"THE END"

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giovedì 29 agosto 2013

Intervista a una pazza


TRENTO - «La caccia è un atto d'amore. È una passione intensissima che nasce tra l'uomo e l'animale, e che si appaga solo nel possederlo pienamente e totalmente. Io sparo soltanto quando sono certa che il mio colpo è mortale. Non ho mai ferito gli animali, e non voglio far loro del male».
La contessa Maria Luisa Pompeati, della stirpe dei von Ferrari Kellerhof, imparentati con il Giulio Ferrari degli spumanti, palazzo a Santa Maria Maggiore e splendida tenuta a Oltrecastello, comprensiva di vigneti, laghetto e vista mozzafiato sulla città, è una cacciatrice passionale. La caccia ce l'ha nel sangue fin da quando era bambina, ed è stata fra le prime cacciatrici donna in Trentino, quando portare il fucile era per eccellenza una «cosa da maschi». Tra i suoi trofei: galli cedroni, galli forcelli, beccacce, pernici bianche, e maestosi esemplari di cervi, camosci e caprioli. «Anche quindici capi in una stagione», racconta. «Che poi ho imbalsamato, e li ammiro tutti i giorni».
Oggi, primo giorno di caccia, accompagnerà il marito, il conte Francesco Pompeati, noto avvocato di Trento.
                                                                 Contessa, quando le è nata la passione per la caccia? Com'è che una donna, di nobile lignaggio per giunta, decide di fare la cacciatrice?
«Ce l'ho sempre avuta nel sangue. Nella casa di campagna di Lases (che in paese chiamavano il castello per le mura merlate), dove trascorrevo le estati da bambina, avevamo una galleria di armi antiche e di trofei di caccia. Soprattutto c'era un cervo affascinante: io ero attratta da questo cervo. A vent'anni mi sono sposata, e con mio marito cacciatore ho cominciato ad andare a caccia regolarmente».

Quale è stato il primo trofeo che ha portato a casa?
«Per anni ho cacciato solo con il cane da ferma e a caccia di piuma. La mia prima conquista sono state le starne, in Polonia. Ero emozionatissima: è partito in volo lo stormo di starne, e sono riuscita a fare il doppio, cioè ad abbatterne due insieme. Una sensazione meravigliosa».
Donna e cacciatrice: nell'immaginario collettivo il cacciatore è uomo per eccellenza. Come si concilia il fucile con la femminilità?
«Nella vita ho sempre vissuto passioni forti, anche contrastanti. Non ho mai rinunciato all'esser pienamente donna, coltivando la femminilità, anche un po' civettuola. Facevo danza classica, suonavo pianoforte. Nello stesso tempo, ero un maschiaccio, con un carattere forte, e giocavo alla guerra con i miei cugini. Quando ho iniziato io ad andare a caccia, a fine anni Settanta, eravamo in pochissime, ma non ho mai sopportato preferenze o cortesie di sorta».
Cosa prova quando vede la preda, mira e spara?
«È una forma di liberazione, è l'adrenalina compressa che ha sfogo. Il cuore batte forte e l'emozione è al massimo. La caccia infatti ha tutta una preparazione e un'attesa, che ha il suo compimento quando si coglie la preda. È la stessa sensazione di quando ci si innamora. Quando vado a caccia del cervo, passano anche diversi giorni in cui l'osservo, l'ammiro, lo sogno. C'è come una sorta di corteggiamento, fino a che diventa tuo per sempre. Io sparo infatti solo quando sono certa che il mio colpo è mortale. Io non ho mai ferito gli animali, e non voglio far loro del male».
Non c'è contraddizione nel dire che si vuol bene agli animali sparandogli e uccidendoli?
«Un antico filosofo diceva: se tu uccidi ciò che ami, e ami ciò che uccidi, non domandarti il perché: questa è la caccia. Per me è una storia d'amore, tra me e l'animale, che si appaga nel momento in cui è tuo per sempre. Così è per tutti i cacciatori».
Ha mai avuto rimorsi o sensi di colpa per aver abbattuto un animale?
«No, perché non c'è crudeltà. È un atto d'amore. Io non abbatto tanto per abbattere, per far numero, per collezionare trofei. Lo faccio perché nasce una passione intensissima tra me e l'animale da cacciare. Del resto io imbalsamavo tutti i capi abbattuti, finché poi non sapevo più dove metterli. Mi prendevano in giro perché ho imbalsamato anche una femmina di capriolo, e non si usa fra i cacciatori perché non ha il trofeo. E invece l'ho imbalsamata vicino al suo cervo, perché si facciano compagnia, e si parlino... Su ogni cartuccia sparata metto un'etichetta con il giorno e il capo abbattuto».
Contessa, ma la selvaggina la imbalsama soltanto, o la mangia anche.
«Certo che la mangio. È il completamento di questa storia d'amore. Si ama così tanto da farlo proprio, da possederlo. Nessun altro te lo potrà più portare via».
Cos'è che le dà più gioia: l'ammirazione dell'animale e l'attesa, l'abbattimento o il cucinarlo e mangiarlo?
«Direi che è proprio il momento, dopo che hai sparato, del sapere che l'hai centrato, che l'hai preso. Io poi corro da lui, prendo tra le mani la sua testa, l'accarezzo, arrivo fino a baciarlo, in certi casi lacrimo di gioia».
Non guarda mai gli occhi del cervo ucciso? Non la lasciano turbata? C'è chi è impressionato anche dal vedere un gatto ucciso per strada.
«Ma è diverso. Quello è tremendo. Gli animali vanno rispettati, curati, tenuti bene. La caccia è un'altra cosa. Soffrirei se lo ferissi, ma io sparo quando sono certa che è a colpo sicuro».
Ma i cacciatori amano veramente gli animali?
«Certo, basta vedere come rispettano l'ambiente, curano la montagna, dove si può portano il sale e il fieno per la selvaggina.
Chi le ha insegnato a sparare?
«Per tantissimi anni ho sparato con il sovrapposto, con il fucile a pallini. Lì è una questione di pratica: più spari, più impari. Bisogna superare l'esame. Ho dovuto fare dei tiri con una carabina ad aria compressa, non avendo fatto il militare».
Qual è stato il bottino più ricco di una stagione?
«Se parliamo di ungulati, è stato il primo anno. Ce l'ho messa tutta, mi sono dedicata molto, e sono riuscita a completare una quota che avevo in Austria, dove mi reco spesso a cacciare».
Cioè, quanti capi?
«Quindici, tra caprioli, cervi e camosci».
Tra le conquiste fatte, qual è quella di cui è più orgogliosa?
«Senza dubbio il gallo cedrone al canto. È una cosa inebriante. Bisogna provarlo: con gli avvicinamenti, i tre passi, gli unici che permettono di avvicinarsi senza che se ne accorga, perché durante il canto diventa sordo e non sente i rumori. E poi aspettare che riprenda il campo per fare altri tre passi. Un corteggiamento complicato, ma molto suggestivo».
Quali altre specie caccia?
«Beh, il gallo forcello. Ricordo un anno, con una arena di canto spettacolare, e a maggio c'era ancora tantissima neve. Ne ho contati una quindicina, tra maschi e femmine. Ce n'erano due che lottavano fra loro per contendersi le galline, che giravano attorno. Insomma, uno spettacolo unico».
Come è avvenuta la scelta della preda a cui sparare?
«Punto al gallo più maturo, quello più fatto. Non sparo ai galli dell'anno».
È così anche per il gallo cedrone?
«No, quello non ha l'arena di canto. È singolo, sta su un albero dove passa la notte a dormire. Man mano che arriva l'alba si comincia a guardare sugli alberi, per scoprire dove può essere, finché lo si intravvede sull'albero e si spara».
                                                                           Quali altre specie caccia?
«Per anni ho cacciato le pernici bianche oltre il circolo polare artico. Un'esperienza unica, in tenda, arrivando in area con i cani in una apposita stiva pressurizzata. Poi, una volta sul posto, con l'elicottero o dei piccoli idrovolanti si veniva portati in cima ad una montagna. Ci calavano in mezzo a queste montagne, con le radiotrasmittenti, e poi si cacciava. Dormivamo su pelli di renna».
Altri volatili?
«In Istria e in Croazia sono andata a caccia di beccacce».
Ha mai fatto bracconaggio?
«No, ma penso che la trasgressione faccia un po' parte della vita. E qualche volta bisogna concedersi un pizzico di trasgressione».
Lei sa che i cacciatori sono spesso contestati. Cosa risponderebbe a chi chiede che la caccia venga proibita?
«Dico che purtroppo non hanno avuto la possibilità di cacciare e di capire cos'è effettivamente la caccia. Capisco che possono avere questo tipo di reazione, ma solo perché non sanno cos'è la caccia».

Fonte: L’Adige
http://freeanimals-freeanimals.blogspot.it/

commenti

Cat giovedì 29 agosto 2013 16:16:00 CEST

ha descritto le stesse emozioni di un serial killer.. stesso modus operandi per dirla alla "criminal mind".. anche loro si innamorano delle proprie vittime, le osservano, le venerano, le uccidono, le tagliano a pezzi e capita che le "assaporano" allo spiedo.
Complimenti alla contessa .. dovrebbe trovarsi faccia a faccia con un "ammiratore" del genere che la ama, magari ne sarebbe lusingata e proverebbe anche piacere carnale nell'essere fatta a pezzi prima del colpo finale. Ops ... già, lei per amore uccide le sue vittime al primo colpo! 


Gianni giovedì 29 agosto 2013 17:16:00 CEST

Di quelli che amano guidare a fari spenti nella notte per vedere se poi è tanto difficile morire. Di quelli che si fanno l'abbonamento al luna park per stare tutto il tempo sulle montagne russe. Di quelli che per far produrre al cervelletto qualche mg. in più di adrenalina devono veder scorrere litri di sangue. Una patologia grave e tra le più diffuse al mondo. L'umanoide replicante per sentirsi più vivo e più forte deve procurare la morte ai più deboli. Uccidere per divertimento è lo sport più diffuso sul pianeta. Il ricco ama vedere il povero mentre muore. Orgasmi multipli per la contessa. 

*Dioniso*777*giovedì 29 agosto 2013 20:25:00 CEST

Pensa che bello quando succederà a lei! Certo direte voi, a lei non succede ... eh, vi dico io, l'universo è infinitamente grande e il tempo un'illusione, siamo proprio sicuri che non rinasca capriolo e qualcuno le tiri una fucilata per provare un'emozione diversa? Io lo credo con tutto me stesso perché troppe volte ho visto tornare quello che ho ed hanno fatto gli altri. L'ho visto in questa vita e non credo minimamente alle coincidenze. Vai contessa, spara per bene finché puoi.
Comunque avete ragioni entrambi, è lo sport più praticato al mondo e sono evidentemente gli stessi sintomi del serial killer, solo che la pazza ha i soldi e sta ammazzando i più deboli, il serial killer ha più coglioni!

LKWTHIN

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