Intrappolate sotto il fondo dell’oceano potrebbero nascondersi grandi riserve di acqua dolce. A dirlo è un lavoro pubblicato su Nature da Vincent Post della Flinders University, Australia insieme a Jacobus Groen e Henk Kooi (VU University, Amsterdam), Mark Person (New Mexico Tech), Shemin Ge (University of Colorado) e W. Mike Edmunds (University of Oxford).
Secondo gli autori dell’articolo, la presenza di bacini di acqua a bassa salinità sotto il fondo marino sarebbe un fenomeno piuttosto comune e non un’anomalia che si verifica solo in circostanze molto particolari come si pensava finora. Queste riserve, nascoste al di sotto di piattaforme continentali al largo di Sud Africa, Nord America, Australia e Cina, conterrebbero circa 500000 chilometri cubi di acqua a bassa salinità, una quantità pari a quasi 100 volte quella che l’uomo ha estratto dalle falde acquifere terrestri dal 1900 ad oggi ed equivalente al doppio della riserva d’acqua dolce presente sulla Terra tra fiumi e laghi.
L’acqua si sarebbe depositata nel corso di centinaia di migliaia di anni, quando gli oceani avevano minore profondità e l’acqua piovana riusciva a infiltrarsi al di sotto degli strati argillosi del sottosuolo. Con l’innalzamento del livello dei mari causato, a partire da 20000 anni fa, dallo scioglimento delle calotte polari, i bacini sarebbero rimasti intrappolati e protetti al di sotto degli oceani.
Il lavoro di Post e colleghi arriva sul finire dell’anno internazionale dell’acqua e potrebbe portare un po’ di sollievo rispetto alle drammatiche stime dell’UN Water, agenzia delle Nazioni Unite per il controllo delle risorse idriche, secondo cui oggi il 40% della popolazione mondiale deve fare i conti con la scarsità di acqua e il problema della carenza idrica si inasprisce sempre più rapidamente. Nel secolo scorso, anche a causa delle esigenze agricole e della produzione di carne, il consumo di acqua si è sestuplicato, con un tasso di crescita più che doppio rispetto all’aumento della popolazione mondiale. In uno scenario così allarmante l’acqua contenuta in questi bacini può costituire una risorsa preziosissima, infatti, secondo Post la salinità è abbastanza bassa da poterla rendere facilmente acqua potabile. L’accesso a queste riserve potrebbe avvenire con piattaforme offshore di trivellazione simili a quelle petrolifere oppure direttamente dalle coste e dalle isole più vicine.
Tuttavia non è il caso di essere troppo ottimisti: Post e colleghi ricordano che l’acqua contenuta nei bacini suboceanici è una risorsa limitata e non rinnovabile perché le attuali condizioni climatiche non permetteranno, se non tra moltissimi anni, il ripetersi di un fenomeno simile. Inoltre potrebbe essere molto difficile da recuperare con costi sia economici sia ecologici piuttosto alti. Gli autori della ricerca pensano che accedere ai bacini nascosti, infatti, può rivelarsi un’operazione piuttosto complessa: la foratura delle falde rischia di causare una contaminazione tra le acque dolci e l’acqua salata del mare portando un’alterazione degli ecosistemi e provocando criticità ambientali. Si dovranno quindi fare serie valutazioni sul possibile sfruttamento di queste falde, che potrebbe comunque avere impatti e costi minori di altri metodi, come la costruzione di nuove dighe o la desalinizzazione dell’acqua di mare.
Crediti immagine: Kahuroa, Wikimedia Commons
Di Francesca Gatti
Fonti:http://oggiscienza.wordpress.com/2014/01/02/acque-dolci-in-fondo-al-mare/#more-44231
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Secondo gli autori dell’articolo, la presenza di bacini di acqua a bassa salinità sotto il fondo marino sarebbe un fenomeno piuttosto comune e non un’anomalia che si verifica solo in circostanze molto particolari come si pensava finora. Queste riserve, nascoste al di sotto di piattaforme continentali al largo di Sud Africa, Nord America, Australia e Cina, conterrebbero circa 500000 chilometri cubi di acqua a bassa salinità, una quantità pari a quasi 100 volte quella che l’uomo ha estratto dalle falde acquifere terrestri dal 1900 ad oggi ed equivalente al doppio della riserva d’acqua dolce presente sulla Terra tra fiumi e laghi.
L’acqua si sarebbe depositata nel corso di centinaia di migliaia di anni, quando gli oceani avevano minore profondità e l’acqua piovana riusciva a infiltrarsi al di sotto degli strati argillosi del sottosuolo. Con l’innalzamento del livello dei mari causato, a partire da 20000 anni fa, dallo scioglimento delle calotte polari, i bacini sarebbero rimasti intrappolati e protetti al di sotto degli oceani.
Il lavoro di Post e colleghi arriva sul finire dell’anno internazionale dell’acqua e potrebbe portare un po’ di sollievo rispetto alle drammatiche stime dell’UN Water, agenzia delle Nazioni Unite per il controllo delle risorse idriche, secondo cui oggi il 40% della popolazione mondiale deve fare i conti con la scarsità di acqua e il problema della carenza idrica si inasprisce sempre più rapidamente. Nel secolo scorso, anche a causa delle esigenze agricole e della produzione di carne, il consumo di acqua si è sestuplicato, con un tasso di crescita più che doppio rispetto all’aumento della popolazione mondiale. In uno scenario così allarmante l’acqua contenuta in questi bacini può costituire una risorsa preziosissima, infatti, secondo Post la salinità è abbastanza bassa da poterla rendere facilmente acqua potabile. L’accesso a queste riserve potrebbe avvenire con piattaforme offshore di trivellazione simili a quelle petrolifere oppure direttamente dalle coste e dalle isole più vicine.
Tuttavia non è il caso di essere troppo ottimisti: Post e colleghi ricordano che l’acqua contenuta nei bacini suboceanici è una risorsa limitata e non rinnovabile perché le attuali condizioni climatiche non permetteranno, se non tra moltissimi anni, il ripetersi di un fenomeno simile. Inoltre potrebbe essere molto difficile da recuperare con costi sia economici sia ecologici piuttosto alti. Gli autori della ricerca pensano che accedere ai bacini nascosti, infatti, può rivelarsi un’operazione piuttosto complessa: la foratura delle falde rischia di causare una contaminazione tra le acque dolci e l’acqua salata del mare portando un’alterazione degli ecosistemi e provocando criticità ambientali. Si dovranno quindi fare serie valutazioni sul possibile sfruttamento di queste falde, che potrebbe comunque avere impatti e costi minori di altri metodi, come la costruzione di nuove dighe o la desalinizzazione dell’acqua di mare.
Crediti immagine: Kahuroa, Wikimedia Commons
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