"THE END"

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lunedì 26 settembre 2011

E' una bufala o devo scappare in Spagna per scrivere?


Rete di sicurezza  Due disegni di legge per sconnettere chi viola il copyright
Pubblicato il19 settembre 2011 http://infosannio.wordpress.com/

I media e la democrazia, vedete a chi siamo paragonati? Eterni ultimi!

Potrebbe bastare presto una semplice segnalazione, anche da parte di un comune cittadino, per essere tagliato fuori dalla Rete. O per vedere rimossi tutti i propri contenuti. Senza passare per un giudice o un’autorità amministrativa. Basta che vengano allertati gliinternet service provider (Isp), cioè i fornitori di accesso al web. Che saranno impegnati a predisporre filtri preventivi alle ricerche degli utenti, controllando senza sosta eventuali violazioni del diritto d’autore, per scongiurare il rischio di responsabilità civili e penali.
È ciò che sarebbe della Rete italiana se i disegni di legge – del tutto identici – presentati dal deputato leghista Gianni Fava il 12 luglio (C. 4511) e da 19 deputati del Popolo della libertà (Pdl), prima firmataria Elena Centemero, il 26 dello stesso mese (C. 4549) diventassero realtà.
Non sono poi cambiate molto le cose. Si forse in peggio, la chemioterapia per esempio fa più morti dei campi nazisti...

Una segnalazione per essere fuori dal web
Le iniziative, attualmente assegnate alla commissione Attività produttive della Camera e destinate a confluire in un’unica proposta, consistono di due soli articoli, ma molto densi.
Il proposito è riformare la «responsabilità» e gli «obblighi dei prestatori di servizi della società dell’informazione» così combattere meglio le «violazioni dei diritti di proprietà industriale operate mediante la rete internet». Ma la cura è pesante. Nell’articolo 1, infatti, si legge che i provider, per non essere ritenuti responsabili delle trasgressioni commesse dai propri utenti, debbano «rimuovere le informazioni» illecite o «disabilitarne l’accesso» non appena ne siano conoscenza.
E, sorprendentemente, a fare fede non è solo la «comunicazione delle autorità competenti» ma anche quella «di qualunque soggetto interessato».
CITTADINI GIUSTIZIERI DELLA RETE. Secondo Fulvio Sarzana, avvocato ed esperto di diritto informatico, ciò significa dare la possibilità «a qualunque cittadino delatore di farsi giustizia da sé, imponendo al provider di cancellare il contenuto ritenuto illecito ma anche di togliere l’accesso a chi abbia violato il copyright».
Una previsione della direttiva comunitaria non recepita dall’ordinamento italiano e non recepibile per l’architettura stessa del nostro diritto costituzionale, come ha spiegato Sarzana.
FILTRI PREVENTIVI AI CONTENUTI. Ma c’è di più. Secondo l’articolo 2 del provvedimento, infatti, i provider devono apporre dei filtri preventivi ai contenuti per identificare parole chiave e sospendere il servizio a chi si rende responsabile delle violazioni.
Peggio della legge francese Hadopi
Ma quali sarebbero le conseguenze? «Visto che il destinatario del servizio, come è scritto nella legge, può essere sia chi immette i siti, sia chi pubblica i file ma anche il cittadino che ha accesso a questo materiale», ha detto Sarzana a Lettera43.it, «anche chi scarica musica potrebbe veder sospeso dai provider il suo accesso a internet». Senza contare il riflesso negativo sulla libera espressione sul web, con blog a rischio chiusura nel caso in cui dovesse giungere agli Isp segnalazione (magari da parte di un blogger rivale o di un cittadino di opposte vedute politiche) della presenza di un video o una foto caricata in violazione del diritto d’autore.
OLTRE LA DELIBERA AGCOM. Qualcosa di simile è previsto dalla famigerata legge Hadopi, in Francia. Ma ci vogliono tre avvertimenti e il tutto avviene sotto l’occhio di un’autorità competente. In questo caso, invece, basterebbe un avvertimento e il solo giudizio dei provider. Che, travolti dalle segnalazioni, finirebbero per ottemperare a qualunque richiesta pur di evitare di finire nei guai. Perfino peggio della contestatissima delibera Agcom in materia, che almeno poneva un procedimento di verifica, per quanto sommario, in capo all’authority.
Ma a gennaio potrebbe essere realtà
Possibile che un simile disegno di legge veda la luce? I commentatori sono divisi. Il senatore del Partito democratico (Pd) Vincenzo Vita, vicepresidente della commissione Cultura, è scettico. «È politicamente insignificante», ha attaccato, «e credo che il suo iter parlamentare non avrà nemmeno inizio». Nessun rischio, dunque: il disegno di legge «non andrà da nessuna parte, del resto non ha nemmeno la condivisione del Pdl stesso», ha affermato Vita. A ogni modo, il senatore ha invitato a «vigilare, perché non si sa mai».
IN CONTRASTO CON LE NORME UE. Voci di corridoio raccolte dall’ufficio del deputato leghista Fava, al contrario, sostengono che la volontà di portare a compimento il disegno di legge (ddl) è talmente forte che il progetto di legge dovrebbe rientrare, sotto forma di emendamento, nella prossima legge comunitaria. In altre parole, a gennaio 2012 potrebbe essere già approvato. Anche se, ha sottolineato l’avvocato e presidente dell’Istituto per le politiche dell’innovazione Guido Scorza, «a me sembra un’assurdità: stiamo parlando di una disciplina che va contro la direttiva comunitaria sull’e-commerce, e una legge comunitaria non  può portare in Italia una norma anti-Ue».
DUBBI SULLA COSTITUZIONALITÀ. Secondo Sarzana, si tratta di un progetto di legge «liberticida e incostituzionale». Scorza invece non si è sbilanciato su questo profilo. Ma ha abbozzato il possibile piano del governo: «L’obiettivo vero di medio periodo è quello di far apparire normale tutto quello che sta accadendo intorno a questo ddl: la condanna di Yahoo, quella di Google, il nuovo regolamento Agcom», contestato guarda caso proprio pochi giorni prima della proposta di Fava, «secondo la quale in fondo l’intermediario in qualche modo è responsabile». Insomma, un preciso disegno politico. L’ennesimo contrario allo sviluppo della Rete e, semmai, perfettamente aderente agli interessi dell’industria dell’intrattenimento. Di cui le fonti interpellate da Lettera43.it non faticano a scorgere lo zampino. (di Fabio Chiusi)




Intercettazioni: Come ti ammazzo il blog

Ritorna il contestatissimo disegno di legge sulle intercettazioni. Il governo ha fretta, e sta pensando di stringere i tempi per l’approvazione ponendo la questione di fiducia su quella che, secondo le opposizioni e non solo, è una vera e propria “legge bavaglio”. Se così fosse, non sarebbe possibile modificarne il testo.
E dunque nemmeno il comma 29 dell’articolo 1. Una norma che estende la disciplina della stampa a tutti i «siti informatici». E che prevede, in particolare, l’estensione dell’obbligo di rettifica anche a blog e siti amatoriali.
RITORNA IL COMMA “AMMAZZA-BLOG”. Il comma, rinominato “ammazza-blog” o “ammazza-Rete”, ha fatto insorgere esperti di diritto informatico, attivisti, blogger e società civile già la scorsa estate. Quando l’esecutivo sembrava determinato, proprio come in questi giorni, a chiudere una volta per tutte l’annosa questione dell’abuso delle intercettazioni imponendo sanzioni severissime alla stampa.


Rettifica entro 48 ore o fino a 12 mila euro di multa
Ma la legge punisce anche i semplici appassionati. Se il famigerato comma 29 dovesse diventare legge nella sua attuale stesura, infatti, un blogger o chiunque faccia informazione «non professionale» avrebbe 48 ore di tempo per procedere a una rettifica di quanto scritto, a prescindere dalla fondatezza della richiesta ricevuta, pena una sanzione fino a 12 mila euro. Un week-end al mare, oppure più semplicemente due giorni senza controllare la posta elettronica, potrebbe bastare dunque per finire nei guai. La rettifica inoltre, si legge nel testo inspiegabilmente accorpato a quello sulle intercettazioni, dovrebbe essere data rispettando precisi criteri grafici, di posizionamento, visibilità e di metodologia di accesso.
«UN CLIMA DI INTIMIDAZIONE». «Per sottrarre il premier alla giustizia la rete questa volta rischia la censura», ha commentato l’avvocato e presidente dell’Istituto per le politiche dell’innovazione Guido Scorza, tra gli oppositori della prima ora del provvedimento. E non meno critico è Juan Carlos De Martin, fellow del Berkman center for internet & society di Harvard e fondatore del centro Nexa del Politecnico di Torino: «Si vuole creare un clima di paura, di intimidazione, perché indurrebbe delle forme di autocensura. Per il timore di non poter correggere il sito entro 48 ore, tra l’altro per un singolo e non per una struttura, vincerebbe una forma di autocensura feroce. Tanto più se ci sono 12 mila euro in ballo». Anche per enti pubblici e aziende: «Il rischio è un “effetto gelata” per neutralizzare la capacità della Rete di dare la parola a tutti».
Anche il Pdl vuole cambiare la norma
Durante l’estate del 2010 le proteste contro la “legge bavaglio” portarono la maggioranza a più miti consigli. Ma non certo per la mobilitazione, che pure ci fu, contro il comma “ammazza-Rete”. Allora, infatti, le voci critiche fuori e dentro il Pdl, su tutte quelle dei finiani (che erano ancora nella maggioranza) e dei deputati pidiellini Antonio Palmieri e Roberto Cassinelli, non bastarono a convincere il governo della necessità di modificare il dettato dell’articolo potenzialmente lesivo della libera espressione in Rete.
Così che gli emendamenti, sia quelli soppressivi dell’opposizione che quelli migliorativi del Pdl, furono giudicati «inammissibili» da Giulia Bongiorno e accantonati.
«MODIFICARE UN TESTO DANNOSO». Ora che la maggioranza è tornata alla carica, Cassinelli, interpellato da Lettera43.it, ha annunciato di avere intenzione di ripresentare le sue proposte per cambiare il comma “ammazza-Rete”. Ma pur riconoscendo la «necessità, incontestabile, di modificare un testo potenzialmente dannoso», di stralcio della norma non vuol sentire parlare. E questo per due ragioni: «La prima è che non passerebbe, lasciando quindi il comma 29 così com’è; la seconda è che», pur con i distinguo del caso, ha proseguito Cassinelli, «credo che il diritto di rettifica vada rispettato, visto che per quanto amatoriale sia ogni contenuto pubblicato su internet può minare la reputazione di un libero cittadino». Insomma, come ha scritto sul suo sito, per Casinelli «oggi è bene cercare convergenze piuttosto che urlare a un’inesistente censura di Stato».
Ma i blogger berlusconiani non ci stanno
Eppure a criticare la proposta di legge non sono soltanto le opposizioni, ma anche alcuni dei principali blogger di area berlusconiana. Come Diego Destro, di Daw-blog.com. Che aLettera43.it ha espresso un giudizio molto severo sul comma “ammazza-blog”, pur esordendo con una battuta: «Avremo tutti bisogno di una grande assicurazione. Scherzi a parte, la cosa è molto grave: non è possibile che un blog sia trattato come il sito del Corriere e di Repubblica».
«MA SI RENDONO CONTO DI QUELLO CHE FANNO?». E non è certo la prima volta che il centrodestra si presta a progetti liberticidi. Basti pensare al disegno di legge, presentato soltanto a luglio scorso, che con la scusa della tutela del diritto d’autore se approvato renderebbe possibileinibire l’accesso a Internet senza passare per l’autorità giudiziaria.
Per Destro c’è una questione di fondo da sottoporre agli esponenti della maggioranza: «La domanda che mi faccio è se si rendano conto di quello che stanno facendo. Se sia intenzionale o meno. Forse sì… Il mio giudizio è comunque molto negativo». Senza contare, ha concluso Destro, che «gli strumenti» per punire eventuali illeciti online «già ci sono».
«NESSUNO CONSULTA LA RETE». «Da blogger ero contrario prima e sono contrario anche adesso», concorda Simone Bressan, di The Right Nation. «Spero cambino il testo con un minimo di buonsenso», aggiunge, «ma mi lascia sconcertato come il centrodestra riesca sempre in un modo o nell’altro a rendersi ostile la rete anche nelle espressioni che gli sarebbero più vicine. Anche uno come me, di centrodestra, si trova obbligato a mettersi contro quando vede cose come questa».
Bressan sottolinea poi l’ennesima occasione sprecata: «Mai una volta che il Pdl chiamasse i tanti blogger di centrodestra e li consultasse anche solo dieci minuti per capire se una cosa del genere può stare in piedi o no». Eppure, ha concluso, «quando si legifera di industria sente Confindustria, quando di artigianato Confartigianato. Per la Rete, invece, ciò non succede».
Civati: «Siamo all’italiacidio»
Nel frattempo, l’opposizione chiama il web alla mobilitazione. Antonio Di Pietro, dalla sua pagina Facebook, ha annunciato che «noi dell’Idv non staremo con le mani in mano» di fronte al tentativo di «mettere il bavaglio al web» con una misura, ha poi rincarato, di stampo fascista. E Pippo Civati, consigliere regionale e membro della direzione nazionale del Pd, ha rivelato che il suo partito sta ragionando sulle forme di protesta da utilizzare, «perché c’è lo sconcerto che in questo Paese si debba discutere dei blog, pur nella gravità della cosa, con la crisi che c’è. Stiamo arrivando all’italiacidio». «Un intervento contro la libertà di stampa e di espressione in questo momento è significativo», ha aggiunto Civati. «Del resto la crisi “è colpa dei media”, dice Berlusconi: evidentemente deve aver pensato di cominciare dai blog».
VALIGIA BLU: «DISOBBEDIENZA CIVILE». Anche gli attivisti digitali stanno affilando le armi. Come Agorà Digitale, per esempio, e Valigia Blu. Che ha già dichiarato la sua adesione alla manifestazione di giovedì 29 settembre a Roma contro «la legge bavaglio ai media e ai blog, che per noi», ha spiegato Arianna Ciccone, l’animatrice del collettivo, «sono due cose unite».
E se il governo, fiducia o meno, riuscisse a tramutare il progetto in legge? «Allora faremo disobbedienza civile», ha risposto, «e questo significa prendersi anche le conseguenze di non obbedire alla legge, in modo pubblico, trasparente, esplicito, senza anonimati e cose del genere». Il pericolo è concreto, ha aggiunto, perché «siamo di fronte a un muro di gomma». Mentre «in altri Paesi forme di protesta come petizioni e richieste di dialogo con le istituzioni vengono prese in considerazione come cose normalissime, qui», ha concluso Ciccone, «non solo non vengono viste come cose normali, ma addirittura non sono considerate».  (di Fabio Chiusi)

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