Il mio intervento a Londra presso la LSE si è basato su alcuni effetti che provoca la disoccupazione ai danni delle economie assoggettate al regime di eurozona. In particolare al rapporto internazionale tra creditori-debitori ed il ruolo che gioca la disoccupazione con il concetto di “competitività”.
Ho analizzato quindi il nesso tra disoccupazione e convivenza con una moneta troppo forte in economie totalmente diverse. Il primo effetto della mancanza di lavoro si riversa sull’inflazione:
La disoccupazione rappresenta un vero e proprio tappo alla crescita seppur minima dell’inflazione.
Una situazione di disinflazione, (quasi deflazione) si verifica per il fatto che la mancanza di lavoro fa crollare i consumi, per cui i prezzi, per la legge della domanda e dell’offerta caleranno, quindi si innesca insieme all’austerità, una spirale deflattiva. Non a caso ogni volta che vengono diffusi i dati sulla disoccupazione (sempre in aumento) seguono i dati sull’inflazione (sempre in ribasso).
E’ da ricordare però che malgrado il calo dei prezzi, il potere d’acquisto per i consumatori non aumenterà perché sia la disinflazione e peggio ancora la deflazione sono il risultato del calo ricchezza dei consumatori e quindi del loro potere d’acquisto.
Un esempio eccellente è la spirale deflattiva che sta investendo oggi la Grecia, con una inflazione a - 1,7% (deflazione) e disoccupazione oltre il 27% non è necessario dire che il potere d’acquisto è stato letteralmente polverizzato.
Sintetizzando: La disoccupazione che investe l’eurozona è dovuta ad una crisi da domanda! Ovvero i consumi sono crollati, non si vende, perché non si compra.
Inoltre il datore di lavoro sarà stimolato ad assumere se ha prospettive di vendita e non da un piccolo calo della tassazione del suo lavoratore.
Ma quale categoria può giovare sull’effetto dell’aumento della disoccupazione? Molto probabile per chi vanterà dei crediti, i quali verranno tutelati (grazie all’assenza di inflazione) senza che vi sia una svalutazione del capitale prestato per i più svariati scopi. Più l’inflazione diminuisce andando verso la deflazione e più i capitali dei creditori si rivaluteranno a discapito dei debitori che si vedranno un debito più “pesante” da rimborsare.
Il fatto che i tassi di interesse sui titoli di Stato dei Paesi del sud Europa siano maggiori rispetto ai tassi di inflazione nazionali (con la media europea anch’essa in calo), dimostra una insostenibilità nella gestione dei debiti sovrani. I governi, al fine di evitare speculazioni sui loro titoli pubblici, attueranno in misura maggiore politiche di austerità le quali avranno per effetto l’aumento della disoccupazione e un calo dell’inflazione. Da ciò si evince un avvitamento delle economie prive di moneta sovrana dove i governi, esautorati dai vincoli esterni, non avranno alternativa che attuare tagli alle spese ed aumenti della tassazione.
Ma anche nel comparto dei debiti privati un’inflazione in calo, dovuta alla crescita della disoccupazione, recherà problemi di finanziamento per le piccole e medie imprese, sia in termini di rimborsi che di stretta creditizia, poiché alle banche converrà acquistare titoli di Stato anziché finanziare l’economia reale.
In sostanza la deflazione sarà sempre un vero e proprio surplus per i creditori a danno dei consumatori e dei debitori.
Nel grafico vengono riportati i gap tra i crediti ed i debiti detenuti dalle principali economie dell’eurozona:
Al di sotto della linea retta tutti i paesi in debito mentre al di sopra tutti quelli in credito. (In evidenza lo squilibrio dei crediti tedeschi).
Quindi la paura dell’ inflazione derivante dal trauma infantile relativo alla Repubblica di Weimar non so’ quanto possa reggere...
Inoltre la disoccupazione per il suo effetto, provoca una vera e propria svalutazione interna del lavoro fornendo quella “competitività” ai fattori produttivi che altrimenti sarebbe possibile solo svalutando la moneta.
Veniamo al primo caso:
Oggi l’eurozona soffre di squilibri di competitività tra i suoi paesi aderenti, la Germania alla fine del 2013 ha accumulato surplus commerciali oltre il 6% del proprio PIL, chiaramente a danno dei Paesi periferici che partono svantaggiati per il fatto stesso di avere una moneta (euro) troppo forte per le proprie economie.
La disoccupazione paradossalmente “serve” all’eurozona come aggiustamento di competitività per la bilancia commerciale tramite la svalutazione interna del lavoro.
E’ necessario rimarcare che le famose “Riforme” o “Riforme strutturali”, sono semplicemente mezzi per ridurre al minimo i diritti dei lavoratori al fine di incrementare il precariato, elevando l’età pensionabile, tagliando i salari e aumentando le ore di lavoro.
Il fine di tutto ciò è che la riduzione del costo del lavoro è necessaria per esportare di più all’estero dal momento che non è più possibile svalutare la moneta o meglio non vi è una moneta fluttuante che in momenti di deficit commerciali sarebbe deprezzata. Pertanto la svalutazione del lavoro servirebbe per riequilibrare il saldo commerciale con l’estero. Paradossalmente però la Germania ha in pratica bloccato la rivalutazione della sua moneta, attuando di fatto una vera e propria svalutazione competitiva in quanto i valori dei suoi fondamentali macroeconomici avrebbero apprezzato una sua autonoma valuta.
Questo vero e proprio sistema di mercantilismo, vale a dire sacrificare i salari interni per esportare, sta portando ad un calo dei consumi: stipendi bassi e disoccupazione limitano le importazioni rimettendo in riequilibrio il saldo commerciale con l’estero. La Germania ha attuato una vera e propria politica mercantilista con i minijob tesi a sacrificare la domanda interna a vantaggio di un maggiore export come dimostra il suo attuale surplus ad oltre il 6% del PIL.
La disoccupazione inoltre ha anche il potere di “ricattare” i lavoratori affinché accettino condizioni lavorative prima inaccettabili se questi fossero in regime di piena occupazione.
Oggi si parla non a caso della “competitività spagnola”. Ultimo dato inerente al tasso di disoccupazione spagnolo è del 26.03% (ottobre 2013), mentre gli stipendi sono chiaramente in crollo.
In poche parole, volente o nolente, nell’eurozona si è “competitivi” in funzione di una maggiore disoccupazione.
L’euro forte contribuisce a disciplinare i salari per effetto della svalutazione interna/ “competitività” con l’estero, mentre la svalutazione della moneta tutelerebbe il lavoratore proteggendolo dalle “riforme strutturali in tempi di globalizzazione”.
Ipotizziamo però uno scenario europeo con politiche espansive ovvero senza austerity…
I salari aumentano, lo Stato spende, quindi si adottano politiche espansive per stimolare i consumi. Ma cosa accade in regime di moneta rigida e troppo rivalutata (euro) come il nostro caso?
Con l'euro troppo rivalutato, si verificherebbe un aumento dell'import rispetto all'export e quindi un negativo della bilancia commerciale, ergo un ulteriore arretramento della competitività ed un aumento del debito estero oltre ad un ulteriore calo della produzione industriale (esportando sempre di meno).
I cittadini troverebbero sempre più conveniente importare “grazie” alla moneta forte anziché comprare prodotti nazionali, i quali aumenterebbero di prezzo per effetto di una espansione dei salari.
Per cui si tornerebbe indietro, ovvero imporre austerità e svalutazione interna per rimettere in positivo o riequilibrare almeno il saldo commerciale con l’estero recuperando quella competitività persa per effetto di un aumento dei salari e delle politiche espansive, evitando inoltre anche un maggior indebitamento estero. Ma ciò comporta un crollo della domanda interna come avviene ai nostri giorni.
Di seguito uno schema riassuntivo:
Aumento redditi privati = Domanda interna
Maggiore domanda interna = Aumento consumi ed investimenti.
Aumento consumi ed investimenti = Aumento salari interni.
Con all’ aumento salari interni, grazie all’ euro forte converrà importare.
Perche?
Come detto i salari aumentano grazie alle politiche espansive.
Calo disoccupazione e aumento domanda interna
I nostri prodotti sono meno competitivi perché prezzi crescono
L’effetto si traduce in un calo dell’export ed aumento import (euro forte)
Quindi saldo con l’estero negativo.
Saldo estero negativo= maggiore debito privato e perdita competitività
Ergo
Bentornata austerità…
Quindi?
In tutti e gli due scenari, austerità ed espansione fiscale, l’eurozona si rileva un gioco ad incastro.
La soluzione ideale sarebbe che le politiche espansive debbano essere accompagnate da un cambio flessibile che permetta un incentivo all’export rispetto ad un import contenuto, senza dover ricorrere alla competitività per mezzo della svalutazione del lavoro!
In conclusione, affermare di voler riformare l’Europa rimanendo comunque nell’eurozona, non significa altro che voler cambiare tutto, affinché nulla possa cambiare...
Più l ‘euro è rigido e piu’ i lavoratori devono essere “modernamente flessibili”. Si tratta di una relazione spaventosamente inversa...
Jean Sebastien Schtitzer Lucidi
Tratto da:http://liradidio.blogspot.it
http://frontediliberazionedaibanchieri.it/2014/02/riduzione-dell-inflazione-a-costo-di-essere-disoccupato-ma-competitivo.conferenza-alla-london-school-of-economics.html
Ho analizzato quindi il nesso tra disoccupazione e convivenza con una moneta troppo forte in economie totalmente diverse. Il primo effetto della mancanza di lavoro si riversa sull’inflazione:
La disoccupazione rappresenta un vero e proprio tappo alla crescita seppur minima dell’inflazione.
Una situazione di disinflazione, (quasi deflazione) si verifica per il fatto che la mancanza di lavoro fa crollare i consumi, per cui i prezzi, per la legge della domanda e dell’offerta caleranno, quindi si innesca insieme all’austerità, una spirale deflattiva. Non a caso ogni volta che vengono diffusi i dati sulla disoccupazione (sempre in aumento) seguono i dati sull’inflazione (sempre in ribasso).
E’ da ricordare però che malgrado il calo dei prezzi, il potere d’acquisto per i consumatori non aumenterà perché sia la disinflazione e peggio ancora la deflazione sono il risultato del calo ricchezza dei consumatori e quindi del loro potere d’acquisto.
Un esempio eccellente è la spirale deflattiva che sta investendo oggi la Grecia, con una inflazione a - 1,7% (deflazione) e disoccupazione oltre il 27% non è necessario dire che il potere d’acquisto è stato letteralmente polverizzato.
Sintetizzando: La disoccupazione che investe l’eurozona è dovuta ad una crisi da domanda! Ovvero i consumi sono crollati, non si vende, perché non si compra.
Inoltre il datore di lavoro sarà stimolato ad assumere se ha prospettive di vendita e non da un piccolo calo della tassazione del suo lavoratore.
Ma quale categoria può giovare sull’effetto dell’aumento della disoccupazione? Molto probabile per chi vanterà dei crediti, i quali verranno tutelati (grazie all’assenza di inflazione) senza che vi sia una svalutazione del capitale prestato per i più svariati scopi. Più l’inflazione diminuisce andando verso la deflazione e più i capitali dei creditori si rivaluteranno a discapito dei debitori che si vedranno un debito più “pesante” da rimborsare.
Il fatto che i tassi di interesse sui titoli di Stato dei Paesi del sud Europa siano maggiori rispetto ai tassi di inflazione nazionali (con la media europea anch’essa in calo), dimostra una insostenibilità nella gestione dei debiti sovrani. I governi, al fine di evitare speculazioni sui loro titoli pubblici, attueranno in misura maggiore politiche di austerità le quali avranno per effetto l’aumento della disoccupazione e un calo dell’inflazione. Da ciò si evince un avvitamento delle economie prive di moneta sovrana dove i governi, esautorati dai vincoli esterni, non avranno alternativa che attuare tagli alle spese ed aumenti della tassazione.
Ma anche nel comparto dei debiti privati un’inflazione in calo, dovuta alla crescita della disoccupazione, recherà problemi di finanziamento per le piccole e medie imprese, sia in termini di rimborsi che di stretta creditizia, poiché alle banche converrà acquistare titoli di Stato anziché finanziare l’economia reale.
In sostanza la deflazione sarà sempre un vero e proprio surplus per i creditori a danno dei consumatori e dei debitori.
Nel grafico vengono riportati i gap tra i crediti ed i debiti detenuti dalle principali economie dell’eurozona:
Quindi la paura dell’ inflazione derivante dal trauma infantile relativo alla Repubblica di Weimar non so’ quanto possa reggere...
Inoltre la disoccupazione per il suo effetto, provoca una vera e propria svalutazione interna del lavoro fornendo quella “competitività” ai fattori produttivi che altrimenti sarebbe possibile solo svalutando la moneta.
Veniamo al primo caso:
Oggi l’eurozona soffre di squilibri di competitività tra i suoi paesi aderenti, la Germania alla fine del 2013 ha accumulato surplus commerciali oltre il 6% del proprio PIL, chiaramente a danno dei Paesi periferici che partono svantaggiati per il fatto stesso di avere una moneta (euro) troppo forte per le proprie economie.
La disoccupazione paradossalmente “serve” all’eurozona come aggiustamento di competitività per la bilancia commerciale tramite la svalutazione interna del lavoro.
E’ necessario rimarcare che le famose “Riforme” o “Riforme strutturali”, sono semplicemente mezzi per ridurre al minimo i diritti dei lavoratori al fine di incrementare il precariato, elevando l’età pensionabile, tagliando i salari e aumentando le ore di lavoro.
Il fine di tutto ciò è che la riduzione del costo del lavoro è necessaria per esportare di più all’estero dal momento che non è più possibile svalutare la moneta o meglio non vi è una moneta fluttuante che in momenti di deficit commerciali sarebbe deprezzata. Pertanto la svalutazione del lavoro servirebbe per riequilibrare il saldo commerciale con l’estero. Paradossalmente però la Germania ha in pratica bloccato la rivalutazione della sua moneta, attuando di fatto una vera e propria svalutazione competitiva in quanto i valori dei suoi fondamentali macroeconomici avrebbero apprezzato una sua autonoma valuta.
Questo vero e proprio sistema di mercantilismo, vale a dire sacrificare i salari interni per esportare, sta portando ad un calo dei consumi: stipendi bassi e disoccupazione limitano le importazioni rimettendo in riequilibrio il saldo commerciale con l’estero. La Germania ha attuato una vera e propria politica mercantilista con i minijob tesi a sacrificare la domanda interna a vantaggio di un maggiore export come dimostra il suo attuale surplus ad oltre il 6% del PIL.
La disoccupazione inoltre ha anche il potere di “ricattare” i lavoratori affinché accettino condizioni lavorative prima inaccettabili se questi fossero in regime di piena occupazione.
Oggi si parla non a caso della “competitività spagnola”. Ultimo dato inerente al tasso di disoccupazione spagnolo è del 26.03% (ottobre 2013), mentre gli stipendi sono chiaramente in crollo.
In poche parole, volente o nolente, nell’eurozona si è “competitivi” in funzione di una maggiore disoccupazione.
L’euro forte contribuisce a disciplinare i salari per effetto della svalutazione interna/ “competitività” con l’estero, mentre la svalutazione della moneta tutelerebbe il lavoratore proteggendolo dalle “riforme strutturali in tempi di globalizzazione”.
Ipotizziamo però uno scenario europeo con politiche espansive ovvero senza austerity…
I salari aumentano, lo Stato spende, quindi si adottano politiche espansive per stimolare i consumi. Ma cosa accade in regime di moneta rigida e troppo rivalutata (euro) come il nostro caso?
Con l'euro troppo rivalutato, si verificherebbe un aumento dell'import rispetto all'export e quindi un negativo della bilancia commerciale, ergo un ulteriore arretramento della competitività ed un aumento del debito estero oltre ad un ulteriore calo della produzione industriale (esportando sempre di meno).
I cittadini troverebbero sempre più conveniente importare “grazie” alla moneta forte anziché comprare prodotti nazionali, i quali aumenterebbero di prezzo per effetto di una espansione dei salari.
Per cui si tornerebbe indietro, ovvero imporre austerità e svalutazione interna per rimettere in positivo o riequilibrare almeno il saldo commerciale con l’estero recuperando quella competitività persa per effetto di un aumento dei salari e delle politiche espansive, evitando inoltre anche un maggior indebitamento estero. Ma ciò comporta un crollo della domanda interna come avviene ai nostri giorni.
Di seguito uno schema riassuntivo:
Aumento redditi privati = Domanda interna
Maggiore domanda interna = Aumento consumi ed investimenti.
Aumento consumi ed investimenti = Aumento salari interni.
Con all’ aumento salari interni, grazie all’ euro forte converrà importare.
Perche?
Come detto i salari aumentano grazie alle politiche espansive.
Calo disoccupazione e aumento domanda interna
I nostri prodotti sono meno competitivi perché prezzi crescono
L’effetto si traduce in un calo dell’export ed aumento import (euro forte)
Quindi saldo con l’estero negativo.
Saldo estero negativo= maggiore debito privato e perdita competitività
Ergo
Bentornata austerità…
Quindi?
In tutti e gli due scenari, austerità ed espansione fiscale, l’eurozona si rileva un gioco ad incastro.
La soluzione ideale sarebbe che le politiche espansive debbano essere accompagnate da un cambio flessibile che permetta un incentivo all’export rispetto ad un import contenuto, senza dover ricorrere alla competitività per mezzo della svalutazione del lavoro!
In conclusione, affermare di voler riformare l’Europa rimanendo comunque nell’eurozona, non significa altro che voler cambiare tutto, affinché nulla possa cambiare...
Più l ‘euro è rigido e piu’ i lavoratori devono essere “modernamente flessibili”. Si tratta di una relazione spaventosamente inversa...
Jean Sebastien Schtitzer Lucidi
Tratto da:http://liradidio.blogspot.it
http://frontediliberazionedaibanchieri.it/2014/02/riduzione-dell-inflazione-a-costo-di-essere-disoccupato-ma-competitivo.conferenza-alla-london-school-of-economics.html
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