"THE END"

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lunedì 18 giugno 2012

LA MORTE


Stamattina passeggiavo e pensavo alla morte, e questo perché una persona che conosco scriveva che a un suo parente gli hanno dato, forse, dai due ai sei di vita. Dico forse perché anch’io dovevo morire secondo la medicina ufficiale, e nemmeno una volta, di più, quindi scrivo forse! Che faremo noi se ci dicessero "ti rimangono sei mesi" di vita?
Sorpresa? Eppure ogni secondo che passa, tic, tac, la morte è sempre meno lontana. Io rimango alla Jim Morrison: "La morte sarà lo sballo più grande della nostra vita", ma sono io che la pensa così e non tutti, eppure se ne parla poco, come se stessimo vivendo una sorta di immortalità artificiale. Siamo UMANI e quindi si muore come atto estremo opposto alla nascita, dimensione generate da forze opposte è questa per chi non se ne fosse ancora accorto.
Andiamo in paradiso per l’eternità? Oppure all’inferno … oppure si spegne tutto, tutto nero e quindi non ce ne può fregare di meno? Come quel filosofo greco che disse la morte non è cosa che ci riguarda, perché la situazione di morte arriva quando non c’è più la vita …
Penso che se esistesse davvero il paradiso eterno ci stancheremo, eccome! Immaginatevi di stare beati e tranquilli tutto il giorno … e immaginate invece di avere la possibilità di ritornare a vivere di nuovo, cosa scegliereste? Io sono convinto che la stragrande maggioranza degli esseri viventi di fronte a questa scelta prenderebbe la via del ritorno, quella della fatica, del sacrificio e del prezzo da pagre per le emozioni che solo la vita terrena può darti. In fondo questo mondo, fuori e dentro di noi stò dicendo, è una cosa impressionante per la quantità di situazioni che possono nascere: Dentro di noi accade tutto, tutto prende forma dalle idee, i pensieri, e si tramuta poi nella realtà, realtà composta da miliardi di esseri viventi che danzano magicamente nello spazio compreso tra gli opposti e generano questa realtà cangiante, in continua mutazione, tutto cambia ad una velocità incredibile, ogni sera andiamo a dormire, morire, e ci risvegliamo differenti dal giorno prima. A volte ho sentito persone dirmi: Io sono sempre la stessa persona. Eccome no, ogni giorno impariamo, apprendiamo, entrano in noi nozioni, emozioni e situazioni che viviamo e che ci cambiano per sempre, e non si può negare questo perché chi lo nega, e ci sono quelli, dovrebbe pensare: Allora che vivo a fare? Purtroppo però le moltitudini non sono molto portate a pensare, anzi, dirò di più, vedono nel pensiero qualcosa di fastidoso o peggio ancora malvagio … non chiediamo quindi il motivo per cui il mondo è ridotto come lo vediamo oggi, 2012, nell’era del “nuovo medioevo”: Nuovo ordine mondile? No, nuovo medioevo mondiale, invece di bruciare gli eretici li mettono sulle catene di montaggio, hahahhha, che è peggio ancora! Io sono un personaggio particolare, come tutti voi in fondo, e questo lo dico perché ho l’abitudine di notare e la dote di memorizzare tutto e guardandomi attorno ne vedo di stranezze, più viaggi e più ne vedi, più passa il tempo e più ne vedi, ricorderò sempre quell’anno a Barcellona, li in dodici mesi ho visto quello che in una vita non avevo visto, nel bene, nel male e nel comico. Tornando al discorso morte, devo dire che in vita mia non ho mai provato dolore per una persona a me conosciuta o cara che sia morta, ed anche quando penso a chi ho amato non sono mai riuscito a provare davvero dispiacere se questa fosse partita per il viaggio finale diciamo, certo, ovvio che io da parte mia ho provato quel senso di vuoto e mancanza, ma quello è egoismo, non dispiacere. Il dispiacere è un’altra cosa, pensare a qualcuno che muore mi provvoca sempre una sensazione come di partenza appunto, per luoghi lontani e inarrivabili e forse so che tutto sommato guardando il lato positivo della situazione, finalmente hanno avuto la risposta al grande dilemma dell’esistenza … come puoi dispiacerti di questo? Pensiamo all’eterno … ma come al solito parliamo senza sapere! Cosa ne sappiamo noi di eterno? Non possiamo nemmeno immaginarlo visto che da sempre conosciamo solo il tempo, che passa e di eterno ha davvero poco. Non siamo capaci di immaginare una situazione al di fuori del tempo, il tempo è nella nostra mente ma anche nello spazio che ci circonda, spazio e tempo non possono esistere l’uno se non esiste l’altro … a questo proposito proviamo a unire indice e pollice e poi lentamente divarichiamo … ecco, tempo e spazio sono quelli secondo il mio modesto parere.
Ora vi lascio alla lettura di un articolo sulla morte e i tabù che regnano attorno a questa, ricordate che qualsiasi uomo che non pensa alla morte non è un essere umano, unici e irripitebili, e lo siamo proprio perché siamo mortali, non se ne parla mai eppure è la sola cosa certa della nostra esistenza!
Buona lettura
 by Dioniso777

La storia di un antico problema di relazione. Io e la morte...Ci ho messo un pò a entrare nell'ottica giusta, in verità. Nell'ordine di molti anni.
Ma sempre meglio, rispetto a  tutti quelli che si credono artificialmente, artificosamente e pienamente a torto, immortali. Non è vero?
Il rapporto con la morte è di importanza estrema, lungo la via dello spirito libero e creativo.


Da piccolo, la dipartita di cari mi provocava sempre un effetto tragico; di gran lunga più intenso ed esteso, rispetto a quanti a quello che parevano subire quanti mi circondavano. Non sono mai riuscito a "riprendermi" completamente, da una sola delle dipartite di cui ho dovuto far esperienza. Del resto, non  ho mai fatto "come se nulla fosse", anche al sopraggiungere di altri tipi di delusioni e lutti, per  figurati o simbolici che fossero.
 Poi, un giorno, ho preso a capire.
Quanti mi circondavano, invece, non hanno mai preso a capire un bel niente, in fatto di morte e "consanguinee".
 Li vedevo. Immobili, quasi inerti; o chiassosi e lamentosi a non finire. Ma nessuno, nessuno tra loro che meditava su quel tipo di evento. Su quel genere, di eventi. Nessuno, rapito dal mistero di un fenomeno, senza il quale neppure la vita stessa, sarebbe dopotutto possibile. 
Un giorno ho capito, o perlomeno ho preso a imparare lezioni, da tutto quel dolore "non trattato", che con gli anni avevo giustamente accumulato in fondo all'anima. Ma gli altri, intorno a me, non sembravano far tesoro, né progredire. Era come se ogni successiva dipartita, reale o simbolica, ogni delusione o disillusione, generasse in loro un sempre maggiore distacco da loro stessi. Tutto qui.
  Un distacco, e nient'altro, dalla loro più profonda capacità di agitarsi tra le catene e le camicie di forza, che questa "vita sociale", e "collettiva" mal intepretata e grottescamente inerte,  continua ad appiciccarci addosso. Di generazione in generazione. 
Più passavano gli anni, più numerose si facevano le inevitabili dipartite, le delusioni e le disillusioni; e meno le persone che mi circondavano sembravano fare loro caso. Sempre meno meditazione e agitazione sana,  quando la morte, in una delle sue molteplici laschere, o brutalmente viva,  sfiorava la routine delle loro giornate sempre più uguali.
 Loro, in questo loro reagire si definivano "adulti". Loro, definivano le loro, le reazioni mature e assennate di persone assennate. Io, invece, sempre più coglievo la totale mancanza di naturalezza, nelle loro movenze tanto esteriori quanto "interne"...La tortuosa fuga dall'istante e dalla scelta che FA l'esistenza, che il loro "soprassedere", o fingere di "guardare avanti" e al futuro, e mai semplicemente al "qui e ora", palesemente oramai ai miei occhi tradiva.
Ho imparato a capirci qualcosa, e contemporaneamente ho preso a realizzare perché non riuscissi semplicemente ad "assorbire", appunto"guardando avanti", i lutti di vario tipo, materia e profondità, chi il mio percorso spirituale mi imponeva di attraversare. La buia notte dell'essere, prese ad essere meno minacciosa, quando cominciai a sospettare che tutto avesse a che fare con l'impararci qualcosa di preziosissimo su se stessi, dall'evento della morte. Ciò che ci rende individui, unici e irripetibili, è in altre parole sempre e inevitabilmente interconnesso, con il nostro proprio essere mortali. Il valore della scelta, di una vita auto-diretta, sta proprio nel fatto che è la morte stessa,  a rendere ogni scelta, e quindi l'essere umano stesso che la abbraccia, unica e irripetibile. Purtroppo per tutti, siamo immersi in un tessuto culturale che da molto, molto tempo, vuole gli esseri umani, completamente in panne o in preda al panico, di fronte alla più minima percezione della loro ineluttabile condizione in qualità di individui. L'uomo deve scappare senza voltarsi indietro, al solo sentire nominare la morte...invece di stare ad ascoltare quello che questa strana signora cerca continuamente di spiegarci su noi stessi.
 Ma la morte, con buona pace di religioni e pensieri dogmatici vari, è un evento del tutto naturale, e estremamente funzionale alla vita stessa.
 Sono loro, invece, "loro" le religioni dominanti e i pensieri dogmatici che comunque vanno per la maggiore tutt'oggi, a non avere semmai il benchè minimo rispetto o la più basilare comprensione, nei confronti della NATURA. Tra loro, molti anzi sanno. Ma è più lucrativo fingere di non sapere, per chi intende la vita in termini esclusivi di "dominio", schiavitù", e "comando". La paura, è la prima causa al mondo di "mentalità da greggie"...
Morte e vita sono interconnesse e inscindibili in ogni istante di vita individuale. Non può esservi creazione senza distruzione. Non si può costruire, se al contempo, o prima, non si è de-costruito. Ma la società ci insegna, invece, il mito di una certa artificiosa immortalità, che trapela ogni giorno dagli abbaglianti sorrisi dei guru del "pensiero positivo", come dai lineamenti plastificati di signore e signori, sempre più giovani, sempre più "rifatti" e robotizzati....Così, mentre da una parte l'uomo viene persuaso a fuggire la migliore delle propria consiglieri in materia di spirito, dall'altra ecco accoglierlo a braccia aperte i simulacri di inautenticità della farmacologia, della cosmetica, della chirurgia. Della spietata solitudine, di un "io" immerso, anonimo, in una folla di tutti uguali...
I culti ci guadagnano in prestigio, ricchezza e potere, da questo fondamentale fraintendimento esistenziale dell'individuo. Lo stesso dicasi, di tutti i macellai e i prestigiatori, che della non accettazione e dell'auto-fraintendimento individuale, hanno fatto l'oscura tana per il loro parassitario stile di vita. 
Ma non sono qui per insegnare qualcosa a qualcuno. Scrivo, semplicemente perché amo il confronto, e prima ancora esprimere me stesso per parole dotate di anima e cuore. Sarò felice, se le mie parole sapranno perciò ispirare gli altri. Ma testimonio solamente di me stesso, e attraverso l'unicità della mia esperienza esistenziale.

 E allora vi dirò, al riguardo, che di certo io non faccio la fortuna né dei mercanti di morte, né dei mercanti, ancora più artificiosi, di non-morte( la quale è ben diversa, dalla vita vera). 
Credo che la morte stessa impari con il tempo a portare un grande rispetto, verso i guerrieri spirituali veri. Verso ogni individuo, che cioè abbia fatto, della conoscenza e della scoperta di se stesso, la propria vocazione di vita. 
Lo stesso, non mi sento però di affermare riguardo a chi si rifiuta tutta la vita di ascoltarne la placida, ma sempre ben distinguibile, voce.
Personalmente, non mi attanaglia mai il terrore, quando penso alla morte. Sarà, forse, perché cerco di infondere, a ogni scelta che posso e che  riesco, il marchio a fuoco dell'immortalità; del "come se".
 Sarà, che solo da quando mi sono reso conto, che la mia vita, così come ha avuto un inizio, altrettanto inevitabilmente avrà un termine, la mia ESISTENZA è diventata una questione estremamente importante, e squisitamente "egoistica", per me stesso.  E' diventata finalmente, cioè, MIA.
Sarà, probabilmente, anche che assisto per converso al continuo dissipare, da parte di troppa gente attorno a me, la propria energia in gesti meccanici, in pensieri e scelte di seconda o terza mano ( a volte, di "millesima" mano) . Sarà che li vedo prigionieri strangolati di rassicuranti routine...


Sarà, che non cerco o perseguo, se non di essere unicamente me stesso. Ed essere me stesso, significa continuamente assumersi per differenza, perciò ad ogni istante morire a qualcosa, a una analogia, a una similitudine che ineluttabilemente contiene un frammento di differenza. E in questo modo a tutto quanto sono stato in precedenza. Muoio e rinasco. E dove arrivo, un giorno lo vedrò.
Sarà, in poche parole, che quello che più conta, per me, è che la morte mi trovi vivo. E ben desto. E non, voltato di spalle, sempre intento a scappare, e a scambiare la vita, per una perenne maratona in senso contrario.
Non è un vestito, un credo, un atteggiamento o un parola, a far di me quello che sono; non, a questo punto almeno. E' il mio, unico e irripetibile, modo di indossarla, tutta questa roba che "manifesta".
Lo stesso, vale naturalmente per tutti quelli che, leggendo queste mie parole, hanno la benché minima idea, di cosa diavolo significhino.
E, a proposito di diavolo, demonizzare la morte ( è questo ciò che cui in effetti tutta questa artificialità si riduce ) è a mio avviso il modo migliore di tutti , per far vivere alla gente una vita inautentica. Per anzi far fuggire perennemente l'individuo da se stesso, e farlo correre a gambe levate tra le braccia di una folla di sconosciuti, ugualmente terrorizzati. La "gente". Ma abbiamo anche un libero arbitrio, dopotutto. Non è forse così?

La morte è un mistero, e una faccenda alquanto privata e assolutamente personale. Si medita da soli, quando ci passa accanto o ci sfiora. "Si" ragiona", se non siamo almeno dei completi cretini, sulle domande di capitale importanza, per la propria esistenza. E lo si fa da soli, se si è saggi.
E vale, per i misteri, tutto il rigore e l'austerità da assumere di fronte a ciò che è sacro.
Ma plastiche e silicone, capelli tinti per uomini e donne, e mille altri artifici religiosi stregoneschi per fuggire dalla propria unicità, che ciò avvenga attraverso la "sottomissione" a poteri frigidi, per via di quella "consolazione", che tanto piace ai deboli, non hanno forse proprio l'effetto di rendere proprio questa vita terrena, l'inferno che si vorrebbe ad ogni costo fuggire? Non è forse meglio, cominciare a prendersi sulle spalle la propria esistenza, la propria irreversibile unicità, irripetibilità? Non è forse meglio, cominciare a rendersi conto dell'enorme potere che hanno, lamente umana, e la nostra sotto stimata libertà d'arbitrio?

Ogni scelta è un po' morire, per quanti hanno orecchia da intendere. Proprio per la stessa identica ragione, ogni scelta è al contempo potenza creativa di vita. Mi viene in mente, che la gente che rifugge il pensiero della morte, che corre tra le braccia di qualche credo dogmatico assurdo, o che corre a cercare di taroccare il tempo con altri artifici, che chi fugge il pensiero dell'ineluttabilità, prende progressivamente, con il tempo, a fuggire poi come la peste ogni qualsiasi scelta possa contenere, tra i suoi ingredienti alchemici, un qualsiasi porzione minima di possibilità morte. Ogni tipo di rischio, ogni incertezza, anche mettersi a praticare uno sport nuovo a 40 anni suonati diviene un qualcosa da evitare, per l'uomo chiuso e prigioniero nel cerchio "affatto sacro" del "rassicurante prevedibile".
La sicurezza psicologica, in questo come in infiniti altri casi, va però a discapito della saggezza biologica. Per dirla in altre parole, "si" estingue progressivamente la linfa vitale, la bellissima sensazione di precarietà entro i cui confini si vive da protagonisti, a fuggire le piccole dosi quotidiane, di consapevolezza della propria mortalità.
Credo che l'essere umano sia l'unica creatura, per concludere, che può continuare a vivere, biologicamente, anni e addirittura decenni su decenni, dopo aver assassinato la propria anima. La propria preziosa individualità. Il proprio modo unico irripetibile, di riferirsi a "qualcosa di ben definito", pronunciando il proprio nome. Ammazzano la propria vitalità, e sono in tantissimi, insieme al pensiero della propria inevitabile mortalità.
Caste su caste di uomini nell'ombra, ci guadagnano poi da millenni, in termini di potere e controllo, e chissà cos'altro, dalla paura che l'uomo puntualmente subisce, della propria ombra. Ma il mio punto è: "Tutti questi sforzi, tutta questa artificialità, e poi per cosa?"
Se non è follia troppo a lungo protratta, questa, allora, di cosa può mai trattarsi? E il fatto che sia condivisa da milioni di persone, non rende questa follia meno folle in se stessa di un'oncia. Semmai, la viralità della sua natura attesta l'diozia dei più, e il puntuale "auto" ed "etero" sabotaggio, generazione dopo generazione, di troppi "cattivi maestri"...
Mi viene in mente un passaggio, da un libro di Carlos Castaneda ( Non la più preziosa delle fonti verso quali mi sento debitore: ma comunque, spesso, una buona lettura. Divertente).
A un protagonista puntualmente sbalzato, tra l'inefficente uso del proprio passato, e la minaccia PERTANTO incombente del proprio futuro, il solito imperturbabile, ma malizioso Don Juan, a un tratto rispose una cosa del tipo:" Non ti preoccupare mai della morte. Si tratta di un evento che procura dolore, solo se avviene in un letto, per malattia. Quando si è impegnati a combattere per la propria vita, se la morte sopraggiunge, l'unica cosa che si prova, è ESULTANZA".
Più o meno, mi pare recitasse così...E mi pare una posizione pienamente spirituale, oltre che condivisibile.
Un abbraccio controcorrente
David The Hurricane Di Bella

4 commenti:

Pascal ha detto...

Finalmente qualcuno che parla della morte!
Grazie a dio sono atea :-) e la penso come Morrison.
A forza di temerla l'abbiamo travisata.
Invece io la vedo come una consolazione. Magari da non prendersi anzitempo, ma è bello sapere che c'è. Qualunque cosa succeda prima o poi smetteremo di soffrire.
E questo ci permette di guardare la vita con più equilibrio.
La morte dà la possibilità di essere saggi.
...

*Dioniso*777* ha detto...

Il tabù assoluto ... come non dovesse mai accadere!
Siamo nati per morire!
Lo sai che diceva Herman Hesse? Lupo della steppa, sapendo che a 50 anni si sarebbe ucciso, sopportava meglio tutte le situazioni più estreme ... si smette di soffrire come di godere io penso ... IMHO

Pascal ha detto...

Ma la ricerca del godimento fine a se stesso non è forse un modo per sfuggire la morte?
...

*Dioniso*777* ha detto...

Non lo so di preciso perchè potrebbe diventare tutto fuga se è fine solo a se stesso ... si dovrebbe imparare, crescere e modificare le proprie azioni\pensieri...

LKWTHIN

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