"THE END"

"THE END"
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lunedì 14 aprile 2014

Cronaca di un tumore annunciato (e di tante terapie rifiutate)

1. Premessa. 2. Io e Mariangela. 3. Le tappe del cammino. Primo approccio. 4. Simoncini. 5. Hamer e la oncopsicologia. 6. L'Aloe arborescens e la terapia di padre Zago. 7. La terapia steineriana a base di Iskador. 8. L'alimentazione. 9. La cura Di Bella. 10. L'équipe degli angeli. 11. La fine del percorso. La follia condivisa. 12. Conclusioni. Esiste una cura contro il cancro? 13. Ringraziamenti. 14. Bibliografia.

1. Premessa.

Questa è una storia come tante, cioè la storia di tutte le cure sul cancro che esistono, ma che volutamente si ignorano.
Di diverso c’è solo che l’ho vissuta io in prima persona, insieme a Mariangela, che di diverso rispetto alle persone comuni ha sempre avuto un inconscio esternato e vissuto con modalità che difficilmente vengono capite all’esterno.
E’ un viaggio all’interno della follia del pianeta cancro, che riflette la follia dell’essere umano.
E’ un viaggio che ancora deve finire, e quindi la cui storia deve essere ancora scritta compiutamente; la riprenderò senz’altro, in futuro, per documentarmi sempre meglio su questo pianeta, ancora sconosciuto ai più, che è il tumore.

2. Io e Mariangela.

Conobbi Mariangela nell’autunno del 1999. Il nostro rapporto fu complicato e fuori dall’ordinario fin dall’inizio. Il nostro primo dialogo fu un silenzio, perché diceva che di lei non voleva parlare, essendo troppo importante per lei e troppo poco per me tutto ciò che la riguardava; di me non voleva parlare, perché non ero al centro del mondo; e degli altri non voleva parlare, perché secondo lei non era bello parlare degli assenti. Così, esclusa la possibilità di parlare di banalità perché non rientra nel mio stile, rimanemmo praticamente in un silenzio, retto più che altro dalle mie provocazioni e dal mio prendere in giro il suo atteggiamento, e quando le chiesi di cosa allora era permesso parlare disse: “Ma anche questo non è già parlare e comunicare, e conoscersi?”.

Fu un rapporto negli anni complicato, tormentato e talvolta anche inevitabilmente doloroso. Ma per capire quello che vado a raccontare occorre tenere presente il forte legame psichico che tra me e lei c’è sempre stato; un legame che trascendeva le parole, e che era più di “anima” che di fisicità.
Una volta, dopo un ennesimo litigio per una mia amicizia femminile che durava ormai da qualche mese, decisi di lasciarla; lei era a Napoli dalla sua famiglia, quindi lontana da me, allora presi il telefono per annunciarle che non ce la facevo più e volevo troncare il nostro rapporto, ma prima che potessi sollevare la cornetta la suoneria squillò; era Mariangela che mi disse: “Paolo, volevo dirti di ignorare le mie scenate; non riesco a controllarmi, la gelosia dipende dall’insicurezza, ma tu fai bene a fare quello che fai, e devi continuare a farlo ignorando il mio comportamento; non ho il diritto di distruggere una cosa bella che hai per delle stupide insicurezze. Io continuerò ad essere gelosa, ma tu continua a ignorare i miei comportamenti. Prima o poi si sistemerà tutto e acquisterò un maggiore equilibrio”.
“Ma come ti è venuto in mente di dirmi questo?”, le chiesi.
“Non lo so – rispose – passavo davanti al telefono e mi è venuto istintivo chiamarti”.

Quando il 23 dicembre del 2007 incontrai Gabriella Carlizzi per la prima volta, che mi annunciò “ti arresteranno, o tu uccideranno”, tornai a casa sconvolto e le raccontai questa cosa. Mariangela rimase in silenzio, poi attaccò il telefono terrorizzata e non la sentii più per quasi tre mesi.
Io vissi tre mesi nel terrore, avevo spesso la febbre, e pensavo continuamente alla morte, rendendomi conto di essermi cacciato in un inferno da cui non potevo uscire semplicemente dicendo “scusate, non pensavo di creare tanto disturbo, arrivederci”.
Il 21 marzo del 2008 decisi di fare una gita in moto; era una bella giornata, era entrata la primavera e io dopo tre mesi ero ancora vivo; in fondo – mi dissi – se sono vivo dopo tre mesi, forse lo sarà anche fra un anno, chissà. Cominciavo a stare meglio e fu il primo giorno che passai senza essere attanagliato dall’angoscia, sentendo che stavo riprendendo a vivere.
Mentre stavo facendo una sosta sulla spiaggia di un lago, mi chiamò Mariangela.
“Come mai mi chiami oggi?”, le chiesi.
“Non c’è un motivo” – rispose – sono rimasta a letto depressa per tutte queste settimane, ma oggi è il primo giorno che mi sono rialzata dal letto e sto meglio”.
In pratica ci eravamo messi a letto lo stesso giorno, e rialzati nello stesso giorno.

Per capire quello che vado a raccontare, quindi, occorre capire che il legame tra me e lei era decisamente particolare. Particolare quindi è stato anche il cammino che abbiamo intrapreso fianco a fianco per affrontare il tumore.
Quando le venne diagnosticato il tumore al seno, un cosiddetto “triplo negativo”, ovverosia un tipo molto aggressivo che statisticamente – secondo la medicina ufficiale – ha una mortalità dell’80% dei pazienti in due anni (quindi un tumore veloce a riprodursi, che generalmente non lascia scampo), mi disse: “Posso scegliere di curarmi a Napoli dai miei, o a Viterbo da te. Scelgo qui perché così avrò accanto te. Ancora non so se sceglierò di vivere o di morire, ma so che se sceglierò di morire mi accompagnerai alla morte, viceversa mi aiuterai a vivere; se andassi a Napoli sentirei solo banalità, storie di chemioterapie riuscite, di affidarsi ai medici tradizionali, e parole di speranza che nessuno sente vere”.
Mariangela sceglie quindi di curarsi a Viterbo, seguendo un percorso tradizionale: una prima parte con due cicli di chemioterapia per tentare di ridurre il tumore, e successivamente asportazione della mammella, seguita da una radioterapia.

3. Le tappe del cammino. Primo approccio.

La mia prima shockante esperienza inizia con il medico che dà a Mariangela la risposta sui vari esami eseguiti. Ovviamente, prima della risposta, la speranza era che si trattasse di un nodulo benigno. Invece no, la risposta è “tumore maligno”.
Qui ho potuto toccare con mano per la prima volta la follia del sistema sanitario e medico, l’incompetenza dei medici, la loro cialtroneria morale.
“Si tratta di un tumore maligno”, sentenzia il medico. Pochi secondi dopo inizia a snocciolare le cure: radioterapia, chemioterapia, senza neanche dare il tempo a Mariangela di metabolizzare la notizia. Pochi minuti dopo ha già fissato un appuntamento con la senologa che farà l’operazione. L’appuntamento è per l’indomani mattina.
Durata della visita: 15 minuti.
Poi via… avanti un altro, avanti il prossimo, per la prossima diagnosi di morte.
In quindici minuti si dà al paziente una sentenza di morte, e la relativa cura. Senza dargli la possibilità di riflettere, metabolizzare, assorbire il colpo. Senza ovviamente vagliare possibilità alternative, far sapere al paziente che esistono altre cure, altre scelte possibili (che del resto la maggior parte dei medici non conosce).
Per verificare il grado di preparazione del medico, domando: “Dottore, che ne pensa della terapia Di Bella?”; “Lasci perdere, è una cazzata; inoltre tenga presente che è carissima e che l’ospedale non gliela passa”, risponde lui.
Ho avuto modo di studiare bene la terapia Di Bella per essermene occupato in diverse occasioni e perché mia sorella aveva curato personalmente una sua amica, con risultati non ottimi, ma sorprendenti. Soprattutto come legale avevo avuto modo di studiare il caso sotto il profilo giuridico e ben conoscevo le mistificazioni che erano state messe in atto ai tempi della famosa sperimentazione di questa terapia.
Me ne vado, quindi, con la certezza di avere un incompetente di fronte. E con la sensazione che di cialtroni come questo ne incontrerò moltissimi in futuro. E così sarà.
Nel momento in cui il paziente sente dichiarazioni come queste, subisce uno shock per il quale poi è difficilmente in grado di reagire. A quel punto vieni ghermito e catapultato nel sistema sanitario nazionale, che ti garantirà cure, attenzioni, ecc., purché tu ti sottoponga ai loro standard di cura. Ed il messaggio è chiaro: se fai ciò che diciamo noi ti curi gratis, e pensiamo noi a tutto. Viceversa devi pensarci tu, a tue spese, e noi non ti supporteremo.
Ma in tutto questo il paziente non ha il tempo di riflettere, pensare, prepararsi, informarsi. Nulla. Viene catapultato in poche ore dalla vita normale all’inferno, trascinato in un vortice da cui in genere non si riesce ad uscire più.

4. Simoncini.

Prima di iniziare la cura, Mariangela manifesta da subito il terrore di perdere il seno. L’idea non le va giù, a lei che ha sempre dato importanza anche alle unghie, alle ciglia, alle sopracciglia, alle singole dita dei piedi e delle mani, e che spesso faceva discorsi sulla perfezione del corpo, su come tutte le sue funzioni siano integrate in modo perfetto come un orologio. Quando mangiavamo spesso faceva commenti e osservazioni sulla bocca, sullo stomaco, sulle straordinarie funzioni del masticare, del digerire, dell’evacuare poi le sostanze in eccesso, si fermava a riflettere sulla tempestività con cui il corpo reagisce ad alimenti sbagliati, mentre si sente bene con quelli sani, ecc... Per lei anche perdere un dente era un dramma, una deturpazione. Figuriamoci la perdita di un seno, che nell’immaginario collettivo è l’emblema della femminilità.
La prima proposta alternativa per evitare l’operazione e la chemio viene dalla terapia di Simoncini. La sua terapia, in modo poco invasivo, potrebbe portare all’esportazione totale del tumore, per giunta conservando il seno, senza effetti collaterali.
Simoncini è un oncologo, radiato dall’albo per le sue ricerche; secondo i suoi studi il cancro è, in sostanza, un fungo, che infatti cresce e prolifera nel corpo come un fungo e si comporta come tale. Per ucciderlo, è sufficiente irradiare la parte interessata con una soluzione di bicarbonato.
Questa teoria, che ha dalla sua molteplici riscontri pratici, scientifici e logici, è ovviamente stata rifiutata dalle case farmaceutiche; Simoncini è stato sbeffeggiato anche a Striscia la notizia, finché, di recente, alcune università hanno finalmente fatto l’eccezionale scoperta: il cancro potrebbe essere un fungo.
La domanda è: ma chi risarcirà Simoncini per i danni subiti?

E l’altra domanda è: quanti decenni occorreranno ancora, prima che questa teoria sia diffusa anche a livello ufficiale?
Inizio a parlare a Mariangela della terapia Simoncini facendole vedere il DVD di Massimo Mazzucco “Cancro: le cure proibite”. Non arriverà a vederlo oltre dieci minuti: si arrabbiò con me e facemmo una delle prime litigate su questo argomento.

5. Hamer e la oncopsicologia.

Il percorso di “cura” inziò a giugno del 2013 (se cura si può chiamare un trattamento, come la chemioterapia, che ti costringe giorni a letto a vomitare, non mangiare, provando fastidio per odori, sapori, freddo, caldo, e che lascia il pazienze annichilito senza neanche la possibilità di parlare per ore, e che alla fine del ciclo lascia il corpo indebolito e con degli effetti collaterali terribili in vari organi del corpo).
Tra una chemio e l’altra, Mariangela inizia anche ad informarsi.
La mia biblioteca è da sempre ricca di libri come quelli di metamedicina di Claudia Rainville, quelli di Rudiger Dahlke (“Malattia come simbolo”, “Malattia linguaggio dell’anima”), il libro di Oscar Angelo Citro (“Medicina della nuova era”), i libri di Hamer e molti altri.
Nei primi tempi Mariangela li legge, e si convince di una cosa che comunque già sapeva: che il tumore dipende dal dolore per la perdita della madre, anche lei morta da poco di cancro, come altre donne della sua famiglia. Mariangela deve quindi anche adempiere ad un karma familiare in qualche modo.
Karma che le era stato preannunciato anni prima da uno psicologo, il dottor Foglia di Napoli, il quale le aveva predetto che, se non cambiava strada, se non trovava una via per diventare felice e sconfiggere la depressione che la corrodeva da sempre, sarebbe morta giovane, per adempiere ad un preciso destino familiare.

Secondo le teorie di Hamer, poi, il tumore non è una “malattia” in senso tecnico ma una reazione (sana) ad un problema, o meglio ad uno shock. Quando il tumore insorge, rappresenta la fine di un conflitto: rappresenta, in realtà, una guarigione. Prendere atto del conflitto e non curarsi, significa che il tumore si arresterà, avendo svolto la sua funzione.
Questa teoria è tra l’altro avvalorata dagli studi di alcuni anatomopatologi che, avendo effettuato delle autopsie su alcuni cadaveri, si sono accorti che molti cadaveri hanno dei tumori mai diagnosticati, ma che erano fermi da anni e non davano alcun fastidio.
Per la verità, poi, è confermato anche dal caso di Mariangela, a cui il tumore è cresciuto rapidamente fino ad arrivare ad una massa di dieci centimetri proprio dopo la diagnosi (qualcuno dice che spesso l’analisi fatta con l’ago aspirato è la causa dello “scoppio” del tumore).
Ed è confermato da diverse persone che conosco, anche a me vicine, che hanno deciso di non curarsi nonostante la diagnosi di tumore, e sono vive contro tutte le statistiche.
Tutto ciò dimostra che spesso il tumore cresce non tanto per l’aggressività della malattia in sé, ma per il terrore in cui viene gettato il paziente con la diagnosi, che è una vera e propria condanna a morte, nonostante le poche parole rassicuranti che vengono pronunciate nei pochi secondi in cui il medico pronuncia il suo verdetto, e in quei pochi minuti che i parenti e gli amici decidono di occuparsi veramente del malato.
Informatasi sulla Nuova Medicina Germanica di Hamer, Mariangela, convinta della bontà di queste teorie, che riconosceva come vere, è andata anche ad un colloquio con Claudio Trupiano, che è colui che ha introdotto in Italia queste teorie, e che ha scritto il famoso libro “Grazie dottor Hamer”; ebbe anche un altro incontro con un medico di Napoli, con cui ebbe uno stupendo e illuminante colloquio, il dottor Aiese.
Entrambi però le sconsigliarono di seguire la strada della Nuova Medicina Germanica, perché il quadro psicologico di Mariangela non era tale da potersi permettere una strada così rischiosa e fuori dagli schemi.

6. L’Aloe arborescens e la ricetta di padre Zago.

Per qualche tempo, come terapia di supporto, Mariangela ha preso l’Aloe, secondo la ricetta di padre Zago.
Nel periodo in cui ha preso l’Aloe, posso testimoniare che il suo umore era molto migliore e fisicamente si sentiva meglio.
Siamo anche andati a Latina per comprare delle piante in un vivaio specializzato.
Poi, un bel giorno, ha interrotto.
Il motivo? Non l’ho mai capito (o forse si).

7. La terapia steineriana a base di Iskador.

Una delle possibilità di cura che hanno i pazienti che se lo possono permettere è quello di curarsi presso uno dei centri che praticano medicina steineriana.
Tra i più famosi c’è la Lukas Klinik, che ha sede a Dornach, vicino Basilea, dove è la sede del Goetheanum.
La cura qui è di tipo sia psicologico, sia fisico, con una sostanza chiamata Iskador, a base di Vischio, che presenta effetti benefici contrastando gli effetti collaterali della chemioterapia e della radioterapia.
Peraltro la chemio e la radio vengono somministrate in misura meno invasiva e solo nei casi in cui essa è realmente efficace, non come invece accade negli ospedali ordinari, dove viene somministrata senza criterio, anche a pazienti in fase terminale, accelerandone la morte, sì che molti pazienti muoiono per gli effetti collaterali della chemio, anziché per il tumore stesso.

L’approccio della Lukas Klinik è quindi globale; il paziente viene seguito costantemente tutto il giorno, invitato a dipingere, cantare, meditare, con sedute di psicologi, educatori, attenzione alla dieta, e una serie di regole che servono per curare “l’anima” anziché il corpo.
Chi conosce Steiner e sa in cosa consista la sua opera capisce anche perché si utilizzi questo tipo di approccio.

Mariangela non ha mai voluto andarci; perchè era troppo cara, troppo lontana, perchè non parlavano l'italiano... c'era sempre un perchè

8. L’alimentazione.

Un’altra cosa che Mariangela non ha mai voluto fare è seguire un’alimentazione specifica per combattere il tumore.
Esistono in Italia anche dei medici (pochi) che trattano il tumore con l’alimentazione. L’idea non è una novità. Già Paracelso, che era un medico del 1500, sapeva che l’alimentazione è fondamentale nel combattere il tumore; la medicina cinese conosce questo approccio da millenni e così anche la medicina ayurvedica; solo in epoca moderna e negli ospedali moderni si è scelto di ignorare questa strada per dare ai pazienti pasti a base di sole sostanze tumorali dal primo al contorno; pasta e pane di farina doppio 0, carne, latticini, tutti rigorosamente certificati ormai da anni come alimenti cancerogeni; ma pare che negli ospedali pubblici queste teorie non siano ancora arrivate.
Di recente, hanno scoperto l’importanza dell’alimentazione anche nella clinica di Veronesi; in particolare un oncologo dello staff di Veronesi, Berrino, insiste molto sull’importanza della dieta nella cura e prevenzione dei tumori.

Ma un’alimentazione specifica per combattere il cancro non consiste solo nell’evitare certi cibi e mangiare abbondanza di frutta e verdure; esistono infatti molti alimenti che hanno specifiche proprietà antitumorali, e che possono essere aggiunti alla dieta.

Una di queste è la canapa, diffusasi come antitumorale con il caso del cosiddetto “Olio di Rick Simpson”.
Un altro antitumorale è l’acido ascorbico, scoperto e studiato da Valsé Pantellini, che ha proprietà antitumorali specifiche se ingerito in quantità elevate secondo le indicazioni fornite dalla fondazione che porta avanti le ricerche di questo medico.

Su principi analoghi si basa il cosiddetto metodo Abramo, in Italia portato avanti dal professor Santi. Anche qui si ottengono ottimi risultati con persone date per spacciate; si tratta di una cura che è idonea ad affrontare diverse malattie.

Ad una dieta con prodotti specifici può poi aggiungersi l’assunzione di integratori che eliminino i metalli pesanti nel corpo, come le zeolite, alcuni tipi di alghe e altri prodotti ancora.
Molte persone colpite dal tumore infatti registrano, alle analisi, una quantità eccessiva di metalli pesanti nel corpo che, una volta espulsi dal corpo per tornare a livelli normali, bloccano l’avanzata del tumore.

In linea generale poi si è scoperto che il tumore cresce sempre in ambiente acido, con il PH corporeo inferiore a 7,5. Riportare quindi il PH alla normalità, o ad un grado alcalino, mediante la dieta, ha spesso un effetto paralizzante del tumore di per sé, senza integratori particolari e senza cure costose.
Si tratta quindi di seguire un regime alimentare a base di alimenti alcalinizzanti, testando continuamente il proprio PH, per far sì che il tumore non abbia terreno fertile su cui crescere.

Nel corso dei mesi abbiamo poi spesso parlato in questo blog dell’importanza della ghiandola pineale per le varie funzioni del corpo e della mente, e degli studi del professor Lissoni in materia.
Il professor Lissoni cura a Monza in una clinica dove prende anche pazienti in fase terminale, con ottimi risultati.

Nessuna di queste possibilità è stata mai presa in considerazione da Mariangela. Le Zeolite è rimasta nello scomparto della colazione, mai assunta perché “faceva troppo schifo”; di altre sostanze chelanti Mariangela non ha mai voluto sentir parlare, nonostante un giorno un mio amico senatore (Bartolomeo Pepe) fosse venuto appositamente da Roma per parlarle di come anche lui si stia curando un tumore grazie alla terapia con sostanze chelanti.
Terapia che, unita ad altri approcci, ha dato risultati eccezionali in molti casi.

9. La cura Di Bella.

Un’altra possibilità di cura su cui io ho insistito da subito è quella della cura Di Bella.
Nonostante la guerra che la medicina ufficiale ha mosso a questa terapia, la verità è un’altra. Si tratta di una terapia efficacissima, con una percentuale di pazienti che dopo la cura ha goduto di vita lunga e sana nonostante la medicina ufficiale non avesse dato loro speranze.
Mia sorella e mia madre hanno personalmente curato un’amica, il cui nome era Beate, a cui i medici avevano dato una settimana di vita (aveva metastasi al midollo, cervello, cervelletto, ossa, fegato, intestino e non riusciva più neanche a parlare); iniziò la cura Di Bella e in quindici giorni era in grado di sedersi, mangiare e parlare normalmente. Un mese dopo era a casa e visse altri anni una vita normale, morendo poi di una complicazione polmonare non dovuta al tumore in sé.
Anni fa la terapia Di Bella fu “sperimentata” a livello ministeriale e la sperimentazione dette risultati negativi. In realtà un’inchiesta dei NAS accertò che i farmaci erano stati conservati senza seguire le istruzioni, boicottando la sperimentazione; ma questo non bastò per far cessare la campagna di delegittimazione di questa cura da parte della medicina ufficiale.

Una delle balle che circolano intorno alla terapia di Bella è che essa sia costosa.
E’ falso. Essa costa circa 1500-1600 euro per i primi mesi, che diventano poi circa 500 al mese per i successivi mesi; la terapia è cara solo perché non viene passata dal servizio sanitario nazionale, ma è economicissima se rapportata a una cura chemioterapica e radioterapica. Ogni trattamento completo di radioterapia può costare dai 50 ai 150 mila euro; ogni ciclo completo di chemioterapia costa decine di migliaia di euro (occorre infatti sommare, oltre ai circa 1000 euro della singola dose di chemio – che varia in più o in meno a seconda del tipo di chemioterapico – anche il costo dei farmaci aggiuntivi; Mariangela ad esempio prendeva un antiemetico di cui ogni singola pasticca costava oltre 200 euro).
La verità è che la terapia Di Bella, se fosse adottata negli ospedali, abbatterebbe di gran lunga i guadagni delle case farmaceutiche.

Mariangela si è sempre rifiutata di fare questa cura.
A metà febbraio volle fare un tentativo con la terapia Di Bella e fu visitata dalla dottoressa Brandi di Roma; la dottoressa fu chiara nel dirle che seguendo la cura tradizionale, e con il suo quadro tumorale, “non sarebbe andata da nessuna parte” e in poco tempo avrebbe avuto metastasi diffuse. Prescrisse una serie di farmaci che io e Mariangela acquistammo in una farmacia romana e le disse di seguire una certa terapia per 5 anni. Dopo 5 anni poteva parlarsi di sospendere la terapia.
Per capire l’importanza cruciale di questo incontro, ricordiamo che il tumore di Mariangela ha – se seguiamo le statistiche ufficiali – l’80% di recidiva mortale in due anni. Se la dottoressa parlava di una cura da seguire per 5 anni, significa che, almeno in prospettiva, forse si poteva sperare di vivere 5 anni.
Aggiungiamo che la dottoressa non le consigliò di cambiare cura; si trattava semplicemente di iniziare la cura Di Bella una volta che fosse stata effettuata l’operazione, cioè quando per la terapia ufficiale le “cure” erano concluse. In altre parole, non si trattava di sostituire una cura ad un’altra ma di iniziare una terapia specifica, quando per la medicina ufficiale ogni altra strada fosse terminata, dovendo a quel punto solo attendere l’inevitabile arrivo delle metastasi.
Tornammo a casa con questo pacco di farmaci e la mattina dopo, quando la cura doveva iniziare, domando: “Perché non prendi i farmaci? Non vuoi iniziare?”.
“No Paolo – mi disse – questa è una cura per chi vuole vivere, e io voglio morire. Curarsi per 5 anni tutti i giorni richiede volontà di vivere. Invece con la terapia ufficiale dopo l’operazione faccio un breve ciclo di radioterapia e poi finisce tutto. Spero solo che dopo l’operazione mi vengano al più presto le metastasi”.

L’idea che avrebbe voluto avere le metastasi in tempi brevi, Mariangela l’ha manifestata più volte in diverse occasioni.
Il giorno in cui si presentò alla dottoressa Frittelli per fissare l’operazione, venuta a sapere che l’operazione consisteva nell’asportazione di tutto il seno, Mariangela disse: “No, dottoressa. Io non mi opero. Se voi mi togliete il seno, dopo che io avevo sperato di conservarlo, morirò per le metastasi che mi verranno subito dopo. Non riesco a reggere all’idea che mi taglino tutto. Se devo morire, tanto vale che muoio così”.
E se ne andò, lasciando di stucco i medici, e lasciando di stucco pure me che le stavo accanto, che non prevedevo una simile risposta.
In parte la sua reazione poteva essere prevedibile; perché lei, come ho detto, teneva tantissimo ad ogni parte del suo corpo e l’amputazione del seno era vissuta come una perdita insopportabile.
Non mi aspettavo però un rifiuto dell’operazione, perché mi aveva sempre detto: “Voglio morire seguendo la strada ufficiale, così sarà una morte condivisa. Il mio desiderio è sempre stato quello di essere una persona normale, un bravo soldatino che segue le regole. E voglio che la mia morte sia condivisa da tutti, che approveranno le mie scelte”.
Non me l’aspettavo, perché questa era una strada non condivisa. Per la prima volta non era condivisa neanche da me, che, arrivati a quel punto, almeno l’operazione l’avrei fatta.
Dopo qualche giorno invece, su pressione di parenti e amici, cambiò idea. Il soldatino tornò nei suoi ranghi. E fissò l’operazione. Per fare contenti tutti, affinché la società le dicesse brava, e amici e parenti dicessero “oh finalmente… brava, vedrai che poi guarirà”. Tutti sollevati, tutti contenti perché – come diceva spesso Mariangela – l’importante è che il paziente respiri; di come sta dentro e di quello che vuole lui, non gliene frega nulla a nessuno”.

10. L’équipe degli angeli.

L’operazione le fu fatta il 17 febbraio 2014.
L’equipe del reparto di senologia aveva capito il particolare quadro psicologico di Mariangela e, nonostante questo genere di operazioni si risolvano in un totale di 48 ore ricovero compreso, decisero di tenerla in osservazione una settimana.
Non fu però un semplice ricovero medico. Fu qualcosa di più. Mariangela è stata tenuta in reparto non tanto per essere “curata”, ma per essere coccolata, colmata di attenzioni, viziata quasi. I medici erano gentili, disponibili, affettuosi e competenti; la dottoressa Frittelli, nonostante la mole di lavoro non indifferente, trovava il tempo per venire a sentire come stava Mariangela (ma anche le altre pazienti) e trovava il tempo per dire parole di incoraggiamento, per spronare, per mettere di buonumore.
C’era poi il supporto continuo di una psicologa bravissima, umana e intelligente, di una fisioterapista che talvolta andava a vedere come stava solo per farle un saluto, e di infermieri eccezionalmente dolci, gentili disponili. Il chirurgo plastico le parlava tenendole la mano anche per un quarto d’ora.
“Hanno trasformato un incubo in qualcosa di piacevole”, ha detto Mariangela quando uscì da li. “Mi hanno fatto sentire amata, non mi hanno fatto sentire una paziente”.
La dottoressa Frittelli, poi, ha dimostrato di essere non solo umana ma anche competente (a fronte dell’incompetenza e della maleducazione di altri medici in diversi reparti, impreparati anche solo su minimi particolari come le diete antitumorali). Ricordo un discorso molto preciso e significativo della dottoressa: “Devi capire che parte tutto dalla testa; tu non avevi fattori di rischio; non fumavi, facevi una vita sana, movimento, non avevi precedenti in famiglia di tumori al seno… E’ evidente che il tumore è stato l’epifenomeno di una serie di problemi di natura psicologica che ti porti dietro da una vita. Ora è la buona occasione per prendere in mano la tua vita e riprendere a vivere. Se questo tumore ti è venuto per insegnarti ad essere felice e trovare una strada per migliorare la tua vita, allora sarà andato tutto bene. Se invece devi abbatterti, prenderla male, deprimerti, sarà stato tutto inutile: la tua vita, l’operazione, il dolore, il mio lavoro, quello dei medici e degli infermieri… tutto. Che decidi? A te la scelta”.
Mariangela rispose con un cenno del capo. E la dottoressa finì il discorso dicendo: “Ok, adesso non sei ancora convinta. Rimani giù, stai pure depressa. Ma solo fino a stasera. Da domani deve iniziare la ripresa. Non oggi quindi, domani”.
Strappandole il primo sorriso dopo l’operazione.
L’indomani mattina andai da Mariangela e le chiesi: “E’ iniziata questa ripresa?”.
“No – mi disse – Aspetto ancora domani”.

11. La fine del percorso. La follia condivisa.

Dopo alcuni giorni di degenza, Mariangela torna a casa.
Fin dai primi giorni però cammina male. Qualcosa non va. L’11 marzo è di nuovo ricoverata in ospedale.
Come in fondo Mariangela aveva detto, e come era stato previsto, aveva metastasi ovunque. Cervelletto, ossa, colonna, fegato.

Ancora una volta rifiuta qualsiasi altro approccio terapeutico diverso da quello tradizionale.
Continua a rifiutare la Di Bella.
Continua a rifiutarsi di andare alla Lukas Klinik e ovviamente di prendere in considerazione diete specifiche.

Cosa propongono i medici? Ma naturalmente una nuova chemioterapia, dopo un ciclo di radioterapia alla colonna e al cervelletto.
Domando alla dottoressa che mi dice questa palese assurdità: “Scusi dottoressa, ma la prova provata del fallimento della vostra terapia, del fallimento della chemio, è proprio Mariangela, che a pochi giorni dall’operazione è invasa da metastasi. E ora le volete riproporre una chemio”.
La risposta è agghiaciante: questi sono i protocolli.
A domanda specifica sulla terapia Di Bella, mi risponde: “La terapia Di Bella non la conosco, non la voglio conoscere, e non mi interessa conoscerla”.
Un altro dottore, cui domando quanti mesi di vita ha Mariangela, risponde: “Non le dico quanti mesi ha, altrimenti magari io le dico tre mesi, poi voi fate la terapia Di Bella, la persona poi vive due o tre anni e il merito va alla terapia Di Bella che invece è una bufala”.

Stranamente però inizia di nuovo a prendere l’Aloe, un piccolo aiuto, in un quadro generale fatto di un niente assoluto, a parte la radioterapia.
Io mi informo sulle proprietà dell’olio di canapa. Quest’olio ha proprietà eccezionali per la cura del tumore. Cerco su internet, parlo con un medico che se ne era interessato; il problema è che non riesco a capire se la canapa che si trova in Italia ha le stesse caratteristiche di quella del cosiddetto “olio di Rick Simpson”. Acquisto dell’olio di canapa che le do tutti i giorni per condimento e dei semi di canapa decorticati, ma non le dico che è un antitumorale, altrimenti non lo assumerebbe. Le dico che è un generico ricostituente e lei lo prende di buon grado e le piace. Se ha le caratteristiche che servono o no, purtroppo non è dato sapere. Non ci sono i tempi per informarsi, ma male non le farà. E senz’altro sarà meglio del cibo che le danno in ospedale. Scoprirò poi che l'olio di Rick Simpson deve essere preparato in modo differente per essere efficace davvero, ma se non altro scopro che una blanda attività antitumorale ce l'ha anche l'olio normale.
Va detto che nei venti giorni in cui prende aloe e olio di canapa le metastasi non vanno avanti; chissà se per caso, per volontà di Mariangela, per merito dell’aloe, o di chissà che altro. Ad oggi, che scrivo l’articolo, il quadro metastatico è ancora miracolosamente fermo.

L’8 aprile, data la totale inerzia dei medici che comunque non hanno alcuna cura da proporre, si decide. Vuole partire per la Lukas Klinik.
Iniziamo quindi i preparativi per ricoverarla in Svizzera; la sorella prepara la valigia, io mi informo su come mandare la documentazione medica, guardo gli alberghi, le distanze, e tutto il resto. Nel frattempo accellero la fine di alcuni lavori che dovevo consegnare prima della partenza, registro il programma radio del martedì in anticipo perché la partenza potrebbe essere proprio di martedì.
In tutto questo mi pare strano che però si vada davvero in Svizzera; conosco l’inconscio di Mariangela meglio di chiunque e sicuramente meglio anche di quanto lo conosca lei stessa; possibile che davvero si parta, possibile che davvero si inizi una cura? Cosa si inventerà per non partire all’ultimo momento?
La risposta ce l’ho dopo poche ore: la Lukas Klinik si trasferisce in un altro edificio e per ragioni amministrative e organizzative momentaneamente non c’è personale italiano nella nuova struttura. Manco a dirlo, Mariangela coglie la palla al balzo e decide di non partire.
L’inconscio di Mariangela come al solito non sbaglia un colpo. Avessimo deciso anche solo due giorni prima, saremmo partiti. Ma la sua decisione è arrivata il giorno stesso che la clinica si trasferiva.

Mariangela a questo punto rimane parcheggiata in ospedale, senza cure, e con le metastasi che avanzano.

Il 10 aprile faccio un estremo tentativo.
Il problema di Mariangela – come hanno potuto constatare anche psicologi che l’hanno conosciuta, e come lei ha sempre riconosciuto, e come io stesso ho sempre potuto capire, e come in fondo è per chiunque – trova le sue origini nella famiglia e in alcuni drammi familiari del passato e del presente.
Spiego alla sorella che se si vuole provare a salvare Mariangela devono farsi carico dei loro problemi familiari e fare fronte comune, riunirsi attorno a Mariangela e darle l’affetto che non ha mai avuto.
Mariangela infatti da me rifiuta qualsiasi approccio curativo perché, come mi ha detto spesso, vuole che la accompagni a morire; la vita potrebbe invece venire da un cambiamento complessivo delle dinamiche familiari, da qualcuno insomma che rompa in modo definitivo e una volta per tutte le dinamiche distruttive che si sono perpetrate per anni all’interno del nucleo familiare.
Per guarire Mariangela occorrerebbero due cose, non troppo difficili da reperire per la verità: un po’ di tempo (qualche ora o qualche giorno al massimo), per informarsi presso medici, pazienti che hanno provato terapie alternative, letture e video, su quale sia la forma di terapia più efficace.
Nel frattempo occorrerebbe praticare la terapia Di Bella, che nel caso di Mariangela potrebbe dare effetti immediati e permetterle di riprendere le funzionalità delle gambe. In questo modo i fratelli salverebbero non solo Mariangela ma anche se stessi, da tutti i sensi di colpa e i dolori per non averla aiutata abbastanza, e dalla tragedia che sta per incombere ancora una volta sulla loro famiglia. Male che vada, dico alla sorella, morirà felice con voi accanto. Bene che vada, vivrà e regalerete a tutti un po’ di felicità.

La scelta a me non pare difficile. Con le terapie ufficiali Mariangela non ha scampo. Con altre terapie – e soprattutto con l’amore della famiglia e con la riconquista dell’armonia familiare – forse è ancora possibile salvarla.

La scelta della strada terapeutica da seguire non mi pare difficile anche per un altro motivo.
La medicina ufficiale, oltre a non promettere la guarigione nello stato metastatico in cui è Mariangela, è dolorosa, perché prevede una possibile – e inutile – operazione, altre chemio, altre radio che verrebbero applicate ad un corpo già debilitato, facendo danni su danni e lasciando Mariangela in uno stato di debilitazione totale.
Le terapie alternative, invece, anche ammesso e non concesso che non funzionino, sono esenti da effetti collaterali, e in ogni caso, andando a rafforzare il corpo, mal che vada promettono un miglioramento di alcuni aspetti della qualità della vita.

La sorella mi dà ragione sul fatto che devono starle vicino.
Ma sarebbe troppo bello per essere vero. Lo faranno? Mi domando. Succederà davvero che si realizzi un sogno del genere, che fratello e sorella si radunino accanto al letto di Mariangela per curarla e curare loro stessi e riprendere in mano i nodi irrisolti che la loro famiglia ha lasciato in eredità?
Qualche familiare potrà rinunciare a una settimana di ferie estive per dedicarsi alla comprensione del problema di Mariangela?

Nel frattempo Mariangela si è convinta a praticare la terapia Di Bella e mi chiede l’indomani di andare a Roma a comprare i prodotti. Ho già la ricette pronte, devo solo comprare quello che mi serve.
Ancora una volta mi pare strano che Mariangela farà davvero questa terapia.
La terapia Di Bella potrebbe guarirla, o perlomeno farla vivere meglio e più a lungo; e lei, lo so, non vuole vivere. Conosco troppo bene l’inconscio di Mariangela, e mi aspetto due possibilità: o che cambi idea, o che forse sia già troppo tardi per iniziare la terapia perché magari, senza che lo sappiamo o ce ne siamo accorti, le metastasi sono in fase troppo avanzata per fermarle.
Torno a casa la sera, stampo le ricette.

Ma dopo pochi minuti mi chiama Mariangela. Le ha appena telefonato la sorella. Ha consultato un medico (ovviamente tradizionale, ci mancherebbe) il quale ha sentenziato che i medici di Viterbo hanno sbagliato tutto, e deve andare immediatamente a Napoli, a curarsi (manco a dirlo con altre terapie tradizionali).
“Non comprare nulla – mi dice – Vado a Napoli. Mi curo a Napoli”.

E’ la fine della speranza di ripresa.

Mariangela accetta, ovviamente, questa nuova cura proposta dai familiari.
E io so che a questo punto andrà alla morte sicuramente.
Mi rimane da scegliere se rifiutare di accompagnarla, per evitarmi lo strazio, o accompagnarla in questa ennesima follia.
Una follia, come voleva Mariangela, condivisa dai parenti, dalla società, da tutti.
Quando me lo comunica, mi dice: “Ti chiedo scusa, Paolo. Scelgo Napoli, e la chemioterapia, perché vado a morire dove stanno i miei fratelli, facendo una cura condivisa da tutti. Così saranno tutti contenti. Non ce la faccio ad assumermi la responsabilità di una scelta diversa”.

La cosa assurda, che sfugge ai parenti di Mariangela che non si accorgono del disastro familiare a cui stanno andando incontro, è che non sarà solo Mariangela ad essere scaricata dalla responsabilità ma anche il sistema medico.
I medici dell’ospedale di Belcolle l’hanno curata fin qui.
Facile, troppo facile, dire che è stato sbagliato qualcosa col senno di poi, alla luce dei risultati disastrosi della prima cura. Ma chiunque sia un minimo informato su come funziona il sistema “cancro” sa che per il tumore di Mariapaola ci sono solo tre tappe; chemioterapia, radioterapia, e operazione e qualunque medico del sistema ospedaliero non farà che variare la tempistica di queste tappe, che rimarranno però complessivamente sempre uguali.
Se Mariapaola andrà in un altro ospedale, quando morirà i medici di Belcolle diranno che hanno sbagliato i medici napoletani; i medici napoletani ovviamente diranno che hanno sbagliato a Belcolle. E quindi non avrà sbagliato nessuno.
Chiunque abbia un minimo di intelligenza capisce invece che l’errore è nella medicina ufficiale, non nella “sede” in cui si è curata Mariangela.
Io poi che conosco bene Mariangela so bene che non è neanche responsabilità dei medici, ma solo sua, che mi ha detto spesso “non ho mai avuto il coraggio di suicidarmi; scelgo di uccidermi con le cure ufficiali. Lo so, è da vigliacchi, ma non ho mai trovato un’altra strada”.

E un’altra volta mi disse “mi metto nelle mani di questi incompetenti; così mi uccidono presto e spero che la cosa duri meno possibile”.

Questo discorso, che può sembrare assurdo, è il discorso inconscio che fa qualsiasi paziente; ogni paziente tumorale, infatti, segue le dolorosissime strade ufficiali perché è una strada accettata dalla società e la sua scelta è quindi condivisa dalla comunità di parenti e amici, non volendo assumersi la responsabilità della propria vita.
L’unica differenza tra Mariangela e le persone normali è che le prime vivono una sorta di sonno e non si rendono conto dei loro meccanismi, mentre Mariangela il suo inconscio lo ha sempre portato al livello conscio, tanto che spesso chi la ascolta pensa che stia delirando; e quando provo a spiegare alla gente i meccanismi di Mariangela vengo preso per matto, o addirittura non vengo creduto (“non posso credere che non voglia vivere”, mi ripetono spesso amici che l’hanno frequentata forse qualche decina o al massimo centinaia di ore in tutta la loro vita, senza ascoltarmi più di un minuto per tentare di capire il problema, tutti bravi poi a fare diagnosi e a proporre cure diverse e più efficaci; ovviamente le loro soluzioni consistono sempre in altri ospedali pubblici, il Regina Elena di Roma, il Pascale di Napoli, ovverosia ospedali che non farebbero che cambiare il tipo di chemio, proporre qualche altra operazione, ecc.).

12. Conclusioni. Esiste una cura contro il cancro?

A questo punto possiamo tirare alcune conclusioni.
Esiste una cura contro il cancro?
Si.
Il cancro è una malattia mortale? No.
Esiste una cura migliore delle altre per il tumore? Sì e no.
La chemioterapia, cioè la strada maestra prescelta dalla medicina tradizionale, così come la radioterapia, sicuramente hanno in molti casi degli effetti distruttivi del tumore.
Il tumore però nasce sempre per una serie di cause in parte psicologiche, in parte ambientali. Se non si rimuove la causa il tumore tornerà, e difatti nella maggior parte dei casi in cui viene diagnosticata la malattia, dopo qualche mese o qualche anno nascono le cosiddette recidive.
L’altro effetto delle cure “tradizionali” è che provocano una serie di danni collaterali all’organismo, in alcuni casi irreparabili.
Chi ha potuto vedere di persona lo stato penoso in cui versa un paziente che si sta curando con la chemioterapia sa di cosa parlo.
In primo luogo le persone perdono tutti i capelli (segno che la “cura” non è quel che si dice “una botta di salute”).
In molti casi grazie alla “cura” si deve rimanere a letto per giorni vomitando, non riuscendo a mangiare, bere, sentire odori, sapori, ecc.
La chemioterapia quindi mina lo stato di salute complessivo dell’individuo, rendendolo più esposto di prima a malattie varie ma, soprattutto, ad una recidiva del tumore (non a caso nel cosiddetto bugiardino dei chemioterapici c’è scritto che il farmaco è… cancerogeno, il che pare un assurdo logico, ma non lo è per chi conosce la società in cui viviamo; le prese in giro del sistema infatti ci vengono sbattute in faccia e dichiarate, ma la gente è troppo stupida per farsi domande).
La chemioterapia e in generale la strada tradizionale, quindi, andrebbe affrontata unendo a questa, qualora la si scelga, una dieta specifica, e una serie di prodotti antitumorali per rafforzare il corpo e prevenire le metastasi, come aloe, olio di canapa, sostanze chelanti, vitamina C, melatonina, metodo Abramo, ecc.

Che dire delle medicine complementari o alternative?
Conosco diverse persone che sono guarite dal cancro senza fare alcuna cura, ma semplicemente adottando uno stile di vita e un’alimentazione sana.

Individuare poi tra le varie terapie alternative la più efficace è molto difficile per vari motivi. Innanzitutto di alcune mancano degli studi ufficiali che possano attestarne la validità in tutti i casi.
Inoltre molti esperti di terapie alternative non dialogano tra loro, ritenendo ciascuno di avere una sorta di verità rivelata, migliore di quella ufficiale ma purtroppo migliore anche di quella detenuta da altri oncologi che pure operano fuori dal circuito ufficiale.
Col risultato che il circuito delle cure non tradizionali è una sorta di labirinto in cui è difficile districarsi.

La strada che io consiglierei, a chi me lo chiedesse, sarebbe senz’altro la cura Di Bella, che ha il supporto medico-scientifico di studi che esistono ormai da anni, su vari tipi di tumore.
Ad essa occorrerebbe però aggiungere un’azione di supporto sia di tipo dietetico sia di tipo psicologico.
In questo modo si può avere la certezza, non la probabilità, di sopravvivere anche ai tumori più maligni e aggressivi.
Ma il tumore deve essere attaccato da ogni punto di vista, principalmente con un radicale cambio di vita da parte del paziente.
Come ha detto con efficacia la dottoressa Frittelli a Mariangela, il tumore è infatti l’epifenomeno di tutta una serie di problemi legati alla nostra vita; problemi che il nostro inconscio decide di affrontare con il tumore.
Il tumore rappresenta cioè una sorta di scossa, o di batosta se preferiamo, che il corpo dà alla persona per guarire la propria anima e la propria vita.
Il tumore quindi non deve essere visto come un male, ma come un alleato per farci capire.
In questo Mariangela è sempre stata molto lucida quando, nonostante la scetticità di chi l’ascoltava, diceva: “Io non mi sento malata; non credo che il tumore sia una bestia da sconfiggere. Il tumore l’ho prodotto io e io posso mandarlo via”.

Qualcuno dice che le cause del tumore sono solo nella testa.
Qualcuno dice che sono solo fisiche.

E’ possibile che abbiano ragione i primi, perché ho saputo di persone che non si sono curate il tumore, ma sono vive dopo che hanno radicalmente cambiato la loro vita, all’indomani della scoperta. Sapendo di non avere molta speranza, hanno dato un taglio drastico al passato mettendosi in pochi giorni a fare nella vita tutto ciò che non avevano mai fatto.
In questo caso, quindi, si ha la prova provata che il tumore non è un problema fisico. E vengono in gran parte comprovate le teorie di Hamer.
D’altronde, seguire la terapia Di Bella (che è molto impegnativa perché prevede punture frequenti e assunzioni giornaliere di diversi prodotti) unitamente ad una dieta specifica, è un approccio fisico, sì, ma significa, in ultima analisi, cambiare “la propria testa” cioè il proprio stile di vita e il proprio modo di pensare, dedicandosi a se stessi e al proprio benessere.
Chi segue una terapia Di Bella è costretto a cambiare lo stile di vita seguendo un approccio di tipo fisico, sì, ma cambiando anche in tal modo il suo approccio psicologico alla vita.
Le due cose quindi sono inscindibili, anche perché la nostra vita esteriore è il riflesso di quella interiore; da questo punto di vista hanno ragione entrambi gli orientamenti.
In questo, aveva perfettamente ragione Mariangela quando disse a proposito della terapia Di Bella: “è una terapia troppo impegnativa e non mi va di seguirla. E’ una terapia per chi vuole vivere, e io invece voglio morire”.
Sicuramente, una cura del tumore passa comunque per una presa di consapevolezza del soggetto che si ammala; occorre capire in primo luogo che la propria vita non si può delegare ad altri, tantomeno a dei medici che diventano tali solo per aver studiato una serie di libri, sponsorizzati e pensati dalle grandi case farmaceutiche, senza aver mai dato un esame di dietetica e senza aver mai fatto studi seri di psicologia. Prima di affidarsi a un medico occorre infatti capire questo: negli studi di medicina l’esame di alimentazione è un complementare di poche decine di pagine e a cui non si dà nessuna importanza; non si studia la psicologia e men che meno si studiano sia pure sommariamente gli approcci di altri medicine, come quella ayurvedica, omeopatica, o cinese, che pure vantano una tradizione millenaria e sono efficacissime in numerosi casi. In pratica, alla facoltà di medicina il corpo umano viene trattato come se fosse una macchina, che funziona in modo indipendente sia dal cervello sia dal cibo che immettiamo al suo interno. Quel che è peggio, la medicina tradizionale viene presentata come una medicina moderna ed efficiente, di fronte alle “primitive” e “inefficaci” medicine di altre tradizioni, quando invece la medicina cinese, la ayurvedica, e quella omeopatica, sono eccezionali in molti casi in cui la medicina occidentale è impotente.
In sintesi può affermarsi che la medicina tradizionale occidentale trascura proprio le due cose più importanti per il corretto funzionamento dell’essere umano.
Il medico, in sostanza, a meno che non sia una persona intelligente e aperta di per sè, è un normalissimo essere umano, che studia alcuni libri a memoria imparando medicine, organi, malattie, in modo meccanico, ma che ignora i più basilari concetti di psicologia, medicine di altre tradizioni, alimentazione, per non parlare poi della spiritualità, che ha comunque un ruolo essenziale nella qualità della vita dell'essere umano.
Il medico è in sostanza un ignorante che ha imparato a memoria qualche libro, nel senso che ignora il mondo attorno a sè, e ignora il significato più profondo del termine cura, credendo in linea di massima che una cura sia costituita da qualche farmaco imparato a memoria.
Il paziente deve quindi curarsi da solo, ascoltando campane diverse, e informandosi autonomamente, assumendo su di sé la responsabilità della propria guarigione e non delegandola a qualcuno senza sapere questo qualcuno dove ha studiato e cosa ha studiato, e senza comparare le varie proposte.
Molte persone perdono giorni a leggere Quattroruote prima di comprare un’auto nuova, facendo il giro di vari concessionari; ma se si tratta della propria vita o di quella di un proprio caro non si dedica al problema più di qualche minuto.
Un vero e proprio controsenso, tipico della mentalità occidentale.

Scrivo questo articolo affinché sia di aiuto a coloro che cercano delle prime risposte nelle cure alternative sul cancro e che vogliono dipanarsi nella giungla delle notizie non ufficiali, riservandomi di approfondire in un libro futuro tutto quello che ho imparato in questi anni.
Lo scrivo ora, quando la fine è ancora da decidere, perché mi conosco abbastanza da sapere che, in futuro, potrei non averne la forza.
E perché Mariangela può ancora rispondere a questo mio scritto, contestarlo, dire “non è vero” o semplicemente smentirmi, alzandosi e riprendendo a vivere, dicendomi, come ha fatto spesso in passato: “Sei il solito stronzo, devi sempre criticarmi. Vedi che ce l’ho fatta? Alla faccia tua!”

Nel frattempo, nonostante le metastasi al cervelletto, al fegato, alle ossa e alla colonna, i parenti attorno a Mariangela continuano a nutrire fiducia nelle terapie tradizionali e a dire che “i medici” dicono che anche con queste metastasi si può guarire.
Ovviamente nessuno degli amici e parenti attorno a lei si informa sui tipi di cure o sui problemi psicologici che possono aver portato Mariangela fin qui, perché hanno cose più importanti da fare, e anche quando li incontro davanti al letto dell’ospedale, non si prendono qualche minuto per ascoltarmi e capire.
Mentre io facevo interviste in radio alla dottoressa Brandi, o a Lissoni, o a Trupiano, mentre andavo a conferenze insieme a Massimo Mazzucco che ha diretto e prodotto il documentario “Cancro: le cure proibite”, nessuno mi ha mai domandato “Di cosa avete parlato? Cosa avete detto?”.
Nessuno di loro leggerà questo articolo, perché essendo troppo lungo, verrà considerato noioso. Hanno tutti cose più importanti da fare che preoccuparsi di salvare la vita a Mariangela (e a se stessi in alcuni casi): devono uscire il sabato sera con gli amici, devono programmare le vacanze, pulire la casa, e poi la sera sono stanchi, quindi meglio vedere un talk show, o un programma di Maria De Filippi.
Non lo leggerà neanche Mariangela, nonostante le abbia chiesto il permesso di pubblicarlo e domandato se voleva leggerlo. Proprio stasera le ho chiesto se voleva leggerlo, ma mi ha detto "no, no, non c'è bisogno. Solo non mettere il mio nome. Concedimi un'ultima privacy, poi fai quello che vuoi in futuro, ma per ora concedimela".
Perché lei tutte queste cose le sa, a differenza della gente che le sta attorno.
Per questo l’ho amata per anni, nonostante la sua stranezza.
Quello che non ho mai amato, sono le persone normali, che con tutta la buona volontà che ci metto per amarle, mi provocano un senso di rifiuto e non riesco più a frequentarle ormai da anni.

13. Ringraziamenti.

La lotta contro il tumore di Mariangela per me finisce qui.
Hanno vinto le inutili cure tradizionali, i vari karma familiari, la stupidità di parenti e amici, ma più di tutte la volontà di Mariangela.
In questo viaggio nella follia che è stato, ed è ancora, il percorso all’interno del pianeta cancro, voglio ringraziare tutte le persone che mi hanno fatto apprezzare la bellezza della vita e la sua varietà, nonostante tutto, per l'ondata di amore da cui sono stato travolto nonostante la tragedia.

Grazie anzitutto a Maurizio Fani, dell’azienda agricola Il Feudo di Zocca, che mi ha mandato pacchi da decine di chili di prodotti coadiuvanti nella lotta al tumore (puntualmente ignorati da Mariangela), sempre gratuitamente, sempre e solo con amore e per amore di una persona che non conosceva; grazie per aver lasciato l’azienda due giorni per venire a Viterbo e cercare di far nascere in Mariangela la voglia di vivere; è più il tempo che le ha dedicato lui di quello che le hanno dedicato alcuni parenti e gli “amici”; grazie per aver insistito a voler essere mio amico, grazie per avermi cercato, grazie per essersi intromesso nella mia vita con quella che all’inizio percepivo come una leggera invadenza, ma che alla luce di oggi capisco che era un calcio in culo del mio angelo custode, perché avevo bisogno di te con urgenza (e non solo io).

Grazie a mia sorella, che è volata dalla Germania spendendo tempo e soldi, e lasciando la sua famiglia, per venire tre giorni in ospedale, per convincere Mariangela a praticare la terapia Di Bella, e per tutto il tempo che le ha dedicato in questi mesi; mi sento orgoglioso di avere una sorella così.

Grazie a Horst, che gratuitamente ha fornito a Mariangela sessioni settimanali di colloqui, terapie energetiche, consigli, riuscendo sempre a tirarla su, sia pure per poche ore, o pochi minuti talvolta; la positività e l’energia che le ha trasmesso era tanta, ma purtroppo poco ha potuto contro quello che Mariangela definiva “il demone che mi corrode dentro” (che non era il tumore); non so se esistono ancora i veri Rosacroce, ma se esistono sono come te.

Grazie a Solange, che nonostante i non idilliaci rapporti che aveva in passato con Mariangela, si è sobbarcata 140 km al giorno di viaggio per starmi vicino e fare per Mariangela tutto ciò che era nelle sue possibilità; non ho mai ringraziato il destino per averti incontrata, perché i casini che hai portato nella mia vita sono stati talmente tanti che il grazie mi è venuto sempre difficile; in questi giorni ho detto per la prima volta grazie, e sono contento di aver affrontato tutti questi dieci anni solo per vivere questi momenti, e per la prima volta, se potessi riavvolgere il nastro del tempo, tornando indietro ti inviterei nuovamente a Viterbo a fare pratica nel mio studio, perché valeva la pena di vivere tutto.

Grazie al senatore Bartolomeo Pepe, che ha lasciato il senato e i suoi impegni solo per aiutare Mariangela, venendo in pullman da Roma perché era pure rimasto senza macchina; i suoi consigli sulle terapie chelanti e le sue ricerche sul tumore non sono serviti a nulla, ma almeno hanno regalato a Mariangela un po’ di sorrisi; e a me un po’ di speranza nella politica, se c’è gente come lui in parlamento; quando la maggioranza dei parlamentari, di destra sinistra o centro, saranno come te, l’Italia risorgerà davvero.

Grazie a Barbara Luce, che pur non conoscendo Mariangela, voleva venire da Milano per cercare di convincerla a curarsi e trovare la forza di vivere; abbiamo poi abbandonato il progetto quando abbiamo visto che era inutile; e grazie per tutte le sessioni di meditazione che ha fatto e per il tempo che le ha dedicato; ti ho conosciuta per la vicenda delle Bestie di Satana, e sei uno degli angeli comparsi sul cammino.

Grazie a Giorgio Bertazzoni, che spontaneamente ha messo in atto delle pratiche energetiche per aiutare Mariangela: pratiche che si sono rivelate efficaci mentre la seduta era in atto, per poi svanire poco dopo, purtroppo; uno dei begli incontri fatti in questi anni grazie al lavoro non sempre facile che ho scelto.

Grazie a Carmelo Carlizzi, l’unico che, per qualche motivo che non so spiegare, è riuscito a toccare il cuore di Mariangela (almeno per quello che ho potuto percepire io), che è riuscito ad infonderle un incoraggiamento e un amore che è durato anche oltre il tempo delle sue visite; ho sentito la tua presenza come un dono divino e l’incontro con Gabriella ha acquistato tanti altri significati.

Grazie a mia madre, che ha dato il meglio di se stessa in questa vicenda, con cui dopo anni ho potuto condividere dei bei momenti riscoprendo in lei doti che avevo dimenticato, per essere sempre stata vicino a Mariangela e a me.

Grazie alla signora Paola dell’ospedale di Belcolle; ricorderò per sempre il giorno che entrai in quello che mi pareva un girone infernale; domandandole dove era la stanza della dottoressa Frittelli, ci spiegò con voce dolce, calma, dove era la stanza; “se non la trovate tornate qui, che vi accompagno”, disse; e poi aggiunse parole di conforto non richieste e impreviste: “stia tranquilla signora, qui è in buone mani, la dottoressa Frittelli è un angelo e si troverà benissimo”; seduti in sala di aspetto, ci siamo domandati se invece di una persona non avessimo incontrato un angelo; e uscendo ci siamo detti “magari non la troviamo più, è scomparsa… era qui per accoglierci ma ora è volata di nuovo in cielo”. Invece poi l'abbiamo incontrata di nuovo.

Grazie a Fabio Frabetti, che mi ha accompagnato anche in questo viaggio, aiutandomi a trasformare una tragedia in qualcosa che possa servire di aiuto agli altri.

Grazie alla psicologa, dottoressa Taucci, che non ha dato solo un supporto psicologico a Mariangela, ma le ha dato anche amore, intelligenza, acume, equilibrio. E grazie per avermi fatto capire alcuni meccanismi di Mariangela, e per avermi aiutato ad accettare una realtà per me inspiegabile, perchè anche dopo decenni, e con un rapporto così intenso, alcune cose sfuggono lo stesso.

Grazie a Stefania per l’amore che ha dato a me e a Mariangela; mille volte ho detto conoscendoti: “tornando indietro, vorrei conoscere una persona così e direi a me stesso che sarei fortunato, a poter avere accanto una persona così”; l’ho detto anche in questi mesi.

Grazie a tutti i lettori che mi hanno fornito informazioni, supporti, incoraggiamenti, link, che si sono offerti di aiutarmi in qualche modo.

Quando mi chiedono se ho paura di perdere Mariangela, spesso rispondo che le persone che si amano non si perdono mai; in compenso, ho acquistato tutte le cose belle che ho elencato. Non che dubitassi di averle.
Ma averne la conferma è stata una bella emozione in un inferno che ancora non è finito, e sarà sempre una cosa bellissima in mezzo alla stupidità, alla cecità e alla disumanità che ho dovuto mio malgrado affrontare e che devo purtroppo continuare ancora ad affrontare.
In questo momento, sono pronti infatti tutti i preparativi per Napoli, dove Mariangela andrà a seguire le cure tradizionali, con il consenso e il plauso di tutti i parenti, della società e degli amici, che non hanno dedicato più di qualche secondo ad ascoltare come poter aiutare una persona che pure dicono di amare, ma che sicuramente dedicano ore e ore a leggere riviste e ascoltare pareri diversi quando devono acquistare un’auto nuova o una nuova cucina.
La nostra società è fatta in gran parte di imbecilli che per scegliere un’auto, una cucina, un ristorante, si informano; per salvare la propria vita o quella degli altri si affidano a degli incompetenti.

14. Bibliografia.

Link per approfondire e iniziare un percorso diverso.

Terapia Di Bella
http://www.metododibella.org/it/mdb/home.do
http://www.dibella.it/it/mdb/welcome.do
http://www.ritabrandi.it/

Simoncini
http://www.curenaturalicancro.org/
http://www.affaritaliani.it/cronache/intervista-simoncini-tumore161212.html
http://www.losai.eu/cancro-in-usa-studia-il-bicarbonato-in-italia-simoncini-e-stato-radiato-dallalbo/

Valsè Pantellini
http://pantellini.org/
http://www.disinformazione.it/pantellini.htm

Metodo Abramo
http://robertosanti.jimdo.com/la-cura/
In generale, digitare su google Metodo Abramo o BIDA

Formula di René Caisse
http://www.macrolibrarsi.it/libri/__la_formula_di_rene_caisse.php

Cura a base di Aloe
http://fiocco59.altervista.org/aloe_arborescens.htm
http://fiocco59.altervista.org/
http://www.macrolibrarsi.it/autori/_padre_romano_zago.php
http://aloearborescens.tripod.com/intro.htm

Altri link utili
http://www.disinformazione.it/ricercatori%20eretici.htm
http://fiocco59.altervista.org/
http://www.disinformazione.it/costi_oncologia.htm
http://www.xmx.it/chemioterapia.htm

Libri e DVD:
Claudio Trupiano, “Grazie dottor Hamer”, Secondo natura editore
Claudio Trupiano, “Grazie ancora dottor Hamer”, Secondo natura editore
Claudia Rainville, “Dizionario della metamedicina”, Sperling e Kupfer
Claudia Rainville, “Metamedicina, ogni sintomo è un messaggio”, Amrita
Rudiger Dahlke, “Malattia come simbolo”, Mediterranee
Thorwald Dethlefsen, “Malattia e destino”, Mediterranee

Massimo Mazzucco, “Cancro: le cure proibite”, DVD.
http://shop.luogocomune.net/cancro-le-cure-proibite_2093130.html

Uno dei più bei libri sul cancro è stato scritto da Tiziano Terzani, “Un altro giro di giostra”. La cronaca di un giornalista a cui viene diagnosticato il cancro, ma che, come Mariangela, dopo aver girato per il mondo in cerca di decine di cure, sceglie di morire e di seguire la strada tradizionale. Come confesserà al figlio nel suo libro successivo, “La fine è il mio inizio”, Terzani ha infatti provato tutto nella vita, e visto tutto; in fondo, è molto curioso di morire per vedere cosa c’è dall’altra parte. In fondo, aggiungerei io, era anche stanco, come lo è Mariangela e come spesso lo siamo noi.

Pubblicato da Paolo Franceschetti

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