"THE END"

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mercoledì 24 aprile 2013

L’Italia ripudia la guerra? No, l'Italia è in guerra!!!



L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

Articolo 11


“Dagli Usa arriva un apparente voltafaccia rispetto agli impegni di Barack Obama verso il disarmo nucleare. Il Pentagono si appresta infatti a spendere 11 miliardi di dollari per ammodernare 200 ordigni nucleari tattici B61 allocati in Europa per trasformarli in “bombe atomiche intelligenti (teleguidate)” sganciabili dal controverso caccia di ultima generazione F-35, di cui si doterà anche l’Italia. E’ quanto rivela il britannico Guardian.
Le B61 sono ordigni americani conservati negli arsenali Nato europei. Sono ‘nascosti’ in Belgio, Olanda, Germania, Turchia, ma anche in Italia sul cui territorio sono ancora presenti 90 di questi ordigni (70 secondo le ultimissime stime): 50 ad Aviano in Friuli e 40 (20) a Ghedi, in provincia di Brescia”.

http://www.repubblica.it/esteri/2013/04/21/news/usa_11_miliardi_per_adeguare_le_atomiche_agli_f-35-57197605/?ref=HREC1-6

L’Italia ha una spina dorsale? Ci piace essere una colonia? Preferiamo la pace o la guerra? La missione storica dell’Italia repubblicana è il dialogo, la diplomazia, la democrazia globale oppure dotarsi dei mezzi necessari a penetrare altre nazioni senza poter essere rilevati dai radar per sganciare bombe atomiche? È questo tipo di abominio che si aspettavano da noi i padri e le madri costituenti?

Io penso che loro avessero in mente un’Italia diversa, che non si fa guidare dal risentimento, dal manicheismo, da progetti sfacciatamente imperialistici di altre potenze che seminano morte, odio, rancore che fomenta il terrorismo ed il fondamentalismo, separatismo che conduce alle guerre civili, arbitrio dei signori della guerra e, in prospettiva, inquinamento radioattivo. L’Italia dovrebbe essere garante di pace e mediazione, invece scarichiamo le nostre responsabilità: “non siamo noi, sono gli americani che sbagliano”. Nessuno dei nostri governanti recenti, però, sembra avere il coraggio o la volontà di farglielo presente.

Nel frattempo, un passo dopo l’altro, intorno a noi si diffonde l’anarchia violenta e il crimine impunito: Kosovo, Libia, Mali, Siria – tutte le ex colonie italiane sono nel caos o sono rette da governi dispotici. Partecipiamo a missioni di pace che sembrano più che altro missioni di occupazione per conto di altri. Siamo degli insulsi vassalli privi di sovranità e di coscienza, incapaci di porre fine o almeno districarci dallo stallo bellico della “Guerra al Terrore”.

Non penso che fosse questa la responsabilità storica dell’Italia com’era stata concepita da chi ha costruito la nostra repubblica. Credo che invece il nostro paese, così immaginativo, creativo, originale, pionieristico abbia ricevuto in dote la missione di sperimentare strade nuove per giungere ad un mondo nuovo di concordia, di unità nella diversità, in cui la fiducia e il rispetto prevalgono sul sospetto e il disprezzo. Entrambe le sue componenti, quella laica non-religiosa e quella cattolica (laica o meno), si ispirano a precetti che sono incompatibili con la nostra condotta attuale e con la nostra vocazione.

Dunque compito dell’Italia, quando avrà ritrovato la bussola, sarà quello di far ragionare la Germania nel campo economico e gli Stati Uniti in quello militare. Avrà bisogno di alleati per farlo, ma non mancheranno, perché molti hanno visto dove termina il sentiero che abbiamo imboccato e stanno pensando a come cambiare strada.

*****

“Dopo la rielezione di Napolitano assisteremo alla costituzione di un ennesimo “governo tecnico”, impegnato a mettere in pratica le indicazioni di quei cosiddetti “saggi” che hanno formalizzato in due documenti di straordinaria miopia quel pugno di soluzioni di piccolo cabotaggio ritenute necessarie a perpetuare il sistema nel suo insieme, partendo dal presupposto che, in un momento di giganteschi mutamenti come quelli in corso a livello mondiale (crisi del capitalismo finanziario; spostamento sul Pacifico della competizione geo-politica; riemergere su scala mondiale della questione sociale; progressivo indebolimento dell’Europa unita), questo sia sufficiente a garantire ai partiti la perpetuazione del loro potere e degli equilibri affaristici che lo alimentano.

[…].

Occorre parlare di riorganizzazione del sistema sociale, inclusa la concezione del lavoro, della proprietà e della moneta, avendo chiara la relazione con i diritti individuali e con i beni comuni; occorre disegnare, nell’orientamento complessivo dell’economia e dei suoi obiettivi, modelli di sviluppo alternativi, in grado di equilibrare capacità, risorse e sostenibilità nel tempo; occorre affrontare la questione della collocazione internazionale dell’Italia, rispetto sia alla questione dell’unificazione europea che a quella di un atlantismo superato dai fatti; occorre lavorare per liberare cultura, istruzione e ricerca dai vincoli opprimenti con cui economia e partitocrazie le condizionano.

Si raggiunge questo chiaro ma difficilissimo obiettivo rendendo i cittadini consapevoli di cosa debba essere oggi un organismo sociale sanamente e non patologicamente attivo: in esso, nelle società post-industriali complesse, si deve rendere armoniosa ed efficiente la coesistenza fra le esigenze di uno sviluppo culturale intellettuale scientifico, come motore ideale della società, quelle di un’amministrazione politico-giuridica equa e funzionale e quelle di un’economia cui non sia più possibile invadere, grazie al potere della moneta e del lavoro fatti merce, le altre sfere della società.

La democrazia, se vuole affrontare con efficacia il presente per il futuro, deve in sostanza emanciparsi definitivamente dai residui feudali che ancora la soffocano: da un lato quelli derivanti dalla partitocrazia, dall’altra quelli dei potentati economici, non a caso tra loro reciprocamente intrecciati. Solo in questo modo, con la piena libertà di espressione delle capacità individuali, con l’equa applicazione dei diritti del cittadino, con la solidarietà richiesta dalla crescente interdipendenza delle relazioni economiche (produzione, circolazione, consumo), possiamo pensare che i popoli possano conquistare la responsabilità e la dignità, attraverso l’autogoverno e la piena sovranità”.

http://www.clarissa.it/editoriale_n1884/Il-salvataggio-della-partitocrazia-e-il-futuro-della-democrazia-in-Italia

http://versounmondonuovo.wordpress.com

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