Di Marco Cedolin
I dati contenuti all’interno del nuovo rapporto del Censis rappresentano lo spunto, come già accaduto in passato, affinché tanta buona stampa possa trastullarsi nel denigrare gli italiani “bamboccioni”, troppo legati alla famiglia, non sufficientemente globalisti e ancora scarsamente appiattiti sul modello americano che, a detta loro, rappresenterebbe il perfetto esempio di una società matura, efficiente ed impermeabile a qualsiasi tipo di sentimentalismo.
Stando alle cifre fornite dal Censis un terzo degli italiani abita con mamma e papà, oltre il 40% vive all’interno di un raggio di mezz’ora di camminata dalla casa dei genitori, raggio all’interno del quale il 54% degli italiani ha anche i propri parenti stretti. E questo non vale solamente per i giovanissimi, bensì anche per gli adulti. Come se non bastasse oltre 7 milioni di italiani portano al lavoro il pranzo preparato in casa. Passano mediamente circa un’ora al giorno davanti ai fornelli, facendo si che la preparazione dei pasti assorba mediamente per una donna 21 giorni “lavorativi” l’anno. Circa 21 milioni d’italiani preparano in casa alimenti come yogurt, pane, gelato o conserve e di questi la metà lo fa regolarmente…..
Circa l’85% degli italiani continua a fare la spesa alimentare sotto casa, nei piccoli antieconomici negozi di quartiere e la maggior parte delle persone fanno i propri acquisti all’interno di un’area di una ventina di minuti di camminata dalla propria abitazione. Le mamme che lasciano il lavoro a causa della nascita di un figlio sono aumentate dal 2% all’8,7% e circa il 36% delle donne in età feconda si dedica alla propria famiglia risultando perciò inattiva.
In pratica gli italiani stentano ad uniformarsi al modello della globalizzazione che pretende l’eutanasia di ogni identità, famiglia, comunità, nazione e faticano non poco a rompere tutti i legami con le tradizioni, diventando parte integrante di una società che li vorrebbe sempre più individui atomizzati senza lacci o lacciuoli di sorta. Anzi in alcuni casi, invece di procedere sulla strada del “nirvana”, sembrano perfino tornare sui propri passi, mostrando nostalgia di quel passato che nel modello progressista equivale ad una iattura dalla quale allontanarsi al più presto.
Molti degli atteggiamenti stigmatizzati attraverso le cifre offerte dal Censis possono venire direttamente ricondotti alla crisi economica che strangola il paese e perfino i giornalacci mainstream non possono evitare di metterlo in evidenza. Dal momento che la maggior parte dei giovani è senza lavoro o lavora percependo salari ridicoli (buoni forse per l’aperitivo e le sigarette) sarebbe impensabile che costoro carezzassero l’idea di lasciare la famiglia e costruirsi una vita indipendente. Se la maggior parte delle famiglie non riesce ad arrivare a fine mese pur lavorando è naturale che l’imperativo sia quello vivere nelle vicinanze dei genitori/nonni che molto spesso rappresentano l’unica ancora di salvezza per la gestione della prole. Se il conto in banca è perennemente in rosso non può stupire il fatto che una persona si porti al lavoro il cibo cucinato in casa, anziché spendere una ventina di euro per pranzare al baretto accanto all’ufficio e così via discorrendo.
Molti altri invece sembrano essere rappresentativi di una certa idiosincrasia degli italiani nei confronti dell’appiattimento su una cultura di derivazione a stelle e strisce che di fatto non appartiene loro e della scarsa propensione a tagliare ogni radice culturale che fa parte del proprio dna.
Ma leggendo il tenore delle riflessioni portate dagli imbrattacarte sui fogli del mainstream non si può evitare di porsi una domanda.
Crisi economica a parte sono davvero così drammatici e deprecabili gli atteggiamenti stigmatizzati attraverso i dati del Censis?
Davvero la “non famiglia” per costruire la quale stanno lavorando da decenni i mentori del progresso, con tutti i famigliari che vivono a centinaia di km l’uno dall’altro e magari si ritrovano una volta l’anno davanti al tacchino del ringraziamento, con 10 soli minuti al giorno passati davanti al forno microonde, con le alette di pollo mangiate in ufficio dentro al cartoncino (ma non portate da casa), con la spesa fatta ogni due settimane (magari con l’ausilio dei coupons) nell’ipermercato a 2 ore di auto da casa e con le mamme che mai si sognerebbero di “sprecare” ore di lavoro per stare insieme ai propri figli, sarebbe una famiglia migliore?
tratto da http://www.stampalibera.com
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