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martedì 25 febbraio 2014

Deficit cerebrali da sostanze chimiche: è allarme

Aumenta l'elenco delle sostanze diffuse nell'ambiente che potrebbero causare alterazioni nel cervello in via di sviluppo, con esiti che vanno dal deficit di attenzione a difficoltà di apprendimento. I due esperti che lanciano l'allarme dalle pagine di "Lancet Neurology" chiedono una strategia di prevenzione internazionale che attribuisca ai produttori l'onere di dimostrare che i loro prodotti sono a basso rischio con test simili a quelli adottati per i farmaci

Il numero di sostanze chimiche che potrebbero provocare alterazioni nello sviluppo cerebrale fetale e infantile è raddoppiato nel corso degli ultimi sette anni, e continua ad aumentare l'elenco di potenzialmente in grado di danneggiare il cervello. E poiché molte di queste sostanze si trovano in oggetti di uso quotidiano come abbigliamento, mobili e giocattoli, è necessario provvedere urgentemente a una revisione dei regolamenti nazionali e internazionali per la valutazione del rischio. E' questo l'appello pubblicato su “Lancet Neurology” in cui Philippe Grandjean e Philip J. Landrigan – rispettivamente della Harvard School of Public Health e delle Icahn School of Medicine at Mount Sinai – fanno il punto sul problema.


Differenti schemi di attivazione cerebrale in adolescenti colpiti da esposizione prenatale a metilmercurio (in alto) e in adolescenti normali di controllo. (Cortesia P. Grandjean, P.J. Landrigan/Lancet Neurology)
Se nel 2006 le sostanze neurotossiche per lo sviluppo cerebrale erano sei - piombo, metilmercurio, arsenico, policlorobifenili (PCB) e toluene – ora si hanno prove che la stessa azione è esercitata da altri sei prodotti chimici - manganese, i fluoruri, i pesticidi chlorpyrifos e DDT, il solvente tetracloroetilene, e i ritardanti di fiamma a base di polibromodifenileteri (PBDE) - con effetti che potrebbero andare dal disturbo da deficit di attenzione (ADHD) alla dislessia fino a patologie anora più gravi. Infatti, anche se la placenta è infatti in grado di filtrare attivamente molte sostanze, osservano gli autori, non riesce a bloccare il passaggio dalla circolazione materna a quella fetale di molti composti tossici ambientali.

Nei soli Stati Uniti, i costi annuali diretti e indiretti conseguenti all'avvelenamento da piombo nella popolazione infantile sono stimati in circa 50 miliardi di dollari e quelli da metilmercurio in circa 5 miliardi di dollari. Ma questa potrebbe essere solo la punta di un iceberg, secondo Grandjean e Landrigan, secondo i quali potrebbe essere in atto una “pandemia silenziosa” di deficit neurocomportamentali che eroderebbero l'intelligenza e altererebbero i comportamenti.


Per dare un'idea delle dimensioni del problema gli autori riportano anche i risultati di studi che hanno posto in relazione la riduzione del potenziale intellettivo di una popolazione con la capacità produttiva e il PIL della nazione: ogni punto di QI perso, corrispondebbe una perdita economica nell'arco della vita lavorativa stimabile in almeno 12.000 euro. Dato che in seguito all'esposizione al metilmercurio nell'Unione Europea vanno perduti circa 600.000 punti QI all'anno, tutto questo potrebbe tradursi in un danno economico annuo che si avvicina ai dieci miliardi di euro. E questo per quanto riguarda le sole sostanze nocive allo sviluppo cerebrale, ai cui effetti andrebbero aggiunti quelli delle oltre 200 capaci di danneggiare il cervello adulto.

Alcune regioni dell'India e del Bangladesh sofffrono per un grave inquinamento da arsenico delle falde acquifere. (© Abdul Sajid/Demotix/Corbis)
Purtroppo, scrivono gli autori, la maggioranza delle oltre 80.000 sostanze industriali usate negli Stati Uniti non sono mai state testate rispetto a effetti tossici che potrebbero pregiudicare lo sviluppo del cervello del feto o un bambino. "La nostra grande preoccupazione - affermano i due - è che i bambini di tutto il mondo siano esposti a sostanze chimiche tossiche non riconosciute”. Per questo propongono una nuova strategia di prevenzione internazionale che attribuisca ai produttori chimici l'onere di dimostrare che i loro prodotti sono a basso rischio attraverso una serie di test simili a quelli adottati per i farmaci.

All'obiezione sui costi elevati di queste procedure, gli autori rispondono con un dato: negli Stati Uniti, si stima che ogni dollaro speso per ridurre i rischi legati al piombo sproduca un beneficio in media dai 17 dollari ai 220 dollari, a seconda che si considerino i risparmi diretti o anche indiretti. Senza contare che “i costi collegati alle conseguenze della neurotossicità durante lo sviluppo cerebrale sono enormi, e i benefici sulla prevenzione delle patologie degenerative del cervello molto rilevanti”.


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