[continua dalla 1a parte]
Intervistato il 19 marzo del ‘92 da Augusto Minzolini per "La Stampa", “lo squalo” ebbe modo di argomentare la sua tesi riguardo al progetto di destabilizzazione e ai suoi presunti mandanti.
[Minzolini:] On. Sbardella ci crede davvero a questa storia del piano di destabilizzazione?
[Sbardella:]Qui dovrebbero finirla di essere tutti ciechi. Bisogna partire da un fatto: in Italia non c'è, non esiste, per ora, un'alternativa alla Dc. Eppure c'è un attacco concentrico a questo partito che ha come risultato la frantumazione della geografia politica di questo paese in tanti piccoli partitini, o, peggio, una sempre maggiore astensione dal voto. Così si creano le condizioni peggiori per governare e quando non si governa qualcuno può sostituirsi ai partiti e tentare la svolta autoritaria. Chi potrebbe volerla? Ad esempio chi non vuole l'Europa: gli americani insieme ad alcuni gruppi industriali, che non si sentono preparati a questo passo. Ecco a cosa serve la destabilizzazione.
[Minzolini:]Dice che dietro alla destabilizzazione ci sono gli Usa e alcuni gruppi economici?
[Sbardella:]Gli americani non nascondono questa loro ostilità verso l'unità europea, specie dopo la fine del comunismo. Del resto quel documento del Pentagono che vuole impedire la nascita di una nuova superpotenza che faccia ombra agli Usa, mi pare abbastanza eloquente.
Sbardella si riferisce al "Defense Planning Guidance": un progetto del Pentagono reso noto dal "New York Times" l’8 marzo del 1992. Il testo, scritto principalmente da due dei massimi esponenti del mondo neoconservatore americano, ...
... ovvero Paul Wolfowitz e Lewis Libby (stretto collaboratore di Dick Cheney), sosteneva che il primo obiettivo della politica estera statunitense doveva essere quello di prevenire il riemergere di un nuovo rivale, impedendo a qualunque potenza straniera di dominare una regione le cui risorse sarebbero state sufficienti a generare un potere di portata globale.
Lo stesso Andreotti dalle pagine del "Corriere della Sera" si lascerà andare a qualche insolito commento: "Ora che non temono più il comunismo pensano di poterci mettere all'angolo".
“Complottismo”? Manco per sogno.
Sbardella, tanto per fare un esempio, 48 e 24 ore prima della strage di Capaci, da una testata giornalistica in odore di Servizi, aveva scritto i due seguenti articoli. Dall'articolo "Impasse nell'elezione del presidente della Repubblica: metodo Forlani o metodo De Mita?": "C'è da temere, a questo punto, che qualcuno rispolveri la tentazione tipicamente nazionale al colpo grosso. Le strategie della tensione costituiscono in questo Paese una metodologia d'uso corrente in certe congiunture di blocco politico. Quando venne meno "la solidarietà nazionale" e il sistema apparve anche allora bloccato, ci ritrovammo davanti il rapimento di Moro e la strage della sua scorta. Non vorremmo che ci riprovassero: non certo per farci trovare un Andreotti a gestire ancora l’immobilismo del sistema (visto che i tempi sono mutati e Andreotti è politicamente deceduto) ma magari uno Spadolini o uno Scalfaro quirinalizzati."
"Forlani dimissionario. Il burattinaio non è iscritto alla Dc": "Avremo dunque la candidatura obbligata e vincente di Giovanni Spadolini? Manca ancora, perché passi in modo indolore questa candidatura del "partito trasversale", qualcosa di drammaticamente straordinario. I partiti cioè, senza una strategia della tensione che piazzi un bel botto esterno - come ai tempi di Moro - a giustificazione di un voto d'emergenza, non potrebbero accettare d'autodelegittimarsi. Per fortuna, le Brigate rosse e nere oggi sono roba da museo. E, comunque, i poteri dello Stato hanno accumulato esperienza e professionalità."
Sempre da questa testata giornalistica, legata secondo alcuni articoli di stampa del ’93 al Sisde, venne pubblicato il 19 marzo (lo stesso giorno dell’intervista di Sbardella a Minzolini) un articolo intitolato “Un'Ira per Lima? Sicilia come Singapore del Mediterraneo”. Secondo l’anonimo articolo l’omicidio dell’europarlamentare andreottiano farebbe parte di un piano diretto: a) ad attaccare i centri nevralgici di mediazione del sistema dei partiti popolari; b) a determinare il collasso del vecchio sistema e a regionalizzare il voto all'interno di un progetto federalista che consegnerebbe il Nord e il Sud dell'Italia a forze interessate a spartirsi il Paese; c) a fare della Sicilia la "Singapore del Mediterraneo", paradiso fiscale e crocevia di tutti i traffici e impieghi produttivi illeciti e leciti.
Il Sisde, il cosiddetto servizio segreto “civile”, operava alle dirette dipendenze del Ministero dell'Interno.
Lo stesso Sisde che già il 5 febbraio del ‘92, ancora prima delle rivelazioni del “premonitore” Ciolini, aveva inviato la seguente nota al gabinetto del ministro degli Interni: Non è da sottovalutare la possibilità che frange eversive stipulino con la criminalità organizzata accordi di collaborazione ai fini operativi per la destabilizzazione del paese”.
Lo stesso Sisde che il 23 maggio di quello stesso anno, con un volo segreto e non registrato, porterà con un jet Giovanni Falcone e sua moglie Francesca Morvillo ad incontrare il loro tragico destino.
Perfino sul teatro della strage vengono rinvenuti alcuni indizi che ci riportano direttamente al Sisde: spunta infatti, tre giorni dopo la strage, un criptico bigliettino dove c’è appuntato il numero di cellulare dell’allora vice capo centro della struttura informativa di Palermo, Lorenzo Narracci.
Narracci è il braccio destro di Bruno Contrada, al tempo delle stragi numero tre del servizio con delega all’antimafia. Contrada verrà condannato nel maggio del 2007 dalla Corte di Cassazione a dieci anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.
Sempre Contrada, a detta della sua stessa agenda, nel periodo immediatamente precedente alla strage di Capaci si era tenuto in stretto contatto con il generale dei Carabinieri Subranni (diretto superiore dell’allora colonnello Mario Mori) e con il deputato della sinistra DC Calogero Mannino.
Subranni, Mori e Mannino sono stati tutti rinviati a giudizio nel processo relativo alla cosiddetta “trattativa” fra Stato e mafia: una trattativa portata avanti dal Ros dei Carabinieri con Cosa Nostra tramite gli ufficiali Mori e De Donno e l’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Calogero Ciancimino (presunto agente di Gladio in Sicilia).
Una trattativa che a detta del boss di San Giuseppe Jato Giovanni Brusca (l’uomo che aziono l’ordigno di Capaci), sarà la principale causa di morte di Paolo Borsellino.
Secondo Bursca infatti, “Paolo Borsellino muore per la trattativa che era stata avviata fra i boss corleonesi e pezzi delle istituzioni. Il magistrato, dopo la strage di Capaci, ne era venuto a conoscenza e qualcuno gli aveva detto di starsene in silenzio, ma lui si era rifiutato.
A Borsellino era stato proposto di non opporsi alla revisione del maxiprocesso e di chiudere un occhio su altre vicende. Il suo rifiuto ha portato venti giorni dopo a progettare ed eseguire l'attentato in via D'Amelio”(7).
Ma andiamo con ordine. Secondo le indagini del gip Morosini, il “padrino” di questa sciagurata trattativa sarebbe proprio Calogero Mannino. Mannino, il mese stesso della conferma in Cassazione della sentenza che ha condannato in via definitiva i vertici di Cosa Nostra (febbraio ’92), confiderà al maresciallo dei Carabinieri Guazzelli che “o ammazzano me, o ammazzano Lima”.
Assolto nel 2010 dalla corte di Cassazione dopo diciassette anni di processi per concorso esterno in associazione mafiosa, Mannino, vicino a realtà emblematiche come quella del Centro Scontrino di Trapani (punto d’incontro tra mafia e massoneria), fino al 28 giugno del 1992 (a 21 giorni di distanza dalla strage di via D’Amelio) era a capo del Ministero per gli Interventi straordinari nel Mezzogiorno.
Un dato insignificante se Mannino non fosse ritenuto l’ispiratore della trattativa o semplicemente non avesse intrattenuto rapporti con Bruno Contrada, in quanto (udite udite) il famigerato Cerisdi situato all’interno del magnifico Castello Utveggio che domina Palermo dal Monte Pellegrino, luogo in cui una cellula del Sisde ha dato il suo appoggio logistico all’infame strage di via D’Amelio, ricadeva proprio sotto l’egida del dicastero presieduto fino a qualche giorno prima dal deputato DC.
Il commando che ha operato in via Mariano D’Amelio (identificato solo in parte), è quello dei boss di Brancaccio Giuseppe e Fillippo Graviano. Quei Graviano che si ritrovano anche nelle motivazioni della condanna in primo grado a Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa: "Nell’ambito degli accertati rapporti e contatti, diretti o mediati da terze persone, tra Marcello Dell’Utri ed esponenti di primo piano di alcune potenti “famiglie” mafiose palermitane, un posto particolare meritano i fratelli Graviano Giuseppe e Graviano Filippo, responsabili della consorteria mafiosa operante in Brancaccio, quartiere alla periferia di Palermo."
Quei Graviano che quando furono arrestati, nel gennaio del ’94, non facevano i latitanti nel loro “mandamento” (che era una sorte di roccaforte inespugnabile), ma a Milano, ad un tiro di schioppo da Villa Certosa.
Via D’Amelio quindi, si può tranquillamente definire un vero e proprio punto d’incontro tra prima e seconda Repubblica, in quanto, mentre “qualcuno” barattava la vita di altri per salvare la propria (vedi Mannino), e mentre “qualcuno” s’impadroniva dell’agenda rossa di Paolo Borsellino (al cui interno c’era la prova scritta della trattativa) per garantisti una vera e propria assicurazione sulla vita a livello istituzionale, si poteva già cominciare a scorgere il “nuovo” che avanza.
Quel “nuovo” è Forza Italia.
Il progetto che porterà alla nascita del partito-azienda di Berlusconi (la cosiddetta “Operazione Botticelli”) secondo la preziosa testimonianza dell’ex democristiano Ezio Cartotto, che a quel progetto ci ha lavorato, comincia a svilupparsi clandestinamente all’interno della Fininvest per volere di Marcello Dell’Utri proprio nel periodo tra la strage di Capaci e l’inizio della trattativa portata avanti dal Ros con Ciancimino.
Ennesima curiosità: i fratelli di Silvio Berlusconi e Mario Mori, Alberto Mori e Paolo Berlusconi, proprio in Sicilia, e proprio ad inizio anni ’90, erano soci nella ditta Co.Ge, una ditta sospettata dalla Direzione investigativa antimafia di aver fatto parte del cosiddetto “tavolino degli appalti”: “tavolino” che garantisce i legami con la grande imprenditoria per la realizzazione dei lavori, il controllo su di essi di Cosa nostra, il recupero delle somme da corrispondere all’organizzazione e ai politici che assicuravano gli appalti.
Gli imprenditori con i quali la Co.Ge. di Paolo Berlusconi e Alberto Mori tratta sono Filippo Salamone e Giovanni Bini: ambedue condannati in via definitiva nel maggio del 2008 per concorso in associazione mafiosa.
Lo stesso discorso vale per Vito Ciancimino, anche lui legato economicamente al Cavaliere da alcuni assegni databili tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80, consegnati dalla moglie dell’ex sindaco mafioso di Palermo ai pm Guido e Di Matteo nel luglio del 2010.
Ma torniamo a Cartotto. Racconta l’ex DC in una deposizione resa al pm di Palermo Domenico Gozzo: “Nel maggio-giugno 1992 sono stato contattato da Marcello Dell'Utri perché lo stesso voleva coinvolgermi in un progetto da lui caldeggiato. In particolare Dell'Utri sosteneva la necessità che, di fronte al crollo degli ordinari referenti politici del gruppo Fininvest, il gruppo stesso "entrasse in politica" per evitare che un'affermazione delle sinistre potesse portare prima a un ostracismo e poi a gravi difficoltà per il gruppo Berlusconi. Immediatamente Dell'Utri mi fece presente che questo suo progetto incontrava molte difficoltà nello stesso gruppo Berlusconi e, utilizzando una metafora, mi disse che dovevamo operare come sotto il servizio militare e cioè preparare i piani, chiuderli in un cassetto e tirarli fuori in caso di necessità, eseguendo in tale ultimo caso ciascuno la propria parte”.
Scrive il giornalista Maurizio Torrealta nel suo saggio “La Trattativa”: “Il ruolo di cui veniva investito Cartotto era quello di tenere delle conferenze politiche ai dirigenti e ai funzionari della Fininvest e di seguire la crescita delle centinaia di persone coinvolte nel caso in cui qualcuna avesse avuto intenzione di cambiare lavoro e di impegnarsi nell'avventura di una nuova forza politica. [...]. Gli incontri sarebbero iniziati fin dalla tarda primavera del 1992; poi, nel settembre di quell'anno ci fu una cena alla convention di Publitalia [concessionaria di pubblicità delle reti televisive del gruppo Fininvest], a Montecarlo. In quell'occasione Silvio Berlusconi e Ezio Cartotto discussero della situazione politica e di come sviluppare quell'attività, fino ad allora condotta da Cartotto come soggetto esterno all'azienda, affinché restasse per il momento riservata. L'incontro finale e decisivo per l'entrata in politica si tenne, infatti, il 4 aprile 1993, e vi partecipò anche Bettino Craxi”.
Inizia così la scalata al potere del piduista Berlusconi. Una scalata forzata dai suoi legami economici con Cosa Nostra, dal crollo dei referenti politici tradizionali (come ha spiegato precedentemente Cartotto) e dai debiti colossali della Fininvest.
Uno scenario che si può semplificare nella famosa frase del suo amico Fedele Confalonieri: “La verità è che se [Silvio Berlusconi] non fosse entrato in politica, se non avesse fondato Forza Italia, noi oggi saremmo sotto un ponte o in galera con l'accusa di mafia”(8).
Stando a Tullio Cannella, imprenditore vicino al boss Leoluca Bagarella (cognato di Riina): “L'appoggio a Forza Italia non determina l'abbandono della strategia separatista che continua ad essere coltivata perché questa strategia costituiva il punto di arrivo e la soluzione finale dei problemi di Cosa Nostra e dei suoi alleati esterni. [...] Quando nell'ottobre 1993, su incarico di Bagarella, costituii a Palermo il movimento Sicilia libera, le due strategie già coesistevano, e lo stesso Bagarella sapeva della prossima "discesa in campo" di Silvio Berlusconi. Bagarella, tuttavia, non intendeva rinunciare al programma separatista, perché non voleva ripetere "l'errore" di Riina, cioè dare troppa fiducia ai politici, e voleva, quindi, conservarsi la carta di un movimento politico in cui cosa nostra fosse presente in prima persona. Inoltre, va detto che vi era un'ampia convergenza tra i progetti, per come si andavano delineando, del nuovo movimento politico capeggiato da Berlusconi e quelli dei movimenti separatisti. Si pensi al progetto di fare della Sicilia un porto franco, che era un impegno dei movimenti separatisti ed un impegno dei siciliani aderenti a Forza Italia. [...] Questo era per noi un primo obiettivo immediato di non scarsa rilevanza nell'ambito del nostro progetto separatista”(9).
Nonostante tutto, Berlusconi resta il punto cardine di quel “rinnovamento” che per stessa ammissione dell’ambasciatore statunitense Reginald Bartholomew doveva essere sostenuto per cercare di dare all’Italia un nuovo equilibro.
Un equilibrio evidentemente più proficuo per paesi come gli Stati Uniti, i quali non avevamo mai visto di buon occhio un certo tipo di filo arabismo portato avanti dall’Italia, come, ad esempio, la vicinanza dell'establishment italiano al leader libico Gheddafi, salvato almeno in un’occasione da un tentativo d'assassinio americano da Bettino Craxi in collaborazione con Giulio Andreotti. Una collaborazione che negli anni ottanta mirava ad intensificare ulteriormente i rapporti tra l’Italia ed il leader palestinese Yasser Arafat (considerato al tempo da Stati Uniti e Israele un terrorista), fino al punto di rischiare uno scontro a fuoco nella base aerea di Sigonella tra la Delta Force (reparto dell’esercito statunitense) e le forze di sicurezza italiane (vigilanza dell’aeronautica militare e carabinieri).
Insomma, con il crollo del muro di Berlino si era presentata l'opportunità di regolare i conti e sbarazzarsi dei vecchi garanti dello status quo italiano, oramai divenuti solo dei pedoni che avevano esaurito il loro scopo originale (la lotta al comunismo appunto), e vista la situazione che si era venuta a creare con lo scandalo di Tangentopoli da una parte e lo stragismo di mafia dall'altra, la tentazione di creare un nuovo e più proficuo equilibrio, era troppa. Bastava solo soffiare sul fuoco.
Ad alcuni esponenti della prima Repubblica però, questo nuovo equilibrio (per motivi più o meno leciti) non andava molto a genio. Una delle riprove più esplicite di questo è da ricercarsi nell’operazione gestita dal Viminale e dal ministero della Difesa (datata 9 novembre del ’93) denominata “Ditex Superga Sette”.
L’Italia, travolta dagli scandali di Tangentopoli e da quello dei fondi neri del Sisde (che arriverà a sfiorare addirittura l’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro), stava fronteggiando un periodo drammatico sia sul piano internazionale (con i mercati finanziari) sia sul piano della politica interna (con la Lega Nord che invocava a gran voce la secessione).
Quella secessione a cui ambivano anche Cosa Nostra e i suoi referenti politici esterni. Da un articolo di "Repubblica" del 5 dicembre ‘93 firmato da Sandra Bonsanti: “Una normale esercitazione di difesa civile e di cooperazione civile-militare", dice il Ministero dell' Interno. "Predisposizioni attuate in tempo di pace, da sempre, per la verifica, di volta in volta, della rispondenza delle misure preventive", dicono al Ministero della Difesa. Vigilia di ballottaggio, ore rese inquiete dalla novità di un durissimo scontro politico: Progressisti contro Lega al Nord; Progressisti contro Msi al Centro-Sud. E in questo scenario di Italia divisa "Il Corriere della Sera" pubblica la notizia dell'esercitazione che tenne impegnati tra il 9 e l'11 novembre scorso prefetture e questure di Lombardia, Piemonte e Liguria e il comando della Regione militare di Nord Ovest. Poco più di un mese fa, in un clima politico arroventato, nei giorni in cui la Lega predicava ipotesi di secessione, qualcuno fra il Viminale e via XX Settembre pensò di mettere alla prova, non sul campo, ma a tavolino, una ipotesi di guerra civile. Col Nord regione ricca e stabile, attaccata dal Sud, coacervo di forze instabili e povere. Il Nord resiste all'attacco, i cattivi sono respinti oltre "confine". Miglio parlava di generali leghisti. E' la prima volta in assoluto, a quanto risulta, che forze dell'ordine e militari si preoccupano di risolvere a tavolino una situazione da rivoluzione interna: si immagina di combattere fra italiani, non contro un nemico esterno, e non contro terroristi del tipo Br. Può davvero essere utile, una tale esercitazione? E come mai una ipotesi del genere è stata studiata? A chi è saltata in mente? Dopo ore e ore di attesa, mentre Bossi già chiede le dimissioni dei responsabili, i vertici del Viminale mettono insieme una smentita che smentita non è. Poche righe per spiegare che l'esercitazione si è chiamata "Superga", che si è svolta proprio tra il 9 e l'11 novembre, e che "operazioni del genere vengono ripetute periodicamente, interessando di volta in volta parti diverse del territorio nazionale; si tratta, in pratica, di verificare la tenuta delle strutture poste a salvaguardia della vita civile del Paese in caso di emergenze esterne o interne". Il Viminale si meraviglia che all'esercitazione "Superga" "possa esser stato attribuito un significato diverso da quello di mera simulazione, non collegata ad alcuna contingenza concreta. Essa ha ricalcato nel suo svolgimento le modalità sempre osservate nelle esercitazioni che l'hanno preceduta a partire dalla fine degli anni Settanta". Tutto regolare, allora? Dal Ministero della Difesa chiariscono che l'operazione si chiamava "Ditex Superga Sette", ed era una delle tante esercitazioni di difesa del territorio e di eventuali obiettivi sensibili "da ipotetici attacchi e/o da sabotaggi". Tutto sulla carta, senza spiegamento di forze. E tutto per verificare "la pianificazione operativa". Esercitazioni programmate con molto anticipo "un anno per l'altro". Ogni anno tocca a turno a una delle cinque regioni militari. Spiegano ancora alla Difesa che quando c' era la contrapposizione fra Est e Ovest sulle cartine le forze amiche erano indicate con l'azzurro e quelle nemiche con l'arancione. Adesso invece gli amici sono verdi, e marroni i nemici. Poco più di un gioco, dunque, a sentire le fonti ufficiali. Un "war game" innocuo, innocente, forse persino inutile. E sarebbe davvero inutile continuare ad occuparsene se non fosse per un paio di "singolarità" che val la pena di sottolineare e che riguardano essenzialmente i momenti politici in cui il giochino viene giocato e in cui il giochino viene reso pubblico da misteriose fonti anche all'interno del Viminale. La prima singolarità riguarda quei giorni di autunno in cui si svolse "Superga". Era stato un crescendo: in ottobre, Gianfranco Miglio aveva vantato il controllo della Lega sulle Forze Armate. Il 9 ottobre il generale Goffredo Canino, capo di Stato maggiore dell'Esercito, risponde che "sarebbe il colmo se l'Esercito stesse con la Lega". L'11 ottobre il ministro della Difesa, Fabio Fabbri attacca Bossi: "Il suo federalismo che, in vista della fondazione della Repubblica del Nord persegue la divisione dell'Italia in tre Stati, è obiettivamente una minaccia per l'unità nazionale". Passano dieci giorni e Canino se ne va, sulla scia delle polemiche nate per la rimozione del generale Biagio Rizzo che aveva sottovalutato il caso Monticone-Di Rosa. Ed eccoci al nove novembre, data di inizio di "Superga". Ciampi sta rispondendo alla Camera sul caso [dei fondi neri del] Sisde, annuncia lo scioglimento di Gladio e si schiera con il presidente della Repubblica. Bossi interviene a Montecitorio e annuncia che siccome la classe politica non intende andare alle elezioni anticipate, si assisterà al "ritiro della delegazione parlamentare della Lega e alla nascita di un governo provvisorio contro questo Parlamento. Questo governo provvisorio" dice il leader della Lega "farà una costituente federalista, naturalmente dove la Lega è presente, è chiaro che partirà dal Nord". Nelle stesse ore, a Milano, il presidente del Senato Spadolini avverte: "Nessuno creda di aver vinto gli spettri del nazionalismo, che si riproduce nell'ombra cupa del nazionalismo. Questi sono i veri pericoli sui quali occorre tenere ben aperti gli occhi e non è neppure estranea la prospettiva traumatica di una balcanizzazione dell'Europa". […]. Alla fine della giornata parla anche [l’esponente Dc Mino] Martinazzoli: "La proposta della Lega è antistorica e quando la storia va indietro la parola va alle armi". […] Mentre Viminale e Difesa "giocano" la "Superga", le forze politiche si attaccano al suon di secessioni minacciate e di accuse di voler rompere l'unità nazionale. Scalfaro riceve Ciampi. […]. Finisce l' esercitazione. La Lega si dedica alla campagna elettorale e usa toni meno allarmanti."
E’ difficile dare una lettura non banale di questa esercitazione.
Forse, "Ditex Superga Sette", non era altro che il colpo di coda della prima Repubblica: la teorizzazione di una sorta di ultima difesa delle istituzioni concepita da quella parte di classe dirigente italiana ancora "integra" (più sul piano giudiziario che su quello politico), desiderosa di mantenere a tutti i costi (per necessità o virtù) il traballante ma pur sempre vigente sistema di potere.
Forse, "Ditex Superga Sette", era l’ultima carta da giocare per provare a bloccare gli effetti più devastanti del piano di destabilizzazione politico-mafioso e quelli del travolgente vento di rinnovamento che stava scuotendo l’Italia. Un rinnovamento che per stessa ammissione dell’ambasciatore americano Bartholomew veniva spronato e alimentato proprio dagli statunitensi; un piano di destabilizzazione (riscontri giudiziari alla mano) che veniva sponsorizzato da ambienti transnazionali riconducibili a certi settori della politica USA e Britannica (vedi il coinvolgimento del “patron” della P2 Licio Gelli e la stesura del progetto “Eurotopia” fatta dell’agente britannico Cyril Northcote Parkinson).
Curiose in tal senso, le parole pronunciate dall’ex Procuratore Nazionale Antimafia Pietro Grasso: "Nel 1993 a Cosa Nostra fu affidata in subappalto una vera e propria strategia della tensione che ebbe nelle bombe di Roma, Milano e Firenze soltanto il suo momento più drammatico, ma ci sono tanti altri episodi da ritirare fuori e rileggere tutti insieme". Le stragi, spiega, furono compiute per spianare la strada a "nuove entità politiche. Con una duplice finalità: orientare la situazione in Sicilia verso una prospettiva indipendentista, sempre balzata fuori nei momenti critici della storia"; e, contemporaneamente, offrire la possibilità a "un’entità esterna" di "riprendere in pugno l’intera situazione economica, politica e sociale" di un paese sotto le "macerie di Tangentopoli"(10).
"L’entità esterna" a cui si riferisce consciamente o meno Grasso, entità che si è sempre nascosta dietro ai vari Andreotti, Berlusconi o qualsiasi altro burattino dall’influenza più o meno elevata, è quella tecnocrazia che per decenni si è celata, e si cela tutt’ora, dietro alle varie realtà istituzionali: ovvero quei gruppi di potenti (in stile Bilderberg Group) che spaziano dalla finanza speculativa, ad un controllo personalistico delle risorse come il petrolio, passando per la massoneria cosiddetta deviata e l’uso criminoso degli apparati d’intelligence. Vere e proprie lobby criminali che all’indomani della strage di Capaci erano già pronte a spartirsi la torta italiana.
Estratto da un documento diffuso dall'Executive Intelligence Review e dal Movimento Solidarietà il 14 gennaio 1993: "Il 2 giugno 1992, a pochi giorni dall'assassinio del giudice Giovanni Falcone, si verificava in tutta riservatezza un altro avvenimento che avrebbe avuto conseguenze molto profonde sul futuro del Paese. Il "Britannia", lo yacht della corona inglese, gettava l'ancora presso le nostre coste con a bordo alcuni nomi illustri del mondo finanziario e bancario inglese: dai rappresentanti della BZW, la ditta di brockeraggio della Barclay's, a quelli della Baring & Co. e della S.G. Warburg. A fare gli onori di casa era la stessa regina Elisabetta II d'Inghilterra. Erano venuti per ricevere alcuni esponenti di maggior conto del mondo imprenditoriale e bancario italiano: rappresentanti dell'ENI, dell'AGIP, Mario Draghi del ministero del Tesoro, Riccardo Gallo dell'IRI, Giovanni Bazoli dell'Ambroveneto, Antonio Pedone della Crediop, alti funzionari della Banca Commerciale e delle Generali, ed altri della Società Autostrade.
Si trattava di discutere i preparativi per liquidare, cedere a interessi privati multinazionali, alcuni dei patrimoni industriali e bancari più prestigiosi del nostro paese. […]. Da parte loro gli inglesi hanno assicurato che la City di Londra era pronta a svolgere un ruolo, ma le dimensioni del mercato borsistico italiano sono troppo minuscole per poter assorbire le grandi somme provenienti da queste privatizzazioni. Ergo: dovete venire a Londra, dove c'è il capitale necessario. Fu poi affidato ai mass media, ed al nuovo governo Amato, il compito di trovare gli argomenti, parlare dell'urgente necessità di privatizzare per ridurre l'enorme deficit del bilancio. […]. L'obiettivo è semplicemente quello di prendere il controllo di ogni aspetto della vita economica italiana sfruttando le numerose scuse di ingovernabilità, corruzione, partitocrazia, inefficienza, ecc. […] A questo punto occorre dedicare qualche riga alle finanziarie di Wall Street che svolgono un ruolo decisivo nella “privatizzazione” delle imprese pubbliche italiane. Sono tre le ditte impiegate all'uopo come “consulenti” del governo Amato: Goldman Sachs, Merrill Lynch e Salomon Brothers. Lo stesso ministro dell'Industria Giuseppe Guarino, contrario a una “svendita” del patrimonio industriale raccolto nelle ex Partecipazioni Statali, sembra riporre fiducia in queste tre finanziarie, i cui dirigenti incontrò il 17 settembre scorso nel corso di un viaggio a New York.
Sono molti attualmente a ritenere la Goldman Sachs la più potente finanziaria di Wall Street, posizione conquistata almeno a partire dal 1991, quando scoppiarono gli scandali di “insider trading” che la coinvolgevano assieme alla Salomon Brothers. Il presidente della Goldman Sachs, Robert Rubin, sarà il capo del Consiglio per la Sicurezza Nazionale del Presidente Clinton. Quel posto dovrà essere un “ufficio di guerra economica” in stile britannico, per fronteggiare quelli che l'ex capo della CIA William Webster chiamò “gli alleati politici e militari dell'America che sono i suoi rivali economici”. Rubin non è il primo dirigente della Goldman Sachs che ricopre una carica nel governo americano. Prima di lui l'attuale vicepresidente, Robert Hormats, fu consigliere di Henry Kissinger al Dipartimento di Stato e un altro “senior partner”, John Whitehead, fu sottosegretario di Stato con Ronald Reagan. La Goldman Sachs é uno dei più influenti manipolatori del prezzo del petrolio e del valore delle monete, che determina tramite la sussidiaria J. Aron & CO., che opera sul mercato delle merci e dei “futures”. La Goldman Sachs ha rafforzato la sua presenza in Italia aprendo nel 1992 un “ufficio operativo” a Milano. […].
La Salomon Brothers domina, assieme alla Goldman Sachs, il commercio di greggio mondiale. La Salomon possiede anche la svizzera Phibro (Philipp Brothers), che opera nel settore delle materie prime. Nel 1989 la Phibro fu coinvolta in un caso di riciclaggio di milioni di dollari ricavati dalla vendita di cocaina negli Stati Uniti. I soldi venivano riciclati dalla banda chiamata “La Mina”, che lavorava per il cartello della coca colombiano, nella Phibro Precious Metal Certificates. Dopo gli scandali di “insider trading” e speculazione su Buoni del Tesoro USA scoppiati nel 1991, a cui abbiamo accennato sopra, ci fu un completo rinnovo dei vertici della finanziaria. Il nuovo presidente, attuale azionista di maggioranza, è Warren Buffett, originario di Omaha, Nebraska. Buffett, oltre ad essere amico intimo di George Bush, è anche il principale azionista del Washington Post e della rete televisiva ABC. Egli possiede vasti interessi anche nell'American Express (del cui consiglio di amministrazione fa parte Henry Kissinger) e nella Wells Fargo Bank. […] La Merrill Lynch è famosa per il ruolo che svolse in una sensazionale operazione di riciclaggio del denaro tra l'Italia, la costa orientale degli Stati Uniti e Lugano. Si tratta della “Pizza connection”, che portò al processo in cui la famiglia mafiosa newyorchese dei Bonanno fu accusata di aver riciclato circa 3,5 miliardi di dollari fino a quando fu arrestata, nel 1984. I Bonanno avevano usato, per i loro traffici, la sede centrale di New York e gli uffici di Lugano della Merrill Lynch. L'aspetto più sconcertante del processo sulla “Pizza connection” in Svizzera e a New York è che essi ignorarono completamente la complicità dei vertici della Merrill Lynch. All'epoca del processo il ministro del Tesoro americano, responsabile per le ispezioni sul riciclaggio del denaro, era l'ex presidente della Merrill Lynch Donald Regan. Il processo si concluse con alcune multe nei confronti di funzionari minori della sede luganese della finanziaria americana, e la storia finì lì. Come è noto, la Merrill Lynch é stata incaricata dall'IRI, il 9 ottobre scorso, di preparare la privatizzazione del Credito Italiano.
Abbiamo fin qui identificato alcuni fatti poco noti che riguardano le tre finanziarie di Wall Street chiamate a svolgere un ruolo decisivo nella valutazione e nella stessa privatizzazione delle imprese pubbliche italiane. Queste finanziarie accedono a dati di grande importanza e delicatezza che riguardano alcune delle più valide imprese europee e si posizionano in assoluto vantaggio come “consiglieri per la privatizzazione”. Naturalmente, tutto secondo una rigida etica professionale e senza conflitti di interesse!"
Una lettura pienamente condivisa anche dall’ex dirigente ENI Benito Livigni: “[Negli anni 90] avevamo una crisi economica ed eravamo usciti dal Sistema Monetario Europeo, ma questo non giustificava l’abolizione del sistema che aveva garantito il Miracolo Economico. Quindi vi fu un attacco allo Stato imprenditore organizzato dalle grandi banche d’affari, che convinsero Ciampi e Amato a liberalizzare il settore pubblico. Mario Draghi, allora direttore generale del Ministero del Tesoro, spinse verso la privatizzazione. Venne distrutto lo Stato imprenditore, l’Eni da 130 mila dipendenti si ridusse a 30 mila, scaricando ai cittadini il costo di questa operazione. Operazione veramente indegna, perché si sono chiuse attività che portavano profitti allo Stato come la Nuovo Pignone, la Lebole, la chimica di base. Si distrusse l’Eni. Il patrimonio immobiliare dell’Eni, che valeva mille miliardi di lire, è stato venduto a Goldman Sachs per una lira. Si è commesso un crimine che secondo me doveva essere perseguito per legge, invece si è andato avanti: si è distrutto l’Iri, l’Imi, il sistema bancario italiano e financo la Banca d’Italia che non esiste più ed ora non abbiamo più un sistema di controllo finanziario. Naturalmente Draghi fu premiato e divenne presidente della Goldman Sachs Europa… Io non so se in un paese sia possibile un conflitto di interesse di questo genere”.
Sempre dal documento diffuso dall'Executive Intelligence Review e dal Movimento Solidarietà il 14 gennaio 1993: "Un capitolo a parte merita il ruolo svolto dalla Lega Nord nella strategia anglo-americana di saccheggio dell'economia italiana. La Lega Nord, infatti, con la sua politica liberista radicale, è lo strumento politico ideale per realizzare gli obiettivi angloamericani. La Lega propone la privatizzazione di ogni attività economica in mano allo stato, dall'energia ai trasporti, dalle industrie di difesa alla Rai. Se si realizzasse la politica della Lega, non occorrerebbe sancire la secessione del Nord dal Sud (e infatti Bossi ha abbandonato il progetto di “Repubblica del Nord”, definendola una “provocazione”), in quanto la Repubblica italiana si frantumerebbe da sé. Allo stato centrale, infatti, secondo i leghisti, resterebbero solo i poteri di battere moneta, di difesa e di politica estera. Ma, poichè il primo è saldamente nelle mani della Banca d'Italia e il secondo, come gli stessi leghisti affermano, sarà delegato a strutture sovrannazionali nell'ambito dei nuovi scenari di guerre Nord-Sud, lo stato nazionale italiano sará una vuota carcassa. Ecco perché la Lega è stata appoggiata dai media che fanno capo alla City di Londra (Economist, Financial Times) e da Wall Street (Wall Street Journal, Time). E' difficile scoprire diretti legami tra questi centri finanziari internazionali e la Lega, anche se si può ipotizzare l'esistenza di contatti nell'ambito di canali massonici. Certamente si nota una straordinaria coincidenza tra l'ideologia leghista e i programmi sviluppati da certi centri studi. Un esempio: la trasformazione dell'Italia in “macroregioni” è una politica ufficialmente promossa dalla Fondazione Agnelli, che alla fine del 1990 avviò un progetto chiamato “Padania”, poi presentato in un convegno tenutosi a Torino l'11 e il 12 giugno 1992, con la partecipazione dell'ideologo della Lega, Gianfranco Miglio. Scopo del convegno fu quello di discutere “soluzioni specifiche, procedurali e/o istituzionali” per l'autonomia amministrativa della “macroregione” Padania, allo scopo di valorizzarne le risorse con “opportune competenze di governo”. Al di là del linguaggio formale, è chiaro che la Fondazione Agnelli promuove il progetto leghista. La Fondazione Agnelli, come è noto, fa capo alla famiglia Agnelli, legata a Enrico Cuccia, il “garante” degli equilibri economico-finanziari tra le grandi famiglie italiane e i centri di potere internazionali, ai quali è collegato tramite la banca Lazard. Checché ne dica Bossi, egli si sta muovendo esattamente verso la distruzione dello stato nazionale, obiettivo ben chiaro nelle strategie dei suoi sponsor internazionali. Lo stesso organo della Lega, Repubblica del Nord, ha pubblicato il 21 ottobre 1992 uno studio promosso dalla “Associazione Americana di Geografia” […] la quale prevede entro sei anni la divisione dell'Italia in cinque repubbliche, Nord, Centro, Sud e le isole. Un progetto coerente col disegno leghista, tanto che l'organo del partito di Bossi se ne compiace, e con quello attribuito alla Mafia di cui ha parlato, in una udienza presso la Commissione Parlamentare Antimafia, il pentito Leonardo Messina."
E’ questa la vera motivazione dietro al piano di smembramento degli stati europei pubblicizzato da Heineken: l’acquisto (tramite le grandi banche anglo-americane) delle principali infrastrutture del paese per provare ad eterodirigerne la politica, limitando così le mire geostrategiche italiane (soprattutto nell’area mediterranea) per favorire quei paesi che da sempre, per motivi geopolitici, sono stati alleati, ma allo stesso tempo avversari del nostro paese. Uno degli esempi più lampanti è la Gran Bretagna; la stessa Gran Bretagna che negò al procuratore Tescaroli una rogatoria per accertare le dichiarazioni rese dal boss Di Carlo riguardo i suoi incontri con esponenti dei servizi segreti di più nazioni al fine di eliminare Falcone.
Finito dunque il periodo di “chaos organizzato” a suon di bombe e scandali veri o presunti, arriva il momento in cui i burattinai della realtà italiana si trovano costretti a scegliere dei personaggi politici locali, il cui scopo sarà quello di garantire quel nuovo equilibrio che renderà possibile il disegno sopradescritto: un piano eversivo che punta ad un ricambio della classe dirigente del nostro paese per dare vita a quel "nuovo ordine deviato massonico politico culturale" descritto a tempo debito dal "premonitore" Ciolini.
Un piano eversivo in cui s’inserisce opportunisticamente anche Cosa Nostra, la quale, analogamente ai burattinai internazionali, voleva fare piazza pulita dei vecchi riferenti politici che avevano “tradito” l’organizzazione. E’ forse questo il motivo per cui gruppi esterni all’organizzazione criminale ritennero utile stabilire, o semplicemente rinnovare, un’alleanza con la mafia siciliana al fine di strumentalizzarla per raggiungere obiettivi sconosciuti o semplicemente ignorati (per motivi prevalentemente culturali) dai picciotti di Cosa Nostra; il processo che crea, come in questo caso, una sorta d’unione d’intenti tra mafia e altri interessi, venne battezzato all’indomani del fallito attentato all’Addaura da Giovanni Falcone come “la saldatura”.
Tra le persone che rientrano in questo concetto di “saldatura”, dati alla mano, c’è sicuramente Silvio Berlusconi: personaggio indubbiamente potente ma allo stesso tempo ricattabile (e quindi nei limiti del possibile controllabile) per i suoi vecchi legami di natura economica con Bettino Craxi, Licio Gelli e Cosa Nostra.
Sarà lui il principale addetto al mantenimento del nuovo equilibrio italiano.
Estratto dall’articolo “Più poveri ma brutti” di Sergio Ferrari e Roberto Romani: "La Relazione sulle privatizzazioni del ministero dell'Economia e delle finanze del luglio 2004 ha fotografato lo stato dell'arte delle privatizzazioni in Italia e come queste hanno contribuito in misura significativa alla riduzione del peso economico pubblico nel consesso internazionale. L'Italia si colloca al secondo posto, tra i paesi di area Ocse, per valore di introiti, e al primo a livello europeo, nella cessione ai privati delle imprese pubbliche. Dal 1994 al 31 dicembre 2003 lo Stato ha ceduto quote di proprietà pubblica per un ammontare di quasi 90 miliardi di euro. Inoltre, se all'inizio della legislatura l'attuale compagine governativa [il secondo governo Berlusconi] aveva una certa difficoltà a mettere all'ordine del giorno la cessione di ulteriori attività pubbliche, con il 2003 il paese riconquista un ruolo di rilievo a livello internazionale. Infatti, l'Italia rappresenta il 34% delle privatizzazioni mondiali nel 2003, cioè molto al di sopra dei picchi, già alti, del 1997 (14%), 1999 (15%) e del 2001 (15%). Nonostante il 2003 sia stato un anno significativamente modesto per le privatizzazioni mondiali, soprattutto se comparate al periodo 1996-2000; nonostante la modesta crescita economica e la profonda crisi della governance finanziaria delle imprese nazionali; nonostante una sostanziale stagnazione degli scambi mobiliari; il governo di centro-destra è riuscito a realizzare operazioni per un controvalore di 16.600.300.500,00 euro".
Scrive Massimo Gaggi sul Corriere della Sera: “Con la conclusione della vendita Telecom [25 ottobre 1997] (ventiseimila miliardi incassati dal Tesoro, l'operazione più grossa mai conclusa in Europa), l'Italia conquista il record mondiale delle privatizzazioni: sui 460 miliardi di dollari del giro d'affari planetario di questo business negli anni '90, gli incassi complessivi realizzati da imprese italiane e dal Tesoro ammontano a circa 100 miliardi di dollari. Nel solo 1997 al Tesoro sono arrivati 32 miliardi di dollari, mentre nello stesso periodo le privatizzazioni spagnole hanno raggiunto i 10 miliardi e quelle francesi i 7,5. La Germania si è fermata a due e mezzo. Nulla di miracoloso, visto che l'Italia partiva da una presenza dello Stato in economia di un'estensione che non ha pari in Occidente. Ma anche un risultato che solo cinque anni fa [nel ‘92], quando il governo Amato aprì la strada delle privatizzazioni con la trasformazione degli enti come Iri, Eni ed Enel in società per azioni, sembrava un traguardo irraggiungibile”.
Ecco, perché non si può dire la verità.
Massimiliano Paoli (M4X)
Note
1 - Grignetti Francesco, Gladio spiava Cosa Nostra, La Stampa.
2 - Palazzolo Salvo, Trapani, tra mafia e servizi deviati, Limes.
3 - Dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria il 9 maggio 1994.
4 - http://www.youtube.com/watch?v=ia5DlqSWeeQ
5 - Lo Bianco Giuseppe; Rizza Sandra, L’agenda rossa di Paolo Borsellino, Chiarelettere.
6 - Torrealta Maurizio; Mottola Giorgio, Processo allo Stato, Biblioteca Universitaria Rizzoli.
7 - Dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria nel 1998 e riprese successivamente dal giornale “la Repubblica” nel 2001.
8 - Maltese Curzio, Sinistra, giudici, Rai ora basta con le guerre, la Repubblica.
9 - Dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria il 28 maggio 1997.
10 - Ziniti Alessandra, Grasso: "Le stragi mafiose del ’93 volevano favorire un’entità politica", la Repubblica.
Intervistato il 19 marzo del ‘92 da Augusto Minzolini per "La Stampa", “lo squalo” ebbe modo di argomentare la sua tesi riguardo al progetto di destabilizzazione e ai suoi presunti mandanti.
[Minzolini:] On. Sbardella ci crede davvero a questa storia del piano di destabilizzazione?
[Sbardella:]Qui dovrebbero finirla di essere tutti ciechi. Bisogna partire da un fatto: in Italia non c'è, non esiste, per ora, un'alternativa alla Dc. Eppure c'è un attacco concentrico a questo partito che ha come risultato la frantumazione della geografia politica di questo paese in tanti piccoli partitini, o, peggio, una sempre maggiore astensione dal voto. Così si creano le condizioni peggiori per governare e quando non si governa qualcuno può sostituirsi ai partiti e tentare la svolta autoritaria. Chi potrebbe volerla? Ad esempio chi non vuole l'Europa: gli americani insieme ad alcuni gruppi industriali, che non si sentono preparati a questo passo. Ecco a cosa serve la destabilizzazione.
[Minzolini:]Dice che dietro alla destabilizzazione ci sono gli Usa e alcuni gruppi economici?
[Sbardella:]Gli americani non nascondono questa loro ostilità verso l'unità europea, specie dopo la fine del comunismo. Del resto quel documento del Pentagono che vuole impedire la nascita di una nuova superpotenza che faccia ombra agli Usa, mi pare abbastanza eloquente.
Sbardella si riferisce al "Defense Planning Guidance": un progetto del Pentagono reso noto dal "New York Times" l’8 marzo del 1992. Il testo, scritto principalmente da due dei massimi esponenti del mondo neoconservatore americano, ...
... ovvero Paul Wolfowitz e Lewis Libby (stretto collaboratore di Dick Cheney), sosteneva che il primo obiettivo della politica estera statunitense doveva essere quello di prevenire il riemergere di un nuovo rivale, impedendo a qualunque potenza straniera di dominare una regione le cui risorse sarebbero state sufficienti a generare un potere di portata globale.
Lo stesso Andreotti dalle pagine del "Corriere della Sera" si lascerà andare a qualche insolito commento: "Ora che non temono più il comunismo pensano di poterci mettere all'angolo".
“Complottismo”? Manco per sogno.
Sbardella, tanto per fare un esempio, 48 e 24 ore prima della strage di Capaci, da una testata giornalistica in odore di Servizi, aveva scritto i due seguenti articoli. Dall'articolo "Impasse nell'elezione del presidente della Repubblica: metodo Forlani o metodo De Mita?": "C'è da temere, a questo punto, che qualcuno rispolveri la tentazione tipicamente nazionale al colpo grosso. Le strategie della tensione costituiscono in questo Paese una metodologia d'uso corrente in certe congiunture di blocco politico. Quando venne meno "la solidarietà nazionale" e il sistema apparve anche allora bloccato, ci ritrovammo davanti il rapimento di Moro e la strage della sua scorta. Non vorremmo che ci riprovassero: non certo per farci trovare un Andreotti a gestire ancora l’immobilismo del sistema (visto che i tempi sono mutati e Andreotti è politicamente deceduto) ma magari uno Spadolini o uno Scalfaro quirinalizzati."
"Forlani dimissionario. Il burattinaio non è iscritto alla Dc": "Avremo dunque la candidatura obbligata e vincente di Giovanni Spadolini? Manca ancora, perché passi in modo indolore questa candidatura del "partito trasversale", qualcosa di drammaticamente straordinario. I partiti cioè, senza una strategia della tensione che piazzi un bel botto esterno - come ai tempi di Moro - a giustificazione di un voto d'emergenza, non potrebbero accettare d'autodelegittimarsi. Per fortuna, le Brigate rosse e nere oggi sono roba da museo. E, comunque, i poteri dello Stato hanno accumulato esperienza e professionalità."
Sempre da questa testata giornalistica, legata secondo alcuni articoli di stampa del ’93 al Sisde, venne pubblicato il 19 marzo (lo stesso giorno dell’intervista di Sbardella a Minzolini) un articolo intitolato “Un'Ira per Lima? Sicilia come Singapore del Mediterraneo”. Secondo l’anonimo articolo l’omicidio dell’europarlamentare andreottiano farebbe parte di un piano diretto: a) ad attaccare i centri nevralgici di mediazione del sistema dei partiti popolari; b) a determinare il collasso del vecchio sistema e a regionalizzare il voto all'interno di un progetto federalista che consegnerebbe il Nord e il Sud dell'Italia a forze interessate a spartirsi il Paese; c) a fare della Sicilia la "Singapore del Mediterraneo", paradiso fiscale e crocevia di tutti i traffici e impieghi produttivi illeciti e leciti.
Il Sisde, il cosiddetto servizio segreto “civile”, operava alle dirette dipendenze del Ministero dell'Interno.
Lo stesso Sisde che già il 5 febbraio del ‘92, ancora prima delle rivelazioni del “premonitore” Ciolini, aveva inviato la seguente nota al gabinetto del ministro degli Interni: Non è da sottovalutare la possibilità che frange eversive stipulino con la criminalità organizzata accordi di collaborazione ai fini operativi per la destabilizzazione del paese”.
Lo stesso Sisde che il 23 maggio di quello stesso anno, con un volo segreto e non registrato, porterà con un jet Giovanni Falcone e sua moglie Francesca Morvillo ad incontrare il loro tragico destino.
Perfino sul teatro della strage vengono rinvenuti alcuni indizi che ci riportano direttamente al Sisde: spunta infatti, tre giorni dopo la strage, un criptico bigliettino dove c’è appuntato il numero di cellulare dell’allora vice capo centro della struttura informativa di Palermo, Lorenzo Narracci.
Narracci è il braccio destro di Bruno Contrada, al tempo delle stragi numero tre del servizio con delega all’antimafia. Contrada verrà condannato nel maggio del 2007 dalla Corte di Cassazione a dieci anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.
Sempre Contrada, a detta della sua stessa agenda, nel periodo immediatamente precedente alla strage di Capaci si era tenuto in stretto contatto con il generale dei Carabinieri Subranni (diretto superiore dell’allora colonnello Mario Mori) e con il deputato della sinistra DC Calogero Mannino.
Subranni, Mori e Mannino sono stati tutti rinviati a giudizio nel processo relativo alla cosiddetta “trattativa” fra Stato e mafia: una trattativa portata avanti dal Ros dei Carabinieri con Cosa Nostra tramite gli ufficiali Mori e De Donno e l’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Calogero Ciancimino (presunto agente di Gladio in Sicilia).
Una trattativa che a detta del boss di San Giuseppe Jato Giovanni Brusca (l’uomo che aziono l’ordigno di Capaci), sarà la principale causa di morte di Paolo Borsellino.
Secondo Bursca infatti, “Paolo Borsellino muore per la trattativa che era stata avviata fra i boss corleonesi e pezzi delle istituzioni. Il magistrato, dopo la strage di Capaci, ne era venuto a conoscenza e qualcuno gli aveva detto di starsene in silenzio, ma lui si era rifiutato.
A Borsellino era stato proposto di non opporsi alla revisione del maxiprocesso e di chiudere un occhio su altre vicende. Il suo rifiuto ha portato venti giorni dopo a progettare ed eseguire l'attentato in via D'Amelio”(7).
Ma andiamo con ordine. Secondo le indagini del gip Morosini, il “padrino” di questa sciagurata trattativa sarebbe proprio Calogero Mannino. Mannino, il mese stesso della conferma in Cassazione della sentenza che ha condannato in via definitiva i vertici di Cosa Nostra (febbraio ’92), confiderà al maresciallo dei Carabinieri Guazzelli che “o ammazzano me, o ammazzano Lima”.
Assolto nel 2010 dalla corte di Cassazione dopo diciassette anni di processi per concorso esterno in associazione mafiosa, Mannino, vicino a realtà emblematiche come quella del Centro Scontrino di Trapani (punto d’incontro tra mafia e massoneria), fino al 28 giugno del 1992 (a 21 giorni di distanza dalla strage di via D’Amelio) era a capo del Ministero per gli Interventi straordinari nel Mezzogiorno.
Un dato insignificante se Mannino non fosse ritenuto l’ispiratore della trattativa o semplicemente non avesse intrattenuto rapporti con Bruno Contrada, in quanto (udite udite) il famigerato Cerisdi situato all’interno del magnifico Castello Utveggio che domina Palermo dal Monte Pellegrino, luogo in cui una cellula del Sisde ha dato il suo appoggio logistico all’infame strage di via D’Amelio, ricadeva proprio sotto l’egida del dicastero presieduto fino a qualche giorno prima dal deputato DC.
Il commando che ha operato in via Mariano D’Amelio (identificato solo in parte), è quello dei boss di Brancaccio Giuseppe e Fillippo Graviano. Quei Graviano che si ritrovano anche nelle motivazioni della condanna in primo grado a Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa: "Nell’ambito degli accertati rapporti e contatti, diretti o mediati da terze persone, tra Marcello Dell’Utri ed esponenti di primo piano di alcune potenti “famiglie” mafiose palermitane, un posto particolare meritano i fratelli Graviano Giuseppe e Graviano Filippo, responsabili della consorteria mafiosa operante in Brancaccio, quartiere alla periferia di Palermo."
Quei Graviano che quando furono arrestati, nel gennaio del ’94, non facevano i latitanti nel loro “mandamento” (che era una sorte di roccaforte inespugnabile), ma a Milano, ad un tiro di schioppo da Villa Certosa.
Via D’Amelio quindi, si può tranquillamente definire un vero e proprio punto d’incontro tra prima e seconda Repubblica, in quanto, mentre “qualcuno” barattava la vita di altri per salvare la propria (vedi Mannino), e mentre “qualcuno” s’impadroniva dell’agenda rossa di Paolo Borsellino (al cui interno c’era la prova scritta della trattativa) per garantisti una vera e propria assicurazione sulla vita a livello istituzionale, si poteva già cominciare a scorgere il “nuovo” che avanza.
Quel “nuovo” è Forza Italia.
Il progetto che porterà alla nascita del partito-azienda di Berlusconi (la cosiddetta “Operazione Botticelli”) secondo la preziosa testimonianza dell’ex democristiano Ezio Cartotto, che a quel progetto ci ha lavorato, comincia a svilupparsi clandestinamente all’interno della Fininvest per volere di Marcello Dell’Utri proprio nel periodo tra la strage di Capaci e l’inizio della trattativa portata avanti dal Ros con Ciancimino.
Ennesima curiosità: i fratelli di Silvio Berlusconi e Mario Mori, Alberto Mori e Paolo Berlusconi, proprio in Sicilia, e proprio ad inizio anni ’90, erano soci nella ditta Co.Ge, una ditta sospettata dalla Direzione investigativa antimafia di aver fatto parte del cosiddetto “tavolino degli appalti”: “tavolino” che garantisce i legami con la grande imprenditoria per la realizzazione dei lavori, il controllo su di essi di Cosa nostra, il recupero delle somme da corrispondere all’organizzazione e ai politici che assicuravano gli appalti.
Gli imprenditori con i quali la Co.Ge. di Paolo Berlusconi e Alberto Mori tratta sono Filippo Salamone e Giovanni Bini: ambedue condannati in via definitiva nel maggio del 2008 per concorso in associazione mafiosa.
Lo stesso discorso vale per Vito Ciancimino, anche lui legato economicamente al Cavaliere da alcuni assegni databili tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80, consegnati dalla moglie dell’ex sindaco mafioso di Palermo ai pm Guido e Di Matteo nel luglio del 2010.
Ma torniamo a Cartotto. Racconta l’ex DC in una deposizione resa al pm di Palermo Domenico Gozzo: “Nel maggio-giugno 1992 sono stato contattato da Marcello Dell'Utri perché lo stesso voleva coinvolgermi in un progetto da lui caldeggiato. In particolare Dell'Utri sosteneva la necessità che, di fronte al crollo degli ordinari referenti politici del gruppo Fininvest, il gruppo stesso "entrasse in politica" per evitare che un'affermazione delle sinistre potesse portare prima a un ostracismo e poi a gravi difficoltà per il gruppo Berlusconi. Immediatamente Dell'Utri mi fece presente che questo suo progetto incontrava molte difficoltà nello stesso gruppo Berlusconi e, utilizzando una metafora, mi disse che dovevamo operare come sotto il servizio militare e cioè preparare i piani, chiuderli in un cassetto e tirarli fuori in caso di necessità, eseguendo in tale ultimo caso ciascuno la propria parte”.
Scrive il giornalista Maurizio Torrealta nel suo saggio “La Trattativa”: “Il ruolo di cui veniva investito Cartotto era quello di tenere delle conferenze politiche ai dirigenti e ai funzionari della Fininvest e di seguire la crescita delle centinaia di persone coinvolte nel caso in cui qualcuna avesse avuto intenzione di cambiare lavoro e di impegnarsi nell'avventura di una nuova forza politica. [...]. Gli incontri sarebbero iniziati fin dalla tarda primavera del 1992; poi, nel settembre di quell'anno ci fu una cena alla convention di Publitalia [concessionaria di pubblicità delle reti televisive del gruppo Fininvest], a Montecarlo. In quell'occasione Silvio Berlusconi e Ezio Cartotto discussero della situazione politica e di come sviluppare quell'attività, fino ad allora condotta da Cartotto come soggetto esterno all'azienda, affinché restasse per il momento riservata. L'incontro finale e decisivo per l'entrata in politica si tenne, infatti, il 4 aprile 1993, e vi partecipò anche Bettino Craxi”.
Inizia così la scalata al potere del piduista Berlusconi. Una scalata forzata dai suoi legami economici con Cosa Nostra, dal crollo dei referenti politici tradizionali (come ha spiegato precedentemente Cartotto) e dai debiti colossali della Fininvest.
Uno scenario che si può semplificare nella famosa frase del suo amico Fedele Confalonieri: “La verità è che se [Silvio Berlusconi] non fosse entrato in politica, se non avesse fondato Forza Italia, noi oggi saremmo sotto un ponte o in galera con l'accusa di mafia”(8).
Stando a Tullio Cannella, imprenditore vicino al boss Leoluca Bagarella (cognato di Riina): “L'appoggio a Forza Italia non determina l'abbandono della strategia separatista che continua ad essere coltivata perché questa strategia costituiva il punto di arrivo e la soluzione finale dei problemi di Cosa Nostra e dei suoi alleati esterni. [...] Quando nell'ottobre 1993, su incarico di Bagarella, costituii a Palermo il movimento Sicilia libera, le due strategie già coesistevano, e lo stesso Bagarella sapeva della prossima "discesa in campo" di Silvio Berlusconi. Bagarella, tuttavia, non intendeva rinunciare al programma separatista, perché non voleva ripetere "l'errore" di Riina, cioè dare troppa fiducia ai politici, e voleva, quindi, conservarsi la carta di un movimento politico in cui cosa nostra fosse presente in prima persona. Inoltre, va detto che vi era un'ampia convergenza tra i progetti, per come si andavano delineando, del nuovo movimento politico capeggiato da Berlusconi e quelli dei movimenti separatisti. Si pensi al progetto di fare della Sicilia un porto franco, che era un impegno dei movimenti separatisti ed un impegno dei siciliani aderenti a Forza Italia. [...] Questo era per noi un primo obiettivo immediato di non scarsa rilevanza nell'ambito del nostro progetto separatista”(9).
Nonostante tutto, Berlusconi resta il punto cardine di quel “rinnovamento” che per stessa ammissione dell’ambasciatore statunitense Reginald Bartholomew doveva essere sostenuto per cercare di dare all’Italia un nuovo equilibro.
Un equilibrio evidentemente più proficuo per paesi come gli Stati Uniti, i quali non avevamo mai visto di buon occhio un certo tipo di filo arabismo portato avanti dall’Italia, come, ad esempio, la vicinanza dell'establishment italiano al leader libico Gheddafi, salvato almeno in un’occasione da un tentativo d'assassinio americano da Bettino Craxi in collaborazione con Giulio Andreotti. Una collaborazione che negli anni ottanta mirava ad intensificare ulteriormente i rapporti tra l’Italia ed il leader palestinese Yasser Arafat (considerato al tempo da Stati Uniti e Israele un terrorista), fino al punto di rischiare uno scontro a fuoco nella base aerea di Sigonella tra la Delta Force (reparto dell’esercito statunitense) e le forze di sicurezza italiane (vigilanza dell’aeronautica militare e carabinieri).
Insomma, con il crollo del muro di Berlino si era presentata l'opportunità di regolare i conti e sbarazzarsi dei vecchi garanti dello status quo italiano, oramai divenuti solo dei pedoni che avevano esaurito il loro scopo originale (la lotta al comunismo appunto), e vista la situazione che si era venuta a creare con lo scandalo di Tangentopoli da una parte e lo stragismo di mafia dall'altra, la tentazione di creare un nuovo e più proficuo equilibrio, era troppa. Bastava solo soffiare sul fuoco.
Ad alcuni esponenti della prima Repubblica però, questo nuovo equilibrio (per motivi più o meno leciti) non andava molto a genio. Una delle riprove più esplicite di questo è da ricercarsi nell’operazione gestita dal Viminale e dal ministero della Difesa (datata 9 novembre del ’93) denominata “Ditex Superga Sette”.
L’Italia, travolta dagli scandali di Tangentopoli e da quello dei fondi neri del Sisde (che arriverà a sfiorare addirittura l’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro), stava fronteggiando un periodo drammatico sia sul piano internazionale (con i mercati finanziari) sia sul piano della politica interna (con la Lega Nord che invocava a gran voce la secessione).
Quella secessione a cui ambivano anche Cosa Nostra e i suoi referenti politici esterni. Da un articolo di "Repubblica" del 5 dicembre ‘93 firmato da Sandra Bonsanti: “Una normale esercitazione di difesa civile e di cooperazione civile-militare", dice il Ministero dell' Interno. "Predisposizioni attuate in tempo di pace, da sempre, per la verifica, di volta in volta, della rispondenza delle misure preventive", dicono al Ministero della Difesa. Vigilia di ballottaggio, ore rese inquiete dalla novità di un durissimo scontro politico: Progressisti contro Lega al Nord; Progressisti contro Msi al Centro-Sud. E in questo scenario di Italia divisa "Il Corriere della Sera" pubblica la notizia dell'esercitazione che tenne impegnati tra il 9 e l'11 novembre scorso prefetture e questure di Lombardia, Piemonte e Liguria e il comando della Regione militare di Nord Ovest. Poco più di un mese fa, in un clima politico arroventato, nei giorni in cui la Lega predicava ipotesi di secessione, qualcuno fra il Viminale e via XX Settembre pensò di mettere alla prova, non sul campo, ma a tavolino, una ipotesi di guerra civile. Col Nord regione ricca e stabile, attaccata dal Sud, coacervo di forze instabili e povere. Il Nord resiste all'attacco, i cattivi sono respinti oltre "confine". Miglio parlava di generali leghisti. E' la prima volta in assoluto, a quanto risulta, che forze dell'ordine e militari si preoccupano di risolvere a tavolino una situazione da rivoluzione interna: si immagina di combattere fra italiani, non contro un nemico esterno, e non contro terroristi del tipo Br. Può davvero essere utile, una tale esercitazione? E come mai una ipotesi del genere è stata studiata? A chi è saltata in mente? Dopo ore e ore di attesa, mentre Bossi già chiede le dimissioni dei responsabili, i vertici del Viminale mettono insieme una smentita che smentita non è. Poche righe per spiegare che l'esercitazione si è chiamata "Superga", che si è svolta proprio tra il 9 e l'11 novembre, e che "operazioni del genere vengono ripetute periodicamente, interessando di volta in volta parti diverse del territorio nazionale; si tratta, in pratica, di verificare la tenuta delle strutture poste a salvaguardia della vita civile del Paese in caso di emergenze esterne o interne". Il Viminale si meraviglia che all'esercitazione "Superga" "possa esser stato attribuito un significato diverso da quello di mera simulazione, non collegata ad alcuna contingenza concreta. Essa ha ricalcato nel suo svolgimento le modalità sempre osservate nelle esercitazioni che l'hanno preceduta a partire dalla fine degli anni Settanta". Tutto regolare, allora? Dal Ministero della Difesa chiariscono che l'operazione si chiamava "Ditex Superga Sette", ed era una delle tante esercitazioni di difesa del territorio e di eventuali obiettivi sensibili "da ipotetici attacchi e/o da sabotaggi". Tutto sulla carta, senza spiegamento di forze. E tutto per verificare "la pianificazione operativa". Esercitazioni programmate con molto anticipo "un anno per l'altro". Ogni anno tocca a turno a una delle cinque regioni militari. Spiegano ancora alla Difesa che quando c' era la contrapposizione fra Est e Ovest sulle cartine le forze amiche erano indicate con l'azzurro e quelle nemiche con l'arancione. Adesso invece gli amici sono verdi, e marroni i nemici. Poco più di un gioco, dunque, a sentire le fonti ufficiali. Un "war game" innocuo, innocente, forse persino inutile. E sarebbe davvero inutile continuare ad occuparsene se non fosse per un paio di "singolarità" che val la pena di sottolineare e che riguardano essenzialmente i momenti politici in cui il giochino viene giocato e in cui il giochino viene reso pubblico da misteriose fonti anche all'interno del Viminale. La prima singolarità riguarda quei giorni di autunno in cui si svolse "Superga". Era stato un crescendo: in ottobre, Gianfranco Miglio aveva vantato il controllo della Lega sulle Forze Armate. Il 9 ottobre il generale Goffredo Canino, capo di Stato maggiore dell'Esercito, risponde che "sarebbe il colmo se l'Esercito stesse con la Lega". L'11 ottobre il ministro della Difesa, Fabio Fabbri attacca Bossi: "Il suo federalismo che, in vista della fondazione della Repubblica del Nord persegue la divisione dell'Italia in tre Stati, è obiettivamente una minaccia per l'unità nazionale". Passano dieci giorni e Canino se ne va, sulla scia delle polemiche nate per la rimozione del generale Biagio Rizzo che aveva sottovalutato il caso Monticone-Di Rosa. Ed eccoci al nove novembre, data di inizio di "Superga". Ciampi sta rispondendo alla Camera sul caso [dei fondi neri del] Sisde, annuncia lo scioglimento di Gladio e si schiera con il presidente della Repubblica. Bossi interviene a Montecitorio e annuncia che siccome la classe politica non intende andare alle elezioni anticipate, si assisterà al "ritiro della delegazione parlamentare della Lega e alla nascita di un governo provvisorio contro questo Parlamento. Questo governo provvisorio" dice il leader della Lega "farà una costituente federalista, naturalmente dove la Lega è presente, è chiaro che partirà dal Nord". Nelle stesse ore, a Milano, il presidente del Senato Spadolini avverte: "Nessuno creda di aver vinto gli spettri del nazionalismo, che si riproduce nell'ombra cupa del nazionalismo. Questi sono i veri pericoli sui quali occorre tenere ben aperti gli occhi e non è neppure estranea la prospettiva traumatica di una balcanizzazione dell'Europa". […]. Alla fine della giornata parla anche [l’esponente Dc Mino] Martinazzoli: "La proposta della Lega è antistorica e quando la storia va indietro la parola va alle armi". […] Mentre Viminale e Difesa "giocano" la "Superga", le forze politiche si attaccano al suon di secessioni minacciate e di accuse di voler rompere l'unità nazionale. Scalfaro riceve Ciampi. […]. Finisce l' esercitazione. La Lega si dedica alla campagna elettorale e usa toni meno allarmanti."
E’ difficile dare una lettura non banale di questa esercitazione.
Forse, "Ditex Superga Sette", non era altro che il colpo di coda della prima Repubblica: la teorizzazione di una sorta di ultima difesa delle istituzioni concepita da quella parte di classe dirigente italiana ancora "integra" (più sul piano giudiziario che su quello politico), desiderosa di mantenere a tutti i costi (per necessità o virtù) il traballante ma pur sempre vigente sistema di potere.
Forse, "Ditex Superga Sette", era l’ultima carta da giocare per provare a bloccare gli effetti più devastanti del piano di destabilizzazione politico-mafioso e quelli del travolgente vento di rinnovamento che stava scuotendo l’Italia. Un rinnovamento che per stessa ammissione dell’ambasciatore americano Bartholomew veniva spronato e alimentato proprio dagli statunitensi; un piano di destabilizzazione (riscontri giudiziari alla mano) che veniva sponsorizzato da ambienti transnazionali riconducibili a certi settori della politica USA e Britannica (vedi il coinvolgimento del “patron” della P2 Licio Gelli e la stesura del progetto “Eurotopia” fatta dell’agente britannico Cyril Northcote Parkinson).
Curiose in tal senso, le parole pronunciate dall’ex Procuratore Nazionale Antimafia Pietro Grasso: "Nel 1993 a Cosa Nostra fu affidata in subappalto una vera e propria strategia della tensione che ebbe nelle bombe di Roma, Milano e Firenze soltanto il suo momento più drammatico, ma ci sono tanti altri episodi da ritirare fuori e rileggere tutti insieme". Le stragi, spiega, furono compiute per spianare la strada a "nuove entità politiche. Con una duplice finalità: orientare la situazione in Sicilia verso una prospettiva indipendentista, sempre balzata fuori nei momenti critici della storia"; e, contemporaneamente, offrire la possibilità a "un’entità esterna" di "riprendere in pugno l’intera situazione economica, politica e sociale" di un paese sotto le "macerie di Tangentopoli"(10).
"L’entità esterna" a cui si riferisce consciamente o meno Grasso, entità che si è sempre nascosta dietro ai vari Andreotti, Berlusconi o qualsiasi altro burattino dall’influenza più o meno elevata, è quella tecnocrazia che per decenni si è celata, e si cela tutt’ora, dietro alle varie realtà istituzionali: ovvero quei gruppi di potenti (in stile Bilderberg Group) che spaziano dalla finanza speculativa, ad un controllo personalistico delle risorse come il petrolio, passando per la massoneria cosiddetta deviata e l’uso criminoso degli apparati d’intelligence. Vere e proprie lobby criminali che all’indomani della strage di Capaci erano già pronte a spartirsi la torta italiana.
Estratto da un documento diffuso dall'Executive Intelligence Review e dal Movimento Solidarietà il 14 gennaio 1993: "Il 2 giugno 1992, a pochi giorni dall'assassinio del giudice Giovanni Falcone, si verificava in tutta riservatezza un altro avvenimento che avrebbe avuto conseguenze molto profonde sul futuro del Paese. Il "Britannia", lo yacht della corona inglese, gettava l'ancora presso le nostre coste con a bordo alcuni nomi illustri del mondo finanziario e bancario inglese: dai rappresentanti della BZW, la ditta di brockeraggio della Barclay's, a quelli della Baring & Co. e della S.G. Warburg. A fare gli onori di casa era la stessa regina Elisabetta II d'Inghilterra. Erano venuti per ricevere alcuni esponenti di maggior conto del mondo imprenditoriale e bancario italiano: rappresentanti dell'ENI, dell'AGIP, Mario Draghi del ministero del Tesoro, Riccardo Gallo dell'IRI, Giovanni Bazoli dell'Ambroveneto, Antonio Pedone della Crediop, alti funzionari della Banca Commerciale e delle Generali, ed altri della Società Autostrade.
Si trattava di discutere i preparativi per liquidare, cedere a interessi privati multinazionali, alcuni dei patrimoni industriali e bancari più prestigiosi del nostro paese. […]. Da parte loro gli inglesi hanno assicurato che la City di Londra era pronta a svolgere un ruolo, ma le dimensioni del mercato borsistico italiano sono troppo minuscole per poter assorbire le grandi somme provenienti da queste privatizzazioni. Ergo: dovete venire a Londra, dove c'è il capitale necessario. Fu poi affidato ai mass media, ed al nuovo governo Amato, il compito di trovare gli argomenti, parlare dell'urgente necessità di privatizzare per ridurre l'enorme deficit del bilancio. […]. L'obiettivo è semplicemente quello di prendere il controllo di ogni aspetto della vita economica italiana sfruttando le numerose scuse di ingovernabilità, corruzione, partitocrazia, inefficienza, ecc. […] A questo punto occorre dedicare qualche riga alle finanziarie di Wall Street che svolgono un ruolo decisivo nella “privatizzazione” delle imprese pubbliche italiane. Sono tre le ditte impiegate all'uopo come “consulenti” del governo Amato: Goldman Sachs, Merrill Lynch e Salomon Brothers. Lo stesso ministro dell'Industria Giuseppe Guarino, contrario a una “svendita” del patrimonio industriale raccolto nelle ex Partecipazioni Statali, sembra riporre fiducia in queste tre finanziarie, i cui dirigenti incontrò il 17 settembre scorso nel corso di un viaggio a New York.
Sono molti attualmente a ritenere la Goldman Sachs la più potente finanziaria di Wall Street, posizione conquistata almeno a partire dal 1991, quando scoppiarono gli scandali di “insider trading” che la coinvolgevano assieme alla Salomon Brothers. Il presidente della Goldman Sachs, Robert Rubin, sarà il capo del Consiglio per la Sicurezza Nazionale del Presidente Clinton. Quel posto dovrà essere un “ufficio di guerra economica” in stile britannico, per fronteggiare quelli che l'ex capo della CIA William Webster chiamò “gli alleati politici e militari dell'America che sono i suoi rivali economici”. Rubin non è il primo dirigente della Goldman Sachs che ricopre una carica nel governo americano. Prima di lui l'attuale vicepresidente, Robert Hormats, fu consigliere di Henry Kissinger al Dipartimento di Stato e un altro “senior partner”, John Whitehead, fu sottosegretario di Stato con Ronald Reagan. La Goldman Sachs é uno dei più influenti manipolatori del prezzo del petrolio e del valore delle monete, che determina tramite la sussidiaria J. Aron & CO., che opera sul mercato delle merci e dei “futures”. La Goldman Sachs ha rafforzato la sua presenza in Italia aprendo nel 1992 un “ufficio operativo” a Milano. […].
La Salomon Brothers domina, assieme alla Goldman Sachs, il commercio di greggio mondiale. La Salomon possiede anche la svizzera Phibro (Philipp Brothers), che opera nel settore delle materie prime. Nel 1989 la Phibro fu coinvolta in un caso di riciclaggio di milioni di dollari ricavati dalla vendita di cocaina negli Stati Uniti. I soldi venivano riciclati dalla banda chiamata “La Mina”, che lavorava per il cartello della coca colombiano, nella Phibro Precious Metal Certificates. Dopo gli scandali di “insider trading” e speculazione su Buoni del Tesoro USA scoppiati nel 1991, a cui abbiamo accennato sopra, ci fu un completo rinnovo dei vertici della finanziaria. Il nuovo presidente, attuale azionista di maggioranza, è Warren Buffett, originario di Omaha, Nebraska. Buffett, oltre ad essere amico intimo di George Bush, è anche il principale azionista del Washington Post e della rete televisiva ABC. Egli possiede vasti interessi anche nell'American Express (del cui consiglio di amministrazione fa parte Henry Kissinger) e nella Wells Fargo Bank. […] La Merrill Lynch è famosa per il ruolo che svolse in una sensazionale operazione di riciclaggio del denaro tra l'Italia, la costa orientale degli Stati Uniti e Lugano. Si tratta della “Pizza connection”, che portò al processo in cui la famiglia mafiosa newyorchese dei Bonanno fu accusata di aver riciclato circa 3,5 miliardi di dollari fino a quando fu arrestata, nel 1984. I Bonanno avevano usato, per i loro traffici, la sede centrale di New York e gli uffici di Lugano della Merrill Lynch. L'aspetto più sconcertante del processo sulla “Pizza connection” in Svizzera e a New York è che essi ignorarono completamente la complicità dei vertici della Merrill Lynch. All'epoca del processo il ministro del Tesoro americano, responsabile per le ispezioni sul riciclaggio del denaro, era l'ex presidente della Merrill Lynch Donald Regan. Il processo si concluse con alcune multe nei confronti di funzionari minori della sede luganese della finanziaria americana, e la storia finì lì. Come è noto, la Merrill Lynch é stata incaricata dall'IRI, il 9 ottobre scorso, di preparare la privatizzazione del Credito Italiano.
Abbiamo fin qui identificato alcuni fatti poco noti che riguardano le tre finanziarie di Wall Street chiamate a svolgere un ruolo decisivo nella valutazione e nella stessa privatizzazione delle imprese pubbliche italiane. Queste finanziarie accedono a dati di grande importanza e delicatezza che riguardano alcune delle più valide imprese europee e si posizionano in assoluto vantaggio come “consiglieri per la privatizzazione”. Naturalmente, tutto secondo una rigida etica professionale e senza conflitti di interesse!"
Una lettura pienamente condivisa anche dall’ex dirigente ENI Benito Livigni: “[Negli anni 90] avevamo una crisi economica ed eravamo usciti dal Sistema Monetario Europeo, ma questo non giustificava l’abolizione del sistema che aveva garantito il Miracolo Economico. Quindi vi fu un attacco allo Stato imprenditore organizzato dalle grandi banche d’affari, che convinsero Ciampi e Amato a liberalizzare il settore pubblico. Mario Draghi, allora direttore generale del Ministero del Tesoro, spinse verso la privatizzazione. Venne distrutto lo Stato imprenditore, l’Eni da 130 mila dipendenti si ridusse a 30 mila, scaricando ai cittadini il costo di questa operazione. Operazione veramente indegna, perché si sono chiuse attività che portavano profitti allo Stato come la Nuovo Pignone, la Lebole, la chimica di base. Si distrusse l’Eni. Il patrimonio immobiliare dell’Eni, che valeva mille miliardi di lire, è stato venduto a Goldman Sachs per una lira. Si è commesso un crimine che secondo me doveva essere perseguito per legge, invece si è andato avanti: si è distrutto l’Iri, l’Imi, il sistema bancario italiano e financo la Banca d’Italia che non esiste più ed ora non abbiamo più un sistema di controllo finanziario. Naturalmente Draghi fu premiato e divenne presidente della Goldman Sachs Europa… Io non so se in un paese sia possibile un conflitto di interesse di questo genere”.
Sempre dal documento diffuso dall'Executive Intelligence Review e dal Movimento Solidarietà il 14 gennaio 1993: "Un capitolo a parte merita il ruolo svolto dalla Lega Nord nella strategia anglo-americana di saccheggio dell'economia italiana. La Lega Nord, infatti, con la sua politica liberista radicale, è lo strumento politico ideale per realizzare gli obiettivi angloamericani. La Lega propone la privatizzazione di ogni attività economica in mano allo stato, dall'energia ai trasporti, dalle industrie di difesa alla Rai. Se si realizzasse la politica della Lega, non occorrerebbe sancire la secessione del Nord dal Sud (e infatti Bossi ha abbandonato il progetto di “Repubblica del Nord”, definendola una “provocazione”), in quanto la Repubblica italiana si frantumerebbe da sé. Allo stato centrale, infatti, secondo i leghisti, resterebbero solo i poteri di battere moneta, di difesa e di politica estera. Ma, poichè il primo è saldamente nelle mani della Banca d'Italia e il secondo, come gli stessi leghisti affermano, sarà delegato a strutture sovrannazionali nell'ambito dei nuovi scenari di guerre Nord-Sud, lo stato nazionale italiano sará una vuota carcassa. Ecco perché la Lega è stata appoggiata dai media che fanno capo alla City di Londra (Economist, Financial Times) e da Wall Street (Wall Street Journal, Time). E' difficile scoprire diretti legami tra questi centri finanziari internazionali e la Lega, anche se si può ipotizzare l'esistenza di contatti nell'ambito di canali massonici. Certamente si nota una straordinaria coincidenza tra l'ideologia leghista e i programmi sviluppati da certi centri studi. Un esempio: la trasformazione dell'Italia in “macroregioni” è una politica ufficialmente promossa dalla Fondazione Agnelli, che alla fine del 1990 avviò un progetto chiamato “Padania”, poi presentato in un convegno tenutosi a Torino l'11 e il 12 giugno 1992, con la partecipazione dell'ideologo della Lega, Gianfranco Miglio. Scopo del convegno fu quello di discutere “soluzioni specifiche, procedurali e/o istituzionali” per l'autonomia amministrativa della “macroregione” Padania, allo scopo di valorizzarne le risorse con “opportune competenze di governo”. Al di là del linguaggio formale, è chiaro che la Fondazione Agnelli promuove il progetto leghista. La Fondazione Agnelli, come è noto, fa capo alla famiglia Agnelli, legata a Enrico Cuccia, il “garante” degli equilibri economico-finanziari tra le grandi famiglie italiane e i centri di potere internazionali, ai quali è collegato tramite la banca Lazard. Checché ne dica Bossi, egli si sta muovendo esattamente verso la distruzione dello stato nazionale, obiettivo ben chiaro nelle strategie dei suoi sponsor internazionali. Lo stesso organo della Lega, Repubblica del Nord, ha pubblicato il 21 ottobre 1992 uno studio promosso dalla “Associazione Americana di Geografia” […] la quale prevede entro sei anni la divisione dell'Italia in cinque repubbliche, Nord, Centro, Sud e le isole. Un progetto coerente col disegno leghista, tanto che l'organo del partito di Bossi se ne compiace, e con quello attribuito alla Mafia di cui ha parlato, in una udienza presso la Commissione Parlamentare Antimafia, il pentito Leonardo Messina."
E’ questa la vera motivazione dietro al piano di smembramento degli stati europei pubblicizzato da Heineken: l’acquisto (tramite le grandi banche anglo-americane) delle principali infrastrutture del paese per provare ad eterodirigerne la politica, limitando così le mire geostrategiche italiane (soprattutto nell’area mediterranea) per favorire quei paesi che da sempre, per motivi geopolitici, sono stati alleati, ma allo stesso tempo avversari del nostro paese. Uno degli esempi più lampanti è la Gran Bretagna; la stessa Gran Bretagna che negò al procuratore Tescaroli una rogatoria per accertare le dichiarazioni rese dal boss Di Carlo riguardo i suoi incontri con esponenti dei servizi segreti di più nazioni al fine di eliminare Falcone.
Finito dunque il periodo di “chaos organizzato” a suon di bombe e scandali veri o presunti, arriva il momento in cui i burattinai della realtà italiana si trovano costretti a scegliere dei personaggi politici locali, il cui scopo sarà quello di garantire quel nuovo equilibrio che renderà possibile il disegno sopradescritto: un piano eversivo che punta ad un ricambio della classe dirigente del nostro paese per dare vita a quel "nuovo ordine deviato massonico politico culturale" descritto a tempo debito dal "premonitore" Ciolini.
Un piano eversivo in cui s’inserisce opportunisticamente anche Cosa Nostra, la quale, analogamente ai burattinai internazionali, voleva fare piazza pulita dei vecchi riferenti politici che avevano “tradito” l’organizzazione. E’ forse questo il motivo per cui gruppi esterni all’organizzazione criminale ritennero utile stabilire, o semplicemente rinnovare, un’alleanza con la mafia siciliana al fine di strumentalizzarla per raggiungere obiettivi sconosciuti o semplicemente ignorati (per motivi prevalentemente culturali) dai picciotti di Cosa Nostra; il processo che crea, come in questo caso, una sorta d’unione d’intenti tra mafia e altri interessi, venne battezzato all’indomani del fallito attentato all’Addaura da Giovanni Falcone come “la saldatura”.
Tra le persone che rientrano in questo concetto di “saldatura”, dati alla mano, c’è sicuramente Silvio Berlusconi: personaggio indubbiamente potente ma allo stesso tempo ricattabile (e quindi nei limiti del possibile controllabile) per i suoi vecchi legami di natura economica con Bettino Craxi, Licio Gelli e Cosa Nostra.
Sarà lui il principale addetto al mantenimento del nuovo equilibrio italiano.
Estratto dall’articolo “Più poveri ma brutti” di Sergio Ferrari e Roberto Romani: "La Relazione sulle privatizzazioni del ministero dell'Economia e delle finanze del luglio 2004 ha fotografato lo stato dell'arte delle privatizzazioni in Italia e come queste hanno contribuito in misura significativa alla riduzione del peso economico pubblico nel consesso internazionale. L'Italia si colloca al secondo posto, tra i paesi di area Ocse, per valore di introiti, e al primo a livello europeo, nella cessione ai privati delle imprese pubbliche. Dal 1994 al 31 dicembre 2003 lo Stato ha ceduto quote di proprietà pubblica per un ammontare di quasi 90 miliardi di euro. Inoltre, se all'inizio della legislatura l'attuale compagine governativa [il secondo governo Berlusconi] aveva una certa difficoltà a mettere all'ordine del giorno la cessione di ulteriori attività pubbliche, con il 2003 il paese riconquista un ruolo di rilievo a livello internazionale. Infatti, l'Italia rappresenta il 34% delle privatizzazioni mondiali nel 2003, cioè molto al di sopra dei picchi, già alti, del 1997 (14%), 1999 (15%) e del 2001 (15%). Nonostante il 2003 sia stato un anno significativamente modesto per le privatizzazioni mondiali, soprattutto se comparate al periodo 1996-2000; nonostante la modesta crescita economica e la profonda crisi della governance finanziaria delle imprese nazionali; nonostante una sostanziale stagnazione degli scambi mobiliari; il governo di centro-destra è riuscito a realizzare operazioni per un controvalore di 16.600.300.500,00 euro".
Scrive Massimo Gaggi sul Corriere della Sera: “Con la conclusione della vendita Telecom [25 ottobre 1997] (ventiseimila miliardi incassati dal Tesoro, l'operazione più grossa mai conclusa in Europa), l'Italia conquista il record mondiale delle privatizzazioni: sui 460 miliardi di dollari del giro d'affari planetario di questo business negli anni '90, gli incassi complessivi realizzati da imprese italiane e dal Tesoro ammontano a circa 100 miliardi di dollari. Nel solo 1997 al Tesoro sono arrivati 32 miliardi di dollari, mentre nello stesso periodo le privatizzazioni spagnole hanno raggiunto i 10 miliardi e quelle francesi i 7,5. La Germania si è fermata a due e mezzo. Nulla di miracoloso, visto che l'Italia partiva da una presenza dello Stato in economia di un'estensione che non ha pari in Occidente. Ma anche un risultato che solo cinque anni fa [nel ‘92], quando il governo Amato aprì la strada delle privatizzazioni con la trasformazione degli enti come Iri, Eni ed Enel in società per azioni, sembrava un traguardo irraggiungibile”.
Ecco, perché non si può dire la verità.
Massimiliano Paoli (M4X)
Note
1 - Grignetti Francesco, Gladio spiava Cosa Nostra, La Stampa.
2 - Palazzolo Salvo, Trapani, tra mafia e servizi deviati, Limes.
3 - Dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria il 9 maggio 1994.
4 - http://www.youtube.com/watch?v=ia5DlqSWeeQ
5 - Lo Bianco Giuseppe; Rizza Sandra, L’agenda rossa di Paolo Borsellino, Chiarelettere.
6 - Torrealta Maurizio; Mottola Giorgio, Processo allo Stato, Biblioteca Universitaria Rizzoli.
7 - Dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria nel 1998 e riprese successivamente dal giornale “la Repubblica” nel 2001.
8 - Maltese Curzio, Sinistra, giudici, Rai ora basta con le guerre, la Repubblica.
9 - Dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria il 28 maggio 1997.
10 - Ziniti Alessandra, Grasso: "Le stragi mafiose del ’93 volevano favorire un’entità politica", la Repubblica.
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