"THE END"

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giovedì 13 settembre 2012

E invece, parliamo di prostituzione

                
                                                                                                                                                       Lo facciamo mettendo in contrapposizione due tesi: quella di chi sostiene che la prostituzione sia qualcosa che offende la dignita' della donna, di qualunque donna, non solo di chi la esercita, e quella di chi, al contrario, sostiene che la prostituzione non sia sostanzialmente diversa da una qualsiasi altra professione - anzi, talvolta indispensabile per risolvere le difficolta’ di chi non puo’ accedere agilmente a un’attivita’ sessuale soddisfacente -, e che il vero problema sia esclusivamente morale, insito in coloro che, per questioni del tutto soggettive, non riescono a sopportare l’idea che nel mondo ci siano donne che, in liberta’ e senza sentirsi di serie B, abbiano scelto di prostituirsi. A sostenere questa seconda tesi, ovviamente, ci sono anch’io.

"La prostituzione non è riappropriazione. Non è scelta, non è libertà, non è gioia. La prostituzione implica la tortura, la riduzione in schiavitù, lo sfruttamento, l’emarginazione sociale, il ricatto."

Questo scrive Chiara Melloni in un articolo per Femminile Plurale che ha un titolo che pare quasi un ordine, "Non parlate di prostituzione", del quale non condivido una sola virgola. Infatti, l’articolista, in buona o cattiva fede questo non mi e’ dato di saperlo, non fa altro che confondere il mezzo (la prostituzione) con la finalita’ (il trafficking, cioe' il traffico di esseri umani) di chi con essa, sfruttandola, si arricchisce.


A voler essere pignola, la stessa operazione di mistificazione la si potrebbe fare anche parlando di raccolta di pomodori. La si potrebbe confondere con le organizzazioni malavitose che spesso stanno dietro a tale attivita’; organizzazioni che, allo stesso modo, trafficano in esseri umani e li sfruttano come e quanto possono essere sfruttate molte prostitute. Cionondimeno, non e’ che chi sceglie di fare la contadina, raccogliendo i pomodori in proprio, debba per questo sentirsi ostracizzata, o compatita, o addirittura equiparata a una “tossicodipendente” da aiutare ad ogni costo, come generalmente avviene per una prostituta.

Da cosa dipende questa diversa valutazione? Perche’ una contadina resta una persona che mantiene un proprio ruolo accettato da tutti e non offende la dignita’ di nessuno, seppure l’attivita’ della raccolta dei pomodori sia spesso collegata al traffico di esseri umani, mentre la donna che sceglie di prestare un altro tipo di servizio, utilizzando invece delle braccia un’altra parte del suo corpo, quella che volgarmente viene chiamata fica, viene trattata come una che col suo lavoro, oltre ad offendere tutto il genere femminile, favorisce il proliferare della malavita?

Fare questa grande confusione fra prostituzione e trafficking, mescolando in modo abile e capzioso il mezzo con la finalita’, rendendo l'uno conseguenza dell'altro se non addirittura la stessa identica cosa, e’ come affermare insindacabilmente che l'oppio fa male, sempre e comunque, poiche' trafficato dalla malavita, dimenticandosi, pero’, quanto questa sostanza venga usata nella farmacologia, soprattutto nella terapia contro il dolore. Una grande parte della produzione mondiale di oppio viene infatti trattata tramite canali che sono del tutto legali, e dietro a tale traffico non coincide con attivita' criminali; ci stanno governi, aziende farmaceutiche, ospedali, ma nessuno ha niente da ridire perche' le persone assennate sanno che l'oppio, ed ogni benefico effetto che esso puo' produrre, non puo' essere eliminato adducendo il pretesto che dietro esiste tutto un traffico illegale gestito dalla malavita.

Ma per la prostituzione non e' cosi', e si arriva a demonizzare lo strumento, il mezzo, confondendolo con la finalita’ di chi lo usa. Tuttavia, qualsiasi strumento di per se’ non e’ ne’ buono ne’ cattivo; cio’ che lo rende tale e’ solo il motivo per cui lo si utilizza. Percio' una donna che lo fa per scelta non puo’ essere equiparata a una dodicenne che viene rapita e obbligata a stare in un bordello, in quanto sta proprio nella scelta di fare, o non fare, qualcosa la vera liberta’. Dunque, anche nella scelta di fare la puttana.

Mi e’ stato obiettato che se lo si fa per denaro, non e’ liberta’, in quanto esiste una “costrizione” che e’ appunto il bisogno di denaro. Ma, signori miei, se e’ cosi’ allora ditemi chi e’ che non e’ schiavo? Ogni mestiere viene fra virgolette "fatto per fame". Cioe' per campare. Il fatto di essere schiavi del denaro, vale per chiunque. Un cantante Rock, ad esempio, non lo fa forse per i soldi? “Si’, pero’ il cantante rock vende la sua bravura, non il suo corpo, e quindi e’ una cosa diversa!” mi e' stato detto. Ma in base a cosa si puo’ stabilire che e’ diversa? Che differenza c'e' fra prestazione intellettuale, artistica e corporale? Esiste davvero una differenza per cui l'una valga piu’ dell’altra in termini “morali”?

Se diamo retta a chi sostiene che esiste questa differenza, possiamo stabilire che un cantante rock e' libero perche’ vende la sua bravura... una commessa e' libera perche’ vende la sua bravura... una contadina e’ libera perche’ vende la sua bravura (?). Pero', una donna che sceglie di fare la prostituta, invece della commessa, la cantante rock o la contadina, no. Non lo e'. In sostanza, il confine fa liberta' e non liberta’, per chi demonizza la prostituzione, si riassume tutto in questa sottile diversita’: se vendi il corpo ma non tutto il corpo, solo quelle parti che stimolano desiderio sessuale, non sei libera. Se invece vendi tutto il resto, il tuo cervello, le tue braccia, e la tua arte sei liberissima.

E se invece la liberta’ fosse tutt'altra cosa e non dipendesse da “quello” che si vende, ma da “come” e “perche'” si vende? Perche’ esiste una notevole differenza fra chi e' obbligata a fare un certo mestiere, fosse anche la cantante rock, ma che potendo scegliere farebbe altro, e chi, pur potendo fare qualcosa di diverso, sceglie comunque di fare quello che si sente di fare, finanche la prostituta. E allora chiedo: chi fra le due e’ piu’ libera?

La signora Melloni, se fosse una femminista, vera, attenta alla liberta’ della donna piu’ di quanto lo sia alla sua “moralita’ di facciata”, dovrebbe essere orgogliosa del fatto che al mondo ci sono delle donne che scelgono di gestirsi in proprio senza dover sottostare a nessuno, neppure agli sguardi bramosi di un capufficio arrapato, e dovrebbe portarle ad esempio anziche' demonizzarle per una professione che non significa solo traffico di esseri umani e malavita, ma molto spesso significa anche rendere felice chi, altrimenti, non potrebbe avere una vita sessuale soddisfacente. Dal timido, all’insicuro, fino ad arrivare a chi ha delle vere e proprie impossibilita’ fisiche. E invece, anche lei come molte altre donne, non importa se femministe o no, cade nella trappola della contraddizione tipica di un moralismo incancrenito in quelle societa’ in cui la religione, qualunque religione, ha sempre avuto una grande influenza nell’educazione delle persone che, anche da adulte, nonostante le belle idee progressiste e i buoni propositi, fanno fatica a liberarsi dai preconcetti e dal condizionamento ricevuto. Non dimentichiamoci che i bordelli e la prostituzione, sono leciti in molti paesi del mondo. E sono i paesi piu' civili.

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