Ovvero: La mia mamma, il mio amico Toni C. e la massoneria.
1. Premessa. 2. Due conversazioni avviate di recente. 3. Varie conversazioni, avviate di recente. 4. La massoneria come scuola di pensiero segreta.
1. Premessa.
Chiedo scusa per questo articolo, un po’ palloso rispetto ai miei precedenti, ma purtroppo esso è prodromico al prossimo, fondamentale per capire i rapporti tra massoneria e Chiesa cattolica nell’era attuale, e nel conflitto che c’è stato per quasi duemila anni.
2. Due conversazioni avviate di recente
Di recente ho avuto due conversazioni interessanti con due persone molte diverse e distanti per cultura e formazione. Entrambe, a modo loro sono espressioni di una cultura elevata, e le ritengo rappresentanti di un diverso modo di pensare che voglio descrivere.
La prima persona è mia mamma. Mia madre è una persona colta, con due lauree, una in teologia e l’altra in legge, nella sua vita ha insegnato filosofia, diritto, psicologia, per poi dedicarsi solo all’insegnamento della religione. Considero quindi mia madre il prototipo della persona di Chiesa sì, ma colta, e anche con una certa apertura mentale che talvolta l’ha distinta da altri soggetti a cui il cattolicesimo ha completamente bruciato il cervello. Ella vede molti dei disastri combinati dalla Chiesa cattolica, e spesso parla apertamente di molti dei misfatti di questa istituzione anche se, in genere, quasi sempre per giustificarli in qualche modo. Quando ho qualche dubbio sulla linea di pensiero ufficiale della Chiesa chiedo a lei, sapendo che in linea di massima mi fornirà una risposta teologicamente ineccepibile e che sa e conosce le risposte dell’80% dello scibile cattolico.
Spesso a fronte di domande per me cruciali, è stata però incapace di fornire una risposta.
Qualche giorno fa mi domandavo come mai la Bibbia fosse il libro più diffuso al mondo, pur essendo il Vecchio Testamento non un libro teologico, che contiene cioè gli insegnamenti di Dio, ma per il 90% un racconto delle vicissitudini del popolo di Israele. Mi domandavo cioè in quale momento, chi e perché, avesse deciso che oltre al Nuovo anche l’Antico Testamento fosse da considerarsi un libro sacro; e mi domandavo con quali criteri, e con quali giustificazioni un libro che contiene la storia di un solo popolo (quello di Israele) sia diventato il libro sacro per americani, europei, nonché africani, indiani, ecc., convertiti al cristianesimo.
La risposta è stato un “non lo so”, e un’indicazione ad andare a parlare con uno studioso della Bibbia di sua conoscenza; ma soprattutto la sua domanda chiave, su cui la nostra conversazione si è incentrata per parecchio tempo, è stata questa: “Ma questa informazione ti serve per rafforzare la tua apostasia, o per tornare in seno alla Chiesa?”.
Era questa la preoccupazione principale di mia madre, che si è poi lanciata in discorsi sul fatto che Satana sbava per prendere le anime dei fedeli (quindi insinuando il sospetto che le mie domande siano ispirate da Satana, di cui peraltro nel Vecchio Testamento non c’è praticamente traccia, ma questo per mia madre è un po’ difficile da digerire come concetto).
La seconda conversazione l’ho avuta via mail con un mio amico, Toni C. Si tratta di una persona anche lui molto colta. Se non ricordo male anche lui insegnante di filosofia, bravissimo all’università e giurista molto esperto. Ha studiato diritto penale e amministrativo e ancora ricordo quando, anni fa, dopo aver studiato sul mio testo di amministrativo, disse che studiando diritto penale “avevo compiuto un altro miracolo”, perché si era appassionato sia al diritto amministrativo sia al diritto penale grazie ai miei libri. Si tratta di una persona che considero tra i giuristi più preparati che ho conosciuto negli anni, e che peraltro nutriva per me – almeno credo – una certa stima.
La discussione tra me e lui è stata incentrata sulle mie teorie, che lui considera immani cazzate, e la cosa interessante della nostra conversazione è la puntualità con cui teneva testa ad ogni mia provocazione e controbatteva a tutto con apparente intelligenza.
Da persona intelligente qual è, nella discussione ha detto – giustamente – che ciascuno vede nella realtà solo lo specchio di se stesso, e trova sempre conferma di ciò in cui egli crede.
La gente ha bisogno di credere in qualcosa, dice lui correttamente, e quindi il complottismo fa credere a un qualcosa di superiore; la gente ha bisogno di credere in Dio, o nei complotti, perché “non sopporta la somma casualità dell’universo”.
Logicamente quindi, nella vicenda di Erba, i colpevoli dovevano essere Olindo Romano e Rosa Bazzi, e ciò era dimostrato da cosa? Ma dal fatto che la loro colpevolezza è stata dimostrata in tre gradi di giudizio, naturalmente.
Inoltre, avendo visto qualche spezzone in TV, citava le testimonianze del sopravvissuto Mario Frigerio, che indicava Olindo come colpevole, e naturalmente non contava il fatto che Frigerio nei verbali non avesse indicato Olindo, e risolveva la contraddizione ovviamente a favore della colpevolezza di Olindo.
Ovviamente si sentiva in grado di avere un’opinione anche sulla vicenda delle Bestie di Satana, dove non contava il fatto che io avessi lavorato per due anni e conosca i verbali, le prove, il processo; c’erano le “risultanze processuali” e quindi i ragazzi sono colpevoli fino a prova contraria.
E le centinaia, migliaia di suicidi in ginocchio? Beh, lui ha preso 30 e lode in medicina legale, e sui libri c’è scritto che è possibilissimo che una persona si suicidi in ginocchio; peraltro, avendo fatto judo, lui sa bene che è possibile perché tecnicamente sa che è facile soffocare se il laccio è in una determinata posizione. E se un libro di medicina legale dice che è possibile, basta, il resto non conta.
La prova regina del fatto che dico un mucchio di cazzate però è soprattutto una: il fatto che io sia ancora in vita. “Troppo vivo per essere credibile”, queste le sue testuali parole.
Un’altra frase che mi è rimasta impressa della nostra conversazione: “La verità processuale è meno di niente, e spessissimo sbagliata, ma è l’unica “verità” che abbiamo, e mi attengo a quella...
Devo dire che ovviamente sento spessissimo simili concetti, ma devo dire che non avevo mai sentito tali banalità espressi così bene e con tanta apparente intelligenza.”
Prendo ad esempio questi due casi, perché ritengo mia madre il prototipo del cattolico molto colto e Toni il prototipo dell’ateo colto. Difficilmente in un dialogo con un ateo potrei trovare risposte più intelligenti di quelle di Toni, e qualsiasi interlocutore giuridico potrebbe essere solo un gradino inferiore a lui.
Toni ha però una caratteristica che manca a molte persone. Ha un cuore grande, ha amore per ciò che fa e per le persone con cui si rapporta.
Per questo motivo lo troveremo ancora nel prossimo articolo, così come ritroveremo mia madre, per collocare il loro dialogo in una dimensione diversa.
Due modi di pensare opposti, quindi che sono un po’ la punta estrema e lo specchio della schizofrenia in cui vive la nostra società. Da una parte la Chiesa cattolica, con la sua ostinata chiusura a vedere qualcosa di diverso da se stessa; dall’altra la scienza, con il suo ostinato ragionamento rigorosamente scientifico. Due ciechi a confronto, in sostanza, che se dialogassero non si capirebbero mai, ma che sono lo specchio di come è stata la società per secoli. E al centro? Tra i due contendenti ci son sempre state le persone che cercavano di capire, ma non trovavano le risposte né nei deliri di una parte né nella cecità dell’altra. Entrambi ovviamente convinti di essere nel giusto.
Fossimo stati qualche secolo fa, sarei stato condannato al rogo per aver osato fare una domanda del genere; e mia madre avrebbe probabilmente sofferto per la mia morte, ma tutto sommato avrebbe pensato tra sé e sé, mentre bruciavo sul rogo come Giordano Bruno: “Un po’ se l’è cercata, perché Satana si era impossessato di lui, e comunque, ora che muore, speriamo che Dio abbia pietà di lui”.
3. Varie conversazioni, avviate di recente.
Avvicinandomi alla massoneria mi avevano colpito, all’inizio, alcune affermazioni curiose che non capivo.
La massoneria è il tempio del libero pensiero, sentivo dire dal Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia Gustavo Raffi. Francamente non capivo; “ma non siamo in una società libera?”, mi domandavo. Che minchia significa il tempio del libero pensiero in una società in cui siamo tutti liberi di pensare liberamente? L’affermazione mi suonava ancora più assurda dato che stiamo parlando di un’organizzazione che non è troppo tenera con i suoi avversari, anche se, precisano i massoni, quella è massoneria deviata e non massoneria.
Inoltre stiamo parlando di una organizzazione strutturata per gradi, che non è affatto democratica, e in cui in molte occasioni non si è per niente liberi di esprimere il proprio pensiero.
Un’altra affermazione per me poco comprensibile era quella che trovavo nella rivista Hera; il direttore era Gianfranco Carpeoro e la leggevo già da prima di conoscere personalmente Gianfranco. La sua frase preferita era “amici del dubbio e della verità”. Ma come si fa ad essere amico del dubbio se ami la verità, pensavo io. Se hai la verità non hai il dubbio e viceversa.
L’altra cosa che mi aveva colpito molto è questa. Se, col passar del tempo, mi era diventato quasi impossibile discutere o parlare con una persona che fosse totalmente e acriticamente atea, o totalmente cattolica, trovavo le conversazioni con i massoni estremamente affascinanti, per la cultura e la saggezza di cui erano capaci. In sostanza, le persone più interessanti e più sagge, e più colte con cui mi trovavo a parlare, erano sempre e inevitabilmente massoni.
Ricordo le conversazioni a cena con alcuni miei allievi, massoni, di quelli che studiano, si interrogano e approfondiscono, e di come mi aprissero mondi sconosciuti.
Ricordo le prime conversazioni con Carpeoro.
Un altro aspetto dei massoni che mi ha sempre colpito è stata la loro apertura di mente a dialogare con uno come me, che per anni ha sempre pensato che la massoneria fosse uno dei mali peggiori del mondo. Se qualcuno tra le persone che conosco ovviamente ha preso questo fenomeno come un tentativo di irretirmi (il diavolo sbava per prendere le anime dei cristiani; e la massoneria, essendo il diavolo, si è presa la mia, pensano molti), io invece ho sempre ammirato l’aplomb con cui alcuni appartenenti alla Golden Dawn, all’OTO, ai Rosacroce mi dicevano: “Hai ragione… purtroppo i fenomeni di cui parli esistono, ma sono fenomeni di deviazione, che noi condanniamo. Vieni a seguire i riti o i lavori e ti dimostriamo che… ecc. ecc. ecc.”. Oppure: “Salve, essendo un rosacroce, all’inizio quando ho letto i suoi articoli pensavo lei fosse un ciarlatano, ma dopo qualche tempo, approfondendo, ho capito che… ecc.”.
Del nostro primo approccio con Carpeoro, ricordo quando lui mi invitò ad andarlo a trovare e io provocatoriamente gli dissi: “No, grazie… io non dubito della tua buona fede, ma dubito della buona fede di chi ti sta intorno; se qualcuno dei tuoi superiori ti dicesse che a casa tua mi devi avvelenare tu dovresti farlo, e non potresti rifiutarlo, quindi ti ringrazio dell’invito ma rimango a casa mia”.
Lui mi rispose: “No, guarda, stai tranquillo, per la posizione che ricopro ti posso assicurare che sono nella condizione di poter rifiutare inviti del genere e non devo obbedienza a nessuno”. In effetti all’epoca non sapevo che lui era stato il Maestro Venerabile della Gran Loggia Serenissima e credo sia stato il primo Maestro Venerabile al mondo a sciogliere la sua obbedienza e consegnare le insegne, per farla confluire negli ALAM, ritenendo non esistessero più gli ideali puri della massoneria nella società attuale; quindi, dalla sua posizione, in effetti non poteva ricevere ordini.
La sua risposta mi colpì per diverse ragioni. Per l’apertura mentale che dimostrava nel continuare ad accogliermi nonostante lo ritenessi in grado, in sostanza, di ammazzarmi; invece di darmi del paranoico o di prenderla come un’offesa, mi dava una sua spiegazione per tranquillizzarmi e continuava a dialogare con me via mail, dimostrando di capire le mie ragioni.
Mi colpiva poi questa strana contraddizione: se qualcuno fosse autorizzato a darmi del paranoico o del visionario, quello non dovrebbe essere una persona che di massoneria non sa nulla, come Toni, ma uno come Carpeoro, a cui sto poi sostanzialmente dicendo in modo espresso che ho il timore che possa farmi secco avvelenandomi o in qualche altro modo.
Il paradosso era ed è tuttora, quindi, che una persona che di massoneria e poteri occulti non sa nulla come Toni mi dà sostanzialmente del paranoico, mentre il Maestro Venerabile di un’Obbedienza, con la conoscenza di Carpeoro, mi dice in sostanza: “Sì, hai ragione, e capisco come possa tu diffidare di me, ma se cambierai idea la mia porta è sempre aperta”.
Leggevo Carpeoro, che mi aveva aperto mondi, prima di conoscerlo, con i suoi libri sui Rosacroce. E conoscendolo e ascoltandolo di persona ha continuato ad aprirmene.
Alla fine ho ceduto e l’ho conosciuto di persona. Sono andato spesso a casa sua, e ogni volta che vado a Milano non perdo occasione per andarlo a trovare, e finora non solo non mi ha ammazzato ma ha contribuito in modo notevole a farmi conoscere e capire un mondo a me estraneo.
Tutto questo all’inizio mi creava un po’ di confusione e anche una sorta di schizofrenia. Da una parte parlavo male della massoneria, ne descrivevo le trame, e la vedevo (e la vedo) dietro a molti delitti; dall’altra mi trovavo a riconoscere alla massoneria l’essere un inesauribile serbatoio di conoscenza, rendendomi insopportabile parlare con una persona “normale”; se poi questa persona “normale” è anche colta, mi viene spesso l’insopprimibile desiderio di ammazzarla a martellate (non dimentichiamoci che il martello è un simbolo massonico) e lasciarla esangue per terra, sicuro che tanto qualche criminologo pronto a dire che è normalissimo suicidarsi con un martello sul cranio lo trovo.
L’altra contraddizione in cui mi dibattevo era che da una parte ritenevo che la massoneria fosse la causa dell’ignoranza in cui versa la società attuale, la madre di tutti complotti, ma trovavo in essa un serbatoio inesauribile di cultura, conoscenza, e anche saggezza spesso.
4. La massoneria come scuola di pensiero segreta.
La contraddizione l’ho risolta il giorno in cui ho capito il significato di “scuola di pensiero”.
La scuola, oggi, e in particolare l’università, non insegna a pensare ma insegna a non pensare.
Scuola e università forniscono una serie di dati, peraltro sconnessi l’uno dall’altro, che se assorbiti acriticamente forniscono come risultato pensieri e procedure simili a quelle di mia madre e di Toni. Il risultato cioè è una sorta di pensiero che corre come un treno su un binario unico, un binario di cui è assolutamente prevedibile dove terminerà la sua corsa, e con quali conclusioni.
La massoneria, invece, nasce dai Rosacroce e dai Templari, che erano istituzioni che cercavano di cambiare la società di allora apportando conoscenza e consapevolezza. Non a caso tutte le personalità più geniali al mondo erano massoni: Leonardo Da vinci, Dante, Giordano Bruno, Machiavelli, ma anche Mozart, Beethoven, ecc.
Chi entra in massoneria fa – in teoria (sto parlando della massoneria vera, non quella del 99% dei massoni) – un percorso di conoscenza e studio che lo porta a vedere il mondo in modo totalmente diverso.
Il rito di ingresso nel primo grado prevede che la persona da iniziare soggiorni in una camera buia accessoriata con teschio e ossa di un cadavere, in cui compila il suo testamento; è il simbolo del fatto che la persona ha accesso ad una nuova visione dell’esistenza, e quindi di se stesso. Muore il suo vecchio io e ne inizia un altro.
La persona non sarà più la stessa, non vedrà le stesse cose che vedeva prima, cambierà completamente il suo punto di vista sulle cose e sull’esistenza.
“Conosco le leggi del mondo e te ne farò dono”, dice Battiato.
L’iniziato ai misteri, infatti, conosce (o si avvia a conoscere) le leggi del mondo, lì dove il profano invece pensa che il mondo sia mosso da una somma casualità, come dice il mio amico Toni.
Il massone, quindi, da una parte ha una cultura e una conoscenza superiori (ad esempio spesso conosce i vangeli gnostici e la bibbia gnostica, studia i Templari, il catarismo, le culture orientali, ecc.), ma dall’altra inizia a vedere il mondo in modo diverso, quasi ribaltato rispetto al profano. Comincia a comprendere il linguaggio dei simboli, comincia a ragionare in modo completamente diverso, e finisce per acquistare un modo di vedere le cose completamente opposto rispetto ai “profani”, più aperto e libero e disposto al cambiamento. Di qui l’affermazione di Raffi sulla massoneria come “tempio del libero pensiero”.
La massoneria quindi è stata per secoli in contrasto con il cattolicesimo e con la scienza ufficiale, proponendo ai suoi affiliati altri studi e un altro sapere; non a caso si deve alla massoneria l’introduzione in Occidente del buddhismo, dell’induismo e di ogni altra forma di religione o conoscenza alternative al cattolicesimo o alla scienza ufficiale.
E il massone è definito da Carpeoro “amico del dubbio e della verità” perché il vero massone, andando a cercare la verità, ha sempre comunque dei dubbi ed è pronto a ribaltare le sue visioni, in un percorso di conoscenza che non finisce in teoria mai.
Da qui nasce un certo senso di superiorità del massone verso i “profani”, come sono considerate le persone normali; e da qui anche la tendenza a fare mondo a se stante, con i propri tribunali, le proprie regole, che disdegnano i “tribunali profani” e le regole della gente comune.
Il problema di fondo della società attuale è la necessità di una riforma culturale globale, che insegni all’uomo a pensare, e non ad essere pensato. Che insegni a produrre pensieri propri e non pensieri altrui spacciati per perle di cultura.
Propongo quindi l’articolo di Piero Cammerinesi.
Mentre nel mio prossimo articolo parlerò di un problema ancora più importante. Spiegherò infatti in cosa dovranno consistere queste scuole di pensiero, e qual è il problema di fondo su cui si sono scontrati per duemila anni la Chiesa da una parte e i Giovanniti, diventati poi rosacroce e infine massoni, dall’altra.
“L'ora presente è grave: non è un’espressione retorica, questa. Chi conosce come realmente stiano le cose, sa che quei pochi che hanno una qualunque responsabilità interiore, non dovrebbero ormai perdere più un minuto di tempo, non dovrebbero più rimandare di un attimo la loro decisione per quei superamenti che in segreto essi veramente conoscono di quale natura debbano essere. Si è alla vigilia di eventi che possono essere gravemente distruttivi per l'uomo o preludere a una rinascita nel segno dello Spirito”.
Così scriveva Massimo Scaligero nel 1956 in una delle sue prime opere pubblicate, “Iniziazione e Tradizione”.
Queste parole ci possono aiutare a ‘fotografare’ il momento presente per comprendere come affrontare la gravità della situazione attuale da un punto di vista spirituale – il che però, attenzione, significa sia interiore che esteriore –. Poi torneremo a delineare meglio la dicotomia tra Tradizione ed Iniziazione, che viene evidenziata già nel titolo dell’opera.
PENSIERO COME STRUMENTO DI CONOSCENZA
Quando noi ci poniamo di fronte al mondo, alle cose, agli eventi ed anche a noi stessi, lo facciamo mediante uno strumento speciale: il pensiero. Il pensiero è lo strumento primario del nostro conoscere ma è al tempo stesso il meno conosciuto. Ci serve per conoscere ma noi non lo conosciamo. Conosciamo i pensieri già formati, i pensati dunque, ma non sappiamo come li conosciamo.
Se vi regalano un nuovo smartphone, che è lo strumento per attivare una serie di utili nuove funzioni e voi non sapete usarlo, che fate? O rinunciate a usarlo o vi studiate il libretto d’istruzioni. Se ‘smanettate’ senza conoscerlo è probabile che combiniate qualche pasticcio…
Se la vostra passione è studiare la lingua greca, che è lo strumento per leggere dei testi greci antichi non tradotti e non conoscete il greco che fate? O rinunciate a studiare quei testi o andate a scuola di lingua. Se improvvisate una lettura parziale perché conoscete qualche parola greca, rischiate di prendere fischi per fiaschi, o no? Se volete conoscere il mondo nella sua complessità, se volete interpretare gli eventi che accadono intorno a voi, se intendete avere un discreto grado di autoconoscenza che fate? Usate il pensiero, che di fatto è l’unico strumento per conoscere il mondo e se stessi.
Ma qualcuno vi ha mai insegnato ad usarlo?
Che stupidaggine, penserete voi, imparare a pensare è automatico, proprio come iniziare a camminare o a mangiare… Giusto. Mentre con lo smartphone studiamo le istruzioni e con la lingua andiamo a lezione, con il pensiero siamo autodidatti. Ora, però, se usando lo smartphone o leggendo il greco classico facciamo dei pasticci, di regola ce ne accorgiamo subito, perché la realtà esteriore ci corregge. L’e-mail non parte, internet non si connette…
Ma se sbagliamo con il pensiero? Nella vostra vita non vi è mai capitato di scoprire che un certo giudizio su una persona, una certa convinzione su un avvenimento esteriore, una determinata immagine che avevate di voi stessi si sono poi dimostrate errate?
Allora, secondo la nostra analogia dovremmo avere:
Smartphone → strumento per email, internet etc → Usare lo smartphone correttamente → imparare ad usarlo. Lingua straniera → strumento per leggere testi non tradotti → Leggere una lingua straniera correttamente → imparare la lingua. Pensiero → strumento per gestire la nostra vita → Pensare correttamente → imparare a pensare.
Ma nessuno ci ha mai parlato di una scuola del pensiero che ci insegnasse a usare questo strumento nel modo migliore. Eppure saper usare correttamente il pensiero è ben più importante del saper usare l’ultimo cellulare o saper leggere il greco classico. Nel primo caso, non sapendolo usare, possiamo commettere degli errori catastrofici che coinvolgono tutta la nostra vita mentre negli altri andiamo incontro a errori rimediabili. Il pensiero determina tutta la nostra esistenza e spesso non ci accorgiamo quando sbagliamo, se non è la vita stessa a farcelo capire magari con una bella mazzata.
Come conosco io il mondo, a partire dal primo istante in cui apro gli occhi di fronte alla natura esteriore ed al mio stesso sé? Grazie ai sensi io ho la percezione di un oggetto o di un avvenimento, grazie alpensiero vi aggiungo dei concetti, li metto in relazione tra loro, interpreto ciò che ho in tal modo davanti alla mia coscienza, ne ho un certo sentimento di simpatia o antipatia, di piacere o dispiacere, formulo dei giudizi, ed infine reagisco con una azione. Questa azione inevitabilmente avrà delle conseguenze sul piano esteriore che si rifletteranno sulla totalità della mia vita.
Gli indiani chiamavano karma la legge che determina le conseguenze delle azioni compiute. Il karma è quanto mi ritorna dal mondo esteriore come evento positivo o negativo determinato dalle mie azioni.
Ma se il pensiero iniziale con cui ho interpretato l’evento che mi capita era errato, che succede? Succede che con tutta probabilità io - giudicando scorrettamente la situazione - agirò anche in modo errato. Dunque il mio karma, le conseguenze delle mie azioni, non potrà che essere negativo. Perché avviene una cosa particolare se io non so pensare a fondo un avvenimento; quando si tratta di reagire, di passare all’azione, non è il pensiero che reagisce e determina l’azione, ma gli stati d’animo e l’istinto.
L’istinto si sostituisce inavvertitamente e illecitamente alla nostra azione cosciente.
Il sonno del pensiero – per parafrasare Lukacs – genera mostri.
Quante volte abbiamo detto: “Volevo fare così ma poi ho fatto in un altro modo, volevo dire questa cosa a quella persona ma poi ho detto tutt’altro…”
Ecco, il pensiero dormiva e l’istinto ha agito. L’istinto è l’illecita ingerenza della mia fisicità, del mio egoismo, della convenienza individuale nelle scelte della mia vita. Non parlo solo di egoismo spicciolo, ma di un approccio generalizzato al mondo. Nietzsche, per esempio, parlava di istinto dei filosofi: persino alla base della filosofia ci sarebbe – secondo lui - volontà di potenza!
I filosofi – afferma - vogliono aver ragione, vogliono prevalere sugli altri con la propria visione del mondo; per questo nasce la filosofia, perché è più conveniente la verità che la non-verità.
“Il pensiero cosciente di un filosofo è per lo più segretamente diretto dai suoi istinti e costretto in determinati binari. Anche dietro ogni logica e la sua apparente sovranità di movimento stanno apprezzamenti di valore, o per esprimermi più chiaramente, esigenze fisiologiche di una determinata specie di vita."
Friedrich Nietzsche (Al di là del bene e del male)
“Eppure abbiamo studiato tanti anni - penserete voi - qualcosa avremo pure imparato di questo strumento”. Il problema è che la scuola non ci ha insegnato a pensare, ma ci ha trasmesso solo dei pensati e per di più non nostri, ma di altri. Abbiamo appreso la Storia della Filosofia, non a filosofare! Quando mi è stato insegnato a distinguere i pensieri giusti da quelli sbagliati? Come uso il pensiero per guidare la mia vita?
PENSIERO DIMEZZATO
Abbiamo visto:
Se pensiamo male → interviene l’istinto → azione errata → karma negativo Se pensiamo correttamente → sostituiamo la coscienza all’istinto → azione giusta → karma positivo
Questo naturalmente vale sia per la vita esteriore che per quella interiore (la conoscenza di me stesso, dei miei sentimenti, inclinazioni etc.).
Se io non mi conosco veramente credo, ad esempio, che di fronte ad un determinato avvenimento reagirei in un certo modo, mentre poi magari reagisco in tutt’altro modo… Padroneggiare il miostrumento di conoscenza, il pensiero, mi consente di riconoscere la verità fuori di me e quindi anche di dirigere in modo autentico il timone del mio giudizio verso la giusta decisione e la giusta azione.
Ad esempio ci siamo mai chiesti perché nella nostra giovinezza ci siamo a un certo punto sentiti di destra o di sinistra, o perché abbiamo scelto tale o talaltra squadra sportiva, o perché abbiamo fatto una certa scelta professionale? Perché a volte ci infatuiamo di un’idea, di una persona, di un leader, di un maestro, salvo poi gettarlo – al primo dubbio o delusione – dall’altare alla polvere? Siamo stati noi a scegliere o chi o cosa ha scelto per noi? Se cerchiamo di indagare magari scopriamo che fu per via della nostra famiglia, dei nostri amici o del nostro ambito sociale, o forse – al contrario - per reazione a quelli. D’accordo, ma perché in noi ci fu, ad esempio, adesione a certi modelli mentre in altre persone a noi vicine prevalse la reazione?
Possiamo provare a capire la questione mettendo in relazione i vari eventi che ci hanno portati a essere quelli che siamo. Ma la relazione tra un momento e l’altro di un evento, di un fenomeno, è una relazione di pensiero. Tuttavia a noi questa relazione, di regola, sfugge perché non siamo coscienti di come opera il pensiero nel mettere in relazione.
Pensate che non sia importante capirlo?
Se approfondiamo questa indagine ci accorgiamo che spesso quelle sono state scelte karmiche, scelte che coinvolgono tutta la nostra vita, ma che nulla hanno a che fare né con una verità oggettiva né con l’essenza del nostro Io.
Intendo dire che la maggior parte delle scelte della nostra vita sono state determinate da un pensiero non consapevole dello scenario generale della nostra esistenza, dunque, da un pensiero dimezzato. Non solo: spesso anche le nostre convinzioni più profonde non sono nostre, ma, diciamo così, prese a prestito dal mondo circostante.
PENSIERO VIVENTE
Siamo attori o comparse nella stessa nostra vita, interiore ed esteriore? È evidente che dalla risposta a questa domanda scaturisce poi ogni decisione, giudizio, azione – o non-azione – della nostra vita.
Come si diceva, sembrerebbe necessario imparare a pensare.
Cosa significa?
Il pensare a cui mi riferisco non è quello che si esprime nella forma del sapere o del giudizio, dell’opinione o dello stato d’animo, ma è l’attività di pensiero tramite il quale queste forme sorgono nella nostra coscienza.
“Il vero pensiero non è il pensiero già caduto nella forma come forma di una cosa o di uno stato d’animo o di un giudizio, o di un sapere – che può anche essere sapere spiritualistico – ma il pensare grazie a cui questa forma sorge, onde l’oggetto si dà come pensiero, perché si crede di vedere l’oggetto”. Massimo Scaligero (Trattato del Pensiero Vivente)
Ciò che è alla base di ogni nostra attività conoscitiva prima di articolarsi in pensati lo chiamiamopensiero vivente.
Con i pensieri in realtà noi crediamo di vedere l’oggetto del nostro pensare – l’oggetto esteriore, l’evento – ma non ci avvediamo di essere di fronte a dei pensati. Crediamo che siano degli oggetti ma sono solo pensieri, pensati. I pensati hanno perso ogni possibilità di essere strumento di conoscenza della totalità del mondo, servono solo a indagare il misurabile. Sono pensati, appunto, già definiti, rigidi, morti.
Ricordate il mito platonico della caverna?
Alcuni prigionieri sono legati sul fondo di una caverna dove hanno sempre vissuto senza potersi girare. Fuori dalla caverna c’è un muro ad altezza uomo dietro al quale camminano persone che portano sulla testa statuette raffiguranti degli oggetti; persone che parlano e il loro eco rimbomba nella caverna. Dietro queste persone vi è un fuoco che proietta le immagini degli oggetti sulla parete della grotta davanti agli uomini legati. Non avendo mai visto nient’altro della realtà, i prigionieri, osservando le ombre, pensano che questa sia la realtà. Uno di loro, però, si libera e si volta; vede allora le statuette e si accorge che sono più reali delle ombre; poi esce dalla grotta, oltrepassa il muro e inizialmente è accecato dalla luce del sole. Poi si guarda intorno e vede il mondo, la natura, e nota che tutto è più vero degli oggetti che sono proiettati. Dopo essersi chiesto da dove provenga la luce, si accorge che è il sole a dare significato a tutto.
Il sole è il pensiero vivente, mentre le ombre sul fondo della caverna sono i pensati con cui abbiamo quotidianamente a che fare. Non sapere cosa proietti le ombre sul fondo della caverna non ci permette di conoscere la vera realtà e ci fa vivere in un mondo spesso incomprensibile, ma non solo. Ignorare la presenza del sole ha anche un’altra conseguenza; se non sappiamo cosa proietti la luce (pensiero vivente) che disegna le ombre sul fondo della grotta (pensati) non siamo liberi nelle nostre scelte.
LIBERTÀ
Se non sappiamo cosa siano realmente quegli oggetti che si muovono nella nostra coscienza (le statuette sulla testa delle persone, di cui vediamo solo le ombre) e di cui ignoriamo il modo con cui le conosciamo (il pensiero vivente) non possiamo formulare giudizi certi né tantomeno azioni coscienti. Se mi sono perso nel bosco di notte ed ho due sentieri davanti a me ma non so dove portino, la mia scelta non potrà certo essere libera. Magari uno porta verso l’uscita dal bosco e l’altro verso un dirupo; se non so quale sia quello giusto scelgo a caso o, meglio, scelgo seguendo il mio istinto. Ma l’istinto non è cosciente per definizione, anzi è proprio l’espressione dell’azione del karma che opera nel sonno della mia coscienza.
Se seguo l’istinto sono nell’elemento della non-libertà.
Per conoscere dove portino i due sentieri – o cosa sia a proiettare le ombre sul fondo della caverna – devo essere prima di tutto padrone della mia attività conoscitiva. La padronanza stessa implica attività conoscitiva, vale a dire azione. Azione interiore. Qualcosa di attivo che presuppone esperienza interiore e non solo adesione – più o meno consapevole – a pensati miei o di altri.
TRADIZIONE E INIZIAZIONE
Ecco che ora possiamo tracciare la differenza sostanziale tra Tradizione e Iniziazione. La Tradizione, per quanto nobile ed elevata possa essere - una visione spirituale, una religione, una rivelazione - è pur sempre costituita da pensati, diviene dogma, conformità, invece che vita interiore.
L’Iniziazione, invece, evoca il concetto di azione, esperienza, attività pensante. Dunque una Via attivaverso la conoscenza, che passa attraverso uno sviluppo dell’attività pensante, mediante meditazione, concentrazione, ed altri appositi esercizi per sviluppare pensare, sentire e volere. Ricordate l’analogia:Smartphone/lingua greca/pensiero?
VIA DEL PENSIERO VIVENTE
Il pensiero vivente, (il Sole nell’esempio platonico) la forza predialettica può o proiettarsi nei pensati (ombre sul fondo della caverna) - come avviene ordinariamente nella nostra vita – oppure, se realizza la propria indipendenza da qualsiasi tema o oggetto (oggetti che proiettano le ombre) può divenire autentica forza conoscitiva di se stessi e del mondo: pensiero puro.
Il pensiero puro realizza la sua indipendenza da qualsiasi pensato e diviene strumento principe di conoscenza di sé e del mondo. E l’attività pensante è l’unica attività che, grazie alla contemplazione, può conoscere se stessa.
Una via di conoscenza che, nella prosecuzione dell’opera di Rudolf Steiner è stata consegnata a noi da Massimo Scaligero. Parliamo di conoscenza attiva, esperienza reale, non conoscenza di pensati. Se sono solo pensati oltre a non consentirci la libertà, non ci permettono neppure la moralità.
Il compito appare dunque quello – una volta sperimentata la realtà e verità dei nostri pensieri – diimmetterne i conseguimenti che abbiamo realizzato – la trasformazione di noi stessi – nel mondo esteriore, nel cosiddetto mondo reale.
E se abbiamo lavorato bene sulla Via del pensiero puro, elaborando il nostro strumento conoscitivo, e abbiamo imparato a far agire il nostro volere (le scelte, le decisioni, le azioni) in accordo con tale strumento, noi sostituiremo alla percezione esteriore una percezione interiore e la nostra azione non potrà che essere morale.
Io vedo un portafogli per terra (percezione esteriore). Posso o mettermelo in tasca o sostituire a quella percezione quella (interiore) che mi porta a consegnarlo a chi possa ritrovarne il proprietario.
Questa sostituzione della percezione è l’atto morale.
“Un passo avanti nella conoscenza e tre nella moralità”
Rudolf Steiner (Iniziazione)
FANTASIA MORALE
Ma la moralità può essere libera o imposta. Se seguo una morale imposta non sono libero.
Il concetto di fantasia morale implica l’indipendenza della mia scelta da leggi, religioni, consuetudini etc. e la consapevolezza delle mie scelte morali e dunque delle mie azioni. Se correttamente attuata, porta a identità di spiritualità e vita.
In una parola coerenza.
E torniamo alla citazione d’inizio per avviarci verso la conclusione di queste note.
“L'ora presente è grave: non è un’espressione retorica, questa. Chi conosce come realmente stiano le cose, sa che quei pochi che hanno una qualunque responsabilità interiore, non dovrebbero ormai perdere più un minuto di tempo, non dovrebbero più rimandare di un attimo la loro decisione per quei superamenti che in segreto essi veramente conoscono di quale natura debbano essere. Si è alla vigilia di eventi che possono essere gravemente distruttivi per l'uomo o preludere a una rinascita nel segno dello Spirito”.
Ora, in questo momento che può essere “gravemente distruttivo per l'uomo o preludere a una rinascita nel segno dello Spirito” la fantasia morale dei singoli, di ciascuno di noi, ha bisogno di svilupparsi e dicollegarsi a quella dell’altro.
L’altro, che, se lavora nella stessa mia direzione – anche se può avere opinioni diverse, se pensa in modo diverso da me – non è qualcuno da criticare ma da capire.
“Come mai l’altro ha un’opinione diversa dalla mia? Ma perché siamo uomini, perché l’altro è la gamba sinistra ed io sono la destra. Ora capisco. Lui non è costretto da qualcosa, la vede semplicemente diversamente, ma è la stessa cosa”. (Judith von Halle)
L’altro, le sue opinioni, le sue capacità, sono per me un arricchimento.
Perché? Perché egli mi offre l’occasione di capire quali siano le sue caratteristiche, le modalità del suo pensare/sentire/volere, mi dà la possibilità di accedere a pensieri, considerazioni, giudizi cui io – per la mia specifica natura – non saprei arrivare.
L’albero che vedo da una peculiare prospettiva – la mia – non è l’intero albero. Ho bisogno della tua prospettiva, della sua e di quella di chi ci sta sotto, di chi ci sale sopra etc. Solo allora potrò avere l’intera visione dell’albero.
Ecco che diventa un preciso dovere dei ricercatori genuini della conoscenza e dei pionieri di un mondo etico – come vorremmo definirci oggi – quello di collegarci, scambiare opinioni, ascoltare gli altri e agire insieme agli altri.
Quest’azione, se nasce dalla fantasia morale, ha un aspetto molto particolare; non venendo motivata da interessi personali, egoismi o dal comune denominatore dell’appartenenza a un partito, a una religione etc, può condurre ad una autentica fondazione di comunità.
http://coscienzeinrete.net/spiritualita/item/930-in-pensiero-per-la-crisi-o-pensiero-in-crisi
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