Uno dei misteri che gli scienziati stanno cercando di svelare da oltre un secolo riguarda il processo alla base dell'origine della vita. Quale meccanismo fisico è riuscito a trasformare un mix di sostanze chimiche non viventi in qualcosa di così complesso come una cellula vivente?
Per più di un secolo, gli scienziati hanno posto la loro attenzione sui processi chimici che sarebbero alla base dell'aggregazione degli elementi semplici in organismi complessi. Ma, dato che si tratta di reazioni avvenute miliardi di anni fa, tutte le tracce chimiche sono praticamente state cancellate dal tempo, lasciando ampio spazio alle speculazioni e ai disaccordi. Approccio chimico alla vita
Per decenni, gli scienziati hanno cercato di ricreare in laboratorio gli eventi che hanno dato origine alla vita sul pianeta. Nel famoso esperimento condotto da Stanley Miller eHarold Urey nel 1953, gli scienziati caricarono elettricamente un “brodo primordiale” di sostanze chimiche che imitava la composizione chimica degli oceani primordiali della Terra, ottenendo come risultato alcuni aminoacidi, i mattoni basilari della vita. Ma da allora, gli scienziati non sono andati molto avanti nella comprensione di come gli amminoacidi abbiano potuto finalmente trasformarsi in organismi complessi e quindi in esseri viventi.
Elaborazione delle informazioni
Ora, un nuovo approccio alla questione proposto da due ricercatori americani, tenta di ridefinire radicalmente il problema. Nell'articolo intitolato “The algorithmic origins of life”, pubblicato sul numero di dicembre del Journal of the Royal Society Interface, Paul Davies fisico teorico e astrobiologo dell'Arizona State University, e Sara Walker, post-dottoranda presso il Beyond Center della Nasa, invitano gli scienziati a focalizzarsi non tanto sulle cause chimiche che avrebbero dato origine alla vita circa 3,7 miliardi di anni fa, ma a concentrarsi su come gli organismi elaborino le informazioni che guidano il loro sviluppo e la loro grande differenziazione.
In altre parole, per usare un'analogia di tipo informatico, i due ricercatori suggeriscono di spostare l'attenzione dell'hardware (la base chimica della vita) al software (il suo contenuto informativo). La chimica è come un elaboratore elettronico che senza un adeguato software non è in grado di elaborare i dati. Davies e Walker credono che la differenza fondamentale tra la materia non-vivente e la materia vivente risieda proprio nella capacità degli organismi viventi a elaborare e a gestire il flusso di informazioni.
Secondo quanto scrivono i due ricercatori, i sistemi viventi sono caratterizzati da due grandi flussi di informazioni: una che va dal basso verso l'altro, dalle molecole alle cellule, e uno che va dall'alto verso il basso. Tale flusso di informazione governa il comportamento delle forme di vita semplici e complesse allo stesso modo, dal più piccolo batterio alla balena megattera gigante.
Davies e Walker hanno creato un semplice modello matematico che descrive il passaggio dalla materia inanimata agli esseri viventi: “I processi biologici non sono altro che l'esecuzione e l'elaborazione di flussi di informazione”, spiega la Walker. “Le cellule inviano segnali, i programmi di sviluppo vengono eseguiti, le istruzioni vengono codificate e i dati vengono trasmessi alle altre generazioni. Risalire all'origine della vita dal modo in cui gli organismi elaborano e gestiscono l'informazione, potrebbe aprire nuove strade alla ricerca”.
“Noi proponiamo che il passaggio dalla non-vita alla vita sia frutto di un processo unico e definibile”, ha aggiunto Davies. “Si tratta di un approccio completamente in contrasto con quello utilizzato negli ultimi cento anni, secondo il quale la transizione dalla materia inanimata alla vita organica sarebbe identificato come un problema legato alla chimica”.
Ma tale nuovo approccio potrebbe avere delle ricadute notevoli anche nella ricerca della vita extraterrestre: “Attualmente, tutti i nostri sforzi sono orientati alla ricerca di vita identica alla nostra, basata sulle stesse molecole”, spiega Chris McKay, astrobiologo al Ames Research Center della Nasa. “L'approccio proposto dai due ricercatori prevede un modello che permette di prendere in considerazione altre classi di molecole che potrebbero essere alla base della vita”.
Secondo la Walker, parte del problema risiede nella nostra definizione di vita: “Di solito tendiamo ad identificare la vita sulla Terra avendo presente sempre il DNA dell'organismo. In effetti, non abbiamo un rigoroso modello matematico che la descriva. Utilizzando una definizione chimica della vita (quindi organismi che richiedano un DNA) limitiamo l'identificazione di vita extraterrestre”.
L'elaborazione del nuovo modello è ancora agli inizi e non è ancora in grado di identificare nuove molecole che potrebbero aver generato la vita su altri pianeti. “Ma stiamo delineando il processo necessario per considerare un sistema come vivente”, conclude la Walker. “Questo è solo un manifesto”, precisa Davies. “E' una chiamata alle armi e un modo per dire che abbiamo bisogno di riorientare e ridefinire la questione della vita e vedere le cose in modo nuovo”.
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