"THE END"

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mercoledì 12 giugno 2013

Stati Uniti, la fine del modello


- Mario Lombardo -
Le rivelazioni dell’ex contractor della CIA e dell’Agenzia per la Sicurezza Nazionale americana (NSA), Edward Joseph Snowden, sui programmi di intercettazione delle comunicazioni elettroniche di centinaia di milioni di persone da parte del governo di Washington, così come le sue dichiarazioni rilasciate al Guardian da Hong Kong e pubblicate nella giornata di domenica, contribuiscono in maniera decisiva a fare luce sulla vera natura del sistema politico e giudiziario degli Stati Uniti a oltre dieci anni dall’inaugurazione della cosiddetta “guerra al terrore” e a poco meno di cinque dall’esplosione della più grave crisi del capitalismo dalla Grande Depressione degli anni Trenta del secolo scorso.
Il 29enne dipendente della compagnia Booz Allen Hamilton – appaltatrice del governo americano per la fornitura di servizi di intelligence presso la quale, ironicamente, era impiegato lo stesso direttore dell’Intelligence Nazionale, James Clapper – ha infatti reso un servizio di inestimabile valore alla popolazione statunitense e non solo, rivelando alcuni dei mezzi impiegati dagli USA per giungere ad una sorveglianza capillare e pervasiva dei propri cittadini e di quelli di altri paesi, con il fine ultimo di controllare e reprimere ogni forma di dissenso.
Le rivelazioni pubblicate nei giorni scorsi dal Guardian e dal Washington Post hanno consentito inoltre di mostrare il vero volto della politica americana, sia nell’incarnazione repubblicana che democratica, interamente dedita alla conservazione di una ristretta élite economica e finanziaria con interessi globali e priva ormai di qualsiasi riguardo per i principi democratici fissati nella Costituzione degli Stati Uniti.
              

La pubblicazione dei dettagli relativi al monitoraggio delle comunicazioni dei clienti della compagnia telefonica Verizon e del programma PRISM, con cui l’NSA ha di fatto libero accesso ai dati web degli utenti di compagnie come Facebook o Google, è stata seguita da dichiarazioni ufficiali di esponenti dell’amministrazione Obama e del presidente stesso nelle essi non solo hanno puntato il dito contro i responsabili di un’imprudente rivelazione di segreti che metterebbero a rischio la sicurezza nazionale, ma hanno anche difeso senza indugi misure che violano deliberatamente la privacy e i diritti democratici di ogni cittadino.
L’inquilino della Casa Bianca ha così ricordato agli americani che non è possibile “avere il 100 per cento della sicurezza e il 100 per cento della privacy senza inconvenienti”. In maniera ancora più preoccupante, Obama ha poi garantito la piena legalità dei programmi di monitoraggio e intercettazione condotti segretamente dall’NSA, basando la sua affermazione sul fatto che tutte le istituzioni che rappresentano i tre poteri dello Stato sono a conoscenza di essi o hanno un ruolo attivo nella loro implementazione.

Il governo, quindi, non ha mano libera nell’invadere la privacy degli americani, poiché il Congresso è continuamente informato di ciò che accade all’NSA e un apposito tribunale che opera in gran segreto – il cosiddetto Tribunale per la Sorveglianza dell’Intelligence Straniera (FISC) – approva ogni richiesta di intercettazione. Questa tesi, che tecnicamente corrisponde al vero, manca però di evidenziare come ognuno di questi atti continui ad essere condotto nella più totale segretezza, senza che gli americani siano stati informati o abbiano avuto la possibilità di discutere pubblicamente sulle relative implicazioni, mettendo di fatto in crisi anche la residua parvenza di democrazia che caratterizza l’odierno sistema rappresentativo degli Stati Uniti.
Ciò che Obama, già docente di diritto costituzionale, ha definito una “modesta intrusione” nella privacy dei cittadini con il consenso del Congresso e dei giudici federali corrisponde in realtà ad una flagrante violazione dei diritti democratici, in particolare del Quarto Emendamento alla Costituzione che protegge da perquisizioni e confische senza una valida ragione. Oltretutto, la raccolta indiscriminata di dati relativi alle comunicazioni elettroniche dei cittadini e al loro traffico in rete rientra in un disegno volto a creare una gigantesca banca dati che raccolga informazioni sul maggior numero di persone possibile.

                         Come se non bastasse, le rivelazioni di Guardian eWashington Post hanno seguito di meno di una settimana una sentenza della Corte Suprema che sembra andare nella stessa direzione e che ha trovato relativamente poco spazio sui media d’oltreoceano e ancora meno da questa parte dell’Atlantico. Il supremo tribunale americano, coerentemente con il progressivo smantellamento delle garanzie costituzionali operato in questi anni dai nove giudici guidati dal presidente John G. Roberts, ha dato cioè il via libera alla raccolta di campioni di DNA di persone che semplicemente verranno sottoposte a fermo di polizia, di fatto anche per avere partecipato a manifestazioni di protesta contro il governo. Questi campioni potranno essere conservati e utilizzati sia per la risoluzione di crimini per i quali i proprietari non sono sospettati sia per facilitare le indagini su possibili futuri reati di qualsiasi natura.
Per quanto riguarda il livello di violazione della privacy sul fronte delle comunicazioni elettroniche è stato lo stesso Snowden a chiarire fino a che punto il governo si stia spingendo nel controllo dei propri cittadini. Nell’intervista rilasciata a Glenn Greenwald del Guardian, Snowden ha definito il programma di sorveglianza dell’NSA “l’architettura dell’oppressione”, volta a “conoscere ogni conversazione e ogni genere di comportamento”.
Ancora, la fonte delle recenti rivelazioni ha spiegato che “l’NSA ha costruito una struttura che, in pratica, consente di intercettare qualsiasi cosa”, in modo che “la gran parte delle comunicazioni umane venga automaticamente acquisita senza un obiettivo specifico”. Di fronte ad una struttura con “capacità terrificanti”, aggiunge Snowden, “non si è al sicuro con nessun genere di precauzione”.
Una simile struttura inglobata nell’apparato della sicurezza nazionale americana solleva inquietanti interrogativi sulle finalità del governo americano e sulla definizione stessa di “nemico” adottata da una classe politica che nell’ultimo decennio ha sfruttato la minaccia terroristica in funzione della promozione o della difesa degli interessi dell’oligarchia economico-finanziaria di cui è espressione.

                          Il fatto che il governo degli Stati Uniti abbia accumulato una serie di prerogative senza precedenti – che vanno dalla sorveglianza di virtualmente tutta la popolazione all’imposizione dello stato d’assedio di intere città con la sospensione dei diritti costituzionali (come è accaduto a Boston all’indomani dell’attentato alla maratona nel mese di aprile), dalla detenzione indefinita senza prove o processo all’assassinio extra-giudiziario di chiunque venga considerato una minaccia per il paese – ufficialmente per contrastare un avversario, come l’integralismo islamista, che rappresenta alternativamente una minaccia da estirpare (Afghanistan, Iraq) o un alleato (Libia, Siria) e con cui la CIA e i militari continuano ad intrattenere rapporti ambigui, indica perciò come il timore diffuso negli ambienti di potere sia in realtà motivato da ben altro.
La vera minaccia che la classe dirigente degli Stati Uniti intende prevenire e combattere è rappresentata infatti dalla gran parte dei cittadini americani che è soggetta ad una colossale operazione di controllo e sorveglianza e che nutre un sentimento di avversione sempre più profondo nei confronti della politica di Washington, dell’apparato militare e dell’intelligence, ma anche di un’onnipotente industria finanziaria con cui essi operano in simbiosi.
Una tendenza sempre più autoritaria, quella delineata dalle rivelazioni di Guardian e Washington Post, che affonda dunque le proprie radici non tanto nello schermo della “guerra al terrore” e della finta necessità di difendere il paese da minacce esterne quasi sempre già conosciute quando non addirittura coltivate e finanziate segretamente, quanto nella crisi strutturale di un sistema economico, la cui sopravvivenza richiede il rimodellamento dei rapporti sociali e di classe con conseguenze pesantissime per la maggioranza della popolazione.
Le fondamenta di un vero e proprio Stato di polizia, gettate dall’amministrazione Bush e utilizzate da Obama per intensificare il controllo del governo sui propri cittadini, rappresentano in definitiva un sistema di difesa da parte di chi detiene il potere a Washington contro le conseguenze dell’impoverimento di massa imposto in questi anni alla popolazione, vale a dire l’esplosione delle tensioni sociali e il rapido diffondersi di un dissenso interno che non può trovare alcuno sbocco democratico nel quadro dell’attuale sistema di potere.

http://www.altrenotizie.org/esteri/5526-stati-uniti-la-fine-del-modello.html

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