sua storia, non è mai stato invaso dai nemici negli ultimi 2000 anni, ed è saldamente al comando, in quanto leader, nei settori propulsivi delle attività umane sociali: finanza, economia, cultura, media. Soprattutto “il simbolico”: è nelle loro mani. Ma sono “invisibili”. E poiché viviamo dentro una Guerra Invisibile, capire che cosa accade in un Impero Invisibile mi sembra interessante. Basterebbe un unico dato per dimostrare l’esistenza attuale dell’Impero in Europa. Il 15 ottobre del 2011, il mondo economico-finanziario-politico inglese che conta, ha deciso che essendo gli italiani il solito popolo di bèceri rincretiniti, dovevano pensarci loro a mandare a casa Silvio Berlusconi. Gli italiani non ne avevano il coraggio. Qualche telefonatina e l’ordine di scuderia pubblicato (in impeccabile stile massonico tradizionale) sulla copertina del Financial Times “Nel nome di Dio, vattene”. La Germania, imbufalita per questa manifestazione imperiale che mostrava chi davvero in Europa conta per davvero –quando si arriva alla resa dei conti- è stata costretta a inventare la bufala della Merkel che dava ordini a Napolitano con la telefonata famosa da loro inventata per poter poi negare di averla mai fatta; ma intanto, nella comunicazione subliminare del popolo italiano che non vuole ragionare, passava l’idea che era la Germania a dare ordini. Non è così. L’Italia è una nazione medioevale che non conta nulla per propria incapacità di essere adulta e per propria scelta cinica, suicida e piccolo-borghese, da vera Italietta; quindi segue sempre l’onda e accetta sempre i diktat del più forte, segue sempre il vincitore, rimanendo indifferente (altrimenti non sarebbe cinica) rispetto a chi sia il vincitore: tedeschi, inglesi, americani, russi. Per gli italiani è uguale, così si dà sempre la colpa a qualche altro delle proprie nefandezze really made in Italy; per questo siamo medioevali. Per la classe politica italiana (e per il popolo) è irrilevante chi dà ordini, basta che sia vincente. Come sosteneva il compianto Enzo Biagi sintetizzando la vera natura del popolo italiano “Viva ‘o re de Spagna, evviva ‘o re de Franza, purchè se magna”. Se Berlusconi avesse definito la regina Elisabetta usando le stesse parole offensive usate nei riguardi della Merkel, a quest’ora lo spread italiano dei bpt sarebbe a 3000 e noi saremmo stati buttati fuori, forse, anche dall’Onu, commissariati militarmente dalla Nato. Per idiozia congènita. Ma Berlusconi non è stupido. 


Nessuno oserebbe farlo, quantomeno in Europa.
Comprendo le ragioni (tutte da sottoscrivere) di chi sostiene che è ignobile la gestione pubblicitaria nel settore alimentare della Mac Donald’s che lucra vendendo schifezze che avvelenano il corpo e lo spirito; che si tratta di una bieca speculazione edilizia; che con la cifra spesa si sarebbe potuto risolvere gran parte dei problemi attuali della crisi alimentare e di sopravvivenza in Africa. E’ tutto vero. Bisognava muoversi un anno fa, allestire un network planetario di consapevolezza per boicottarle. Non è stato possibile farlo. C’è stata un'unica persona che ci ha provato, e non ha fatto una bella fine. Era il colonnello Gheddafi. Certamente non l’hanno fatto fuori per questo. Diciamo, però, “anche” per questo. Un’olimpiade senza 24 nazioni africane che pubblicamente all’Onu dichiaravano il perché non partecipavano e accettavano di venire espulsi da ogni federazione internazionale sportiva per sempre, sarebbe stato un caso geo-politico dirompente.
A me interessano due aspetti politici, dell’intera vicenda. E uno, è fondamentale per il destino di noi europei. Perché riguarda l’assetto del sistema bancario europeo dal prossimo autunno. Perché nel mese successivo a questa olimpiade, l’Impero Britannico deciderà se intende innamorarsi “ufficialmente” di nuovo di John Maynard Keynes, oppure proseguire nella disastrosa, nonché criminale, applicazione dei dettami teorici di Milton Friedman. Personalmente tendo all’ottimismo. La cerimonia d’inizio me lo ha confermato. E siamo in molti a leggerla come una splendida notizia.

1). Essendo una nazione medioevale di mitòmani, inevitabilmente siamo portati a leggere, vedere, guardare e giudicare, proiettando la nostra idea di noi stessi nel mondo. Essendo privi di una consapevolezza collettiva e ormai deprivati di ogni forma di Cultura condivisa, pensiamo di appartenere al ristretto nòvero di nazioni ricche, evolute, che praticano il rispetto dei diritti civili, ecc. E’ una illusione. Se parlate con un danese, un olandese, uno svedese o un portoghese, si meravigliano del fatto che ci consideriamo ancora democratici. Un po’ acciaccati, con qualche cerotto, ma fieri, bravissimi, pur sempre una grande nazione democratica: così gli italiani immaginano di essere Non è così, purtroppo, e noi che viviamo scontrandoci ogni giorno con vassalli, valvassori e valvassini, sappiamo la differenza tra l’immagine esterna della nazione Italia e ciò che la nazione Italia è sul serio. Esistono altre nazioni, invece, ben più disastrate, povere, dissestate e in crisi, di quanto non lo sia l’Italia. Queste nazioni, vivono la propria realtà con consapevolezza, e vedere una società davvero multi-etnica, venire a sapere che la Gran Bretagna è stato il primo paese al mondo a lanciare il servizio sanitario pubblico nazionale, nel febbraio del 1948, ha comportato delle sorprese con immediati interrogativi che hanno aperto dibattiti molto interessanti in sede politica in diverse nazioni del mondo (soprattutto, ad es. Venezuela, Ecuador, Perù, Sudafrica, NuovaZelanda). In tutto il Sudamerica, la lunghissima figurazione relativa alla celebrazione del lancio del National Health System keynesiano ha sollevato curiosità e interrogativi. E le risposte sono arrivate subito dagli storici e da chi segue la politica. Cioè, hanno spiegato che è vero, era così, ma che quel sistema di welfare sanitario hanno iniziato a prenderlo a picconate con Margaret Thatcher nel 1982, e l’hanno definitivamente scardinato con David Cameron, spingendo la democratica Gran Bretagna in un pantano sociale regressivo che l’ha portata (ufficialmente dal 27 luglio 2012) in piena recessione. In teoria, quindi, si tratterebbe di un clamoroso autogoal; soltanto una società di cretini presenta come proprio fiore all’occhiello qualcosa che non esiste più, che loro hanno inventato e loro hanno distrutto, perché il messaggio che arriva è “avete visto come siamo stati idioti? Avevamo aperto la strada e poi abbiamo sbaraccato tutto, oggi non esiste più, in verità noi siamo una cultura auto-distruttiva”. Ma allora, secondo voi, come mai gli inglesi hanno avuto questa pensata così stupida, così autolesionistica? Secondo voi, non gli è venuto in mente? Certamente, e la risposta ci avvicina al punto 2. Ne hanno parlato e discusso per quasi un anno, in Gran Bretagna, di queste figurazioni, per il loro impatto sociale, le alternative erano varie e distinte. Cameron ha fatto di tutto perché questa figurazione non ci fosse. Ci sono state discussioni, zuffe politiche, scontri, dibattiti. Perché nel 2010 era stato deciso che sarebbero state le “olimpiadi del sociale” ma a settembre del 2011 la situazione era molto diversa. A ottobre del 2010 Cameron aveva il 56% di gradimento e nel marzo del 2012 era sceso al 38% con i laburisti al 60%. Quando hanno proposto alla regina di fare l’attrice come Bond girl, Elisabetta l’ha trovato divertente, why not? Si è fatta spiegare tutto il programma, compresa la zuffa sulle figurazioni sociali. Nessuno ha chiesto la sua opinione, ma lei l’ha data lo stesso.: quite appropriate. Perché è irritata da questo Cameron, le cose si stanno mettendo di nuovo come con Tony Blair nel 2008 quando lo odiavano tutti per essersi imbarcato appresso a Bush in Iraq. Per la corona inglese, che al potere ci siano i conservatori o i laburisti è irrilevante: sono una etnia pragmatica, non sono come noi. Gli imperi sono sempre pragmatici. E in Gran Bretagna più di una fonte autorevole (in campo conservatore) comincia a spiegare che “questa austerity è pericolosa”. E’ stata bocciata perfino da Margaret Thatcher, intervistata quattro mesi fa. Il che è davvero tutto dire. Questa olimpiade, nel 2005, divenne fondamentale per la corona inglese. Gli indici e i sondaggi erano impietosi. L’Impero aveva bisogno di ritrovare se stesso, ritrovando l’idea di essere un punto di riferimento di progresso e di avanzamento per l’intera civiltà occidentale. L’olimpiade poteva essere una occasione fondamentale. Doveva esserlo. Come ha detto in una serata culturale alla BBC (in Italia non esistono neppure sulla carta, non c’è trasmissione simile nel palinsesto rai) Noam Chomsky, facendo rabbrividire dalla vergogna gli orgogliosi britannici, tre mesi fa, presentando il suo ultimo libro ”ma voi siete davvero convinti di essere tanto diversi dai cinesi? Avete abdicato e rinunciato a qualsivoglia ruolo propulsivo. Praticamente prendete ordini da finanzieri schiavisti che stanno strozzando l’Asia, e il mondo va veloce, oggi. Arriveranno presto anche qui. Noi anglo-americani passeremo alla storia come la generazione che ha distrutto tutto ciò che avevamo costruito in 300 anni. Ho detto noi, perché siamo sulla stessa barca”. Gli inglesi hanno cominciato ad interrogarsi. E anche il resto del mondo. Molte nazioni del mondo in cui le donne soffrono un ruolo subalterno atroce, si sono interrogate, nuovi input sono arrivati, inèdite immagini (per loro) possono far scattare degli interrogativi, provocare un meccanismo di emulazione sociale, perché le donne mussulmane arabo-saudite, nel vedere l’allegria libera e caciarona delle atlete turche (davvero tantissime) –e la Turchia è una nazione ufficialmente mussulmana- possono pensare che allora è possibile anche all’interno di una società mussulmana trovare un nuovo spazio dove essere riconosciute come soggetti attivi alla pari. L’impero britannico si è mostrato ancora vivo e saldo perché ha dimostrato di essere l’unica cultura sul pianeta ad avere il controllo della diffusione di modelli pop che costruiscono l’immaginario collettivo, primi fra tutti la musica per il pubblico giovane e la rete. Non a caso ha inteso celebrare l’artista-scienziato che ha inventato e costruito il web nel 1989, senza dubbio lo strumento democratico più libero ed evoluto che sia mai stato offerto alle masse, mettendolo a loro disposizione in forma gratuita. E’ stata anche fornita una prova dei progressi sociali realizzati fin qui, perché la delusione dell’attualità non può e non deve far dimenticare da dove veniamo tutti, prima di ogni altro gli Usa e la Gran Bretagna, due società che 60 anni fa erano impietosamente razziste, conservatrici e chiuse, misogine, riottose al nuovo. La squadra Usa è stata celebrata in California (stato che fornisce molti atleti) come la prima nazione al mondo in cui il numero delle atlete di sesso femminile supera quello dei maschi, il 56 contro il 44%. Lo sport può sempre essere un’ottima palestra per combattere per i diritti civili del progresso. Nel 1948, nel corso della precedente olimpiade londinese, il New York Times pubblicava ogni giorno un commento alle gare oltreoceano. Non c’era ancora la televisione, la radio non funzionava così a distanza, non esisteva la rete. C’era soltanto il cartaceo. Il giorno dopo la finale dei 100 metri piani, il prestigioso giornale pubblicava un entusiasta articolo lungo quattro colonne nel quale raccontava l’impresa di un atleta americano del Maine che si era classificato quinto battendo anche forti concorrenti russi, tedeschi, inglesi. Alla fine del lungo reportage c’erano due righe, dedicate alla notizia che la medaglia d’oro l’aveva vinta un altro statunitense. Il fatto è che era nero, mentre il quinto proveniva da una famiglia molto ricca della finanza, di pelle bianca. Successivi articoli pubblicati negli anni successivi da intellettuali e artisti diedero inizio a un dibattito e confronto acceso proprio da questo evento. Indimenticabile quello di William Styron, superbo romanziere, bianco progressista libertario del profondo sud che descriveva la narrazione esistenziale dell’atleta nero che sulla nave che andava in Gran Bretagna era stato messo in terza classe, da solo, con il suo allenatore personale, mentre gli altri viaggiavano in prima. Nel viaggio di ritorno, il discobolo che aveva vinto l’argento, offrì la propria suite al connazionale nero e volle andare lui in terza classe, in aperto disprezzo di quelle convinzioni. Un’olimpiade è anche questo. Deve essere questo. L’Italia conferma il proprio essere medioevale nella incapacità professionale dei propri corrispondenti nel fare il proprio lavoro, parlano solo di idiozie prive di Senso, grafici, tempi, record, ecc. Se i media fossero stati attenti e presenti nel 2004 nel decifrare e captare i segnali simbolici forniti dall’olimpiade di Atene, forse si sarebbe cominciato a parlare allora della crisi finanziara e dell’imperialismo tedesco in Europa. In Australia lo fecero, elogiando se stessi per avere sfruttato l’occasione dell’olimpiade 2000 a Sidney che consentì di lanciare un gigantesco piano di investimenti pubblici di carattere sociale che hanno risolto molti problemi sociali rallegrando l’intera collettività. Allora, in tutta l’Oceania uscirono diversi articoli dal titolo “a noi ci ha arricchito, alla Grecia l’impoverirà”. Era un segnale, un sintomo, nessuno ne parlò (in Europa). I media italiani hanno taciuto sull’olimpiade di Pechino nel 2008, neppure un rigo su ciò che accadde sei mesi prima e la notte dell’inaugurazione a Los Angeles. Steven Spielberg che fino al novembre del 2007 era il direttore artistico della manifestazione, si era dimesso con una conferenza stampa (disertata dai media mainstream) per protesta contro la presenza cinese nel Darfur, sostenendo che i cinesi stavano massacrando milioni di innocenti per impossessarsi delle loro risorse energetiche. Dichiarò che non intendeva essere complice del “nuovo olocausto annunciato dei popoli africani” e si dimise proponendo il boicottaggio politico della olimpiade. I tecnocrati planetari gli saltarono addosso e da allora la sua stella marketing si è offuscata. La notte dell’apertura dei giochi (eravamo in piena campagna elettorale americana e la finanza cinese sosteneva i repubblicani) molti artisti, intellettuali, vecchie stelle dello sport, accademici, divi famosi, organizzarono una serata a Los Angeles, una grande cena di beneficenza al costo di 10.000 dollari a biglietto. Era organizzata da Richard Gere, Susan Sarandon, Michael Douglas, Warren Beatty, Sarah Jessica Parker, Tim Burton, Michael Moore, Steven Spielberg, Steven Soderbergh, gli accademici Noam Chomsky, l’economista Christina Rohmer,e tanti altri, sui diritti civili e sulle modalità di affrontare le tematiche nel mondo mediatico-globalizzato. Era un’idea movimentista di alternativa ai giochi olimpici. Raccolsero circa 10 milioni di dollari che non diedero in beneficenza a pioggia, ma costituirono un fondo che servì a finanziare imprese agricole locali nel sud della California, a carattere biologico eco-sostenibile, che diede lavoro a migliaia di emigrati poveri messicani. Oggi, più di un sociologo americano individua, in quelle modalità di pretta marca hollywoodiana, il primo germe che produrrà nel settembre del 2011 la nascita ufficiale di “occupy wall street” e la diffusione di un sistema socio-politico anti-cinese in tutto il continente sudamericano, con una forte spinta anti-tecnocratica, sintetizzato dallo slogan governativo argentino “siamo orgogliosi di essere la prima nazione al mondo che non importa nulla dalla Cina, e che in Cina non produce, perché noi non alimentiamo la diffusione dello schiavismo nel mondo”. Ma in California, a New York, a Rio de Janeiro, a Buenos Aires, a Auckland, a La Paz, a Canberra, nel 2008 c’era una classe intellettuale sveglia, attiva, partecipe. Sapevano ciò che stava accadendo. L’hanno detto. Non così in Europa, non così in Italia. In questi giorni, nessuno in Italia “legge” le olimpiadi andando a sondare e dibattere sugli spunti, ricchi e tanti, che un’olimpiade offre. Se uno vuole saper leggere, si intende.

Il punto 2. Il costo dell’olimpiade inglese si aggira sui 12 miliardi di euro che graverà sullo stato. Avviene nel momento in cui la Gran Bretagna si trova ad affrontare la peggiore crisi economica dal 1948 a oggi, in piena recessione, ala vigilia di potenziali, quanto esplosivi, conflitti sociali, che diversi sociologi prevedono potrebbero far scatenare delle impressionanti violenze incontrollabili. La città di Londra si avvia (a olimpiadi concluse) verso una sua metamorfosi urbana gestita da un pool di grandi finanzieri legati alla oligarchia internazionale legata al Qatar, ai grossi proprietari immobiliari di derivazione conservatrice britannica e all’ingresso di capitali provenienti da miliardari russi accolti a braccia aperte nel regno unito. Interi quartieri verranno sventrati, migliaia e migliaia di famiglie verranno sfrattate contro la loro volontà, abbandonate al loro destino. Il tutto sembra uscito dalla fantasia di Charles Dickens nel descrivere la condizione esistenziale dei britannici all’inizio della rivoluzione industriale. E’ il grande sogno della spietata oligarchia cannibalica che intravede in queste olimpiadi una opportunità di realizzare guadagni impensabili. Tutto ciò, sulla carta, Tutto ciò fino allo scorso inverno. Ma negli ultimi tre mesi, in Gran Bretagna ha cominciato a diffondersi il dibattito sul “costo sociale e umano” di tale operazione, e lo schieramento non è tra conservatori al governo e laburisti all’opposizione. Nient’affatto. E’ trasversale. Perchè gli inglesi sono pragmatici. E i conti non tornano. Perché i sondaggi rivelano che mai è stato così forte il disadoro della popolazione nell’aver identificato la corona come un ufficio di gestione di affari e niente più di questo. E per l’immagine che l’impero ha di sé stesso è un dato allarmante. E i keynesiani cominciano a fremere. E la loro opinione comincia, di nuovo, a essere ascoltata e non più soltanto sul Guardian o nei raduni antagonisti, ma ben dentro i circoli accademici, politici, finanziari che contano. Addirittura dentro il ristretto circolo aristocratico di Elisabetta, il principe Charles e pochi altri. C’è un certo subbuglio, e non da poco. C’è una gran voglia di rimescolare le carte e Cameron dovrà dimostrare che l’impresa urbanistico-speculativao-olimpionica veramente vale la pena, nel senso che contribuirà a ridurre il dato negativo del pil. Dovrà provarlo inventandosi una idea (vera e autentica e originale, non retorica) che consenta il varo di ammortizzatori sociali applicabili immediatamente. La finanza britannica non è più tanto sicura che si sia trattato di un’operazione conveniente, questa olimpiade, e temono che possa scattare “l’effetto Grecia 2004” e si stanno muovendo. Quotidianamente aumentano in parlamento le interrogazioni di giovani deputati su questa vicenda, di tutte le fazioni. E gli estratti parlamentari rivelano che il tabù (cioè il solo nome di Keynes) è stato abbattuto e l’eredità del grande economista britannico sembra diffondersi in maniera imprevista: ha raggiunto un livello di citazioni come non si ascoltava in parlamento dal 1955. Cameron viene ormai identificato sempre di più come una pallida comparsa a fianco della Merkel. Ai britannici non piace. E così muovono le loro “pedine simboliche”. Il primo atto, clamoroso e unico nel suo genere, è avvenuto giovedì scorso. Va da sé sottaciuto e censurato da tutti i media nazionali dell’Italietta (ma non in giro per il mondo). Il presidente della Bce, Mario Draghi, ha compiuto un atto formale che alcuni giuristi rigorosi europei arrivano addirittura al punto di sostenere che potrebbe aprire un “caso Draghi”. In Italia è stato scambiato il signiificante per il significato, alterando la notizia, cioè è stata presentata “l’informazione” come se la notizia fosse “ciò che Draghi ha detto”. Non era quella. Ha detto le stesse identiche cose che ha detto altre quattro volte. La vera notizia era un'altra, “dove” l’ha detto. E’ formalmente scandaloso che il presidente della BCE faccia una dichiarazione così importante non nella sua sede a Bruxelles, bensì all’interno di un club privato, in una città la cui moneta non fa parte dell’euro, in una riunione ristretta che non aveva ufficialità, tant’è vero che non esistono comunicati, scritti, neppure riprese televisive. Hanno fatto vedere soltanto un riquadro (analizzato da bloggers esperti in prossemica) da cui si ricava che il luogo era molto piccolo; hanno fatto vedere per cinque secondi un signore anonimo in maniche di camicia seduto su una poltroncina, e nessun altro (uno dei più potenti finanzieri della terra). Draghi ha parlato, le borse tutte su e lo spread giù. Perché questa volta sì, le altre no? “Perché l’ha detto dal cuore della finanza britannica” e non da Bruxelles “che conta molto di meno” questa è la notizia, fondamentale per comprendere come si muovono le truppe al fronte della Guerra Invisibile.
Immediata (va da sé) la reazione della Bundesbank: ha protestato la dichiarazione di Draghi non considerandola valida, inevitabilmente smentita della Merkel che non poteva rischiare un incidente diplomatico interno all’euro, pena il rischio default di Spagna e Italia. I tedeschi, quindi, hanno incassato il colpo simbolico ben assestato. La notizia politica (così viene presentata nei circoli finanziari occidentali fuori dall’euro) sta nell’idea che “nei momenti decisivi finanziari, ciò che conta è ciò che si decide a Londra che batte moneta sovrana in Europa, tant’è vero che Draghi deve venire a parlare in Inghilterra per avere una reazione positiva, altrimenti i mercati se ne fregano”. Che cosa si sono detti in quella riunione? Nessuno lo sa. O meglio, non è pubblico. Ma ciò che conta è il simbolico. L’Impero Britannico ha chiarito che i conti senza l’oste non si possono fare. Perché in Gran Bretagna il vento sta cambiando. Loro sono arrivati alla frutta, molto peggio dell’Italia. Non essendo piagnoni e mitòmani come gli italiani, non fanno proclami, ma è così. L’Impero Britannico sa che si gioca tutte le sue ultime carte per recuperare lo smalto sperduto e la corona sa benissimo che David Cameron non ha le palle di Winston Churchill. L’Inghilterra non ha l’arroganza dei francesi, che pensano di poterla far franca sottraendosi alla piovra tedesca. Gli angli sanno che se la lex teutonica si impone in Europa definitivamente, toccherà poi a loro. E’ già accaduto nel 1940. Ma soprattutto avranno perso per sempre la loro supremazia. E loro ragionano in termini imperiali, a differenza degli statunitensi che si comportano da imperialisti ragionando da businessmen, il che è tutta un’altra cosa.
E in Europa, John Maynard Keynes è di nuovo una forte icona pop, è come i Beatles.
Milton Friedman no.
Gli inglesi (e la corona) tutto ciò lo sanno benissimo.
Lo sanno anche i tedeschi, è per questo che la Bundesbank ha protestato Mario Draghi.
Davvero bravissime le nostre fiorettiste, splendidi i nostri arcieri.
Loro sì che hanno una buona mira, a differenza della nostra classe politica dirigente, la quale, è più che probabile, di tutto ciò non avrà capito un bel niente..

Pubblicato da sergiodicorimodigliani
http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it

1 commento:

Anonimo ha detto...

God kill the Queen

LKWTHIN

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