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martedì 23 luglio 2013

Fracking, l’allarme degli scienziati: “Provoca terremoti superiori al quinto grado”

 Su Science tre articoli di geologi americani dimostrano una correlazione tra le attività di fracking per l’estrazione del gas naturale e sismi avvenuti in prossimità delle trivellazioni.

di Roberto Paura


C’è un rapporto diretto tra le attività di estrazione di gas naturale attraverso la fratturazione idraulica, o fracking, e alcuni terremoti. Un dubbio che ha prodotto parecchie preoccupazioni negli ultimi anni sembra ora trovare una conferma ufficiale, come dimostrano tre articoli pubblicati sulla rivista Science. Non solo: anche se il fracking sembra essere responsabile di sismi di bassa intensità, fino al 3°, non tali dunque da provocare danni a cose o persone, la tecnica di iniezione delle acque reflue nel sottosuolo – associata al fracking o anche a tecniche per la geotermia – possono produrre terremoti anche superiori al 5°. Senza contare che i terreni sottoposti a queste tecniche possono risultare più sensibili alle conseguenze di violenti terremoti in altre parti del mondo, le cui onde sismiche potrebbero produrre contraccolpi disastrosi.

Terremoti sospetti
Il 6 novembre 2011 un terremoto di 5,7° Richter colpì l’Oklahoma danneggiando 14 edifici e ferendo due persone. Secondo lo studio di William Ellsworth, sismologo all’US Geological Survey, quel terremoto fu causato da un vicino impianto di iniezione di acqua ad alta pressione nel sottosuolo. Secondo il sismologo, i dati non lasciano dubbi: in dieci anni appena, il numero di terremoti più forti del 3° grado nelle aree centrali e orientali degli Stati Uniti sono quasi decuplicati, passando da una media di 21 all’anno nel 2000 a un massimo di 188 nel 2011. Un aumento che non può essere spiegato adducendo cause naturali. Gli Stati Uniti hanno infatti avviato, negli ultimi dieci-quindici anni, una vasta campagna di trivellazioni per l’estrazione di shale gas.

Il gas di scisto, più comunemente noto come gas naturale, è abbondantissimo negli USA, ma per estrarlo è necessario pompare in profondità enormi quantità di acqua ad altissima pressione in grado di rompere gli strati geologici dove il gas è intrappolato, così da permetterne poi la rapida risalita in superficie. Al di là dei pericoli già noti di una contaminazione delle falde acquifere del sottosuolo, da diverso tempo si sostiene che il fracking possa provocare anche terremoti. Un altro dei tre studi pubblicati su Science rivela che almeno la metà dei terremoti di intensità pari o maggiore ai 4,5° avvenuti negli Stati Uniti negli ultimi dieci anni hanno interessato aree limitrofe ai siti di iniezione delle acque.


I rischi della geotermia
Un terzo studio, a opera di due ricercatori dell’Università della California a Santa Cruz, ha preso in considerazione la sismicità prodotta dagli impianti geotermici. Analizzando l’area intorno al Salton Sea Geothermal Field, una centrale di produzione geotermica sul lago Salton, in California, i ricercatori hanno concluso che la pratica di iniettare acqua in profondità per favorire l’estrazione di energia geotermica produce terremoti e che il loro numero e la loro intensità si riduce proporzionalmente alla riduzione del volume di fluido iniettato o estratto. Ciò pone un problema anche per l’Italia. Se infatti il fracking non è una tecnica utilizzata nel nostro paese (nonostante all’indomani del terremoto in Emilia del 2012 si sia letto diversamente), le centrali geotermiche ci sono. Una preoccupazione potrebbe inoltre emergere per l’attuale Campi Flegrei Deep Drill Project, che dopo un’innocua prospezione geologica del supervulcano dei Campi Flegrei, a Napoli, ipotizza in futuro una centrale geotermica. Si dovrà attentamente valutare, alla luce dei nuovi studi, se andare a interferire con la strutture geologica del supervulcano ancora attivo non possa produrre conseguenze catastrofiche.

“Dobbiamo riuscire a studiare più a fondo questi fenomeni per essere in grado di informare gli operatori sulla quantità di acqua che è possibile aspirare o iniettare in sicurezza”, spiega Emily Brodsky, autrice di uno degli studi. La preoccupazione è infatti ora legata a quel che ancora non sappiamo di questi fenomeni. Il timore è che l’indebolimento del sottosuolo e la pressione esercitata sulle faglie possano attivare terremoti di intensità maggiore associati con supersismi in altre parti del mondo. I terremoti in Cile del 2010, in Giappone nel 2011 e a Sumatra nel 2012 hanno avuto ripercussioni negli Stati Uniti: le onde sismiche prodotte hanno infatti fatto tremare con maggiore intensità le aree interessate da fracking o da centrali geotermiche. Nulla impedisce che in futuro si possano scatenare terremoti anche del 6° o superiori, o attivare faglie attualmente dormienti.

Sono rischi troppo grossi per non prenderli nella dovuta considerazione. Il principio di precauzione impone che, di fronte a queste valutazioni, le attività considerate pericolose vengano interrotte. La Francia ha già da qualche anno approvato una moratoria sul fracking. Gli Stati Uniti, che sull’estrazione dello shale gas puntano per riuscire entro il 2020 a raggiungere l’indipendenza energetica dall’estero, stanno invece incrementando i loro impianti di estrazione. Anche se nella maggior parte dei casi i sismi prodotti non sono tali da creare serie preoccupazioni, l’insistenza delle tecniche di fracking e di iniezione delle acque reflue in California, caratterizzata dalla pericolosissima faglia di Sant’Andrea, dovrebbe convincere il governo locale e quello nazionale a prendere le dovute precauzioni, almeno finché la scienza non saprà valutare con precisione la realtà entità del pericolo.

Fonte:
http://www.altrogiornale.org/news.php?item.8696.7

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