Gli esseri umani dimostrano nelle loro azioni molta aggressività, competizione ed un evidente senso di separazione. Da cosa nasce questa distanza tra le persone? E che cosa è a renderci così "diversi" l'uno dall'altro? Riusciamo ad individuare almeno un fatto materiale, che non sia un'idea, che caratterizza il nostro personale 'ego', rendendolo diverso da quello di un altro?
Due persone che osservano la stessa scena, o che vivono la stessa esperienza,possono avere reazioni emotive differenti, causate dai loro collegamenti emotivi, dalle loro esperienze diverse. Ma oltre alla memoria, che è sempre e solo un'idea (e mai un fatto), c'è qualcosa di fisico che ci distingue dagli altri? Oppure tutto ciò che cambia sono le idee, le astrazioni, ma il processo attraverso cui le elaboriamo è il medesimo per ogni persona? Se non riusciamo a trovare alcun processo di cui siamo gli artefici originali, allora affermare che siamo 'noi' gli autori dei nostri gesti e delle nostre buone o cattive azioni, non ha alcun senso. Sarebbe come dire che abbiamo deciso noi di far muovere i globuli bianchi nel nostro corpo per curare una ferita.
E allora questo "io" che cerchiamo in ogni modo di difendere, di proteggere, di affermare, sappiamo almeno dove si trova o come è fatto? Sembra proprio di no,così nel tentativo di difendere le idee e le immagini in cui ci identifichiamo, creiamo disordine, scontri e guerre. Senza nemmeno sentirci veramente protetti o al sicuro.
Testo di Fauno Lami
fonte e video allegato all'articolo
testo inviatomi da un blogger
Inoltre come è più felice quel paese che ha meno bisogno o non ha affatto bisogno
d’importazione, così è felice l’uomo a cui basta la ricchezza interna, e che per i suoi
divertimenti non domanda che poco, od anche nulla, al mondo esterno, atteso chè una tale
importazione è costosa, obbligante, pericolosa; essa espone a disgusti, e, in conclusione, è
sempre un cattivo succedaneo alle produzioni del proprio suolo. Perochè non dobbiamo, a
nessun titolo, aspettarci gran cosa dagli altri, e in generale dal di fuori. Ciò che un individuo
può essere per un altro è molto strettamente limitato; ciascuno finisce col restar solo, e chi è
solo? diventa allora la grande questione. Goethe ha detto in proposito, parlando in modo
generale, che in ogni cosa ciascuno, in conclusione, è ridotto a se stesso (Poesia e verità,
vol. III). Oliviero Goldsmith dice egualmente: Intanto da per tutto, ridotti a noi stessi,
siamo noi che facciamo o troviamo la nostra propria felicità (Il Viaggiatore, v. 431 e seg.)
Due persone che osservano la stessa scena, o che vivono la stessa esperienza,possono avere reazioni emotive differenti, causate dai loro collegamenti emotivi, dalle loro esperienze diverse. Ma oltre alla memoria, che è sempre e solo un'idea (e mai un fatto), c'è qualcosa di fisico che ci distingue dagli altri? Oppure tutto ciò che cambia sono le idee, le astrazioni, ma il processo attraverso cui le elaboriamo è il medesimo per ogni persona? Se non riusciamo a trovare alcun processo di cui siamo gli artefici originali, allora affermare che siamo 'noi' gli autori dei nostri gesti e delle nostre buone o cattive azioni, non ha alcun senso. Sarebbe come dire che abbiamo deciso noi di far muovere i globuli bianchi nel nostro corpo per curare una ferita.
E allora questo "io" che cerchiamo in ogni modo di difendere, di proteggere, di affermare, sappiamo almeno dove si trova o come è fatto? Sembra proprio di no,così nel tentativo di difendere le idee e le immagini in cui ci identifichiamo, creiamo disordine, scontri e guerre. Senza nemmeno sentirci veramente protetti o al sicuro.
Testo di Fauno Lami
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Inoltre come è più felice quel paese che ha meno bisogno o non ha affatto bisogno
d’importazione, così è felice l’uomo a cui basta la ricchezza interna, e che per i suoi
divertimenti non domanda che poco, od anche nulla, al mondo esterno, atteso chè una tale
importazione è costosa, obbligante, pericolosa; essa espone a disgusti, e, in conclusione, è
sempre un cattivo succedaneo alle produzioni del proprio suolo. Perochè non dobbiamo, a
nessun titolo, aspettarci gran cosa dagli altri, e in generale dal di fuori. Ciò che un individuo
può essere per un altro è molto strettamente limitato; ciascuno finisce col restar solo, e chi è
solo? diventa allora la grande questione. Goethe ha detto in proposito, parlando in modo
generale, che in ogni cosa ciascuno, in conclusione, è ridotto a se stesso (Poesia e verità,
vol. III). Oliviero Goldsmith dice egualmente: Intanto da per tutto, ridotti a noi stessi,
siamo noi che facciamo o troviamo la nostra propria felicità (Il Viaggiatore, v. 431 e seg.)
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