Questo articolo è un omaggio agli amici felini nel giorno della loro festa.
Una leggenda che descrive l’origine del mondo per opera di due creatori racconta che, al momento di formare gli animali, Sole creò il leone e Luna creò il gatto. Questo racconto non coglie solo la comune appartenenza dei due animali alla specie dei felini, suggerisce anche che il gatto è un piccolo leone.
La storia del gatto è antica, inizia due milioni di anni fa, quando tra i felini si differenzia il felis syvestris, che è l’antenato diretto del gatto contemporaneo. Per un tempo enorme questo animale rimane esclusivamente selvatico: si avvicina agli insediamenti umani soltanto verso il 2000 a.C. nelle regioni della Nubia e dell’Egitto, anche se testimonianze archeologiche rinvenute a Cipro fanno risalire l’inizio del suo inurbamento al 7000 a.C. La comunanza con l’uomo rimane storicamente tardiva e il gatto resta l’animale di più recente domesticazione.
Una leggenda che descrive l’origine del mondo per opera di due creatori racconta che, al momento di formare gli animali, Sole creò il leone e Luna creò il gatto. Questo racconto non coglie solo la comune appartenenza dei due animali alla specie dei felini, suggerisce anche che il gatto è un piccolo leone.
La storia del gatto è antica, inizia due milioni di anni fa, quando tra i felini si differenzia il felis syvestris, che è l’antenato diretto del gatto contemporaneo. Per un tempo enorme questo animale rimane esclusivamente selvatico: si avvicina agli insediamenti umani soltanto verso il 2000 a.C. nelle regioni della Nubia e dell’Egitto, anche se testimonianze archeologiche rinvenute a Cipro fanno risalire l’inizio del suo inurbamento al 7000 a.C. La comunanza con l’uomo rimane storicamente tardiva e il gatto resta l’animale di più recente domesticazione.
Dopo essersi avvicinato agli insediamenti abitativi, il gatto entra in relazione profonda con l’uomo; dopo pochi secoli, in Egitto è già elevato al rango di divinità. Verso il 1250 a.C. difatti, un papiro recita: “Il nome del dio che veglia su di te è Miw”. Miw è voce onomatopeica che allude al miagolio e, nella lingua egizia, è nome comune di gatto. Appena un paio di secoli più tardi, verso il 1000 a.C. il generico dio Miw prende la fisionomia precisa di una dea chiamata Bastet. In questo processo di deificazione, il gatto assume qualità propriamente archetipiche e specializza alcune connotazioni, tra cui l’aspetto femminile e le qualità ferine. La dea Bastet, infatti, oltre ad essere squisitamente e graziosamente femminea, è anche sorella di Sekhmet, una dea a testa di leonessa. Il culto di Bastet si diffuse in particolare a Bubasti (l’attuale Tell Basta, a 50 km dal Il Cairo), ma quando questa città divenne capitale dell’Egitto (950 a.C.), la venerazione della dea gatta e la popolarità del gatto conobbero un evidente incremento. Ne è testimonianza il fatto che un faraone, al momento del suo insediamento, prese il nome del gatto; si tratta del farone Pa-Miw.
Nell’antico Egitto il gatto era considerato la manifestazione terrena di Bastet, la dea della salute e divinità protettrice della fertilità, della maternità e delle gioie terrene (danza, musica e sessualità), rappresentata con il corpo di donna e la testa di gatto. Infatti dalle immagini dipinte o scolpite nelle raffigurazioni di tombe e templi è possibile vedere come la dea Bastet era considerata: dea del canto e della danza, della prolificità degli uomini e degli animali, protettrice della maturazione dei frutti e dea dell'amore. Nella sua mano sinistra, spesso veniva raffigurato un amuleto sacro a forma di occhio di gatto, l'utchat, che aveva poteri magici. Questo amuleto veniva riprodotto nelle decorazioni delle case, dove proteggeva da furti, malattie ed incidenti, nei templi e nei gioielli. Tenuto al collo proteggeva i viaggiatori e regalato agli sposi era auspicio di molti figli.
Il gatto era venerato come un essere sacro, chi uccideva questo animale era punibile con la morte. Quando un gatto passava a miglior vita veniva imbalsamato e la sua tomba era posta in una necropoli destinata esclusivamente a questo animale. Gli Egizi chiamavano il gatto anche Myou e, come la dea Bastet, era il nemico dei serpenti, infatti in un papiro funerario è raffigurato nell'atto di mozzare la testa di un rettile. Il culto di Bastet era diffuso a Tebe e a Menfi, e nei dintorni di queste due città sono stati trovati dei cimiteri di gatti contenenti circa duecentomila mummie.
Il gatto è un essere lunare, è l’umido, il femminile, la terra, il notturno, contrapposto al maschile, a tutto ciò che è solare. Mentre il gatto era sacro al Sole e a Osiride, la gatta era sacra alla Luna e a Iside. Il gatto, la cui pupilla subisce delle variazioni che ricordavano le fasi della luna, veniva paragonato alla sfinge per la sua natura segreta e misteriosa e per la sensibilità alle manifestazioni magnetiche ed elettriche. Inoltre la sua abituale posizione raggomitolata e la facoltà di dormire per giornate intere ne facevano, agli occhi degli ierofanti, l'immagine della meditazione, mostrata come esempio ai candidati all'iniziazione rituale. Nel Libro dei Morti egizio, il gatto è chiamato Matou allorchè combatte contro Apophis, il serpente pitone delle paludi, simbolo delle forze malvagie. Si affermava inoltre che il gatto possedesse nove anime, e godesse di nove vite successive.
Il gatto è detto domestico, ma in realtà non è mai stato addomesticato; si è avvicinato all’uomo motu proprio. Per probabili ragioni di sopravvivenza scelse autonomamente di approssimarsi agli stanziamenti umani e vi si insediò sempre più stabilmente; non venne catturato dall’uomo, piegato ai suoi fini e utilizzato per i suoi vantaggi. Nel processo di domesticazione del gatto manca quell’opportunismo utilitaristico che indusse l’uomo a catturare altri animali, e costringerli alla cattività, a plasmare il loro comportamento in modo da renderlo compatibile con le proprie esigenze e con il proprio stile di vita. Non a caso, inizialmente, il gatto viene ritenuto un animale inutile; la sua abilità nel catturare topi e piccoli roditori è un “effetto collaterale” rivelatosi utile solo in un secondo momento, niente più che un vantaggio secondario della prossimità tra gatto e uomo.
Le tesi del mai avvenuto addomesticamento del gatto viene sostituita in biologia e narrata nelle leggende. Una di queste racconta che, in una notte di gelo, la tigre chiese al suo fratello gatto di cercare un modo per scaldarsi. Lui andò in perlustrazione e trovò che le case dell’uomo avevano un focolare centrale in cui ardeva il fuoco. Ne sottrasse un tizzone e lo portò alla tigre, ma l’idea di una casa con focolare, vicino al quale acciambellarsi, si insinuò prepotente in lui; quel giorno decise di lasciare la selvatichezza della tigre e di avvicinarsi alle case dell’uomo.
R. Kipling raccontò questo avvicinamento in una delicata storia per bambini: “Il gatto se ne andava da solo”. Al tempo in cui tutti gli animali erano selvaggi, il più selvaggio di tutti era il gatto: “Egli se ne andava da solo e tutti i luoghi erano uguali per lui”. Acquattato a distanza, vide prima il cane selvaggio e poi il cavallo selvaggio e infine la mucca selvaggia avvicinarsi alla casa degli uomini e promettere i loro servigi alla donna in cambio di un osso arrosto o di erba fresca tutto l’anno. Quando nella caverna degli umani vide la luce del fuoco e fiutò l’odore del latte appena munto, si avvicinò anche lui, ma la donna lo anticipò, dicendo che non aveva più bisogno né di servi né di amici. “Io non sono un amico e non sono un servo”, rispose lui, “Io sono il gatto che se ne va da solo, ma desidero entrare nella caverna”. Senza promettere obbedienza e senza offrire servigi, strappò alla donna una triplice promessa: se avesse pronunciato per tre volte parole di elogio nei suoi confronti, lui avrebbe potuto entrare nella caverna, sedere presso il fuoco e bere il latte tiepido tre volte al giorno “per sempre, per sempre e per sempre”.
Il gatto è detto domestico, ma in realtà non è mai stato addomesticato; si è avvicinato all’uomo motu proprio. Per probabili ragioni di sopravvivenza scelse autonomamente di approssimarsi agli stanziamenti umani e vi si insediò sempre più stabilmente; non venne catturato dall’uomo, piegato ai suoi fini e utilizzato per i suoi vantaggi. Nel processo di domesticazione del gatto manca quell’opportunismo utilitaristico che indusse l’uomo a catturare altri animali, e costringerli alla cattività, a plasmare il loro comportamento in modo da renderlo compatibile con le proprie esigenze e con il proprio stile di vita. Non a caso, inizialmente, il gatto viene ritenuto un animale inutile; la sua abilità nel catturare topi e piccoli roditori è un “effetto collaterale” rivelatosi utile solo in un secondo momento, niente più che un vantaggio secondario della prossimità tra gatto e uomo.
Le tesi del mai avvenuto addomesticamento del gatto viene sostituita in biologia e narrata nelle leggende. Una di queste racconta che, in una notte di gelo, la tigre chiese al suo fratello gatto di cercare un modo per scaldarsi. Lui andò in perlustrazione e trovò che le case dell’uomo avevano un focolare centrale in cui ardeva il fuoco. Ne sottrasse un tizzone e lo portò alla tigre, ma l’idea di una casa con focolare, vicino al quale acciambellarsi, si insinuò prepotente in lui; quel giorno decise di lasciare la selvatichezza della tigre e di avvicinarsi alle case dell’uomo.
R. Kipling raccontò questo avvicinamento in una delicata storia per bambini: “Il gatto se ne andava da solo”. Al tempo in cui tutti gli animali erano selvaggi, il più selvaggio di tutti era il gatto: “Egli se ne andava da solo e tutti i luoghi erano uguali per lui”. Acquattato a distanza, vide prima il cane selvaggio e poi il cavallo selvaggio e infine la mucca selvaggia avvicinarsi alla casa degli uomini e promettere i loro servigi alla donna in cambio di un osso arrosto o di erba fresca tutto l’anno. Quando nella caverna degli umani vide la luce del fuoco e fiutò l’odore del latte appena munto, si avvicinò anche lui, ma la donna lo anticipò, dicendo che non aveva più bisogno né di servi né di amici. “Io non sono un amico e non sono un servo”, rispose lui, “Io sono il gatto che se ne va da solo, ma desidero entrare nella caverna”. Senza promettere obbedienza e senza offrire servigi, strappò alla donna una triplice promessa: se avesse pronunciato per tre volte parole di elogio nei suoi confronti, lui avrebbe potuto entrare nella caverna, sedere presso il fuoco e bere il latte tiepido tre volte al giorno “per sempre, per sempre e per sempre”.
La donna accettò il patto, ritenendo che non si sarebbe mai trovata a doverlo onorare, ma una prima volta il gatto intrattenne il bambino della donna, facendolo giocare mentre lei era indaffarata; una seconda volta placò il pianto del bambino, facendo mille acrobazie con un piccolo arcolaio d’argilla e lo addormentò con la ninna-nanna delle sue fusa; una terza volta catturò un topolino, “salvando” la donna che era balzata sullo sgabello della caverna per il terrore. Ogni volta la donna ebbe per lui parole d’elogio e fu costretta a mantenere una dopo l’altra le sue tre promesse, concedendo al gatto di entrare nella caverna, di avere un posto accanto al fuoco e di ricevere una razione quotidiana di latte. Da quella volta egli divenne il vero padrone di casa, “il solo ad abitarla tutta quanta, dallo studio alla dispensa, dalla cantina al tetto”. Ma ad ogni concessione della donna ogni volta ribadì: “Tuttavia io sono ancora il gatto che se ne va da solo e tutti i luoghi sono uguali per me”. E ancora oggi quando si alza la luna e scende la notte, il gatto esce per umidi boschi selvaggi o vaga sui tetti selvaggi della città, selvaggio e solo.
Al di là delle leggende, rimane il dato biologico che il gatto è l’unico, tra gli animali domestici, che allo stato brado non è organizzato in modo sociale. A differenza di cavalli, pecore, mucche, maiali, cammelli, elefanti e asini, il gatto selvatico vive solo e nel corso dei millenni affinò uno stile di vita tendenzialmente solitario e irriducibilmente indipendente. Contemporaneamente, la convivenza con l’uomo non ha ancora introdotto trasformazioni radicali nel suo assetto genetico e non ha modificato in maniera sostanziale la sua vita emotiva, l’espressione dell’affettività e la comunicazione con l’uomo. La genesi della convergenza tra gatto e uomo costituisce la premessa per comprendere una delle sue proprietà più tipiche, quella di essere una belva in miniatura, e una delle sue caratteristiche simboliche più salienti, quella di mettere a contatto la sofisticata civilizzazione umana con la pura selvatichezza animale.
Profondo conoscitore di gatti, Victor Hugo espresse questo concetto dicendo che Dio ha dato all’uomo il gatto perché avesse il piacere di carezzare la tigre. Per l’uomo civilizzato, sempre più distante dalla natura e dalle sue paradossali complessità, il gatto costituisce un’occasione immediata e tangibile per ricordare cosa significhi davvero vivere in contatto con la natura esterna e rimanere fedeli alla propria natura interna. I gatti sono curiosi e complessi, addomesticati ma selvaggi, riservati, premurosi, affettuosi o lunatici. Ci appaiono misteriosi ed eleganti, giocherelloni e teneri, dolci micini o feroci cacciatori, compagni dell'uomo da millenni, spesso ispiratori di opere e di stile di vita, ma sempre fieri della propria indipendenza: sono creature superiori, meravigliose, eccezionali, specialmente i nostri.
Al di là delle leggende, rimane il dato biologico che il gatto è l’unico, tra gli animali domestici, che allo stato brado non è organizzato in modo sociale. A differenza di cavalli, pecore, mucche, maiali, cammelli, elefanti e asini, il gatto selvatico vive solo e nel corso dei millenni affinò uno stile di vita tendenzialmente solitario e irriducibilmente indipendente. Contemporaneamente, la convivenza con l’uomo non ha ancora introdotto trasformazioni radicali nel suo assetto genetico e non ha modificato in maniera sostanziale la sua vita emotiva, l’espressione dell’affettività e la comunicazione con l’uomo. La genesi della convergenza tra gatto e uomo costituisce la premessa per comprendere una delle sue proprietà più tipiche, quella di essere una belva in miniatura, e una delle sue caratteristiche simboliche più salienti, quella di mettere a contatto la sofisticata civilizzazione umana con la pura selvatichezza animale.
Profondo conoscitore di gatti, Victor Hugo espresse questo concetto dicendo che Dio ha dato all’uomo il gatto perché avesse il piacere di carezzare la tigre. Per l’uomo civilizzato, sempre più distante dalla natura e dalle sue paradossali complessità, il gatto costituisce un’occasione immediata e tangibile per ricordare cosa significhi davvero vivere in contatto con la natura esterna e rimanere fedeli alla propria natura interna. I gatti sono curiosi e complessi, addomesticati ma selvaggi, riservati, premurosi, affettuosi o lunatici. Ci appaiono misteriosi ed eleganti, giocherelloni e teneri, dolci micini o feroci cacciatori, compagni dell'uomo da millenni, spesso ispiratori di opere e di stile di vita, ma sempre fieri della propria indipendenza: sono creature superiori, meravigliose, eccezionali, specialmente i nostri.
I Greci, al contrario, ignorarono i gatti. Per cacciare i topi dalle loro case, si servivano delle donnole e dei colubri. I cristiani, dal canto loro, videro il gatto di malocchio, e lo accusarono di portare con sè tutti i malefici. Già a opinione degli gnostici, nel XVI secolo, il gatto era legato a tutti gli aspetti diabolici della femminilità. Il gatto sta al cane, dicevano, come la donna sta all'uomo. La sua natura, la sua dolcezza, la sua astuzia sono simili a quelle della donna. Per di più, il gatto fu molto presto collegato al folklore della stregoneria; le streghe amavano trasformarsi in gatte. La prima donna, quando ancora Eva non era nata, la pura, la ribelle, Lilith, l’incontrollabile, l'imprevedibile, la vergine selvaggia, sovrana delle ombre, scelse per compagno lo spirito stesso della notte e del mistero: il gatto. Esaminando il racconto intitolato ”Il gatto nero” di Edgar A. Poe, si può scorgere un ruolo erotico-simbolico del gatto. Nei tempi passati, sorsero in alcuni paesi europei superstizioni di ogni genere relative ai gatti.
Nel medioevo questi animali erano associati a ogni sorta di malefici e diavolerie, considerati indivisibili compagni di streghe e fattucchiere, sempre implicati in tutto ciò che sapeva di magia. I gatti neri, che erano ritenuti apportatori di sventura, venivano acciuffati e arsi vivi, talvolta unitamente a coloro che erano ritenuti sospetti di stregoneria. Ancor oggi, radicata in molti la credenza secondo il cui vedersi attraversare la strada da un gatto nero costituisce segno di cattivo presagio. Con la sola eccezione del Sud America, della Germania, e una parte degli U.S.A., la figura del gatto nero viene paragonata, nel resto del mondo, come araldo di malasorte e presagio del lato oscuro della realtà. L'Irlanda è una vera e propria miniera di miti e leggende sui gatti neri dandogli il ruolo di aiutante di taumaturghi, esempio eccellente Muezza, il gatto di Maometto. I gatti celtici del mito irlandese sono semplici miniature del demone che avanza, venuti a distruggere il mondo umano ed ad oscurare la marea con il sangue del sacrificio. Contrariamente alla precedente apocalittica visione c'era un tempo in cui i gatti erano venerati in Europa, prima della caccia alle streghe del Medioevo. Sino a quando l'Inquisizione decise di estirpare le religioni pagane del tutto con la bolla di papa Innocenzo III, molte persone innocenti furono torturate e assassinate, donne, uomini, anziani e bambini, spesso intere famiglie. L'Inquisizione aveva addirittura un libro da consultare, il Malleus Maleficarum, pubblicato per la prima volta nel 1486. Insieme alle Streghe furono bruciati circa otto milioni di gatti, perchè considerati bestie del demonio.
Il gatto nero, portatore di magia era rappresentante delle tenebre; ma grazie alla pelliccia che poteva anche assumere il bagliore luminoso del chiaro di luna poteva contare su una duplice identità. Inoltre il nero era un sottoprodotto del fuoco, che per gli antichi era una realtà positiva. Tutti questi aspetti erano, e sono ancora oggi, presenti nel gatto nero e sulle leggende che ne derivano. Un grande legame esoterico dal punto di vista della mitologia e della religione ha sempre caratterizzato il rapporto tra uomo e gatto.
Nell'antico Egitto il gatto era ritenuto animale sacro e divino, infatti, alla loro morte venivano imbalsamati e sepolti con ogni onore. Attraverso l'Egitto il gatto giunse nei paesi arabi dove però l'animale eletto era il cavallo, ma ben presto anche il nostro amico felino venne preso in simpatia e la sua fama eguagliò quella equina. Si narra il mito del gatto di Maometto, il primo gatto con nove vite della storia. Questo gatto privilegiato si addormentò sulla manica del padrone quando lo stesso dovette allontanarsi e, non volendo disturbare il gatto così profondamente addormentato, tagliò la manica sulla quale dormiva il gatto. Al ritorno di Maometto, Muezza si inchinò in senso di gratitudine nei confronti del Profeta, il quale, l'accarezzò tre volte sul dorso, infatti secondo alcune leggende questo gesto consente al gatto di atterrare sano e salvo dall'alto sulle zampe. Il numero tre ha un significato importante poichè tre per tre volte indica l'infinito nella mitologia donando così al gatto una vita infinita. Un animale così leggendario deve conoscere verità che noi non saremo mai in grado di percepire, infatti, un detto africano dice che "quello che ignori è più saggio di te".
Un'altra leggenda narra la storia del gatto birmano. Si racconta che il birmano discenda da un'antica popolazione di gatti sacri ospitati in un tempio Khmer di Myanmar. Durante un assalto al medesimo tempio, il gran sacerdote venne mortalmente ferito ed il suo fedele gatto birmano si accucciò sopra di lui rivolgendo lo sguardo alla divinità del tempio stesso, mentre ciò accadeva, il suo mantello divenne dorato e gli occhi blu, quando si voltò verso la porta del tempio le sue zampe si tinsero di marrone ad eccezione delle zampe posteriori ancora appoggiate sul padrone morente le quali rimasero bianche candide. Guidati dallo sguardo del gatto ancora rivolto alle porte del tempio, i monaci si precipitarono a chiuderle, salvandosi così dal saccheggio e dalla distruzione. Il gatto non abbandonò il suo padrone, e morì sette giorni dopo di lui; quando i monaci si riunirono per eleggere il nuovo successore del sacerdote videro accorrere tutti i gatti del tempio trasformati nelle sembianze di Sinh, il gatto birmano del sacerdote defunto. Da ciò deriva il nome della razza, Gatto Sacro di Birmania.
Anche Etruschi e Romani conoscevano ed apprezzavano il gatto e si servivano delle sue doti per debellare i topi portatori di malattie. Gli studi medici effettuati sul gatto nel 1800 stabilirono che esso era un'animale non portatore di malattie trasmettibili all'uomo, come tale venne successivamente accolto anche nei salotti più esclusivi.
Un'antica leggenda di origine polacca narra di una gatta che, disperata per la fine che avrebbero presto fatto i propri cuccioli, gettati nel fiume dal proprio padrone, stava manifestando tutto il suo struggente dolore con pietosi e strazianti miagolii. I salici, presenti sulla sponda del fiume, impietositi dalla scena atroce, tesero i loro rami verso il fiume per permettere ai gattini di aggrapparsi, così facendo li salvarono dalla triste fine. Da allora, ogni primavera i Salici non fioriscono ma, in ricordo di quanto accaduto, si ricoprono di una morbida infiorescenza lanuginosa e di colore bianco, simile al pelo dei gatti, tali infiorescenze vengono chiamate proprio "gattini".
Gli animali sentono, "vedono", comunicano con altri sensi. Ci sono montagne di prove che indicano le capacità extra-sensoriali degli animali: animali domestici che sanno quando il padrone muore o è in pericolo anche se è lontano centinaia di chilometri; capacità di leggere nella mente; predizioni di terremoti, temporali e perfino bombardamenti molto tempo prima che abbiano luogo: capacità di attraversare un continente alla ricerca del padrone perduto; il loro ritorno dall'aldilà per avvisare i padroni di un pericolo; perfino preveggenza. Forse gli animali fanno uno sforzo maggiore per comunicare con noi di quanto noi ne siamo consapevoli e la maggior parte dei loro messaggi non ricevono mai la nostra attenzione.
Per abituare il vostro beniamino a capire la parola 'seduto' per esempio, ditegli di sedere mentre lo visualizzate in quella posizione. Presto l'animale risponderà al comando mentre riceve l'immagine da voi. Mentre viene dato questo tipo di istruzione, avviene un tipo di comunicazione ESP. Si conversa nel linguaggio degli animali. Quando diventerete abili, diventerà naturale chiacchierare col vostro gatto attraverso le immagini ESP. La telepatia potrebbe spiegare l'improvviso cambio di direzione di uno stormo d'uccelli che volano assieme, e potrebbe anche aiutarci a capire come mai cani e gatti sono in grado di ritrovare i loro padroni anche a grandi distanze, in luoghi dove non sono mai stati.
Certe capacità sono state confermate da coloro che si sono trovati in stati particolari dove hanno potuto verificarlo. Spesso i racconti sono stati fatti da persone che hanno subito una morte clinica, hanno lasciato il corpo e a quanto si dice hanno sperimentato altri piani di esistenza e poi sono ritornati nei loro corpi ed hanno riferito ciò che è loro accaduto durante quel periodo. Esperienze fuori dal corpo tuttavia non sono limitate all'improvviso arresto delle funzioni vitali. Vi sono anche stati coloro che hanno sviluppato quest'abilità o talento al punto che possono volontariamente separare la coscienza dal corpo. Mantenendo piena consapevolezza, possono viaggiare mentalmente in altri luoghi dentro il nostro piano di realtà e più tardi confermare l'accuratezza delle loro osservazioni. Spesso affermano di aver raggiunto vari livelli di esistenza e uno di questi, probabilmente, è il livello astrale dove può darsi che vivano coloro che sono morti.
Ma cosa vediamo, osservando da vicino un gatto?
Occhi vivaci, un corpo snello, lucido, forte, un animo affettuoso e fiducioso, indipendenza, raffinatezza e uno spirito saggio e saccente al contempo. Che il gatto accanto a noi abbia il pelo lungo o corto, che sia soriano o color tartaruga, la nostra reazione è sempre la stessa: ne restiamo affascinati. Misteriosi ed eleganti, giocherelloni e teneri, i gatti sono le creature più ingannatrici che la nostra specie abbia mai conosciuto. Ma, nel corso dei tempo, tutte le civiltà hanno faticato a capire i gatti. Dolci o riservati? Solitari o socievoli? Meditativi o funerei? Fisicamente i gatti sono cambiati ben poco, ma è cambiato il nostro modo di vederli. Diversamente - e quanto diversamente - dal cane, uno dei primi animali domestici, i gatti si sono avvicinati all'uomo relativamente tardi. Ma si sono rifatti del tempo perduto ed hanno occupato ben presto un posto non solo nelle nostre case, ma anche nei nostri cuori.
Nell'antico Egitto il gatto era ritenuto animale sacro e divino, infatti, alla loro morte venivano imbalsamati e sepolti con ogni onore. Attraverso l'Egitto il gatto giunse nei paesi arabi dove però l'animale eletto era il cavallo, ma ben presto anche il nostro amico felino venne preso in simpatia e la sua fama eguagliò quella equina. Si narra il mito del gatto di Maometto, il primo gatto con nove vite della storia. Questo gatto privilegiato si addormentò sulla manica del padrone quando lo stesso dovette allontanarsi e, non volendo disturbare il gatto così profondamente addormentato, tagliò la manica sulla quale dormiva il gatto. Al ritorno di Maometto, Muezza si inchinò in senso di gratitudine nei confronti del Profeta, il quale, l'accarezzò tre volte sul dorso, infatti secondo alcune leggende questo gesto consente al gatto di atterrare sano e salvo dall'alto sulle zampe. Il numero tre ha un significato importante poichè tre per tre volte indica l'infinito nella mitologia donando così al gatto una vita infinita. Un animale così leggendario deve conoscere verità che noi non saremo mai in grado di percepire, infatti, un detto africano dice che "quello che ignori è più saggio di te".
Un'altra leggenda narra la storia del gatto birmano. Si racconta che il birmano discenda da un'antica popolazione di gatti sacri ospitati in un tempio Khmer di Myanmar. Durante un assalto al medesimo tempio, il gran sacerdote venne mortalmente ferito ed il suo fedele gatto birmano si accucciò sopra di lui rivolgendo lo sguardo alla divinità del tempio stesso, mentre ciò accadeva, il suo mantello divenne dorato e gli occhi blu, quando si voltò verso la porta del tempio le sue zampe si tinsero di marrone ad eccezione delle zampe posteriori ancora appoggiate sul padrone morente le quali rimasero bianche candide. Guidati dallo sguardo del gatto ancora rivolto alle porte del tempio, i monaci si precipitarono a chiuderle, salvandosi così dal saccheggio e dalla distruzione. Il gatto non abbandonò il suo padrone, e morì sette giorni dopo di lui; quando i monaci si riunirono per eleggere il nuovo successore del sacerdote videro accorrere tutti i gatti del tempio trasformati nelle sembianze di Sinh, il gatto birmano del sacerdote defunto. Da ciò deriva il nome della razza, Gatto Sacro di Birmania.
Anche Etruschi e Romani conoscevano ed apprezzavano il gatto e si servivano delle sue doti per debellare i topi portatori di malattie. Gli studi medici effettuati sul gatto nel 1800 stabilirono che esso era un'animale non portatore di malattie trasmettibili all'uomo, come tale venne successivamente accolto anche nei salotti più esclusivi.
Un'antica leggenda di origine polacca narra di una gatta che, disperata per la fine che avrebbero presto fatto i propri cuccioli, gettati nel fiume dal proprio padrone, stava manifestando tutto il suo struggente dolore con pietosi e strazianti miagolii. I salici, presenti sulla sponda del fiume, impietositi dalla scena atroce, tesero i loro rami verso il fiume per permettere ai gattini di aggrapparsi, così facendo li salvarono dalla triste fine. Da allora, ogni primavera i Salici non fioriscono ma, in ricordo di quanto accaduto, si ricoprono di una morbida infiorescenza lanuginosa e di colore bianco, simile al pelo dei gatti, tali infiorescenze vengono chiamate proprio "gattini".
Gli animali sentono, "vedono", comunicano con altri sensi. Ci sono montagne di prove che indicano le capacità extra-sensoriali degli animali: animali domestici che sanno quando il padrone muore o è in pericolo anche se è lontano centinaia di chilometri; capacità di leggere nella mente; predizioni di terremoti, temporali e perfino bombardamenti molto tempo prima che abbiano luogo: capacità di attraversare un continente alla ricerca del padrone perduto; il loro ritorno dall'aldilà per avvisare i padroni di un pericolo; perfino preveggenza. Forse gli animali fanno uno sforzo maggiore per comunicare con noi di quanto noi ne siamo consapevoli e la maggior parte dei loro messaggi non ricevono mai la nostra attenzione.
Per abituare il vostro beniamino a capire la parola 'seduto' per esempio, ditegli di sedere mentre lo visualizzate in quella posizione. Presto l'animale risponderà al comando mentre riceve l'immagine da voi. Mentre viene dato questo tipo di istruzione, avviene un tipo di comunicazione ESP. Si conversa nel linguaggio degli animali. Quando diventerete abili, diventerà naturale chiacchierare col vostro gatto attraverso le immagini ESP. La telepatia potrebbe spiegare l'improvviso cambio di direzione di uno stormo d'uccelli che volano assieme, e potrebbe anche aiutarci a capire come mai cani e gatti sono in grado di ritrovare i loro padroni anche a grandi distanze, in luoghi dove non sono mai stati.
Certe capacità sono state confermate da coloro che si sono trovati in stati particolari dove hanno potuto verificarlo. Spesso i racconti sono stati fatti da persone che hanno subito una morte clinica, hanno lasciato il corpo e a quanto si dice hanno sperimentato altri piani di esistenza e poi sono ritornati nei loro corpi ed hanno riferito ciò che è loro accaduto durante quel periodo. Esperienze fuori dal corpo tuttavia non sono limitate all'improvviso arresto delle funzioni vitali. Vi sono anche stati coloro che hanno sviluppato quest'abilità o talento al punto che possono volontariamente separare la coscienza dal corpo. Mantenendo piena consapevolezza, possono viaggiare mentalmente in altri luoghi dentro il nostro piano di realtà e più tardi confermare l'accuratezza delle loro osservazioni. Spesso affermano di aver raggiunto vari livelli di esistenza e uno di questi, probabilmente, è il livello astrale dove può darsi che vivano coloro che sono morti.
Ma cosa vediamo, osservando da vicino un gatto?
Occhi vivaci, un corpo snello, lucido, forte, un animo affettuoso e fiducioso, indipendenza, raffinatezza e uno spirito saggio e saccente al contempo. Che il gatto accanto a noi abbia il pelo lungo o corto, che sia soriano o color tartaruga, la nostra reazione è sempre la stessa: ne restiamo affascinati. Misteriosi ed eleganti, giocherelloni e teneri, i gatti sono le creature più ingannatrici che la nostra specie abbia mai conosciuto. Ma, nel corso dei tempo, tutte le civiltà hanno faticato a capire i gatti. Dolci o riservati? Solitari o socievoli? Meditativi o funerei? Fisicamente i gatti sono cambiati ben poco, ma è cambiato il nostro modo di vederli. Diversamente - e quanto diversamente - dal cane, uno dei primi animali domestici, i gatti si sono avvicinati all'uomo relativamente tardi. Ma si sono rifatti del tempo perduto ed hanno occupato ben presto un posto non solo nelle nostre case, ma anche nei nostri cuori.
E di questo dobbiamo ringraziare i roditori. E’ stato l'avvento dell'agricoltura, e quindi delle provviste di grano, a condurci questi amici sofisticati e predatori. Si ritiene che il gatto selvatico africano venisse impiegato nell'antico Egitto per uccidere i topi e i roditori della valle dei Nilo che depredavano il grano raccolto e immagazzinato. Gli antichi egizi non ebbero più scelta dopo aver vissuto con queste splendide creature: ne rimasero affascinati. I gatti adorati dagli antichi egizi erano più o meno i gatti che adoriamo ancor oggi. L'arte di quel tempo raffigura il gatto come quello del nostro salotto, anche se forse allora la glorificazione di tutto ciò che è felino era più solenne.
Gli egizi veneravano una divinità felina, Bastet, che guidava un carro trainato da altri gatti. Bastet era una dea potente strettamente collegata a Ra, il dio dei sole. I gatti vagavano in un tempio in pietra costruito in suo onore e i fedeli studiavano il loro comportamento per trarne auspici e segni della dea stessa. Possiamo ancora identificarci con gli antichi egizi quando studiamo il comportamento dei nostro gatto in cerca di un segnale. In vita i gatti erano molto amati, nella morte erano pianti. Se moriva il gatto di casa, tutta la famiglia egizia si rasava le sopracciglia. Ma essere venerati non è sempre piacevole come si potrebbe pensare, soprattutto nel ventesimo secolo. Ad esempio negli Stati Uniti cinquantacinque milioni di gatti viziati hanno una casa, mentre milioni di altri, non desiderati, vengono uccisi ogni anno. In Egitto, anche se il gatto era sacro, ne vennero forse sacrificati e mummificati migliaia. In un grande tempio sono state scoperte alla fine del secolo scorso oltre trecentomila mummie di gatti con accanto una sorta di pasto per l'aldilà: topi mummificati.
In quei profondi occhi blu, verde smeraldo o color ambra riusciamo ancora a percepire il senso del selvatico. Con la loro sviluppata visione notturna, con il loro udito in grado di percepire i suoni acuti, e con un senso dell'olfatto trenta volte più sviluppato del nostro, i gatti sono animali predatori. Di città o di campagna, qualsiasi gatto che possa uscire liberamente delimita il suo territorio e utilizza gli odori per marcare i confini, facendo poi conto sui suoi muscoli per consolidarli, anche se spesso le minacce sono sufficienti. Anche i gattini più indifesi nascono con l'istinto della caccia: è un impulso naturale che si affina giocando con i fratellini. Se li osservate mentre lottano e si mordono sapete che stanno esercitandosi per catturare dei deliziosi topolini vivi. Osservando i genitori imparano la pazienza, la tecnica dell'attacco improvviso e come afferrare la preda per il collo. L'istinto della caccia è molto forte: in mancanza di topi sarà sufficiente una mano sotto una coperta, una pantofola che batte sul pavimento o una stringa trascinata in giro.
Alcuni gatti domestici sentono il richiamo della vita selvatica e, se tornano selvatici, sono perfettamente in grado di nutrirsi catturando uccellini e roditori. Spesso sono molto prolifici, ma la loro vita media è circa la metà di quella di un viziato micione casalingo. In molte città vi sono gruppi di assistenza che operano per sterilizzare e stabilizzare la popolazione di gatti selvatici. E' molto controversa la questione se lasciare o meno uscire liberamente i nostri gatti (il mio gatto impazzirebbe se lo chiudessi in casa!). La maggior parte delle associazioni per la protezione degli animali insiste sul fatto di tenere sempre i gatti in casa, citando le statistiche che dimostrano di quanto si riduca la sua vita media da quando varca la soglia di casa. Ma i padroni dei gatti si pongono sempre la stessa domanda: "Che cosa rende felice il mio gatto?"
Sappiamo che sono sensibili al tocco e che reagiscono con tutto il corpo alle carezze. Fremono di piacere e si strusciano con la testa, la schiena e la coda sul palmo della mano. Molti gatti vanno in estasi per l'erba gatta, vi si rotolano e vi si sfregano in modo assolutamente sfrenato. Sembrano trarre piacere dalle cose più semplici: un angolino di stanza inondato dal sole, un sacchetto di carta, la gioia di piantare le unghie nella tappezzeria, lunghissimi sonnellini, il rispetto, o meglio la venerazione, da parte degli altri. I gatti sono curiosi e complessi, affettuosi ma indipendenti, addomesticati ma selvatici, riservati e premurosi. I felini sono così tante cose insieme che l'unico sistema per catalogare le loro storie sono le immagini: non importa di che razza siano o dove è stata scattata la foto, riconoscerete il vostro gatto, la sua essenza felina universale, in ogni figura. Con le sue immagini in primo piano è un'autentica celebrazione della felinità.
Un gatto in casa è una gioia, una carezza nei momenti di sconforto, una giornaliera scoperta di un comportamento incomprensibile ed assurdo. Un gatto è un mistero. Il tuo gatto è il tuo mistero personale.
Tratto dal libro “Il gatto e i suoi simboli” di Claudio Widmann
Pubblicato da krommino75
Gli egizi veneravano una divinità felina, Bastet, che guidava un carro trainato da altri gatti. Bastet era una dea potente strettamente collegata a Ra, il dio dei sole. I gatti vagavano in un tempio in pietra costruito in suo onore e i fedeli studiavano il loro comportamento per trarne auspici e segni della dea stessa. Possiamo ancora identificarci con gli antichi egizi quando studiamo il comportamento dei nostro gatto in cerca di un segnale. In vita i gatti erano molto amati, nella morte erano pianti. Se moriva il gatto di casa, tutta la famiglia egizia si rasava le sopracciglia. Ma essere venerati non è sempre piacevole come si potrebbe pensare, soprattutto nel ventesimo secolo. Ad esempio negli Stati Uniti cinquantacinque milioni di gatti viziati hanno una casa, mentre milioni di altri, non desiderati, vengono uccisi ogni anno. In Egitto, anche se il gatto era sacro, ne vennero forse sacrificati e mummificati migliaia. In un grande tempio sono state scoperte alla fine del secolo scorso oltre trecentomila mummie di gatti con accanto una sorta di pasto per l'aldilà: topi mummificati.
Nel corso dei secoli Bastet divenne sempre più popolare e potente e attirò centinaia di migliaia di pellegrini da ogni parte in occasione delle celebrazioni in suo onore, durante le quali si beveva, si banchettava e ci si dava a orge sfrenate. Questa storia, insieme ai vagabondaggi notturni, alle retine riflettenti che fanno "brillare" gli occhi al buio, e all'istintivo orgoglio dei gatto, possono essere state fra le cause che hanno portato i gatti a vedere i tempi bui dell'Europa medioevale, quando venivano collegati alla magia e alla stregoneria. A causa di questa associazione, i gatti vennero perseguitati per secoli. Anche se questo atteggiamento contro i gatti ebbe inizio già nel decimo secolo, l'ultimo gatto giustiziato in Inghilterra per stregoneria morì nel 1712. Oggi sappiamo bene quanto i gatti possano essere di compagnia e di conforto, specialmente per gli anziani, ma questa preziosa intesa venne male interpretata e distrutta nel corso del Medioevo. Una donna anziana che viveva con i suoi gatti veniva sempre sospettata di stregoneria. Durante la caccia alle streghe erano presi di mira soprattutto i gatti neri, che tuttora sono circondati da un'aura di superstizione.
Anche nei momenti più bui gli scrittori rimasero i migliori alleati dei gatti, condividendo con loro una vita solitaria e tranquilla. Fedeli fino in fondo all'amore per il loro compagno felino furono, per esempio, il Petrarca, che fece incidere sulla lapide del suo gatto la frase: "Sono stato la più grande passione, seconda solo a Laura", e il saggista francese dei XVI secolo Michel de Montaigne, che scrisse: "Quando gioco con la mia gatta, chi può dire se si diverte più lei a scherzare con me o io a giocare con lei?". E questo rapporto è proseguito per intere generazioni. I gatti hanno assistito tranquilli alla transizione dalla penna d'oca al computer portatile. Keats, Tennyson, Hardy, Twain, Kipling e Colette amarono molto i gatti e scrissero di loro con amore. Nessuno che abbia assistito alle strabilianti evoluzioni di un gatto comune potrà sorprendersi sapendo che un uomo "duro" come Ernest Hemingway fosse un vero amante dei gatti. E non è il solo. Pur essendo diventati domestici, i gatti sono cambiati relativamente poco: non si notano in loro marcate differenze fisiche fra le razze domestiche e le razze selvatiche, come per esempio negli "animali da soma" (provate ad applicare questa definizione al vostro gatto!). Molto più di altre specie addomesticate, i nostri gatti riescono a sopravvivere da soli. La palla di pelo che vi fa le fusa in grembo sa perfettamente come procurarsi un pasto fuori casa, sia che si trovi in un prato o per le strade di Manhattan.In quei profondi occhi blu, verde smeraldo o color ambra riusciamo ancora a percepire il senso del selvatico. Con la loro sviluppata visione notturna, con il loro udito in grado di percepire i suoni acuti, e con un senso dell'olfatto trenta volte più sviluppato del nostro, i gatti sono animali predatori. Di città o di campagna, qualsiasi gatto che possa uscire liberamente delimita il suo territorio e utilizza gli odori per marcare i confini, facendo poi conto sui suoi muscoli per consolidarli, anche se spesso le minacce sono sufficienti. Anche i gattini più indifesi nascono con l'istinto della caccia: è un impulso naturale che si affina giocando con i fratellini. Se li osservate mentre lottano e si mordono sapete che stanno esercitandosi per catturare dei deliziosi topolini vivi. Osservando i genitori imparano la pazienza, la tecnica dell'attacco improvviso e come afferrare la preda per il collo. L'istinto della caccia è molto forte: in mancanza di topi sarà sufficiente una mano sotto una coperta, una pantofola che batte sul pavimento o una stringa trascinata in giro.
Alcuni gatti domestici sentono il richiamo della vita selvatica e, se tornano selvatici, sono perfettamente in grado di nutrirsi catturando uccellini e roditori. Spesso sono molto prolifici, ma la loro vita media è circa la metà di quella di un viziato micione casalingo. In molte città vi sono gruppi di assistenza che operano per sterilizzare e stabilizzare la popolazione di gatti selvatici. E' molto controversa la questione se lasciare o meno uscire liberamente i nostri gatti (il mio gatto impazzirebbe se lo chiudessi in casa!). La maggior parte delle associazioni per la protezione degli animali insiste sul fatto di tenere sempre i gatti in casa, citando le statistiche che dimostrano di quanto si riduca la sua vita media da quando varca la soglia di casa. Ma i padroni dei gatti si pongono sempre la stessa domanda: "Che cosa rende felice il mio gatto?"
Sappiamo che sono sensibili al tocco e che reagiscono con tutto il corpo alle carezze. Fremono di piacere e si strusciano con la testa, la schiena e la coda sul palmo della mano. Molti gatti vanno in estasi per l'erba gatta, vi si rotolano e vi si sfregano in modo assolutamente sfrenato. Sembrano trarre piacere dalle cose più semplici: un angolino di stanza inondato dal sole, un sacchetto di carta, la gioia di piantare le unghie nella tappezzeria, lunghissimi sonnellini, il rispetto, o meglio la venerazione, da parte degli altri. I gatti sono curiosi e complessi, affettuosi ma indipendenti, addomesticati ma selvatici, riservati e premurosi. I felini sono così tante cose insieme che l'unico sistema per catalogare le loro storie sono le immagini: non importa di che razza siano o dove è stata scattata la foto, riconoscerete il vostro gatto, la sua essenza felina universale, in ogni figura. Con le sue immagini in primo piano è un'autentica celebrazione della felinità.
Un gatto in casa è una gioia, una carezza nei momenti di sconforto, una giornaliera scoperta di un comportamento incomprensibile ed assurdo. Un gatto è un mistero. Il tuo gatto è il tuo mistero personale.
Tratto dal libro “Il gatto e i suoi simboli” di Claudio Widmann
Pubblicato da krommino75
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