"THE END"

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giovedì 15 dicembre 2011

LA CITTA SANTA CHE FU E CHE VERRA'


LA CITTA SANTA CHE FU E CHE VERRA'





di Mike Plato



E’ indiscutibile che le strutture spirituali del Tempio della nostra tradizione occidentale -in specie la tradizione dei Costruttori e dei Cavalieri- poggino sulle fondamenta terrene e mistiche di Gerusalemme, in quanto esse inglobano nel loro simbolismo, in un medesimo afflato spirituale, il Tempio di re Salomone, il Tempio di Cristo e quello dei Cavalieri della Città Santa. Sarebbe, quindi, interessante scrutare quella che è la nascita, la scelta del nome e la vocazione della Città Santa. Perché questa città è per tradizione il centro mistico, o meglio il simbolo di siffatto centro?

Gerusalemme nelle scritture giudaiche e non solo
Il nome Gerusalemme appare 700 volte nelle scritture ebraiche, mentre quello di Sion 180 volte. Ma se volessimo prendere in considerazione le diverse denominazioni (Monte Moriah, città di David, Città Santa, Salem, Jebus, Ariel, Montagna del Tempio), allora dovremmo arrivare a circa 2000 citazioni nella scrittura ebraica. Ciò dà un’idea della considerazione sacrale di cui questa città gode non solo nella tradizione ebraica. Gli unici libri del canone ebraico che non la citano sono quelli sapienziali: Proverbi, Giobbe, Ester. Si tratta pur sempre di libri non storici. La prima citazione è in Giosuè 10:1: “Quando Adoni-Zedek, re di Gerusalemme…”. Si tratta di un versetto altamente evocativo e simbolico. Nel Pentateuco di Mosè (i primi 5 libri della Torah) non vi sono citazioni, in quanto la storia ebraica ivi citata precede il momento in cui a quella città si dà il nome di Gerusalemme, e in cui quella città avrebbe acquisito il suo ruolo capitale nelle prospettive temporali e spirituali. Citata da testi egizi del II millennio a.C. di Ramses II e Ramses III, e in alcune lettere di Tell el Amarna del 1400 a.C., essa fu abitata, in principio, da indigeni canaanei, come suggerito dal 10°capitolo di Giosuè prima citato. Ma ancor prima, gli esegeti affermano che la vecchia Gerusalemme era la misteriosa Salem di Melkizedek, che incontra Abramo in Genesi 14. Dopo gli eventi di Adoni-Zedek, il sito fu occupato dal clan amorrita-canaaneo dei Gebusei, e fu chiamato Jebus, come è detto: “Jebus, cioè Gerusalemme” (Giudici 19:10). Ma la collina di Gareb aveva nome Urusalim da lungo tempo, secondo le fonti di Tell el Amarna. I Gebusei appaiono già in Genesi 10:15, come discendenti canaanei, nonchè in Genesi 15:21, citati come uno dei popoli su cui Abramo e la sua discendenza avranno la meglio. In Numeri 13:29, i Gebusei sono descritti come abitanti delle montagne di Canaan. In 2 Samuele 5:6, Davide muove verso Gerusalemme contro i Gebusei per conquistarla, e pone la sua dimora nella rocca di Sion. Da quel momento, Sion e Gerusalemme saranno una cosa sola, come lo stesso David scrive nei salmi: “nel tuo amore fa grazia a Sion,rialza le mura di Gerusalemme (Salmi 50:20)… È in Gerusalemme la sua dimora,la sua abitazione, in Sion (Salmi 75:3)”. Da segnalare che anche il libro di Cronache racconta i fatti della conquista della città da parte di David, e 1 Cronache 11:4 afferma che “David marciò contro Gerusalemme, cioè Jebus”. Quindi Jebus è il nome antico di Gerusalemme, e quell’Adoni-Tzedek del testo di Giosuè era un re canaaneo. David farà di Gerusalemme la pietra angolare di Israel, ma non sarà lui ad edificarvi il Tempio, bensì il figlio Salomone. Egli sarà il riflesso di quella Sapienza-Sophia cosmica, di cui è detto proprio nel libro da lui scritto: “la Sapienza si è costruita il tempio” (Proverbi 9:1)







Abramo, Mosè e la Città Santa
L’abramizzazione del sito farà della Città Santa il Centrum in Trigono Centri del monoteismo mediterraneo e non solo. Tutto ciò inizia da Mosè che nel celebre Canto di Vittoria, afferma che Dio farà entrare il suo popolo eletto e lo pianterà sul Monte della sua Eredità “luogo che per tua sede, Signore, tu hai preparato” (Esodo 15:17). L’allusione non è qui solo alla Gerusalemme come luogo elettivo per il popolo ebraico, ma anche alla Gerusalemme celeste luogo elettivo del vero Israel, quello spirituale, che non abiterà una città terrena (Apocalisse 21 e 22). Ma cosa vide il profeta Mosè? La città terrena? La città celeste? Entrambe? Certo è che il messia di Ariete qui non celebrò le meraviglie trascorse, ma quelle a venire. Quanto lontano vide nessuno può saperlo. Mosè ebbe in visione il popolo in marcia verso il Sinai, ove ebbe la Torah-Legge, poi lo vide entrare nella terra promessa, e ancora in Sion dove sarà eretto il Tempio non da Israele ma idealmente dalle mani di Dio stesso, che poi in esso infonderà il suo spirito, destinato però un giorno a disertare quel luogo sacro, come ai tempi di Mosè disertò i templi egizi. Il fine dell’esodo non fu quello di stabilire un focolare nazionale, ma una dimora per Dio. A Gerusalemme è affidato un patrimonio spirituale, quel patrimonio menzionato dal profeta Isaia: “Da Sion uscirà la Torah, e da Gerusalemme la parola del Signore” (Isaia 2:3). Ad onor del vero, la visione di Isaia non riguarda la Gerusalemme terrestre, destinata a finire con questo mondo, ma il suo corrispondente celeste, il centro mistico dell’eternità, poiché il profeta si riferisce alla fine dei giorni allorchè gli eletti saliranno sul monte del Signore (Isaia 2:3), ovvero il monte dell’eredità di mosaica memoria, che è uno dei sinonimi di Gerusalemme


La Gerusalemme di David, Salomone e Gesù
Re David ebbe il predominio sul posto segreto destinato all’abitacolo divino, situato all’intersezione di Giuda e Beniamino. I termini ebraici di questi due territori iniziano il primo con la J e il secondo con la B, per cui ciò induce a speculare sul significato simbolico della scelta di questo insediamento. L’abitacolo di Dio sorge tra J e B, ovvero tra le due colonne che la massoneria chiama Jachin e Boaz . In 1 Re 7:21 e 2 Cronache 3:17 è scritto che Salomone, nell’edificare le due colonne del tempio, di destra e di sinistra, le chiami proprio con questi termini, ancora presenti nella ritualità massonica. Boaz è la forza e il rigore, Jachin è la grazia e la misericordia; Boaz è la ragione, Jachin l’intuito e la creatività. Queste colonne rappresentano le colonne di destra e di sinistra del cabalistico albero delle sephiroth, colonne che rappresentano il dare e il prendere, l’emissione e la ricezione. Idealmente, la colonna centrale, che in massoneria prende il nome di G, è il pilastro della Giustizia: l’axis mundi. Il vero tempio è il corpo umano insieme all’anima che lo vivifica. L’iniziato cerca sempre di agire con giustizia, il che implica usare le due leve con equilibrio. David, quindi, pose il tempio nel Santo Centro. Essa diviene storicamente il luogo di elezione e di presenza di Dio, luogo di Shabbat dell’eterno, residenza dell’Eterno secondo Ezechiele 48:35: “la città si chiamerà da quel giorno in poi: Là è YHWH (ebr. YHWH shammà)”. Anche qui, tuttavia, la visione di Ezechiele si riferisce alla Salem, la Gerusalemme celeste, in quanto nessuna dimora terrena può essere eterna per definizione, e la profezia si riferisce comunque alla fine del tempo. In ogni modo, questa città divenne il Luogo della divinità, e il termine ebr. Makom (luogo) si associò strettamente a Gerusalemme. Per questo in Deuteronomio 12:5 è detto: “cercherete il Signore nella sua dimora, nel Luogo che Dio ha scelto per farvi dimorare il suo nome. Là andrete, là presenterete i vostri olocausti e i vostri sacrifici…perché ancora non siete giunti al luogo del riposo e nel possesso che il Signore vostro Dio sta per darvi”. Come sempre, qui l’interpretazione del Luogo giace su un duplice piano di interpretazione: terreno e celeste. E’ indiscutibile, comunque, che quel luogo del riposo è il luogo della pace, ovvero Salem-Pace, da cui Gerusalemme. In ogni caso, YHWH-Logos si riferisce a Gerusalemme, ovvero il Makom ove gli israeliti in futuro, sotto Re Salomone, avranno il loro tempio sacro, e ove il gran sacerdote potrà pronunziare il nome segreto di Dio. Per questo è detto: “per farvi dimorare il suo nome”. Gerusalemme diviene così il santuario dello spazio, così come la Salem-Shabbat sarà il santuario dei tempi e dell’eternità. Il Cristo poi consacrerà Gerusalemme come la città del gran re (Matteo 5:35), espressione destinata a rimanere misteriosa se non si comprendesse il riferimento del Nazareno a Salem, la città del gran re Melkizedek, sacerdote dell’Altissimo (Genesi 14). E in quanto Melkizedek manifestato, Gesù non può che fare ingresso in Gerusalemme invocato come Gran Re (Giovanni 12:14), in quanto egli stesso sacerdote in eterno al modo di Melkizedek (Ebrei 7, Salmo 110). Troppi i punti di contatto fra Gesù e Melkizedek per menzionarli, cosa peraltro già fatta in un mio precedente articolo. Secondo il cabalista Nachmanide, Salem e Gerusalemme sono la stessa città, lo stesso Makom: “Salem è Gerusalemme, perché è scritto che il suo tabernacolo è a Salem e il suo re è chiamato, come ai tempi di Giosuè, Adonitzedek (maestro di Giustizia), perché da allora i Gentili seppero che questo luogo è il più augusto di tutti, che si trova al centro della terra abitata, e la tradizione li aveva resi coscienti che esso corrisponde qui al Trono celeste su cui siede la maestà divina chiamata Tzedek”. Non mi sfugge il particolare interessante del legame fra Giosuè e Adonitzedek, in quanto se Adonizedek è figura di Adonai Melkizedek, sacerdote immortale, Giosuè non è altri che Gesù, in quanto entrambi questi nomi sono l’ebraico Yeshua. Non credo sia un caso che il nome di Gerusalemme appaia per la prima volta con il cananeo Adonizedek, laddove avevamo lasciato Melkizedek e Salem in Genesi 14. Peraltro, da più parti è detto che il culto di El Elyion potrebbe essere di origine cananeo-fenicia, in quanto questo nome divino appare nelle tavole di Ugarit (oggi Ras Shamra). Un’altra intepretazione interessante è offerta dal Bereshit Rabba (38), midrash rabbinico, che scompone il termine Jerusalem in Salem, e in Yirè, termine questo che Abramo assegnò al Monte Moria, ove Salomone costruì il tempio in quanto lì YHWH era apparso a suo padre David, e in cui Abramo stava per sacrificare Isacco, monte da lui poi denominato “il Signore provvede-YHWH Yirè” (Genesi 22:14). Il midrash rivela: “Il Santo, che sia benedetto, ha detto: Io la chiamerò con entrambi i nomi che le furono dati, vale a dire Yirèshalem”. In sostanza, secondo i rabbini del Bereshit Rabba, Gerusalemme ha il senso di “il Signore provvede la Pace”, ossia prepara la pace per noi: Gerusalemme in terra come promessa di ben altra Gerusalemme








L’universalismo di Gerusalemme
Una cosa è certa. Fin dai tempi di David, e anche prima, questa città non è mai stata israelita in modo integrale, ma certamente multi-etnica. I Gebusei, cui David aveva tolto Gerusalemme, avevano il diritto di continuare a vivere in modo dignitoso al fianco degli israeliti. La corte di re David era letteralmente invasa da guerrieri stranieri quali i Keratiti, gli Ittiti, i Palatiti. Alcuni di essi fecero persino carriera amministrativa nel palazzo reale, divenendo ministri di David e Salomone. Non solo, alcuni elementi stranieri si integreranno nei quadri del culto jerosolimitano. E’ probabile che persino il casato di Sadoq, il gran sacerdote officiante nel primo tempio di Davide, appartenesse alla popolazione indigena di Canaan, dapprima legata al santuario locale di Cabaon (I Cronache 16:39). L’universalismo di Gerusalemme certamente fece da battistrada a quella possente rivelazione cristica che faceva proprio dell’universalismo della fede il suo fondamento: Dio si apre a tutti e non solo agli ebrei. Per questo l’universalista Gesù entra come re in Gerusalemme, che da quel momento diviene sacra per l’umanità intera, come la tradizione melkizedecchiana sempre impone. La tradizione di Salem non è patrimonio di un popolo carnale, ma di un popolo spirituale trasversale alle etnie e ai credo. Gerusalemme diventa luogo di culto per ogni essere vivente, diviene la città santa di tutti e per tutti. Anche la profezia di Geremia può essere letta in una doppia chiave, terrena e metafisica: “in quel tempo chiameranno Gerusalemme trono di YHWH, tutti i popoli vi si raduneranno nel nome di YHWH” (Geremia 3:17). Purtroppo, dall’XI al XIII secolo, i popoli delle tre religioni monoteiste, in particolare cristiani e musulmani, fecero di Gerusalemme un teatro di guerra e terra di conquista. Fino a giungere ad oggi, in cui la città continua ad essere martoriata dal conflitto ebreo-palestinese e dalla rivalità di ebraismo e islam. La Pace, contenuta nel nome di questa città, è e sarà utopia per troppi motivi. Piuttosto, questa Pace sarà prerogativa della vera Gerusalemme. Ma non prima di una grande guerra celeste e della giustizia finale, perché è detto dal grande profeta: “Effetto della giustizia sarà la pace” (Isaia 32:17). Quindi prima il giudizio e la giustizia, che incomberà su uomini e Arconti, poi finalmente il settimo giorno sarà perfezionato. Per questo è detto: Melkizedek re di Salem. Prima zedek-giustizia, poi salem-pace. Gerusalemme rimane pur sempre il centro delle tre grandi rivelazioni, la città che custodisce le tre "pietre", simboli delle tre grandi religioni monoteistiche: il Muro occidentale per gli ebrei, la pietra del S. Sepolcro per i cristiani, la roccia di Maometto per i musulmani. A tutt’oggi, rimane l’urbe del credo monoteistico come nessun’altra città al mondo. Ma non può essere certamente questa Gerusalemme quella vista e profetizzata da Geremia per i tempi futuri





La nuova Gerusalemme descritta da Apocalisse


il simbolo acquariano coincide perfettamente con l'archetipo della Gerusalemme che scende dal cielo
lo Spirito Santo che discende sul Figlio di Dio coincide con l'archetipo della Gerusalemme discendente. Cristo è Melkizedek che scende in noi






Gerusalemme terrestre e Gerusalemme Celeste Tra la città santa in terra e la città santa in alto, descritta da Apocalisse, esiste di certo un rapporto simbolico, che è lo stesso che probabilmente sussisteva tra il complesso egizio di Giza e la cintura di Orione, secondo il principio per cui la terra è lo specchio del cielo, e il manifesto è figura velata dell’immanifesto. Ma la Gerusalemme terrena pur sempre rimane una proiezione di una realtà eterna, una riproduzione di un archetipo celeste, seppur il basso non sia avulso dall’alto e seppur per molto tempo le radici della città terrena fossero affondate in quella celeste, il che conferiva ai riti, praticati nel tempio della prima, virtù e consacrazione. Dobbiamo rivolgere, quindi, il nostro sguardo a ben altra Gerusalemme, quella eterna che verrà e che sempre viene. Paolo definì questa Gerusalemme e il suo santuario in due modi intriganti: 1) libera, e nostra madre (Galati 4:26); 2) tenda non costruita da mano d’uomo, non appartenente a questa creazione (Ebrei 9:11). La Salem è la vera madre, ed è inoltre aliena a questa estensione, qualcosa che non ha nulla in comune con questo mondo. Inoltre, Paolo elabora un parallelo fra il monte Sinai, simbolo dell’alleanza mosaica che crea schiavi, e l’Har Tzion, il Monte Sion, la Gerusalemme Celeste, simbolo della nuova ed eterna alleanza basata sull’eterno sacerdozio di Melkizedek la cui legge genera uomini liberi, perché Salem è libera, ovvero affrancata dal divenire e dalle leggi precipue di questo universo. E’ interessante notare che questa Salem o Gerusalemme celeste, di cui Melkizedek è Re, da intendersi come lo stato di coscienza dell’uomo perfezionato e l’annesso corpo di gloria, e da associarsi all’Eden di Genesi 2, in Apocalisse ha pianta quadrata, mentre in Genesi l’Eden è un Gan, un giardino circolare. Ciò evidenzia il principio della quadratura del cerchio, dell’antico decaduto che torna al suo stato primordiale. La dislocazione elevata della città terrena si accorda, nel quadro delle strutture proprie della geografia sacra, al simbolismo celeste. Il Tempio, coronando ciò che il testo sacro chiama la Montagna Alta della ragione, tende verso la prossimità celeste e la designa. Il simbolismo della città quadrata, legato agli archetipi della perfezione e della stabilità, è universale, a tal punto da ritrovarlo riprodotto nei tipici mandala tibetani: una città quadrata iscritta in un cerchio, simbolo della perfezione divina e della dimora dell’eternità. Nella tradizione buddhista si associa questa dimora, questo centro, alla mitica Shamballa, l’equivalente della Salem giudaico-cristiana. Il re-sacerdote misterioso di Shamballa o Shangri-la (termine fin troppo simile a San Grial o Santo Graal), noto come Sadguru, il Guru dei senza guru, è l’equivalente del nostro Melkizedek, e dell’Al Khidr dei sufi (Maestro dei senza maestro). Si tratta, ovviamente, di luoghi dell’intimo, l’equivalente del Regno di Dio dentro di noi di cristica memoria, un regno che poi diverrà manifesto attraverso il corpo di luce, tant’è che Apocalisse ci dice che questa città vivrà di luce propria, e non vi sarà più bisogno dei luminari del cielo fisico. L’allusione alla luce eterna è fin troppo palese. Il Mandala è analogo al labirinto, nel senso che si tratta pur sempre di una rappresentazione visuale di un percorso iniziatico che parte dalla periferia del nostro essere (l’ego) e conduce al centro di sé stessi, ove dimora il nostro io divino e autentico simboleggiato dal centro della città celeste. Il Libro di Apocalisse contrappone due città, Babilonia e Gerusalemme, una simbolo di iniquità e l’altra simbolo della pace e della santità. L’una è il complesso corpo-anima carnale, l’altra simbolo dell’unione dell’anima divina con lo Spirito, quell’agnello melkizedecchiano che dimora al centro del tempio della ideale città. Ma come Paolo aveva chiamato Gerusalemme “Madre”, lo scriba di Apocalisse (22:2) la definisce “sposa” dell’Agnello, ovvero dello Spirito, l’unione dei quali genera il Merkabah, il carro celeste. E’ quindi ovvio che la Gerusalemme terrena è sempre stata il simbolo materiale di questo archetipo: il divino femminino, l’anima pronta alle nozze mistiche col suo sposo celeste; la sorella, colomba, perfetta del Cantico dei Cantici che cerca incessantamente il suo complementare divino, il suo redentore. Un traguardo che la Gerusalemme di quaggiù non poteva proprio raggiungere. Ed è per questo che Siracide 36,12 non solo si riferisce alla città terrena, ma anche e soprattutto all’anima divina intrappolata nella materia, la vera Salem-Shekina che solo il suo Gran Re può liberare: “Abbi pietà della tua città santa, di Gerusalemme tua stabile dimora”. Questo è il nocciolo del gran mistero della Città di Pace, città su cui vegliano i Vigilanti, custodi dellaTradizione Primordiale, come è detto: “sulle tue mura, Gerusalemme, ho posto vigilanti, per tutto il giorno e tutta la notte non taceranno mai” (Isaia 62:6). I Vigilanti, la Gerusalemme terrena, l’hanno abbandonata da tempo. Il progetto di universalizzazione della fede e della conoscenza sarà realizzato dalla Città Nuova, nel microcosmo e nel macrocosmo. Il Logos, in Apocalisse 21:5, ci rivela che non sarà semplicemente un ritorno allo stato primordiale, ma qualcosa di davvero nuovo: “io faccio nuove tutte le cose”. Nel simbolismo dei Tarocchi, la nuova Gerusalemme è legata alla lama 21, il Mondo, che non a caso sancisce il futuro trionfo del femminino jerosolimitano, la vittoria della Sfinge. Ciò getta luce sull’attributo “sulammita” attribuito alla sposa del Cantico dei Cantici 7:1, misterioso e inspiegabile per l’esegesi, ma non per noi. Ho verificato che l’ebraico originale è Sh-v-l-m-i-t inizia con la stessa Shin della Salem (Sh-l-m) di Melkizedek (Genesi 14), per cui quel termine significa “Salemita”. Il che conferma che quella Gerusalemme Celeste sarà il divino androgino, il re con la sua regina. Ma questa regina, l’anima collettiva di Israel, la vera Chiesa di Dio, deve scuotersi dal sonno, e deve volerlo, come è detto: “non destate, non scuotete dal sonno l’amata, finchè non lo voglia” (Cantico 8:4).



Le immagini delle Città celesti





La città delle Nuvole di Guerre Stellari-L'Impero colpisce ancora


Laputa, la città celeste di I Viaggi di Gulliver (Swift)




La città a pianta quadra



La Sion a pianta quadra (ergo cubica)


la Christianopolis dei Rosacroce




Angkor Wat
la triplice cinta: simbolo primordiale, universale e eterno

3 commenti:

Anonimo ha detto...

ciao Dionisio ,

la Gerusalemme biblica non corrisponde all'attuale Gerusalemme israeliana .
come dice Plato , uno dei nomi della città era
JEBUS (in lingua ebraica biblica) e questa non era altro che TCHEBET dei testi egizi , o JEBET , ma non si trovava in PALESTINA bensì in una regione chiamata GHOSEN .
nelle mie ricerche linguistiche ho scoperto che il termine GOSHEN corrisponde ad un altro termine antico , ovvero GOZA MARA , che avrebbe il significato di TERRE sul MARE o TERRAMARE .
E le TERRAMARE erano le terre dell'attuale pianura Padana , un'enorme sistema lagunare che giungeva fino ai piedi delle Alpi piemontesi .
e che cosa scopro , il nome Zevio si dice derivare dal latino gotico JEBETUM , in realtà la forma latina era IEBET , la lettera I corrisponde all'ebraica Y e egizia TCH .
In epoca medioevale poi aveva la forma ZEVEDO riconducibile all'ebraico ZEVED .
parolina che significa DONO , una parolina che ci riconduce ai DANUNA .
Sarà un caso ?

Jo

*Dioniso*777* ha detto...

Ciao Jo, non credo sia un caso, come un caso non è il fatto che per chi è nato e vissuto in quelle zone avere tutto, facendo sacrificio ovviamente, era una certezza.
Il Veneto, mi stai dando delle informazioni a riguardo che mi sbalordiscono, pensa dove sono nato, però devo dire che molto conti, pensando con queste nuove nozioni, mi tornano meglio ...

*Dioniso*777* ha detto...

http://maestrodidietrologia.blogspot.com/2011/12/nobilta-nera-e-societa-segrete-parte-2.html

A proposito di Veneto e Venezia . . .

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