"THE END"

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venerdì 21 giugno 2013

Non c’è il lavoro, non ci sono i soldi. Ma sarà vero?


Iniziamo con un paio di ragionamenti – ultra semplificati – sull’immigrazione per arrivare ad una questione che riguarda tutti.
Com’è noto, ci sono due modi di affrontare la questione dell’immigrazione. Il primo, seguito finora, è quello di trattare gli immigrati come potenziali delinquenti (legge Bossi-Fini), ostacolandone l’inserimento regolare nella società, costringendoli alla clandestinità e regalandoli come manovalanza alla criminalità organizzata. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Il secondo è quello che fa perno sulla pratica dell’integrazione e (ciò che non guasta) della solidarietà. E cioè assicurare pari diritti e doveri degli immigrati rispetto agli italiani in modo da permetterne l’inserimento regolare nella società e nel mercato del lavoro e quindi anche la possibilità di avere una casa e una vita dignitosa. Usando così preziose risorse umane per lo sviluppo e l’arricchimento di tutta la società.
Casa e lavoro? Già sento gli schiamazzi sull’invasione, sulla perdita dell’identità nazionale, sull’islamizzazione. E anche i ragionamenti, apparentemente di buon senso, sui soldi e sul lavoro che non ci sono neanche per gli italiani.
Lasciando gli xenofobi di ogni variante, da quelli in tuta mimetica a quelli in doppio petto, ai loro fantasmi di purezza italica, vediamo invece i ragionamenti di chi in buona fede parla di soldi e di lavoro che non ci sono.
Primo: il lavoro non c’è. Neanche per gli italiani, figuriamoci per gli immigrati. Falso. Il lavoro ci sarebbe per tutti se solo si cambiassero le scelte politiche. Pensiamo solo a quanti posti di lavoro, e per giunta socialmente utili, si creerebbero nella manutenzione del territorio che frana ad ogni acquazzone o nella ristrutturazione delle scuole pubbliche che cadono a pezzi o nel campo della cultura (il degrado di Pompei, un esempio per tutti) di cui l’Italia è capitale mondiale. Per limitare il discorso al solo dato economico, e cioè senza contare le perdite di vite umane, meno frane e inondazioni significano un grandissimo risparmio per la collettività, e la cura e qualificazione del nostro patrimonio paesaggistico e dei nostri immensi giacimenti culturali porterebbero ad un positivo aumento del turismo estero. (nota: ... a meno che non faccia molto comodo che vi siano frane e alluvioni!)

 Non ci vuole una laurea in economia per capirlo. Come esempio eclatante dell’ignoranza e dell’incompetenza dei nostri governanti resterà nella storia la famigerata frase dell’ex ministro Tremonti che ebbe a dire che con la cultura non si mangia.
Secondo: i soldi non ci sono. Falso anche questo.

Bisognerebbe evitare spese folli come il Tav e il Ponte sullo Stretto, non solo inutili ma anche inquinanti e nocivi per l’ambiente; bisognerebbe tagliare le spese militari a partire dalla rinuncia all’acquisto degli F35, e rinunciare alle missioni armate all’estero (che ci stiamo a fare in Afganistan?);



 bisognerebbe far pagare un po’ di tasse ai ricchi facendo la patrimoniale e mettere un tetto su stipendi e pensioni d’oro scandalosamente alti; bisognerebbe condurre una seria lotta all’evasione fiscale che ogni anno dissangua la casse dello stato per centinaia di miliardi; bisognerebbe evitare di regalare soldi alle banche o costringerle a fare credito alle piccole imprese. Bisognerebbe farla finita con le politiche di austerità che stanno ammazzando le economie dei paesi europei più deboli, Italia compresa, come dice anche Hollande che non è certo un rivoluzionario.
E allora, cosa ci impedisce di andare a prendere i soldi dove ci sono, e con questi soldi creare lavoro? Certo non possiamo aspettarci che ci venga in soccorso l’iniziativa dei singoli investitori privati, in tutt’altre faccende affaccendati e con una visione limitata alle ragioni immediate del proprio portafoglio. Ci vorrebbe un governo con la G maiuscola che la faccia finita con la subalternità all’ideologia liberista che ci sta mandando tutti in malora. Un governo con le palle che si ponga un semplice obiettivo: quello di difendere la collettività nazionale, quella pensata da Occupy Wall Street (noi siamo il 99%, voi l’1%). Né più, né meno. Ma questo verrebbe dire la fine delle larghe intese. Chi fra i tremebondi sostenitori del governo Letta avrà tanto ardire?
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