Valentina Corvino
Utili o inutili. Pericolosi o scientificamente testati. Il dibattito sulle vaccinazioni è sempre acceso e, purtroppo, difficile a placarsi. Da un lato ci sono i sostenitori: un numero consistente di pediatri e medici di famiglia che sostengono l’efficacia del vaccino come strumento di prevenzione primaria; dall’altro gli scettici, stesse categorie professionali ma più prudenti nel considerarlo un farmaco privo di effetti collaterali. Al centro ci sono due recenti sentenze, dei Tribunali di Rimini e di Torino, che hanno evidenziato una correlazione tra l’autismo (di cui sono affetti due bambini i cui genitori sono ricorsi ai tribunali) e la somministrazione del vaccino trivalente.
La ricerca esclusiva
A gettare benzina sul fuoco, i risultati di alcune indagini di laboratorio su 20 vaccini, condotte circa 4 anni fa dall’esperto di nanopatologie Stefano Montanari, che non hanno mai trovato spazio sui giornali, scientifici e non. E che l’esperto ha deciso ora di far esaminare al Salvagente. Le raccontiamo in queste pagine. Con una premessa d’obbligo: a essere esaminato è stato solo un campione per ogni prodotto e non tanti campioni prelevati da altrettanti lotti di produzione diversi.
Decide l’industria
E proprio della ristrettezza di campioni esaminati abbiamo chiesto immediatamente conto al dottor Montanari. Che ci spiega: “I motivi sono due: ogni analisi costa un patrimonio e in più c’è da dire che certi vaccini non sono reperibili in farmacia e devono per forza venire dal produttore il quale, ahimè, non pare entusiasta di essere messo sotto il riflettore e, dunque, non ci dà un bel niente”.
Granelli indesiderati
Che cosa ha trovato Montanari passando al microscopio i 20 tipi di vaccini? “All’interno del prodotto abbiamo individuato, in tutti e venti i casi, granelli molto piccoli di leghe metalliche non compatibili con l’organismo umano e non degradabili. Nanoparticelle casuali non ingegnerizzate, il che fa supporre che non ci siano state messe apposta”, afferma.
Negligenza o responsabilità?
Non si può parlare, dunque, di una responsabilità delle case farmaceutiche? “Le aziende - continua Montanari - hanno peccato, in ogni caso, di negligenza perché non hanno fatto nulla per impedire che quelle particelle finissero nei vaccini”. E come ci sono finite? “Difficile rispondere - spiega Montanari - ma il sospetto è che ci siano finite perché la lavorazione è avvenuta in contenitori non perfetti o in atmosfera non filtrata”. In altre parole, sarebbe lecito ipotizzare, se questi studi fossero confermati, che i processi di produzione non siano (o non siano stati) proprio al di sopra di ogni critica. Malauguratamente le leggi e gli enti di certificazione ignorano il problema e, allora, chiudendo gli occhi, la burocrazia è salva e così il business.
Rischi gravissimi
D’altronde stiamo parlando di sostanze tutt’altro che innocue per la salute umana. “Chi ha nozioni di nanopatologia sa che iniettare polveri inorganiche, non biodegradabili e non biocompatibili può essere l’innesco per una serie di malattie, non ultime certe forme di cancro o di affezioni neurologiche e, dunque, la somministrazione di quei vaccini contenenti corpi estranei appare almeno criticabile”.
Farmaceutiche silenti
Un’accusa pesante, che dovrebbe per lo meno essere presa sul serio, magari dando lo spunto ad altre analisi che ne chiariscano la fondatezza, ma le case farmaceutiche, che Montanari dichiara di aver interpellato, hanno dapprima mostrato interesse, tranne poi non farsi più vive. “Parlai - spiega lo scienzato - delle prime 19 analisi con alcuni funzionari di alcune ditte farmaceutiche. Mi si disse che avrebbero fatto indagini e poi più nulla. Per l’ultimo vaccino (quello contro il Papilloma virus) girammo un lungo servizio tv e, insieme a mia moglie, anche lei esperta nel campo della bioingegneria e dei biomateriali, e al ginecologo svizzero Giampietro Spinosa andammo anche a Roma alla sede della Sanofi Pasteur che distribuisce il vaccino.
Quella volta sul papilloma...
I funzionari dell’azienda si trovarono in grandi difficoltà, tanto che poi proibirono a Mediaset di mandare in onda il servizio. Il loro direttore scientifico venne a Modena a trovarci nel nostro laboratorio. Gli mostrammo i risultati in dettaglio, anche lui manifestò grande interesse, s’impegnò a condurre indagini presso di noi, ma tutto finì lì. Purtroppo, come succede per gli alimenti, per i farmaci non esistono vere normative sulle polveri e le aziende non hanno alcun interesse a condurre indagini costose che le metterebbero solo in difficoltà”. A questo punto, chiediamo allo scienziato, non sarebbe stato il caso di interessare di qualche organismo pubblico? Perché non investire del problema l’Istituto superiore di sanità? “L’Iss sarebbe totalmente incapace di valutare le particelle”, taglia corto lo scienziato.
Fonte: http://www.altrogiornale.org
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