di Ezio Albrile
È parte dell’intuizione religiosa di Alberto Moravia il percepire l’erotismo come una forma di conoscenza che nel momento stesso che disvela la realtà, la distrugge: in altri termini si può conoscere il reale per mezzo dell’erotismo, ma al prezzo dell’annientamento completo e irreparabile del reale medesimo. In questo senso l’esperienza erotica si coniuga a quella mistica: ambedue sono senza ritorni, i ponti sono bruciati, il mondo «reale» è perduto per sempre. Altro carattere comune all’esperienza mistica e a quella erotica è che entrambe hanno bisogno dell’eccesso, un eccesso che porta alla morte. Erotismo e misticismo hanno in comune un medesimo fine, la svalutazione del mondo, strumento indispensabile di ogni operazione conoscitiva. Comunque, l’erotismo si rivela elemento di conoscenza soprattutto in quanto non è mai un fatto di natura o meglio soltanto di natura: esso si sforza di conoscere se stesso e attraverso questo sforzo autodistruttivo si manifesta e si esprime. Tali pulsioni, accuratamente soppresse dalla mentalità occidentale prima religiosa e poi culturale, fanno parte di un retaggio misterico arcaico che trova nello gnosticismo ellenistico una compiuta e sofisticata elaborazione. È merito della ricerca storico-religiosa degli ultimi anni aver delimitato le innumerevoli linee di sviluppo del pensiero e della mitologia gnostica, in rapporto ad un insieme generale di tematiche e di motivazioni ontologiche riconducibili a un comune milieu di impostazione dualistica ed anticosmica. Gli orientamenti complessivi dell’ideologia gnostica emergono chiaramente, nella loro essenza come nella loro individuazione storica, proprio dal confronto con la tradizione e con gli elementi dottrinali presenti nella situazione interreligiosa e interculturale che contraddistingue costantemente la storia e lo sviluppo dei movimenti spirituali tra il secondo ed il quarto secolo dopo Cristo. La biblioteca copta di Nag-Hammadi, che raccoglie testi di provenienza diversa (gnostici, ermetici e apocrifi cristiani), sembra riassumere in questo senso il quadro delle trasformazioni e degli esiti culturali caratterizzanti il sincretismo della tarda antichità.
È parte dell’intuizione religiosa di Alberto Moravia il percepire l’erotismo come una forma di conoscenza che nel momento stesso che disvela la realtà, la distrugge: in altri termini si può conoscere il reale per mezzo dell’erotismo, ma al prezzo dell’annientamento completo e irreparabile del reale medesimo. In questo senso l’esperienza erotica si coniuga a quella mistica: ambedue sono senza ritorni, i ponti sono bruciati, il mondo «reale» è perduto per sempre. Altro carattere comune all’esperienza mistica e a quella erotica è che entrambe hanno bisogno dell’eccesso, un eccesso che porta alla morte. Erotismo e misticismo hanno in comune un medesimo fine, la svalutazione del mondo, strumento indispensabile di ogni operazione conoscitiva. Comunque, l’erotismo si rivela elemento di conoscenza soprattutto in quanto non è mai un fatto di natura o meglio soltanto di natura: esso si sforza di conoscere se stesso e attraverso questo sforzo autodistruttivo si manifesta e si esprime. Tali pulsioni, accuratamente soppresse dalla mentalità occidentale prima religiosa e poi culturale, fanno parte di un retaggio misterico arcaico che trova nello gnosticismo ellenistico una compiuta e sofisticata elaborazione. È merito della ricerca storico-religiosa degli ultimi anni aver delimitato le innumerevoli linee di sviluppo del pensiero e della mitologia gnostica, in rapporto ad un insieme generale di tematiche e di motivazioni ontologiche riconducibili a un comune milieu di impostazione dualistica ed anticosmica. Gli orientamenti complessivi dell’ideologia gnostica emergono chiaramente, nella loro essenza come nella loro individuazione storica, proprio dal confronto con la tradizione e con gli elementi dottrinali presenti nella situazione interreligiosa e interculturale che contraddistingue costantemente la storia e lo sviluppo dei movimenti spirituali tra il secondo ed il quarto secolo dopo Cristo. La biblioteca copta di Nag-Hammadi, che raccoglie testi di provenienza diversa (gnostici, ermetici e apocrifi cristiani), sembra riassumere in questo senso il quadro delle trasformazioni e degli esiti culturali caratterizzanti il sincretismo della tarda antichità.
Proprio per la loro ampiezza e complessità, i testi di Nag-Hammadi non rispecchiano unicamente l’attività di questa o di quella fazione gnostica, né un’operazione culturale simile sembra ascrivibile ad un unicoHintergrund religioso riferibile alla tradizione delle conventicole gnostiche del secondo secolo. Il raffronto tra gnosi pagana e gnosi cristiana pone quindi concretamente il problema della natura e delle origini di questa biblioteca, della sua utilizzazione e formazione in lingua copta, tema che coinvolge movimenti e forme di spiritualità variamente presenti nell’Egitto del secondo e quarto secolo. Nei testi di Nag-Hammadi è possibile individuare una struttura mitica ed ontologica implicante nella sua essenza una vicenda di perfezione iniziale, di caduta e di restaurazione finale, di apokatastasis: essa sembra costituire il modello costante di gran parte dei trattati conservati, sia che questi si presentino in una formulazione esplicitamente dualistica, sia che vi alludano soltanto o, come nel caso degli scritti ermetici, appartengano a tutt’altra categoria di pensiero. È un’ipotesi largamente plausibile che nella parabola dell’ideologia gnostica si siano avuti una fase originaria, uno sviluppo ed un intreccio successivi, che non escludono tuttavia elementi persistenti anche nei testi più tardi. Dal punto di vista della classificazione dei testi, è da escludere per la biblioteca di Nag-Hammadi l’immagine di uno Gnosticismo recepito secondo le tradizionali categorie eresiologiche. I criteri di scelta, di valutazione e di accostamento tematico sono di fatto del tutto particolari, presentando negli scritti valentiniani o in quelli di tipo sethiano a carattere triadico peculiarità che, tranne rari casi, sono incompatibili con i sistemi gnostici descritti dagli eresiologi cristiani. È un dato di fatto che a Nag-Hammadi non emerga l’immagine omogenea dello Gnosticismo dei primi secoli, cioè di uno «Gnosticismo unitario». Né questi testi hanno restituito, come si pensava, le voci autentiche di un Valentino o di un Basilide, bensì opere spesso compilatorie a carattere cosmo-antropogonico (è il caso dell’Ipostasi degli Arconti o dello Scritto senza Titolo, anche conosciuto come trattato Sull’Origine del Mondo), oppure veri e propri manuali, sorta di guide litugiche probabilmente utilizzate per favorire l’ascensione celeste dell’Anima al di là delle sfere arcontiche, al fine di pervenire al pleroma divino (è il caso per esempio di Zostriano o di Marsane). Secondo alcuni ciò proverebbe che la biblioteca di Nag-Hammadi appartiene ad un periodo di «dissolvenza ereticale», e non a quello iniziale del movimento gnostico, anche se altri trattati, come ad esempio la Parafrasi di Seem, rivelano una tipologia marcatamente pre-cristiana. L’eterogeneità di questi testi è ascrivibile forse ad un processo di assimilazione e di ricomposizione sincretistico che ha riunito assieme, accanto alla spiritualità degli scritti ermetici ed alle speculazioni di opere manifestamente non gnostiche, come ad esempio le Sentenze di Sesto, gli enunciati anticosmici e dualistici della Testimonianza Veritiera, di Zostriano, della Parafrasi di Seem e di altri testi propriamente gnostici. Dal punto di vista dottrinale sembra che proprio laddove appare più accentuato il contrasto si disvelino alcune affinità di fondo. Il continuo intrecciarsi di elementi differenti si esprime in questi testi mediante iterati richiami alla condanna del mondo, del desiderio e delle passioni, quali manifestazioni corporee della hyle oscura. Vengono poi descritte le vicende e le motivazioni ontologiche che hanno prodotto la condanna dell’Anima, della psyche, in questo mondo, la disgregazione dell’unità primordiale della sostanza divina, la separazione dei sessi e la svalutazione della femminilità nel suo aspetto materiale, hylico (l’aspetto spirituale resta infatti intatto nella sua purezza). Il trascendimento della realtà mondana e del divenire non si limita però nei testi gnostici al conseguimento di una condizione di purità catartica, ma risulta motivato da presupposti di ordine prettamente spirituale, con un costante richiamo all’idea che la vera «verginità» sia quella dellopneuma, dello «Spirito». Altri testi propongono motivazioni differenti, senza espliciti riferimenti alla opposizione tra il Demiurgo omicida e il Dio ineffabile ed ignoto (come ad esempio il Vangelo di Veritào il Trattato sulla Resurrezione). Ma anche in questi scritti viene sottolineata la motivazione ontologica, volta a coniugare, rispetto alle vicissitudini dell’Anima divina, un doppio movimento di descensio e diascensio, di caduta e di reintegrazione. È necessario quindi confrontare, con un simile intento, quelle opere che a Nag-Hammadi presentano, pur in contesti diversi, una medesima tematica di salvezza legata allo anodos ton psychon, alla discesa ed alla risalita dell’Anima di Luce. La costante esposizione di problematiche morali in forma mitologica ricorre in un gruppo di scritti che presentano strette affinità terminologiche e dottrinali, e che sviluppano un’idea centrale riconducibile al tema dell’ambiguità dell’Anima, della sua compromissione con il mondo sensibile e del suo riscatto ontologico. Un esempio deriva dal quadro narrativo di un trattato del quarto codice di Nag-Hammadi, ilLogos Autentico, o Discorso Veritiero, che pone l’anima di fronte ad una decisione fondamentale di scelta tra la Vita e la Morte. L’Anima deve scegliere tra la vita spirituale e la vita dei sensi (che in altri termini rappresenta la morte spirituale): la redenzione è possibile unicamente quando si è giunti al riconoscimento della radice ontologica, della scaturigine celestiale dell’Anima. Occorre dunque decidere tra il Padre divino, inconoscibile, e la terra matrigna, luogo di prigionia e di sofferenza: la libertà, l’emancipazione e la responsabilità dell’Anima si realizzano dunque in questa opzione decisiva. La natura psichica individuale viene aiutata dal nymphios, lo Sposo celeste, senza che la rivelazione divina escluda la possibilità che l’Anima determini da sola il proprio destino di salvezza. Il momento in cui l’uomo viene messo di fronte a questa scelta non appare chiaro: sembrerebbe infatti che lo scritto intenda rimettere ai lettori questa decisione cruciale, optando in un certo senso per una proposta ascetica fondata più sul libero arbitrio che su un determinismo di natura. Il tema dell’Anima legata alla fornicazione, alla porneia, allo scadimento ed alla contaminazione da parte delle passioni corporee, è poi descritta in modo tragicamente espressivo nell’Esegesi dell’Anima:
«… quando discese nel corpo, venuta in questa vita, cadde nelle mani di molti briganti (lestes), e gli sfacciati se la passarono l’un con l’altro e la contaminarono. Alcuni abusarono di lei con violenza, altri invece la persuasero con un dono ingannevole. In breve, fu contaminata. Ella perse la sua verginità (parthenia) e fornicò (porneuein) con il suo corpo e si diede a tutti».
L’espressione porneuein, fornicare, ricorre con frequenza quasi ossessiva in questo testo di Nag-Hammadi. Alla constatazione di un simile stato di impurità, di maculazione e di violenza è legata l’idea della generazione imperfetta dell’Anima, provocata dalla koinonia, dall’unione e dalla commistione con le potenze oscure e malvagie della hyle. Il motivo dell’unione illecita dell’Anima ricorre, in ambiente valentiniano, negli Excerpta ex Theodoto:
«… finché eravamo figli della sola donna come di un’unione vergognosa… eravamo figli della donna. Ma una volta formati dal Salvatore, siamo diventati figli dell’Uomo e della camera nuziale».
La medesima antitesi, letta nei moduli espressivi di una mistica nuziale, tra la koinonia materiale dell’Anima e l’unione con il «vero Sposo», è rintracciabile anche in altri contesti, ad esempio nel nono trattato del Corpus Hermeticum o, in particolare, nel Vangelo di Filippo di Nag-Hammadi:
«Se il matrimonio della contaminazione è nascosto, a maggior ragione il matrimonio immacolato è un vero mistero. Non è carnale, ma puro. Non appartiene alla passione, ma alla volontà. Non appartiene alle Tenebre o alla notte, ma appartiene al giorno e alla Luce».
Nell’Esegesi dell’Anima i due livelli psico-antropologici, quello della caduta e quello della contaminazione nel mondo, sono intimamente connessi: entrambi richiamano una negazione dell’eros, della genesis e della hedoné, visti come concatenazione ed effetto della commistione dell’Anima con desideri e passioni corporee. Un’ermeneutica esistenziale questa, che si precisa in senso ontologico e soteriologico, fermo restando l’evento salvifico che porta l’Anima, cosciente della propria filiazione divina, al ritorno verso la condizione originaria nel pleroma di Luce. La metanoia, la conversione dell’Anima, consisterà infatti nel volgere la matrice, l’utero divino, dall’esterno verso l’interno:
«… allora il Padre avrà pietà di lei e volgerà il suo utero (metra); dall’esterno egli lo volgerà di nuovo verso l’interno, riacquistando l’Anima ciò che le è proprio».
Abbiamo quindi un richiamo esplicito alla verginità ed alla continenza, volta a sottrarre la matrice animica alla contaminazione degli amanti-Arconti: condizione che si realizza attraverso un mutamento di «fisiologia sottile» e di riconquista dello stato di perfezione interiore; difatti solo un comportamento continente può restaurare la condizione di aphtharsia, di integrità e di immortalità. Prestiamo ora attenzione ad un gruppo di testi, sempre conservati a Nag-Hammadi, in cui la teoria della caduta e della risalita dell’Anima divina è pensata, secondo paradigmi più mitologici, in connessione con l’idea di un’unione sessuale con le forze arcontiche (e di separazione da esse), con conseguente riconquista della verginità, parthenia, celestiale. Considerati da questo punto di vista, è possibile rintracciare in essi una medesima linea ermeneutica che si prolunga in ambito manicheo.Collocato nell’ambito di una polemica reinterpretazione del racconto genesiaco intorno alla vicenda del Paradiso terrestre, l’Apokryphon Johannis presenta una lettura dualistica dei passi della Genesi relativi al peccato originale:
«… Il Serpente le insegnò la generazione (sporá) della concupiscenza (epithymia), della contaminazione e della distruzione, poiché queste cose gli sono utili…».
La conoscenza del Bene e del Male viene quindi descritta come una conoscenza di carattere sessuale. La narrazione dell’Apokryphon Johannis riprende alcune linee interpretative persistenti nel racconto gnostico sulla creazione dell’uomo. Il trattato è particolarmente importante, poiché in esso troviamo due diverse chiavi ermeneutiche del testo biblico: da una parte difatti troviamo una forma di esegesi letterale, secondo cui l’Epinoia di Luce spinge Adamo ed Eva a mangiare dell’Albero della Conoscenza, rendendoli così liberi dalla loro ignoranza; dall’altra invece, nelle sequenze successive del mito, è riportata una interpretazione del peccato come di una conoscenza di tipo sessuale (il Serpente trasmette l’insegnamento della procreazione) che non è esclusiva delle scuole gnostiche, ma è molto più antica, diffusa in un ambiente giudeo-cristiano di impostazione fortemente encratita, in cui si privilegiava una rigorosa astinenza in materia sessuale. L’intento ermeneutico dell’autore gnostico dell’Apokryphon Johannis comporta quindi una precisa presa di posizione contro la semplice esegesi letterale dell’Antico Testamento, coinvolgendo in essa tutt’e due queste linee interpretative: il che dimostra come la metafora e l’allegoria gnostiche, attraverso un processo sincretistico di combinazione e di assimilazione di motivi e di tradizioni ermeneutiche differenti, non si riducono semplicemente a trasmettere o a riplasmare in termini antitetici ed eversivi concezioni tradite, ma giungono a coniare categorie religiose nuove, unendo assieme materiali mitologici pre-cristiani biblici, giudaici, greci o iranici, con presupposti ideologico-speculativi tipicamente gnostici.Vedremo come questa forma di sincretismo assuma particolare rilevanza nel Manicheismo; per ora torniamo ai testi gnostici che riportano l’esegesi dei primi tre capitoli della Genesi, quali la Testimonianza Veritiera, l’Ipostasi degli Arconti, il trattato Sull’Origine del Mondo ed altri ancora. Essi presentano, pur con alcune differenze, un capovolgimento radicale dell’ermeneutica tradizionale: la proibizione di Genesi 2, 17 di cibarsi del frutto dell’Albero della Conoscenza del Bene e del Male è spiegata come la volontà gelosa del Demiurgo ignorante e omicida di salvaguardare la sua illusoria unicità, mentre la trasgressione di tale divieto rende accessibile all’uomo la conoscenza, la gnosi dei misteri divini. In particolare il motivo dell’«Albero della Gnosi» insegna esemplarmente a sottrarsi al dominio delle potenze delle Tenebre e ad emanciparsi dalla epithymia, dalla concupiscenza, per conseguire lasynousia mistica con l’elemento salvifico divino. Il tema di fondo resta così sempre legato all’antitesi tra il piano della genesis-phthorá, della generazione e della corruzione, e la perfezione del mondo superiore.Con riferimento ad aspirazioni di rigenerazione spirituale, di palingenesi, le quattro recensioni dell’Apokryphon Johannis narrano, nel quadro di una rigorosa logica gnostica indirizzata ad evitare che l’elemento spirituale, lo pneuma di Luce insito in Adamo possa essere leso e contaminato dal Demiurgo omicida, l’effetto negativo della procreazione scaturita dalla maculazione di Eva da parte delle forze arcontiche:
«… allora Jaldabaoth vide la vergine che stava a fianco di Adamo. Colmo di ignoranza volle produrre una semenza in lei. Egli la contaminò e generò il primo figlio e parimenti il secondo: Jave, dalla faccia d’orso, ed Eloeim, dalla faccia di gatto… Per opera del Primo Arconte ebbe origine l’unione del matrimonio (synousia tou gamou)…».
La tematica sessuale della contaminazione nella procreazione è espressa, con identici riferimenti terminologici, nel ciclo mitico di Eros narrato in Sull’Origine del Mondo:
«… Quando dal luogo di mezzo, situato fra la Luce e le Tenebre, si manifestò l’Eros fra gli angeli e gli uomini, si compì l’amplesso (synousia) dell’Eros. Così sulla terra germinò la prima voluttà (hedoné). La donna seguì la terra, il matrimonio (gamos) seguì la donna, la procreazione (genesis) seguì il matrimonio, la dissoluzione (thanatos) seguì la procreazione. Dopo quell’Eros il ceppo della vigna germinò a partire da quel sangue che era stato versato sulla terra: ecco perché quelli che lo bevono fanno nascere in loro il desiderio (epithymia) dell’amplesso (synousia)…».
L’autore (o gli autori) del trattato gnostico descrive il risultato dell’unione, dell’«amplesso», synousia, tra Eros e Psyche come concatenazione di hedoné-gamos-genesis-thanatos, cioè di voluttà, matrimonio, generazione e procreazione, morte e dissoluzione. In Sull’Origine del Mondo il ruolo di Eros che fonda il «desiderio dell’amplesso», epithymia tes synousias, è illustrato negli stessi termini dell’«Albero della Vita» descritto nell’Apokryphon Johannis, i cui frutti generano il desiderio, epithymia, della morte. In realtà entrambi gli scritti spiegano l’origine dell’unione sessuale, la synousia, della procreazione e della dissoluzione quale caduta da una situazione di perfezione e di unità che legava Adamo all’Eva spirituale (in Sull’Origine del Mondo) e all’Epinoia di Luce (nell’Apokryphon Johannis). Si contrappone quindi a tale stato lapsario di «crisi mitica» il modello del riscatto e dell’emancipazione spirituale rappresentato dalla unio mystica di Adamo con l’entità superiore divina e luminosa. La descrizione del peccato «antecedente» di Adamo ed Eva e delle conseguenti vicende che attivano la generazione corporea è inserita in questi testi in un quadro di opposizioni polari e di differenti livelli ontologici. L’antitesi tra l’Epinoia di Luce che insegna ad impadronirsi della gnosi salvifica e lo «Spirito di Contraffazione», lo antimimon pneuma, che seduce ed inganna l’Anima divina inclinandola al male, riproduce sul piano etico la scelta ontologica di Adamo, che per salvarsi deve riconoscere la «donna spirituale» celeste entro il Serpente, in opposizione all’Eva terrena, che al contrario percepisce nella figura del Serpente unicamente la natura materiale, restando conseguentemente priva dell’illuminazione. La struttura del racconto gnostico, che presenta una morfologia mitica comune sia nell’Apokryphon Johannis che negli altri scritti del secondo codice di Nag-Hammadi, quali il trattatoSull’Origine del Mondo e l’Ipostasi degli Arconti, è rappresentata dall’antitesi simmetrica di Adamo ed Eva, analoga all’opposizione tra intelletto e sensibilità, in cui la mancanza di aisthesis o di ennoia si configura come oblio e insensibilità, come contaminazione e dissipazione, cioè privazione dell’elemento luminoso e spirituale (pneumatikon). Al contrario, l’Epinoia di Luce e l’Eva celeste che scende in Adamo e si unisce con lui rappresentano l’elemento divino sul quale il Demiurgo omicida non ha alcun potere. Si deve inoltre rilevare come la sezione antropogonica del mito gnostico narrato nell’Apokryphon Johannis riporti da un lato una concezione negativa della donna, vista quale elemento materiale contrapposto all’uomo, e dall’altro presenti la stessa positivamente, descrivendo in modo favorevole il valore dell’unione spirituale tra la creatura femminile, nata dalla potenza spirituale dell’Epinoia di Luce, e Adamo che, risvegliato, torna in sé «dall’ebrezza dell’oscurità». Il risveglio dall’ebrezza, dal torpore del mondo, ossia il raggiunto stato di sobrietà dell’intelletto opposto allaepithymia della procreazione, corrisponde in Adamo ad un risveglio (e ad una rigenerazione) spirituale che, sia nell’Apokryphon Johannis che in Sull’Origine del Mondo, rappresenta il momento dell’apokatastasis, della restaurazione dell’immagine originaria di Adamo ed Eva. Lo sdoppiamento e la duplicazione della figura di Eva, madre della generazione carnale e di quella spirituale nel racconto dell’Ipostasi degli Arconti, oppure di Eva e Zoe nel trattato Sull’Origine del Mondo e dell’Epinoia di Luce nell’Apokryphon Johannis, permette di comprendere il contrastato e dicotomico rapporto che lega il pensiero gnostico al problema della femminilità ed il valore che in tale contesto assume l’unione sessuale e matrimoniale. Questo telos, questa finalità della natura umana, implica per gli gnostici un duplice referente simbolico: da una parte vi è infatti la partecipazione alla generazione ed alla corruzione del cosmo tramite il regime della perpetuazione dei corpi fondato dal Demiurgo omicida, mentre dall’altra vi è l’esigenza (o l’autocoscienza) di trascendere la dimensione mondana, terrena e fenomenica, connessa a ciò che potremmo definire un «ideale metaumano di felicità». Nel complesso mitologico che fa da sfondo alla contrapposizione di Adamo e di Eva ed alla loro unione su di un piano spirituale si sovrappongono e si integrano dunque due differenti linee ermeneutiche: una di impostazione prettamente dualistica, e l’altra legata a motivazioni di origine ontologica e spirituale. L’epistrophé, il ritorno alla scaturigine divina rappresentata dal mondo superiore, è quindi finalizzata, pur con sfumature e gradazioni differenti a seconda dei testi, al ripristino della unità spirituale, e di conseguenza anche alla valorizzazione di tematiche nuziali acosmiche e trascendenti, dirette a giustificare il passaggio dalla dualità all’unità. Per approfondire ulteriormente e per comprendere appieno gli schemi mitologici relativi ad Adamo ed alla sua controparte femminile nell’Apokryphon Johannis, nell’Ipostasi degli Arconti e nel trattato Sull’Origine del Mondo, bisogna rifarsi alla classica antropologia tripartita gnostica: Adamo in questo schema rappresenta l’elemento psichico, l’Eva carnale quello corporeo, mentre l’Eva celeste rappresenta quello spirituale. Accanto all’Eva carnale, sedotta dagli Arconti e priva di gnosi, c’è dunque un’Eva spirituale, che esprime nella sua figura l’inclinazione e l’insopprimibile anelito verso il mondo divino e luminoso. Nonostante l’ambiguità di un’immagine femminile dicotomica, sdoppiata tra la Luce e le Tenebre, in questi scritti Adamo ed Eva sono raffigurati sempre in un rapporto di fondamentale unità: il peccato, in tale prospettiva, nasce dalla scissione e dalla separazione dell’elemento divino, lo pneuma luminoso, dall’aspetto femminile di Adamo (egli riconosce infatti nella propria compagna la scintilla divina, lo pneuma che era già in lui), con conseguente adulterio ed unione con le forze arcontiche da parte di Eva. La motivazione ontologica primaria che ricorre in questi testi porta logicamente ad esaltare l’aspetto dualistico, anticosmico, di rifiuto dell’elemento corporeo rappresentato dalla Eva hylica e dall’uso profano, volgare, della sessualità. Di fatto perciò, in un passo del trattato Sull’Origine del Mondo viene enfatizzata l’unione virginale:
«… quando essi si destarono (nephein), videro che erano nudi, e si amarono l’un l’altro».
La separazione di Eva da Adamo rappresenta quindi la scissione dell’unità androgina, infranta ab initio, cioè nell’alveo stesso della divinità. L’idea della separazione della coppia primordiale quale immagine della disgregazione della sostanza luminosa ricorre in un logion del Vangelo di Filippo, dove la scomparsa della differenziazione sessuale è intesa quale veicolo di salvezza:
«Se la donna non si fosse separata dall’uomo, non sarebbe morta con l’uomo; all’origine della morte ci fu la sua separazione. Perciò il Cristo è venuto a porre riparo alla separazione che ebbe inizio fin dal principio e a unire nuovamente i due, a vivificare coloro che erano morti a motivo della separazione».
Anche il Vangelo di Tommaso presenta il compimento dell’escatologia e della salvezza, immaginato come abolizione della dualità dei sessi e conseguente raggiungimento dell’unità pleromatica, e nell’ultimo logion si adombra la possibilità che soltanto quando la donna sarà riassorbita nell’uomo, cioè in Adamo, avrà accesso alla beatitudine celestiale («poiché ogni femmina che diventerà maschio entrerà nel Regno dei Cieli»). Questo motivo della reductio ad masculum, ricorrente nella misteriosofia pitagorica, in cui il nome femminile veniva declinato tra gli iniziati al maschile, secondo l’opinione del coptologo e storico delle religioni Giancarlo Mantovani, permette di individuare nei testi gnostici sin qui presi in esame la convergenza di due fondamentali linee di pensiero, all’origine distinte. E cioè da una parte la tendenza speculativa dualistico-radicale (che raccoglie nel suo alveo numerose speculazioni di origine giudaico-ellenistica, nonché iranica), dall’altra la probabile concezione neo-pitagorica della restaurazione dell’androginia primordiale conseguita attraverso il capovolgimento e l’annullamento delle distinzioni sessuali. I due motivi, secondo il Mantovani, si fonderebbero insieme in ambito gnostico, particolarmente nelle conventicole valentiniane. In tutti questi scritti gnostici qui analizzati, il nucleo effettivo attorno al quale gravitano le molteplici linee interpretative, mediante un continuo utilizzo di immagini di rigenerazione, di palingenesia, è costituito da un dato costante di divisione e di riunificazione, stigma di una precisa condizione spirituale e lapsaria di Adamo. La funzione centrale assegnata alla verginità, alla parthenia, dalla gnosi valentiniana e dall’insieme di scritti che fanno capo al sistema gnostico-ofitico-barbeliota, quest’ultimo ben rappresentato dall’Apokryphon Johannis, è espressa secondo diversi paradigmi mitologici ed è articolata sul piano teogonico, cosmogonico, ed antropogonico. Barbelo, il principio divino femminile dell’Apokryphon Johannis, viene definita quale pneuma parthenikon, quale «Spirito virginale»: l’espressione è una creazione tipica dell’immaginario mitopoietico gnostico e si pone a fondamento sia della sua pneumatologia che della sua ontologia (le quali in realtà coincidono). La vera verginità, secondo gli Gnostici, contro l’interpretazione ortodossa, appartiene alla natura divina, all’incorruttibilità della sostanza luminosa: di qui, conseguentemente, si dischiudono due linee ermeneutico-programmatiche, quella libertina e quella spirituale ascetico-encratita, entrambe percorribili. Tipiche sono quindi le formulazioni mitologiche sull’antitesi tra l’Eva carnale e l’Eva spirituale: tra la figura femminile sedotta dagli Arconti, scaturigine della generazione corporea e del regime di morte e corruzione instaurato dal Demiurgo omicida, e la Madre immacolata, la meter ton zonton, La Sofia-Zoe-Eva spirituale del Vangelo di Filippo, che suscita la palingenesi spirituale. Come il Vangelo di Filippo, anche l’Apokryphon Johannis e l’Ipostasi degli Arconti distinguono due Eve e due Adami: l’Adamo corporeo, che nella synousia, nell’«amplesso» con Eva genera il figlio Caino, e l’Adamo pneumatico, che in comunione spirituale con Eva-Zoe concepisce Seth e i figli della Luce. Lo sfondo teologico che unisce i testi presi in considerazione è così orientato secondo una motivazione spirituale – fondata su basi ontologiche – in cui la riflessione dualistica, anticosmica, è trascesa a favore di una concezione monoteistica. In questo senso i Valentiniani, ed in seguito gli stessi Manichei, sviluppano la loro soteriologia sulla base di una «angelologia» spirituale, riflesso a sua volta di un’intima vicenda di illuminazione interiore. Dall’immagine paolina dell’unione del Cristo con la Chiesa, simbolo dello pneuma agion, dello Spirito Santo, deriva probabilmente la rappresentazione delmysterium coniunctionis tra l’uomo spirituale, lo anthropos photeinos, ed il suo angelo, tra Eva e l’Adamo pneumatico. Questo complesso intrecciarsi di tradizioni dottrinali e di motivi mitici tende a riunirsi attorno a due formulazioni centrali. Da un lato vi è la colpa «antecedente», intesa quale conseguenza dell’ignoranza, della separazione di Eva da Adamo, cioè della scissione dell’elemento sensibile da quello noetico. Un collasso ontologico che riflette a livello antropologico e fenomenico la frantumazione dell’unità pleromatica: difatti la lacerazione dell’unità divina (la «scissione del divino» di Gilles Quispel) è l’origine ontologica della separazione dell’uomo da Dio. Dall’altro vi è poi una ineliminabile «nostalgia delle origini», per dirla con Eliade, l’anelito insopprimibile al ritorno dell’immagine presso il suo angelo e al conseguente ripristino e restaurazione dell’androginia primordiale. Simbolismo che si esprime mediante il mistero valentiniano della syzygia tra lo Spirito e l’Anima, che sigilla, nel gamos virginale, l’unione perenne con Dio: si tratta di un elaborato meccanismo di sublimazione erotica in cui eros e ascesi coincidono nella ricerca di un medesimo fine, cioè il trascendimento delle passioni e del mondo, attuato attraverso l’uso ed il rifiuto di essi. Proprio agli albori del quinto secolo dopo Cristo, ad Alessandria d’Egitto, compare un’opera singolare, la cosiddetta «Theosophia di Tubinga», pervenutaci in condizioni frammentarie, che pone in sostanziale armonia le dottrine pagane con quelle cristiane. L’ottavo ed il nono libro, cioè il nucleo di questo scritto, raccolgono una serie di oracoli sibillini e caldei, assieme a sentenze ascritte ad Ermete e a Pitagora, presentati quali testimoni pagani in favore della dottrina cristiana del Dio unico. Non a caso si è voluto identificare quest’opera con la perduta Theosophia del manicheo Aristocrito. La struttura composita dello scritto sembra non attesti soltanto la trasformazione delle tradizioni oracolari e neoplatoniche in una prospettiva religiosa indirizzata a fondere la teurgia dei prophetai pagani con la rivelazione cristiana. Essa disvela anche un atteggiamento spirituale, «sophianico» del Manicheismo alessandrino, in cui confluiscono elementi gnostici pagani e cristiani. A tale proposito si conoscono le testimonianze di Efrem Siro e di Agostino, che sottolineano la presenza tra i manichei di testi ermetici accanto ad altri tipicamente gnostici. Queste notizie si accordano con la tipologia della documentazione ritrovata a Nag-Hammadi, in cui testi ermetici, gnostici e cristiani esprimono assieme il «dogma misteriosofico» dell’identità dell’Anima con il suo fondamento divino. I caratteri della rivelazione manichea si mostrano infatti principalmente nella funzione del tutto particolare assunta daiprophetai precedenti l’opera illuminatrice di Mani. La stessa dimensione soteriologica del Manicheismo si riflette nei numerosi scritti di Nag-Hammadi che hanno per oggetto le rivelazioni degli Apostoli, raccolte assieme a quelle di Ermete, di Seth, di Zostriano e di Marsane. Il compito dei messaggeri celesti si esprime quindi in questi trattati nella rivelazione del cammino iniziatico verso la salvezza, che appare ritmato in un percorso graduale fatto di gnosi e di ascesi. L’insolita unione di profetologia e ignominia mondana, fondante la logica gnostica, fonda anche letterariamente il romanticismo «gotico»: nel 1820 l’ignoto Charles Robert Maturin dà alle stampe Melmoth the Wanderer un sulfureo romanzo dove si propone «secolarizzata» l’idea del Re del Mondo = Superior incognitus. Il manoscritto ereditato e letto da Melmoth narra le vicissitudini di un certo Stanton e dei suoi incontri con una misteriosa figura «soteriologica», che nel chiuso dell’abiezione manicomiale offre la libertà al suo interlocutore in cambio di un certo dono «animico». La misteriosa figura è il Vagabondo (forse ipostasi del giudeo vagante) deglutitore di anime, un personaggio sfuggente riconoscibile nello «straniero» de La Casa e il Cervello di Edward G.E.L. Bulwer-Lytton, «volto oscuro» di un altro personaggio creato dal medesimo autore, l’ermetista Zanoni, un ingannatore affine all’efebo autore del recentissimo Les secrets de la Tara blanche. La dimensione gnostica del mito si è ulteriormente degradata: il mondo non è solo indecifrabile frastuono, ma lo stesso Redentore è stato fagocitato nel Chaos; è diventato un personaggio vagante, cioè «planetario» secondo l’etimologia greca originaria, che esercita il suo sublime ed abominevole potere sul mondo da un «centro» o «polo» occulto. Gli sprovveduti esoteristi chiamano tale luogo, cavernoso come le intimità femminili, con il nome di Agarttha sperando nei giorni dell’Avvento diabolico di essere i primi ad essere sgozzati. Abbiamo notato come la pressocchè totalità degli scritti di Nag-Hammadi riveli tratti unitari e, sotto il profilo tipologico, concorra a definire una gnosi orientata in senso dualistico e monoteistico allo stesso tempo; circostanza che è altrimenti caratterizzata dall’inserzione, accanto a testi gnostici ed ermetici, di opere che si preoccupano di definire il vero messaggio cristiano attraverso i valori dell’ascesi e delcontemptus mundi, della apotagé, la rinuncia al mondo. Tutti questi elementi ricorrono a Nag-Hammadi, non senza l’intervento di un programma e di un criterio di scelta precostituiti. È qui che forse la biblioteca copta svela gli esiti religiosi più suggestivi della cultura tardo antica: i cinquanta e più trattati di Nag-Hammadi sono espressione infatti di uno Zeitgeist, di un orizzonte di idee che racchiude un mondo in trasformazione. In questa collezione di scritti si esprime non tanto l’attività di questa o quella conventicola gnostica, quanto una tendenza religiosa di tipo universalistico, volta a rappresentare insieme rivelazione pagana e gnosi cristiana. Un simile interesse sincretistico, con le sue esigenze di pietas e fides missionarie, di rinuncia al mondo, di rifiuto della generazione corporea e di astensione alimentare, ha trovato nella Chiesa manichea una eco tutta particolare ed un suo sviluppo indipendente nella direzione di una nuova religione che si presenta al medesimo tempo quale compiuta erede delle precedenti.L’idea dell’Anima divina, luminosa, e della sua contaminazione nel mondo è, come abbiamo visto, tema costante nei testi gnostici. Così nel trattato Sull’Origine del Mondo le potenze delle Tenebre, desiderando di unirsi con la sposa di Adamo, dicono:
«Che cos’è questa Luce? Essa, infatti, assomiglia all’immagine che si è manifestata a noi nella Luce. Orsù, afferriamola, gettiamo in lei il nostro seme (sperma) affinché, una volta macchiata non possa più risalire alla sua Luce, e quelli che partorirà saranno soggetti a noi…».
Altri paralleli a questa concezione si possono rintracciare in alcune sette di Gnostikoi su cui siamo informati da Epifanio di Salamina. I Nicolaiti, ad esempio, si dichiarano adepti della «Grande Madre» Barbelo, entità divina emessa dal Padre. Ella ha la sua dimora nell’ottavo cielo, ed è madre, secondo alcuni, del Demiurgo omicida Yaldabaoth, secondo altri di Sabaoth. Quando il Demiurgo, terminata l’opera della creazione, esclama nel suo ignorante orgoglio: «Io sono il primo, e tranne me non vi è altro dio!», Barbelo si manifesta (phainesthai) agli Arconti nella sua seducente bellezza (en eumorphia) per raccogliere, grazie al piacere suscitato dalla sua vista, il seme che essi emettono ed in cui è contenuta la forza luminosa, al fine di raccogliere e di riunire l’intera potenza (dynamis) di lei dispersa nel mondo. La caratteristica essenziale, propria alla potenza luminosa che appare agli Arconti, è dunque la bellezza, che risveglia in loro la bramosia e il desiderio, provocando l’effusione ed il conseguente recupero della semenza luminosa. Così per i Simoniaci la Ennoia manifesta la sua bellezza (to kallos autes emphainousan) agli Arconti che, presi dal desiderio, la catturano. Secondo i Satorniliani poi, dall’alto si manifesta agli Angeli una Luce sublime, che desta in essi la concupiscenza: di qui il tentativo di catturarla creando l’uomo a loro immagine e somiglianza. Questo mitologema, che trova un suo particolare sviluppo ed elaborazione dottrinale nella Chiesa manichea, va sotto il nome convenzionale di «Seduzione degli Arconti». Esso si situa al confine tra teologia e cosmologia, e narra in forma mitica il dramma dell’elemento spirituale rimasto in illo temporeimprigionato nella materia, nella hyle, dalla quale aspira, con insopprimibile anelito, a liberarsi. Sembra abbastanza ovvio che per la crudezza delle immagini e del linguaggio utilizzati questo mito dovette apparire sgradito e intollerabile ai Padri della Chiesa. In particolare Agostino così descrive questa «nefanda» e «sacrilega» dottrina:
«Questa sublime virtù, che dimora nel naviglio delle acque viventi (vitalium aquarum), tramite i suoi angeli appare in sembianze di fanciulli o di vergini divine alle potenze, la cui natura è fredda e umida, sebbene esse siano schierate nei cieli. Sicuramente alle [potenze] femmine appare sotto forma di fanciulli, ai maschi invece in sembianze di giovani vergini (virginum). I Principi maschi o femmine della stirpe dell’umido e del freddo sono eccitati (solvuntur) dal variare e diversificarsi di questi splendidi e divini personaggi e ciò che in essi vi è di vivente (vitale) si allontana; quello che è rimasto poi, separato (laxatum), è fatto discendere sulla terra attraverso le regioni del freddo e si mescola a tutti i suoi generi…».
Il Tertius Legatus, il Terzo Inviato, il Narisahyazd/Narisafyazd dei testi manichei in medio-iranico (forme linguistiche rispettivamente medio-persiane e partiche dell’avestico Nairyo.sangha corrispondente al pahlavi Neryosang), percorre la volta celeste issato nella sua Nave di Luce, cioè la Luna, mostrandosi in sembianze androgine alle potenze demoniache incatenate: agli Arconti maschi svela la sua essenza femminile, nella bellezza e nello splendore della nudità della Vergine di Luce (in medio-iranico kanig roshn, corrispondente al latino virgo lucis); alle demonesse invece si mostra come divinità solare, nelle sembianze di un giovinetto nudo e raggiante. Tutto questo sortisce l’effetto desiderato: nel loro irrefrenabile desiderio sessuale gli Arconti maschi eiaculano le particelle di Luce sotto forma di sperma che ricade sulla terra, e da essa nascono le piante, le quali contengono di conseguenza un’altissima percentuale di Luce. Le demonesse, già gravide per loro essenza, alla vista della bellezza dell’Inviato celeste abortiscono, dando prematuramente alla luce i loro feti. Questi ultimi, letteralmente proiettati sulla terra, iniziano a cibarsi delle gemme degli alberi, recuperando così le particelle di Luce in esse contenute. L’idea, quindi, è che le particelle di Luce rimaste intrappolate nella Materia finiscono per trovarsi mescolate in parte nel mondo vegetale ed in parte nella stirpe delle potenze demoniache.
In questo mito, ciò che produce l’innamoramento dei demoni è quindi la bellezza, cioè la manifestazione dell’Anima vivente, in medio-iranico griw zindag, l’Anima viva di Agostino, che si mostra nel suo splendore androgino alle potenze delle Tenebre.Un’altra versione di questo mito è riportata nel Ketaba d-’eskolyon, il «Libro degli Scolî» dell’eresiologo siro-nestoriano Teodoro bar Koni:
«… Quando i navigli avanzarono e giunsero nel mezzo dei cieli, allora il Messaggero svelò le sue forme (maschili e femminili), ed apparve a tutti gli Arconti figli delle Tenebre, maschi e femmine. Alla vista del Messaggero, che era bello nelle sue forme, tutti gli Arconti furono infiammati di desiderio: i maschi per la forma delle femmine, e le femmine per la forma dei maschi; ed essi incominciarono a lasciarsi sfuggire, con il loro desiderio, la Luce che avevano inghiottita dai cinque dèi luminosi. Allora il peccato che era in loro escogitò un piano. Esso si era mescolato con la Luce che era fuoriuscita dagli Arconti, come fa un capello in un impasto, e cercava di entrare all’interno [della Luce emessa]. Poi il Messaggero nascose le sue forme e separò la Luce appartenente ai cinque dèi luminosi dal peccato che era con loro; e cadde sugli Arconti ciò che era fuoriuscito, ma essi non lo ricevettero, proprio come fa un uomo disgustato dal suo vomito».
Una singolare interpretazione moderna di questi motivi gnostici è rintracciabile nelle opere dello scrittore e saggista francese Georges Bataille. Secondo Bataille il mito erotico si configura come esperienza ultima in quanto non è semplice rappresentazione ma consumazione totale dell’essere; il mito quindi si identifica non soltanto con la vita – intesa come bios e non come zoe – ma con la perdita della vita, con il decadimento e la morte. A partire dall’essere demiurgico che l’ha generato (sarebbe meglio dire «plasmato») il cosmo di Bataille non è per niente un prodotto esteriore, ma la forma che questo essere indegno assume nelle sue trasmutazioni lubriche, nel dono estatico che fa di se stesso in quanto vittima oscena, in balìa della blasfemia mondana. Peculiare è una empia sequenza della Storia dell’Occhio:
«Quella carogna sacerdotale fu schiaffeggiata violentemente da Simona; vacillò e potemmo svestirlo. Sui vestiti, in terra, Simona accovacciata pisciò come una cagna; poi masturbò il prete e lo succhiò, mentre io entravo in lei, nel suo culo senza resistenza.»
Bagliori di una eiaculazione demonica affini al mito della «Seduzione degli Arconti»: la contemplazione della virgo lucis a cui segue una masturbazione dagli esiti cosmogonici, rappresenta forse la concettualizzazione di ciò che usualmente va sotto il nome di «pornografia». Nel mondo contemporaneo altri punti di contatto con questa sorta di «ierodulia psichica» affiorano nell’opera dello scrittore inglese J.G. Ballard: in romanzi come The Crystal World (trad. it. Foresta di Cristallo) parla di una geografia dell’Anima vergata a partire da diagrammi astrali ed immagini pornografiche; tematica esasperata in testi quali Crash o The Atrocity Exhibition. La porneiadiventa quindi un valore emozionale che dischiude le porte dello spazio interno. Un testo caro alla gnosi ismaelita, l’Ummu’l-kitab, narrando di un mare spermatico in cui galleggiano i relitti dell’archetipologia, lacera un arcano velo sapienziale: oltre si cela il soffice universo endorfinico. Una «democratizzazione del rituale» che porta in sé la propria profanazione. L’idea è afferrata da un William Burroughs neo-manicheo come l’autore dell’Ummu’l-kitab: i suoi «buchi di culo» parlanti sono interstizi oracolari, templi antropocosmici dove si celebra, al pari di Bataille, una liturgia empia. Le elette che nella notizia eresiologica sugli Gnostikoi invitano il neofita al coito molteplice, finalizzato all’oltrepassamento dei 365 Arconti zodiacali-celesti, compiono un analogo rito di palingenesi, letteralmente di «nuova creazione», inteso a dare una «nuova nascita» ad un corpo e ad un individuo non più sottoposti alle dolorose leggi del fato, della heimarmene. È forse la formulazione più antica di quel paradiso luciferico che oggi va molto di moda e «fa tendenza».Così il recente Memmoch the Devil della vampirofila (e un tempo pornografa) Anne Rice evoca un Eden psichedelico, coniugazione di carnalità e devozione mistica, da far invidia al più smaliziato Guerin Meschino; sì, proprio lui, il maldestro viaggiatore il cui nome svela l’identità segreta di adoratore della fica, venerata sotto le spoglie della Shekinà (un connubio sia etimologico che concettuale). Tornando alle scritture gnostiche antiche, non c’è infine da meravigliarsi se il mito manicheo stabilisce una corrispondenza così stretta tra le particelle di Luce e lo sperma: la Luce si travasa di corpo in corpo e nella sua prigione materiale, attraverso la generazione corporea, si è potuta emancipare dai lacci oscuri dellahyle tramite la polluzione degli Arconti. Questa concezione, legata all’aspetto seminale della Luce, ha avuto nel Manicheismo un particolare sviluppo dottrinale nell’accentuato rigorismo sessuale e alimentare (encratismo) professato dagli electi proprio per una motivazione ontologica (che ovviamente trascende un moralismo spicciolo) secondo cui la procreazione rappresenterebbe un’ulteriore caduta delle particelle luminose in nuove prigioni corporee. In un magistrale lavoro di alcuni anni fa, Gherardo Gnoli ha dimostrato come non esista soluzione di continuità tra le concezioni del mazdeismo zoroastriano e quelle manichee riguardo al rapporto seme-Luce ora precisato: nelle scritture manichee si ha infatti una persistenza di motivi tradizionali della religiosità iranica, come dimostra, fra l’altro, il perpetuarsi della concezione iranica dello «splendore» luminoso e fiammeggiante, lo xvarnah-, che costituisce nel Manicheismo il primo elemento della pentade luminosa. Gli antichi maestri dell’arte medica greca immaginavano che lo sperma, proveniente dal midollo spinale, fosse un fluido igneo, lo pneuma. Queste speculazioni mediche affondano le loro radici in una mythische Vorstellung, come la chiamava Geo Widengren, che si ritrova anche nella cultura indo-iranica. Il fondamento ideologico di tutte queste dottrine è che l’elemento più elevato e prezioso del corpo umano sia il fuoco: l’uomo in quanto microcosmo è formato, come l’universo, di quattro elementi, la terra, l’acqua, l’aria e il fuoco (in ordine di importanza). L’Anima, la psyche, è un soffio infuocato, di conseguenza anche lo sperma è una sostanza ignea, considerato come lopneuma di cui è il ricettacolo. Il seme infatti non equivale sic et simpliciter alla Luce, esso non è il principio luminoso, bensì è la materia che lo contiene e ne è il veicolo. Quindi, per la corrispondenza esistente tra macrocosmo e microcosmo, il Sole, la Luna e gli astri sono anch’essi composti di una sostanza affine al pyr, al fuoco: di lassù proviene l’identità spirituale dell’uomo e lassù quindi ritorna. In ogni caso, salva restando la possibilità, del tutto verosimile, di un incontro con il pensiero greco, l’Iran del mazdeismo zoroastriano, secondo Gherardo Gnoli, deve aver fornito un contributo certamente determinante a questo punto centrale del sistema manicheo, cioè il rapporto Luce-seme, basato su dati tanto mitologici quanto fisiologici. E questo anche perché la comparazione tra le dottrine religiose iraniche e manichee in questo campo rivela un linguaggio fondamentalmente identico ed un patrimonio mitico che non varia gran che. Con ciò naturalmente non si vuole negare l’apporto tutt’altro che trascurabile che il pensiero greco deve aver fornito al Manicheismo, soprattutto attraverso gli scritti e le dottrine delle sette gnostiche. Eros e cosmogonia nei miti gnostici sono come s’è visto coinvolti nella ricerca di un medesimo fine, cioè il trascendimento di questa modalità di esistenza: un paradosso, poiché la stessa energia che ha creato ed alimenta l’illusione di «questo mondo» è alla base del suo annientamento.
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«… quando discese nel corpo, venuta in questa vita, cadde nelle mani di molti briganti (lestes), e gli sfacciati se la passarono l’un con l’altro e la contaminarono. Alcuni abusarono di lei con violenza, altri invece la persuasero con un dono ingannevole. In breve, fu contaminata. Ella perse la sua verginità (parthenia) e fornicò (porneuein) con il suo corpo e si diede a tutti».
L’espressione porneuein, fornicare, ricorre con frequenza quasi ossessiva in questo testo di Nag-Hammadi. Alla constatazione di un simile stato di impurità, di maculazione e di violenza è legata l’idea della generazione imperfetta dell’Anima, provocata dalla koinonia, dall’unione e dalla commistione con le potenze oscure e malvagie della hyle. Il motivo dell’unione illecita dell’Anima ricorre, in ambiente valentiniano, negli Excerpta ex Theodoto:
«… finché eravamo figli della sola donna come di un’unione vergognosa… eravamo figli della donna. Ma una volta formati dal Salvatore, siamo diventati figli dell’Uomo e della camera nuziale».
La medesima antitesi, letta nei moduli espressivi di una mistica nuziale, tra la koinonia materiale dell’Anima e l’unione con il «vero Sposo», è rintracciabile anche in altri contesti, ad esempio nel nono trattato del Corpus Hermeticum o, in particolare, nel Vangelo di Filippo di Nag-Hammadi:
«Se il matrimonio della contaminazione è nascosto, a maggior ragione il matrimonio immacolato è un vero mistero. Non è carnale, ma puro. Non appartiene alla passione, ma alla volontà. Non appartiene alle Tenebre o alla notte, ma appartiene al giorno e alla Luce».
Nell’Esegesi dell’Anima i due livelli psico-antropologici, quello della caduta e quello della contaminazione nel mondo, sono intimamente connessi: entrambi richiamano una negazione dell’eros, della genesis e della hedoné, visti come concatenazione ed effetto della commistione dell’Anima con desideri e passioni corporee. Un’ermeneutica esistenziale questa, che si precisa in senso ontologico e soteriologico, fermo restando l’evento salvifico che porta l’Anima, cosciente della propria filiazione divina, al ritorno verso la condizione originaria nel pleroma di Luce. La metanoia, la conversione dell’Anima, consisterà infatti nel volgere la matrice, l’utero divino, dall’esterno verso l’interno:
«… allora il Padre avrà pietà di lei e volgerà il suo utero (metra); dall’esterno egli lo volgerà di nuovo verso l’interno, riacquistando l’Anima ciò che le è proprio».
Abbiamo quindi un richiamo esplicito alla verginità ed alla continenza, volta a sottrarre la matrice animica alla contaminazione degli amanti-Arconti: condizione che si realizza attraverso un mutamento di «fisiologia sottile» e di riconquista dello stato di perfezione interiore; difatti solo un comportamento continente può restaurare la condizione di aphtharsia, di integrità e di immortalità. Prestiamo ora attenzione ad un gruppo di testi, sempre conservati a Nag-Hammadi, in cui la teoria della caduta e della risalita dell’Anima divina è pensata, secondo paradigmi più mitologici, in connessione con l’idea di un’unione sessuale con le forze arcontiche (e di separazione da esse), con conseguente riconquista della verginità, parthenia, celestiale. Considerati da questo punto di vista, è possibile rintracciare in essi una medesima linea ermeneutica che si prolunga in ambito manicheo.Collocato nell’ambito di una polemica reinterpretazione del racconto genesiaco intorno alla vicenda del Paradiso terrestre, l’Apokryphon Johannis presenta una lettura dualistica dei passi della Genesi relativi al peccato originale:
«… Il Serpente le insegnò la generazione (sporá) della concupiscenza (epithymia), della contaminazione e della distruzione, poiché queste cose gli sono utili…».
La conoscenza del Bene e del Male viene quindi descritta come una conoscenza di carattere sessuale. La narrazione dell’Apokryphon Johannis riprende alcune linee interpretative persistenti nel racconto gnostico sulla creazione dell’uomo. Il trattato è particolarmente importante, poiché in esso troviamo due diverse chiavi ermeneutiche del testo biblico: da una parte difatti troviamo una forma di esegesi letterale, secondo cui l’Epinoia di Luce spinge Adamo ed Eva a mangiare dell’Albero della Conoscenza, rendendoli così liberi dalla loro ignoranza; dall’altra invece, nelle sequenze successive del mito, è riportata una interpretazione del peccato come di una conoscenza di tipo sessuale (il Serpente trasmette l’insegnamento della procreazione) che non è esclusiva delle scuole gnostiche, ma è molto più antica, diffusa in un ambiente giudeo-cristiano di impostazione fortemente encratita, in cui si privilegiava una rigorosa astinenza in materia sessuale. L’intento ermeneutico dell’autore gnostico dell’Apokryphon Johannis comporta quindi una precisa presa di posizione contro la semplice esegesi letterale dell’Antico Testamento, coinvolgendo in essa tutt’e due queste linee interpretative: il che dimostra come la metafora e l’allegoria gnostiche, attraverso un processo sincretistico di combinazione e di assimilazione di motivi e di tradizioni ermeneutiche differenti, non si riducono semplicemente a trasmettere o a riplasmare in termini antitetici ed eversivi concezioni tradite, ma giungono a coniare categorie religiose nuove, unendo assieme materiali mitologici pre-cristiani biblici, giudaici, greci o iranici, con presupposti ideologico-speculativi tipicamente gnostici.Vedremo come questa forma di sincretismo assuma particolare rilevanza nel Manicheismo; per ora torniamo ai testi gnostici che riportano l’esegesi dei primi tre capitoli della Genesi, quali la Testimonianza Veritiera, l’Ipostasi degli Arconti, il trattato Sull’Origine del Mondo ed altri ancora. Essi presentano, pur con alcune differenze, un capovolgimento radicale dell’ermeneutica tradizionale: la proibizione di Genesi 2, 17 di cibarsi del frutto dell’Albero della Conoscenza del Bene e del Male è spiegata come la volontà gelosa del Demiurgo ignorante e omicida di salvaguardare la sua illusoria unicità, mentre la trasgressione di tale divieto rende accessibile all’uomo la conoscenza, la gnosi dei misteri divini. In particolare il motivo dell’«Albero della Gnosi» insegna esemplarmente a sottrarsi al dominio delle potenze delle Tenebre e ad emanciparsi dalla epithymia, dalla concupiscenza, per conseguire lasynousia mistica con l’elemento salvifico divino. Il tema di fondo resta così sempre legato all’antitesi tra il piano della genesis-phthorá, della generazione e della corruzione, e la perfezione del mondo superiore.Con riferimento ad aspirazioni di rigenerazione spirituale, di palingenesi, le quattro recensioni dell’Apokryphon Johannis narrano, nel quadro di una rigorosa logica gnostica indirizzata ad evitare che l’elemento spirituale, lo pneuma di Luce insito in Adamo possa essere leso e contaminato dal Demiurgo omicida, l’effetto negativo della procreazione scaturita dalla maculazione di Eva da parte delle forze arcontiche:
«… allora Jaldabaoth vide la vergine che stava a fianco di Adamo. Colmo di ignoranza volle produrre una semenza in lei. Egli la contaminò e generò il primo figlio e parimenti il secondo: Jave, dalla faccia d’orso, ed Eloeim, dalla faccia di gatto… Per opera del Primo Arconte ebbe origine l’unione del matrimonio (synousia tou gamou)…».
La tematica sessuale della contaminazione nella procreazione è espressa, con identici riferimenti terminologici, nel ciclo mitico di Eros narrato in Sull’Origine del Mondo:
«… Quando dal luogo di mezzo, situato fra la Luce e le Tenebre, si manifestò l’Eros fra gli angeli e gli uomini, si compì l’amplesso (synousia) dell’Eros. Così sulla terra germinò la prima voluttà (hedoné). La donna seguì la terra, il matrimonio (gamos) seguì la donna, la procreazione (genesis) seguì il matrimonio, la dissoluzione (thanatos) seguì la procreazione. Dopo quell’Eros il ceppo della vigna germinò a partire da quel sangue che era stato versato sulla terra: ecco perché quelli che lo bevono fanno nascere in loro il desiderio (epithymia) dell’amplesso (synousia)…».
L’autore (o gli autori) del trattato gnostico descrive il risultato dell’unione, dell’«amplesso», synousia, tra Eros e Psyche come concatenazione di hedoné-gamos-genesis-thanatos, cioè di voluttà, matrimonio, generazione e procreazione, morte e dissoluzione. In Sull’Origine del Mondo il ruolo di Eros che fonda il «desiderio dell’amplesso», epithymia tes synousias, è illustrato negli stessi termini dell’«Albero della Vita» descritto nell’Apokryphon Johannis, i cui frutti generano il desiderio, epithymia, della morte. In realtà entrambi gli scritti spiegano l’origine dell’unione sessuale, la synousia, della procreazione e della dissoluzione quale caduta da una situazione di perfezione e di unità che legava Adamo all’Eva spirituale (in Sull’Origine del Mondo) e all’Epinoia di Luce (nell’Apokryphon Johannis). Si contrappone quindi a tale stato lapsario di «crisi mitica» il modello del riscatto e dell’emancipazione spirituale rappresentato dalla unio mystica di Adamo con l’entità superiore divina e luminosa. La descrizione del peccato «antecedente» di Adamo ed Eva e delle conseguenti vicende che attivano la generazione corporea è inserita in questi testi in un quadro di opposizioni polari e di differenti livelli ontologici. L’antitesi tra l’Epinoia di Luce che insegna ad impadronirsi della gnosi salvifica e lo «Spirito di Contraffazione», lo antimimon pneuma, che seduce ed inganna l’Anima divina inclinandola al male, riproduce sul piano etico la scelta ontologica di Adamo, che per salvarsi deve riconoscere la «donna spirituale» celeste entro il Serpente, in opposizione all’Eva terrena, che al contrario percepisce nella figura del Serpente unicamente la natura materiale, restando conseguentemente priva dell’illuminazione. La struttura del racconto gnostico, che presenta una morfologia mitica comune sia nell’Apokryphon Johannis che negli altri scritti del secondo codice di Nag-Hammadi, quali il trattatoSull’Origine del Mondo e l’Ipostasi degli Arconti, è rappresentata dall’antitesi simmetrica di Adamo ed Eva, analoga all’opposizione tra intelletto e sensibilità, in cui la mancanza di aisthesis o di ennoia si configura come oblio e insensibilità, come contaminazione e dissipazione, cioè privazione dell’elemento luminoso e spirituale (pneumatikon). Al contrario, l’Epinoia di Luce e l’Eva celeste che scende in Adamo e si unisce con lui rappresentano l’elemento divino sul quale il Demiurgo omicida non ha alcun potere. Si deve inoltre rilevare come la sezione antropogonica del mito gnostico narrato nell’Apokryphon Johannis riporti da un lato una concezione negativa della donna, vista quale elemento materiale contrapposto all’uomo, e dall’altro presenti la stessa positivamente, descrivendo in modo favorevole il valore dell’unione spirituale tra la creatura femminile, nata dalla potenza spirituale dell’Epinoia di Luce, e Adamo che, risvegliato, torna in sé «dall’ebrezza dell’oscurità». Il risveglio dall’ebrezza, dal torpore del mondo, ossia il raggiunto stato di sobrietà dell’intelletto opposto allaepithymia della procreazione, corrisponde in Adamo ad un risveglio (e ad una rigenerazione) spirituale che, sia nell’Apokryphon Johannis che in Sull’Origine del Mondo, rappresenta il momento dell’apokatastasis, della restaurazione dell’immagine originaria di Adamo ed Eva. Lo sdoppiamento e la duplicazione della figura di Eva, madre della generazione carnale e di quella spirituale nel racconto dell’Ipostasi degli Arconti, oppure di Eva e Zoe nel trattato Sull’Origine del Mondo e dell’Epinoia di Luce nell’Apokryphon Johannis, permette di comprendere il contrastato e dicotomico rapporto che lega il pensiero gnostico al problema della femminilità ed il valore che in tale contesto assume l’unione sessuale e matrimoniale. Questo telos, questa finalità della natura umana, implica per gli gnostici un duplice referente simbolico: da una parte vi è infatti la partecipazione alla generazione ed alla corruzione del cosmo tramite il regime della perpetuazione dei corpi fondato dal Demiurgo omicida, mentre dall’altra vi è l’esigenza (o l’autocoscienza) di trascendere la dimensione mondana, terrena e fenomenica, connessa a ciò che potremmo definire un «ideale metaumano di felicità». Nel complesso mitologico che fa da sfondo alla contrapposizione di Adamo e di Eva ed alla loro unione su di un piano spirituale si sovrappongono e si integrano dunque due differenti linee ermeneutiche: una di impostazione prettamente dualistica, e l’altra legata a motivazioni di origine ontologica e spirituale. L’epistrophé, il ritorno alla scaturigine divina rappresentata dal mondo superiore, è quindi finalizzata, pur con sfumature e gradazioni differenti a seconda dei testi, al ripristino della unità spirituale, e di conseguenza anche alla valorizzazione di tematiche nuziali acosmiche e trascendenti, dirette a giustificare il passaggio dalla dualità all’unità. Per approfondire ulteriormente e per comprendere appieno gli schemi mitologici relativi ad Adamo ed alla sua controparte femminile nell’Apokryphon Johannis, nell’Ipostasi degli Arconti e nel trattato Sull’Origine del Mondo, bisogna rifarsi alla classica antropologia tripartita gnostica: Adamo in questo schema rappresenta l’elemento psichico, l’Eva carnale quello corporeo, mentre l’Eva celeste rappresenta quello spirituale. Accanto all’Eva carnale, sedotta dagli Arconti e priva di gnosi, c’è dunque un’Eva spirituale, che esprime nella sua figura l’inclinazione e l’insopprimibile anelito verso il mondo divino e luminoso. Nonostante l’ambiguità di un’immagine femminile dicotomica, sdoppiata tra la Luce e le Tenebre, in questi scritti Adamo ed Eva sono raffigurati sempre in un rapporto di fondamentale unità: il peccato, in tale prospettiva, nasce dalla scissione e dalla separazione dell’elemento divino, lo pneuma luminoso, dall’aspetto femminile di Adamo (egli riconosce infatti nella propria compagna la scintilla divina, lo pneuma che era già in lui), con conseguente adulterio ed unione con le forze arcontiche da parte di Eva. La motivazione ontologica primaria che ricorre in questi testi porta logicamente ad esaltare l’aspetto dualistico, anticosmico, di rifiuto dell’elemento corporeo rappresentato dalla Eva hylica e dall’uso profano, volgare, della sessualità. Di fatto perciò, in un passo del trattato Sull’Origine del Mondo viene enfatizzata l’unione virginale:
«… quando essi si destarono (nephein), videro che erano nudi, e si amarono l’un l’altro».
La separazione di Eva da Adamo rappresenta quindi la scissione dell’unità androgina, infranta ab initio, cioè nell’alveo stesso della divinità. L’idea della separazione della coppia primordiale quale immagine della disgregazione della sostanza luminosa ricorre in un logion del Vangelo di Filippo, dove la scomparsa della differenziazione sessuale è intesa quale veicolo di salvezza:
«Se la donna non si fosse separata dall’uomo, non sarebbe morta con l’uomo; all’origine della morte ci fu la sua separazione. Perciò il Cristo è venuto a porre riparo alla separazione che ebbe inizio fin dal principio e a unire nuovamente i due, a vivificare coloro che erano morti a motivo della separazione».
Anche il Vangelo di Tommaso presenta il compimento dell’escatologia e della salvezza, immaginato come abolizione della dualità dei sessi e conseguente raggiungimento dell’unità pleromatica, e nell’ultimo logion si adombra la possibilità che soltanto quando la donna sarà riassorbita nell’uomo, cioè in Adamo, avrà accesso alla beatitudine celestiale («poiché ogni femmina che diventerà maschio entrerà nel Regno dei Cieli»). Questo motivo della reductio ad masculum, ricorrente nella misteriosofia pitagorica, in cui il nome femminile veniva declinato tra gli iniziati al maschile, secondo l’opinione del coptologo e storico delle religioni Giancarlo Mantovani, permette di individuare nei testi gnostici sin qui presi in esame la convergenza di due fondamentali linee di pensiero, all’origine distinte. E cioè da una parte la tendenza speculativa dualistico-radicale (che raccoglie nel suo alveo numerose speculazioni di origine giudaico-ellenistica, nonché iranica), dall’altra la probabile concezione neo-pitagorica della restaurazione dell’androginia primordiale conseguita attraverso il capovolgimento e l’annullamento delle distinzioni sessuali. I due motivi, secondo il Mantovani, si fonderebbero insieme in ambito gnostico, particolarmente nelle conventicole valentiniane. In tutti questi scritti gnostici qui analizzati, il nucleo effettivo attorno al quale gravitano le molteplici linee interpretative, mediante un continuo utilizzo di immagini di rigenerazione, di palingenesia, è costituito da un dato costante di divisione e di riunificazione, stigma di una precisa condizione spirituale e lapsaria di Adamo. La funzione centrale assegnata alla verginità, alla parthenia, dalla gnosi valentiniana e dall’insieme di scritti che fanno capo al sistema gnostico-ofitico-barbeliota, quest’ultimo ben rappresentato dall’Apokryphon Johannis, è espressa secondo diversi paradigmi mitologici ed è articolata sul piano teogonico, cosmogonico, ed antropogonico. Barbelo, il principio divino femminile dell’Apokryphon Johannis, viene definita quale pneuma parthenikon, quale «Spirito virginale»: l’espressione è una creazione tipica dell’immaginario mitopoietico gnostico e si pone a fondamento sia della sua pneumatologia che della sua ontologia (le quali in realtà coincidono). La vera verginità, secondo gli Gnostici, contro l’interpretazione ortodossa, appartiene alla natura divina, all’incorruttibilità della sostanza luminosa: di qui, conseguentemente, si dischiudono due linee ermeneutico-programmatiche, quella libertina e quella spirituale ascetico-encratita, entrambe percorribili. Tipiche sono quindi le formulazioni mitologiche sull’antitesi tra l’Eva carnale e l’Eva spirituale: tra la figura femminile sedotta dagli Arconti, scaturigine della generazione corporea e del regime di morte e corruzione instaurato dal Demiurgo omicida, e la Madre immacolata, la meter ton zonton, La Sofia-Zoe-Eva spirituale del Vangelo di Filippo, che suscita la palingenesi spirituale. Come il Vangelo di Filippo, anche l’Apokryphon Johannis e l’Ipostasi degli Arconti distinguono due Eve e due Adami: l’Adamo corporeo, che nella synousia, nell’«amplesso» con Eva genera il figlio Caino, e l’Adamo pneumatico, che in comunione spirituale con Eva-Zoe concepisce Seth e i figli della Luce. Lo sfondo teologico che unisce i testi presi in considerazione è così orientato secondo una motivazione spirituale – fondata su basi ontologiche – in cui la riflessione dualistica, anticosmica, è trascesa a favore di una concezione monoteistica. In questo senso i Valentiniani, ed in seguito gli stessi Manichei, sviluppano la loro soteriologia sulla base di una «angelologia» spirituale, riflesso a sua volta di un’intima vicenda di illuminazione interiore. Dall’immagine paolina dell’unione del Cristo con la Chiesa, simbolo dello pneuma agion, dello Spirito Santo, deriva probabilmente la rappresentazione delmysterium coniunctionis tra l’uomo spirituale, lo anthropos photeinos, ed il suo angelo, tra Eva e l’Adamo pneumatico. Questo complesso intrecciarsi di tradizioni dottrinali e di motivi mitici tende a riunirsi attorno a due formulazioni centrali. Da un lato vi è la colpa «antecedente», intesa quale conseguenza dell’ignoranza, della separazione di Eva da Adamo, cioè della scissione dell’elemento sensibile da quello noetico. Un collasso ontologico che riflette a livello antropologico e fenomenico la frantumazione dell’unità pleromatica: difatti la lacerazione dell’unità divina (la «scissione del divino» di Gilles Quispel) è l’origine ontologica della separazione dell’uomo da Dio. Dall’altro vi è poi una ineliminabile «nostalgia delle origini», per dirla con Eliade, l’anelito insopprimibile al ritorno dell’immagine presso il suo angelo e al conseguente ripristino e restaurazione dell’androginia primordiale. Simbolismo che si esprime mediante il mistero valentiniano della syzygia tra lo Spirito e l’Anima, che sigilla, nel gamos virginale, l’unione perenne con Dio: si tratta di un elaborato meccanismo di sublimazione erotica in cui eros e ascesi coincidono nella ricerca di un medesimo fine, cioè il trascendimento delle passioni e del mondo, attuato attraverso l’uso ed il rifiuto di essi. Proprio agli albori del quinto secolo dopo Cristo, ad Alessandria d’Egitto, compare un’opera singolare, la cosiddetta «Theosophia di Tubinga», pervenutaci in condizioni frammentarie, che pone in sostanziale armonia le dottrine pagane con quelle cristiane. L’ottavo ed il nono libro, cioè il nucleo di questo scritto, raccolgono una serie di oracoli sibillini e caldei, assieme a sentenze ascritte ad Ermete e a Pitagora, presentati quali testimoni pagani in favore della dottrina cristiana del Dio unico. Non a caso si è voluto identificare quest’opera con la perduta Theosophia del manicheo Aristocrito. La struttura composita dello scritto sembra non attesti soltanto la trasformazione delle tradizioni oracolari e neoplatoniche in una prospettiva religiosa indirizzata a fondere la teurgia dei prophetai pagani con la rivelazione cristiana. Essa disvela anche un atteggiamento spirituale, «sophianico» del Manicheismo alessandrino, in cui confluiscono elementi gnostici pagani e cristiani. A tale proposito si conoscono le testimonianze di Efrem Siro e di Agostino, che sottolineano la presenza tra i manichei di testi ermetici accanto ad altri tipicamente gnostici. Queste notizie si accordano con la tipologia della documentazione ritrovata a Nag-Hammadi, in cui testi ermetici, gnostici e cristiani esprimono assieme il «dogma misteriosofico» dell’identità dell’Anima con il suo fondamento divino. I caratteri della rivelazione manichea si mostrano infatti principalmente nella funzione del tutto particolare assunta daiprophetai precedenti l’opera illuminatrice di Mani. La stessa dimensione soteriologica del Manicheismo si riflette nei numerosi scritti di Nag-Hammadi che hanno per oggetto le rivelazioni degli Apostoli, raccolte assieme a quelle di Ermete, di Seth, di Zostriano e di Marsane. Il compito dei messaggeri celesti si esprime quindi in questi trattati nella rivelazione del cammino iniziatico verso la salvezza, che appare ritmato in un percorso graduale fatto di gnosi e di ascesi. L’insolita unione di profetologia e ignominia mondana, fondante la logica gnostica, fonda anche letterariamente il romanticismo «gotico»: nel 1820 l’ignoto Charles Robert Maturin dà alle stampe Melmoth the Wanderer un sulfureo romanzo dove si propone «secolarizzata» l’idea del Re del Mondo = Superior incognitus. Il manoscritto ereditato e letto da Melmoth narra le vicissitudini di un certo Stanton e dei suoi incontri con una misteriosa figura «soteriologica», che nel chiuso dell’abiezione manicomiale offre la libertà al suo interlocutore in cambio di un certo dono «animico». La misteriosa figura è il Vagabondo (forse ipostasi del giudeo vagante) deglutitore di anime, un personaggio sfuggente riconoscibile nello «straniero» de La Casa e il Cervello di Edward G.E.L. Bulwer-Lytton, «volto oscuro» di un altro personaggio creato dal medesimo autore, l’ermetista Zanoni, un ingannatore affine all’efebo autore del recentissimo Les secrets de la Tara blanche. La dimensione gnostica del mito si è ulteriormente degradata: il mondo non è solo indecifrabile frastuono, ma lo stesso Redentore è stato fagocitato nel Chaos; è diventato un personaggio vagante, cioè «planetario» secondo l’etimologia greca originaria, che esercita il suo sublime ed abominevole potere sul mondo da un «centro» o «polo» occulto. Gli sprovveduti esoteristi chiamano tale luogo, cavernoso come le intimità femminili, con il nome di Agarttha sperando nei giorni dell’Avvento diabolico di essere i primi ad essere sgozzati. Abbiamo notato come la pressocchè totalità degli scritti di Nag-Hammadi riveli tratti unitari e, sotto il profilo tipologico, concorra a definire una gnosi orientata in senso dualistico e monoteistico allo stesso tempo; circostanza che è altrimenti caratterizzata dall’inserzione, accanto a testi gnostici ed ermetici, di opere che si preoccupano di definire il vero messaggio cristiano attraverso i valori dell’ascesi e delcontemptus mundi, della apotagé, la rinuncia al mondo. Tutti questi elementi ricorrono a Nag-Hammadi, non senza l’intervento di un programma e di un criterio di scelta precostituiti. È qui che forse la biblioteca copta svela gli esiti religiosi più suggestivi della cultura tardo antica: i cinquanta e più trattati di Nag-Hammadi sono espressione infatti di uno Zeitgeist, di un orizzonte di idee che racchiude un mondo in trasformazione. In questa collezione di scritti si esprime non tanto l’attività di questa o quella conventicola gnostica, quanto una tendenza religiosa di tipo universalistico, volta a rappresentare insieme rivelazione pagana e gnosi cristiana. Un simile interesse sincretistico, con le sue esigenze di pietas e fides missionarie, di rinuncia al mondo, di rifiuto della generazione corporea e di astensione alimentare, ha trovato nella Chiesa manichea una eco tutta particolare ed un suo sviluppo indipendente nella direzione di una nuova religione che si presenta al medesimo tempo quale compiuta erede delle precedenti.L’idea dell’Anima divina, luminosa, e della sua contaminazione nel mondo è, come abbiamo visto, tema costante nei testi gnostici. Così nel trattato Sull’Origine del Mondo le potenze delle Tenebre, desiderando di unirsi con la sposa di Adamo, dicono:
«Che cos’è questa Luce? Essa, infatti, assomiglia all’immagine che si è manifestata a noi nella Luce. Orsù, afferriamola, gettiamo in lei il nostro seme (sperma) affinché, una volta macchiata non possa più risalire alla sua Luce, e quelli che partorirà saranno soggetti a noi…».
Altri paralleli a questa concezione si possono rintracciare in alcune sette di Gnostikoi su cui siamo informati da Epifanio di Salamina. I Nicolaiti, ad esempio, si dichiarano adepti della «Grande Madre» Barbelo, entità divina emessa dal Padre. Ella ha la sua dimora nell’ottavo cielo, ed è madre, secondo alcuni, del Demiurgo omicida Yaldabaoth, secondo altri di Sabaoth. Quando il Demiurgo, terminata l’opera della creazione, esclama nel suo ignorante orgoglio: «Io sono il primo, e tranne me non vi è altro dio!», Barbelo si manifesta (phainesthai) agli Arconti nella sua seducente bellezza (en eumorphia) per raccogliere, grazie al piacere suscitato dalla sua vista, il seme che essi emettono ed in cui è contenuta la forza luminosa, al fine di raccogliere e di riunire l’intera potenza (dynamis) di lei dispersa nel mondo. La caratteristica essenziale, propria alla potenza luminosa che appare agli Arconti, è dunque la bellezza, che risveglia in loro la bramosia e il desiderio, provocando l’effusione ed il conseguente recupero della semenza luminosa. Così per i Simoniaci la Ennoia manifesta la sua bellezza (to kallos autes emphainousan) agli Arconti che, presi dal desiderio, la catturano. Secondo i Satorniliani poi, dall’alto si manifesta agli Angeli una Luce sublime, che desta in essi la concupiscenza: di qui il tentativo di catturarla creando l’uomo a loro immagine e somiglianza. Questo mitologema, che trova un suo particolare sviluppo ed elaborazione dottrinale nella Chiesa manichea, va sotto il nome convenzionale di «Seduzione degli Arconti». Esso si situa al confine tra teologia e cosmologia, e narra in forma mitica il dramma dell’elemento spirituale rimasto in illo temporeimprigionato nella materia, nella hyle, dalla quale aspira, con insopprimibile anelito, a liberarsi. Sembra abbastanza ovvio che per la crudezza delle immagini e del linguaggio utilizzati questo mito dovette apparire sgradito e intollerabile ai Padri della Chiesa. In particolare Agostino così descrive questa «nefanda» e «sacrilega» dottrina:
«Questa sublime virtù, che dimora nel naviglio delle acque viventi (vitalium aquarum), tramite i suoi angeli appare in sembianze di fanciulli o di vergini divine alle potenze, la cui natura è fredda e umida, sebbene esse siano schierate nei cieli. Sicuramente alle [potenze] femmine appare sotto forma di fanciulli, ai maschi invece in sembianze di giovani vergini (virginum). I Principi maschi o femmine della stirpe dell’umido e del freddo sono eccitati (solvuntur) dal variare e diversificarsi di questi splendidi e divini personaggi e ciò che in essi vi è di vivente (vitale) si allontana; quello che è rimasto poi, separato (laxatum), è fatto discendere sulla terra attraverso le regioni del freddo e si mescola a tutti i suoi generi…».
Il Tertius Legatus, il Terzo Inviato, il Narisahyazd/Narisafyazd dei testi manichei in medio-iranico (forme linguistiche rispettivamente medio-persiane e partiche dell’avestico Nairyo.sangha corrispondente al pahlavi Neryosang), percorre la volta celeste issato nella sua Nave di Luce, cioè la Luna, mostrandosi in sembianze androgine alle potenze demoniache incatenate: agli Arconti maschi svela la sua essenza femminile, nella bellezza e nello splendore della nudità della Vergine di Luce (in medio-iranico kanig roshn, corrispondente al latino virgo lucis); alle demonesse invece si mostra come divinità solare, nelle sembianze di un giovinetto nudo e raggiante. Tutto questo sortisce l’effetto desiderato: nel loro irrefrenabile desiderio sessuale gli Arconti maschi eiaculano le particelle di Luce sotto forma di sperma che ricade sulla terra, e da essa nascono le piante, le quali contengono di conseguenza un’altissima percentuale di Luce. Le demonesse, già gravide per loro essenza, alla vista della bellezza dell’Inviato celeste abortiscono, dando prematuramente alla luce i loro feti. Questi ultimi, letteralmente proiettati sulla terra, iniziano a cibarsi delle gemme degli alberi, recuperando così le particelle di Luce in esse contenute. L’idea, quindi, è che le particelle di Luce rimaste intrappolate nella Materia finiscono per trovarsi mescolate in parte nel mondo vegetale ed in parte nella stirpe delle potenze demoniache.
In questo mito, ciò che produce l’innamoramento dei demoni è quindi la bellezza, cioè la manifestazione dell’Anima vivente, in medio-iranico griw zindag, l’Anima viva di Agostino, che si mostra nel suo splendore androgino alle potenze delle Tenebre.Un’altra versione di questo mito è riportata nel Ketaba d-’eskolyon, il «Libro degli Scolî» dell’eresiologo siro-nestoriano Teodoro bar Koni:
«… Quando i navigli avanzarono e giunsero nel mezzo dei cieli, allora il Messaggero svelò le sue forme (maschili e femminili), ed apparve a tutti gli Arconti figli delle Tenebre, maschi e femmine. Alla vista del Messaggero, che era bello nelle sue forme, tutti gli Arconti furono infiammati di desiderio: i maschi per la forma delle femmine, e le femmine per la forma dei maschi; ed essi incominciarono a lasciarsi sfuggire, con il loro desiderio, la Luce che avevano inghiottita dai cinque dèi luminosi. Allora il peccato che era in loro escogitò un piano. Esso si era mescolato con la Luce che era fuoriuscita dagli Arconti, come fa un capello in un impasto, e cercava di entrare all’interno [della Luce emessa]. Poi il Messaggero nascose le sue forme e separò la Luce appartenente ai cinque dèi luminosi dal peccato che era con loro; e cadde sugli Arconti ciò che era fuoriuscito, ma essi non lo ricevettero, proprio come fa un uomo disgustato dal suo vomito».
Una singolare interpretazione moderna di questi motivi gnostici è rintracciabile nelle opere dello scrittore e saggista francese Georges Bataille. Secondo Bataille il mito erotico si configura come esperienza ultima in quanto non è semplice rappresentazione ma consumazione totale dell’essere; il mito quindi si identifica non soltanto con la vita – intesa come bios e non come zoe – ma con la perdita della vita, con il decadimento e la morte. A partire dall’essere demiurgico che l’ha generato (sarebbe meglio dire «plasmato») il cosmo di Bataille non è per niente un prodotto esteriore, ma la forma che questo essere indegno assume nelle sue trasmutazioni lubriche, nel dono estatico che fa di se stesso in quanto vittima oscena, in balìa della blasfemia mondana. Peculiare è una empia sequenza della Storia dell’Occhio:
«Quella carogna sacerdotale fu schiaffeggiata violentemente da Simona; vacillò e potemmo svestirlo. Sui vestiti, in terra, Simona accovacciata pisciò come una cagna; poi masturbò il prete e lo succhiò, mentre io entravo in lei, nel suo culo senza resistenza.»
Bagliori di una eiaculazione demonica affini al mito della «Seduzione degli Arconti»: la contemplazione della virgo lucis a cui segue una masturbazione dagli esiti cosmogonici, rappresenta forse la concettualizzazione di ciò che usualmente va sotto il nome di «pornografia». Nel mondo contemporaneo altri punti di contatto con questa sorta di «ierodulia psichica» affiorano nell’opera dello scrittore inglese J.G. Ballard: in romanzi come The Crystal World (trad. it. Foresta di Cristallo) parla di una geografia dell’Anima vergata a partire da diagrammi astrali ed immagini pornografiche; tematica esasperata in testi quali Crash o The Atrocity Exhibition. La porneiadiventa quindi un valore emozionale che dischiude le porte dello spazio interno. Un testo caro alla gnosi ismaelita, l’Ummu’l-kitab, narrando di un mare spermatico in cui galleggiano i relitti dell’archetipologia, lacera un arcano velo sapienziale: oltre si cela il soffice universo endorfinico. Una «democratizzazione del rituale» che porta in sé la propria profanazione. L’idea è afferrata da un William Burroughs neo-manicheo come l’autore dell’Ummu’l-kitab: i suoi «buchi di culo» parlanti sono interstizi oracolari, templi antropocosmici dove si celebra, al pari di Bataille, una liturgia empia. Le elette che nella notizia eresiologica sugli Gnostikoi invitano il neofita al coito molteplice, finalizzato all’oltrepassamento dei 365 Arconti zodiacali-celesti, compiono un analogo rito di palingenesi, letteralmente di «nuova creazione», inteso a dare una «nuova nascita» ad un corpo e ad un individuo non più sottoposti alle dolorose leggi del fato, della heimarmene. È forse la formulazione più antica di quel paradiso luciferico che oggi va molto di moda e «fa tendenza».Così il recente Memmoch the Devil della vampirofila (e un tempo pornografa) Anne Rice evoca un Eden psichedelico, coniugazione di carnalità e devozione mistica, da far invidia al più smaliziato Guerin Meschino; sì, proprio lui, il maldestro viaggiatore il cui nome svela l’identità segreta di adoratore della fica, venerata sotto le spoglie della Shekinà (un connubio sia etimologico che concettuale). Tornando alle scritture gnostiche antiche, non c’è infine da meravigliarsi se il mito manicheo stabilisce una corrispondenza così stretta tra le particelle di Luce e lo sperma: la Luce si travasa di corpo in corpo e nella sua prigione materiale, attraverso la generazione corporea, si è potuta emancipare dai lacci oscuri dellahyle tramite la polluzione degli Arconti. Questa concezione, legata all’aspetto seminale della Luce, ha avuto nel Manicheismo un particolare sviluppo dottrinale nell’accentuato rigorismo sessuale e alimentare (encratismo) professato dagli electi proprio per una motivazione ontologica (che ovviamente trascende un moralismo spicciolo) secondo cui la procreazione rappresenterebbe un’ulteriore caduta delle particelle luminose in nuove prigioni corporee. In un magistrale lavoro di alcuni anni fa, Gherardo Gnoli ha dimostrato come non esista soluzione di continuità tra le concezioni del mazdeismo zoroastriano e quelle manichee riguardo al rapporto seme-Luce ora precisato: nelle scritture manichee si ha infatti una persistenza di motivi tradizionali della religiosità iranica, come dimostra, fra l’altro, il perpetuarsi della concezione iranica dello «splendore» luminoso e fiammeggiante, lo xvarnah-, che costituisce nel Manicheismo il primo elemento della pentade luminosa. Gli antichi maestri dell’arte medica greca immaginavano che lo sperma, proveniente dal midollo spinale, fosse un fluido igneo, lo pneuma. Queste speculazioni mediche affondano le loro radici in una mythische Vorstellung, come la chiamava Geo Widengren, che si ritrova anche nella cultura indo-iranica. Il fondamento ideologico di tutte queste dottrine è che l’elemento più elevato e prezioso del corpo umano sia il fuoco: l’uomo in quanto microcosmo è formato, come l’universo, di quattro elementi, la terra, l’acqua, l’aria e il fuoco (in ordine di importanza). L’Anima, la psyche, è un soffio infuocato, di conseguenza anche lo sperma è una sostanza ignea, considerato come lopneuma di cui è il ricettacolo. Il seme infatti non equivale sic et simpliciter alla Luce, esso non è il principio luminoso, bensì è la materia che lo contiene e ne è il veicolo. Quindi, per la corrispondenza esistente tra macrocosmo e microcosmo, il Sole, la Luna e gli astri sono anch’essi composti di una sostanza affine al pyr, al fuoco: di lassù proviene l’identità spirituale dell’uomo e lassù quindi ritorna. In ogni caso, salva restando la possibilità, del tutto verosimile, di un incontro con il pensiero greco, l’Iran del mazdeismo zoroastriano, secondo Gherardo Gnoli, deve aver fornito un contributo certamente determinante a questo punto centrale del sistema manicheo, cioè il rapporto Luce-seme, basato su dati tanto mitologici quanto fisiologici. E questo anche perché la comparazione tra le dottrine religiose iraniche e manichee in questo campo rivela un linguaggio fondamentalmente identico ed un patrimonio mitico che non varia gran che. Con ciò naturalmente non si vuole negare l’apporto tutt’altro che trascurabile che il pensiero greco deve aver fornito al Manicheismo, soprattutto attraverso gli scritti e le dottrine delle sette gnostiche. Eros e cosmogonia nei miti gnostici sono come s’è visto coinvolti nella ricerca di un medesimo fine, cioè il trascendimento di questa modalità di esistenza: un paradosso, poiché la stessa energia che ha creato ed alimenta l’illusione di «questo mondo» è alla base del suo annientamento.
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