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Se proviamo a invertire l’aggettivo con il sostantivo e invece di dire “prete pedofilo” diciamo “pedofilo prete”, la faccenda si fa diversa. Forse riusciamo a cogliere la sfumatura fondamentale: non si tratta più di un religioso, ma di uno sporcaccione che ha trovato la sua nicchia, esattamente come il poliziotto che ha sempre amato la violenza, fin da bambino, si arruola poi in polizia e si fa pagare per picchiare la gente e rimanere impunito.
Oppure, come il sadico che fatica sei anni studiando all’università, diventa medico ricercatore e può poi dare sfogo al suo connaturato sadismo sulle cavie di laboratorio, ed essere lautamente pagato per questo. Oppure ancora come Don Pietro Degani, parroco di Zuglio (UD), che non ha mai smesso di andare a catturare gli uccelli con le reti e che si arrabbiò moltissimo quando gli chiesi se lo si doveva considerare un “prete uccellatore” o un “uccellatore prete”. E’ la sindrome di “Fonzie” - se se ne può trarre una regola - che sognava di arruolarsi nella polizia motociclistica per poter girare in moto ed essere anche pagato.
Il prete molestatore di bambini in realtà, se questa premessa ha qualche fondamento valido psicologicamente, non ha alcun interesse per la religione, ma solo per la soddisfazione delle proprie voglie sessuali, socialmente considerate riprovevoli. Se la Chiesa li difende (o li difendeva) è perché lo sa e sa anche che nella natura umana c’è una forte pulsione sessuale, che il celibato non aiuta di certo a tenere sotto controllo.
Non dimentichiamo che solo i preti cattolici non possono aver moglie, a differenza dei protestanti e degli ortodossi. Ed è strano perché tutt’e tre tali dottrine si rifanno agli stessi testi sacri. Dal che si evince come minimo che ci sono differenti interpretazioni dei medesimi.
Se poi consideriamo che ci sono stati anche preti atei, e forse ce ne sono ancora, che continuavano ad esercitare il proprio compito senza che i fedeli e i loro superiori mai se ne accorgessero, possiamo capire come a certe persone risulta confacente il ruolo del pastore d’anime, indipendentemente dal fatto che creda o meno in Dio, nell’inferno per i peccatori e in tutte le altre storielle codificate. La religione è la più antica forma d’inganno e affonda le proprie radici nell’antica Babilonia. Hanno avuto secoli per imparare l’arte di mentire al popolo.
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Avevo già avuto sentore di questo sottile meccanismo di persuasione, usato dalla Chiesa allo scopo di accontentare il maggior numero di utenti e che ha fatto coniare il detto secondo cui la Chiesa è un grande porto di mare (come Genova) a cui approdano ogni tipo d’imbarcazioni.
Me n’ero accorto con Don Mario Canciani - pace all’anima sua - prete zoofilo o forse dovrei dire, se la mia premessa è corretta, zoofilo prete. Era quel prete, più unico che raro (un altro lo si può trovare in Spagna) che il 4 ottobre, giorno dedicato a San Francesco, faceva entrare in chiesa, a San Giovanni dei Fiorentini in Roma, i fedeli con i loro animali d’affezione, principalmente cani, e li benediceva dopo aver celebrato messa in onore del Poverello d’Assisi.
Così facendo diventava funzionale alla Chiesa stessa, la più feroce nemica ideologica degli animali, perché mentre si attirava le simpatie degli animalisti cattolici, poco evoluti sul piano culturale, otteneva il risultato di rendere la Chiesa meno compatta contro gli esseri viventi, dati per legge divina in pasto all’animale più feroce comparso sulla Terra dopo il tirannosauro.
In base al principio che l’eccezione conferma la regola, si capisce che celebrare una messa zoofila una volta l’anno non scalfisce minimamente la regola che gli animali si possano mangiare e sfruttare in mille altri modi, base dello specismo giudaico-cristiano, e si convalida il detto popolare secondo cui i cani non possono entrare in chiesa, titolo fra l’altro di un libro di Don Gallo.
E qui veniamo al punto. Spesso lo chiamavano “compagno”, anche se lui si rendeva contoche per i suoi confratelli e i suoi superiori non era un’etichetta accettabile. Ma lui quello era!
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Sia Don Canciani, con gli animaletti in chiesa il 4 ottobre, sia Don Gallo, con la sua comunità di poveri, zingari e transessuali, sono stati una leva manipolatoria per far credere che la Chiesa in fondo in fondo può ancora salvarsi e non è fatta solo di gesuiti che complottano in favore del NWO, o di banchieri dello IOR che speculano comprando azioni delle industrie armiere.
Poi infatti ci penseranno i mass-media, che sono in mano agli stessi Registi Occulti, a rendere di dominio pubblico le opere di Don Gallo (in misura minore, se non nulle, quelle di Don Canciani), mentre si terrà in ombra le trame gesuitiche e gli intrallazzi economici dello IOR.
Se è fortemente sospetto che il rivoluzionario Beppe Grillo è su libro paga di quegli stessi che sostengono Monti, Letta e company, può essere almeno verosimile la mia tesi secondo cui la vita e le opere di Don Gallo, come quelle in tono minore di Don Canciani, siano uno specchietto per allodole comuniste, antagonisti politici e tutte le persone sensibili e oneste che amano la vita e questo bel pianeta in pericolo.
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Al funerale si è visto dove arrivavano i confini, i limiti, e infatti, per far riprendere la parola a Bagnasco contestato è intervenuta la signora Lilli, perpetua di Don Gallo, che ha ammansito la folla tumultuante dicendo che così si faceva un torto al defunto, che in vita sua aveva sempre rispettato le gerarchie, cominciando dal suo vescovo, che è il diretto superiore di ogni parroco.
Indi per cui, Don Gallo faceva parte della stessa organizzazione a delinquere che annovera al suo interno i cappellani militari e poco serve che quand’era in vita facesse spesso riferimento a Don Lorenzo Milani, che almeno con i cappellani ha litigato di brutto, dato che chiudere un occhio su una cosa del genere inficia come minimo tutta l’attività in favore degli ultimi (come li chiamava anche Padre Davide Maria Turoldo), che poi in realtà ultimi non sono.
Quindi, se Don Gallo pensava di poter cambiare la Chiesa lottando dal suo interno, si è sbagliato di grosso, come chiunque avrebbe dovuto supporre, ma se a cambiare la Chiesa non ci pensava proprio e la accettava così com’è, cosa ci stava a fare con i cattolici? Per vivere da parassita? Per coerenza avrebbe dovuto spretarsi. Non l’ha fatto e al Vaticano andava bene così: una pedina da gettare sul tavolo del casinò della vita, magari anche senza accento finale.
E ora il popolo della Sinistra ne sta facendo un santo laico, ammaliata dal carisma di unparroco comunista, figura emblematica di quelli che con una antipatica espressione vengono generalmente chiamati “cattocomunisti”. Sembra di sentir parlare Berlusconi!
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Troppi compromessi per i miei gusti, anzi uno solo e macroscopico: non essersene andato da Babilonia la Grande. Solo i “compagni” oggi lo plaudono e lo piangono. Dei fascisti alla Sallusti abbiamo già detto, ma casualmente, mentre scrivevo queste note, mi è capitato in casa lo zio prete, Don Giuseppe, che non vedevo da mesi, e ne ho approfittato per fargli un paio di domande.
Gli ho chiesto cosa ne pensasse dei gesuiti e di Don Gallo, ovviamente. Mi ha risposto che le idee di quest’ultimo erano buone, ma lui sbagliava nel modo di proporle. In effetti, ho visto il video dove canta a fa cantare “Bella ciao” in chiesa e mi è sembrato sufficientemente penoso. Dei gesuiti invece mio zio dice che se anche in passato sono stati espulsi dal Giappone e dalla Cina, oltre che da alcuni paesi europei, noi dobbiamo vedere quello che fanno oggi, senza continuare a condannarli per quello che hanno fatto in passato - e io pensavo che magari oggi stanno lavorando per l’instaurazione del NWO.
E comunque, ha concluso, oggi abbiamo il loro capo che è anche a capo di tutta la Chiesa - e ai miei orecchi questo suona come una minaccia - mentre lui voleva intendere che possiamo stare tranquilli. Insomma, Don Giuseppe mi ha risposto in perfetto stile gesuitico. Un colpo al cerchio e uno alla botte: le idee di Don Gallo erano buone ma lui le propugnava malamente.
Per me è sbagliato che fosse un prete a propugnarle, ma forse io sono più realista del re, cioè ancora più intransigente di mio zio.
Quello che in ogni caso disapprovo totalmente è il fatto che centinaia di persone ideologicamente schierate si facciano prendere in giro da un prestigiatore inconsapevole, uno che ha voluto rimanere seduto su due sedie, senza neanche finire col culo per terra.
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“Bella ciao” è una bella canzone, e a me la facevano cantare da bambino le assistenti alle colonie marine dell’ENPAS, quando si andava in passeggiata, ma al di là della canzone eroica e poetica, sembra che l’opera dei partigiani nella realtà non sia stata precisamente quella che una certa iconografia ci vuole raccontare.
Don Gallo è stato forse l’ultimo propugnatore di quello stereotipo, destinato a scomparire come tutte le cose. L’unica cosa che non scompare mai è l’inganno a cui i popoli sono da secoli sottoposti. E questa, il non averlo ancora capito, è forse la colpa più grossa che si può rivolgere a lui e a tutta la sonnacchiosa, nostalgica e conservatrice Sinistra.
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