"THE END"

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domenica 26 maggio 2013

Quanti peli aveva Porsenna ?


Sfido chiunque a provare a rispondere.

Eppure ci sarà sempre, nell' attuale sistema, chi vi dice che la risposta a tale quesito è una questione essenziale per la vostra esistenza. Non solo, ma di lì a poco salterà fuori l' ennesimo libro nel cassetto, frutto dell' elucubrazione dell' ennesimo esperto, che in sole 3-400 pagine elegantemente rilegate vi dimostrerà senza ombra di dubbio, con tanto di doviziosa documentazione e citazione di precise fonti accademiche, che Porsenna aveva esattamente 54321 peli. Non uno di più, non uno di meno.
Ossia il numero di peli che tutti dovremmo considerare come desiderabile, meglio se distribuiti tra una bella barba ed una folta chioma.
Sul retro di copertina si potrà poi leggere che l' approfondito studio è stato sostenuto dalla Fondazione Pincopanco. Quello che non vi dicono è che tale fondazione è finanziata da una multinazionale del farmaco, che si accinge a commercializzare una nuova lozione per la ricrescita dei capelli.

Oh bella, eppure giurerei di aver letto tempo fa una tesi opposta, che sosteneva che Porsenna era praticamente glabro. Aspetta che vado a cercare la fonte attendibile ... eccola. Questa volta evito la lettura integrale delle 3-400 pagine e vado subito al dunque: Porsenna aveva solo 12345 peli, distribuiti più che altro sul basso ventre e le gambe.
Lo studio è sostenuto dalla fondazione Pancopinco; quello che non vi dicono è che serve a favorire l' immaginario necessario a commercializzare una nuova linea di rasoi elettrici.

Dove sta la verità ? Quale dei due esperti ha ragione ? Come faccio a farmi un' opinione veritiera tra le due opposte tesi ?



Non posso, semplicemente.
Non posso farmi un' opinione ragionata, ma solo aderire emozionalmente all' una o all' altra; non posso farmi un' opinione ragionata in quanto non ho i mezzi necessari a confutare le diverse tesi, e non potrò fare altro che fidarmi del parere dell' uno o dell' altro esperto.
O di nessuno dei due, e decidere che la risposta alla domanda è un falso problema, sviluppato con un approccio pseudo-scientifico in realtà atto a creare, attraverso l' induzione di un modello ideale estetico-comportamentale, un bisogno che il prodotto andrà poi a soddisfare.
L' esempio grottesco qui riportato diventa assai meno peregrino se si passa a considerare il colossale marketing dei prodotti farmaceutici, o peggio ancora quello delle pure idee: oggi abbiamo la prova provata di quanto nefasta sia stata per esempio l' applicazione di determinate teorie economiche fatte passare per scienza, e comunemente accettate ed avvalorate da una vasta ed entusiastica intellighenzia non solo di economisti, ma anche di filosofi, opinionisti, maitres à penser in genere.
Stessa cosa accade a livello di formazione del pensiero "politico", che altro non è che l' espressione in elegante forma pseudo-scientifica, ideologica ma alla fine puramente dogmatica di retrostanti interessi economici.

Dove sta il problema ?
Ci si potrebbe mettere ad analizzare ogni singolo logos, ogni teorizzazione siffatta ed accorgersi che in qualche punto viene sempre scavalcato il procedimento scientifico, che basa su una logica deduttiva ed il rispetto degli assunti aristotelici di conseguenza e non contraddizione, per sostituirli con un qualche sofismo ed una discendente logica induttiva. In poche parole, il procedimento scientifico deduttivo vuole che si parta dalla nuda osservazione dei fatti da cui estrarre l' eventuale logica intrinseca; il procedimento induttivo al contrario è sempre di tipo fideistico, e parte da un assioma preconcetto cui piegare l' osservazione dei fatti. Affermare per esempio che "il sole gira attorno alla terra" esprime una tipica logica induttiva, atteggiamento antitetico alla vera indagine scientifica effettuata da Copernico che, partendo invece dall' osservazione delle reali dinamiche, arriva a "dedurre" che è la terra a girare attorno al sole.
Ma oggi possiamo evitarci tutta questa fatica dicendo semplicemente che, in un sistema che sponsorizza gli esperti, questi saranno in misura maggiore o minore indotti a piegare la visione dei fatti all' interesse dello sponsor. Con ben poche eccezioni, quali per esempio la ricerca pura, essi saranno portati quindi sempre a privilegiare una visione induttiva dei fatti, piuttosto che una deduttiva. E questo soprattutto nel campo delle opinioni, dell' informazione e della cosiddetta cultura, meno investigabili attraverso il metodo scientifico.

Problema di non poco conto, perchè un sistema capitalista userà tale pratica in modo estensivo, finendo per coinvolgere think tank, giornalisti, media, politici, intellettuali, opinionisti, ecc. In pratica ogni formazione di pensiero, tra cui ci troveremo a dover rimbalzare come biglie impazzite alla ricerca di una qualche briciola di verità: un tale sistema, dove tutto è volto a difesa di questo o quell' interesse, non può infatti produrre un pensiero puro, così come non può produrre una vera democrazia.

Chi può produrre un pensiero puro ? Ecco che in tale sistema nemmeno pensare di sottoporre a finanziamento pubblico ogni organo di informazione e cultura servirebbe a nulla, in quanto anche lo Stato oggi altro non è che l' involucro, il contenitore posto a sostegno e difesa del vero e proprio motore, che è appunto la dinamica capitalista. Finanziare in un modo o nell' altro i produttori di pensiero non può che portare ad un loro maggiore o minore asservimento agli interessi del finanziatore. Ancora una volta abbiamo quindi la dimostrazione di come ogni singola dinamica non possa essere affrontata e risolta separatamente dalle altre, ma vada affrontata nel complesso, e se una vera democrazia si può avere solo in un più veritiero contesto informativo-culturale, va da sè che la produzione di pensiero vada slegata da ogni finanziamento di sorta.
Il che è più facile a dirsi che a farsi.

Ecco che cominciamo ad avere qualche problemino di complessiva sostenibilità sistemica, che travalica di gran lunga l' illusorio approccio alle singole problematiche: come già visto relativamente all' emergenza lavoro, e come oggi visto relativamente alla produzione di pensiero.
Come si vede, il problema oggi posto supera il classico mantra fintamente dicotomico che vorrebbe la sua soluzione nell' alternativa tra finanziamento pubblico o privato dei media, dell' informazione e della cultura in genere.
Il problema va ben oltre, e ci dice che in questo stato di cose un pensiero veramente libero semplicemente non può esistere.

Eppure anche in questo caso, come per gli altri già visti, esisterebbe una semplice, abbordabilissima soluzione comune, se affrontata in un' ottica più estesa e complessiva ... 

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