1999-2012 : Nato, Serbia, Balcani e Russia
Intervista a Yves Bataille, geopolitico franco-serbo e attivista nazionaleuropeo impegnato contro l’occupazione atlantica dell’Europa fa il punto sulle strategie di dominio atlantiche oggi in Europa, dopo l’aggressione del 1999 a Belgrado
D: Yves Bataille, sono trascorsi oramai 13 anni dalla fine della guerra d’aggressione della Nato alla Repubblica Serba. Il 24 marzo 1999 fu ordinato d’iniziare i bombardamenti, un momento importante e tragico perché era la prima volta dalla fine del Secondo Conflitto Mondiale che la guerra si riaffacciava nel cuore dell’Europa, questa volta mascherata da “volto umanitario” dalle Potenze Occidentali. Ci vuole illustrare le cause che portarono allora all’aggressione di uno Stato sovrano da parte della più forte alleanza militare d’oggi?
R: Sì, era la prima volta dalla seconda guerra mondiale che un paese europeo veniva bombardato da un esercito di una coalizione. Naturalmente le ragioni di questo attacco erano false. Dopo aver aiutato le forze separatiste in Krajina e della Bosnia, l’Occidente con la scusa di evitare una “catastrofe umanitaria” in Kosovo è intervenuto. I 78 giorni di bombardamenti sono la prosecuzione dell’ aggressione iniziato nel 1991. Come primo passo, i paesi dell’Organizzazione del Trattato Nord Atlantico (Nato) hanno stretto la Jugoslavia e in un secondo tempo si sono portati via il suo cuore, ovvero la Serbia che è la componente principale e la sua armatura centrale.
Le vere ragioni dell’attacco sono numerose. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica e la riunificazione della Germania, è stato necessario rimuovere il modello originale di Jugoslavia, che aveva due caratteristiche: autonomia e neutralità. La Jugoslavia era “tra Oriente e Occidente”. Come “Est” non esiste più perché è stata invasa dall’Ovest. Gli Anglo-Sassoni hanno voluto introdurre il loro “libero mercato”. La Nato ha voluto estendere ulteriormente il suo controllo al territorio lasciato libero da parte dell’Unione Sovietica nei paesi ex Patto di Varsavia. Co-fondatore del Movimento dei Paesi Non Allineati, la Jugoslavia doveva non solo scomparire, ma servire come banco di prova per le future guerre.
Nel 1990 una relazione della Cia prevedeva il crollo della Federazione. Nel novembre dello stesso anno, il Congresso degli Stati Uniti aboliva i prestiti alla Jugoslavia fino a che le elezioni si sarebbero svolte separatamente in ogni repubblica. Ciò ha contribuito a peggiorare i già difficili antagonismi socio-economici ed etnici che stavano riemergendo. Nel 1986, il Memorandum dell’Accademia Serba delle Scienze e delle Arti (Sanu) indicava questi problemi e richiamava l’attenzione sulle difficoltà dei serbi della Repubblica di Serbia a vivere nella Federazione. Falsamente presentato dalla stampa occidentale come un manifesto del nazionalismo serbo, è servito ad inventare l’esistenza di un piano serbo per “conquistare la Jugoslavia.” In realtà coloro che volevano conquistare la Jugoslavia erano gli occidentali.
Per i centri finanziari di Washington, Londra, Bruxelles e Berlino, il presidente serbo Slobodan Milošević era un “dittatore” che si era opposto alla riforma del Fondo monetario internazionale (FMI) e della Banca mondiale, impedendo il cosiddetto libero scambio (“libero mercato”). Nel suo grande discorso a Gazimestan sulla scena della battaglia di Kosovo Polje nel 1989, davanti a un milione di persone, era stato presentato dagli occidentali come il punto di partenza di un viaggio verso una Grande Serbia, un pericolo per le altre repubbliche. Il moto rotatorio instaurato a Belgrado dopo la morte del maresciallo Tito, doveva essere utile nelle mani dei sostenitori delle varie repubbliche che rappresentavano la Serbia come il pericolo. La verità è che i serbi sono una memoria vivente e hanno una capacità militare riconosciuta, un vero ostacolo alla formazione di un nuovo “Drang nach Osten” Marcia ad Est.
Pur essendo un esercito in gran parte obsoleto, l’Armata Popolare Jugoslava (Jna) era una forza in grado di svolgere una resistenza nazionale sviluppato sulla base della “Dottrina della Difesa Popolare”. La gran parte dei soldati di leva erano serbi dal momento che rappresentavano la maggioranza della popolazione della Federazione. L’esercito jugoslavo però doveva essere descritto come un esercito di conquista, il popolo serbo e i suoi capi criminalizzati e collettivamente demonizzati. Tutte le tecniche di propaganda dei media sono stati usate per questo scopo aizzando contro la Serbia i gruppi etnici delle componenti periferiche della Federazione jugoslava.
Gli Ustascia, la Divisione Handschar, Balli Kombëtar, sono stati presentati come sue “vittime”. Ma in Krajina, Bosnia o in Kosovo, decine di migliaia di morti e la pulizia etnica di centinaia di migliaia di serbi ha distrutto questa favola. La guerra in Jugoslavia è stata una guerra di distruzione della Jugoslavia, una guerra di aggressione contro la Serbia e la guerra contro l’Europa geopolitica.
D: La Nato ha sempre giustificato il suo intervento per fermare i massacri etnici a danno della popolazione kossovara a causa delle Forze Armate di Belgrado, un’ingerenza umanitaria che si è ripetuta recentemente con la Libia di Gheddafi, dove il Kosovo per la tradizione serba è la culla della propria storia centenaria. Si volle a tutti costi creare un Kosovo “indipendente” sulla base, si è sempre sostenuto, degli accordi di Rambouillet, in conformità al Diritto Internazionale e alla Carta delle Nazioni Unite, ecc. ecc. Qual è la sua opinione al riguardo? Vogliamo parlare della pulizia etnica operata nei confronti sei serbi del Kosovo?
R: La denuncia di un massacro è una ricetta che si è dimostrata vincente. Nel loro libro “War and Anti-War“ (“Guerra e Contro Guerra, sopravvivere al XXI secolo“), di Alvin e Heidi Toffler, essi evidenziano che è un requisito indispensabile per l’avvio di qualsiasi guerra. Questo permette di ottenere il sostegno del pubblico e fornisce una motivazione per le spedizioni militari. Questa idea non era nuova, ma è diventata sempre più importante con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione e di influenza moderna.
La guerra contro i serbi è da prendere come esempio, perché anticipava i successivi attacchi di Paesi della Nato nei confronti degli Stati indipendenti e sovrani. La Jugoslavia ha sempre portato come modello questo massacro, che poi è stato attuato in Libia per la guerra contro Gheddafi, e ora lo si sta utilizzando contro la Siria. Gli attacchi a Sarajevo, il “massacro” di Srebrenica in Bosnia e il Racak in Kosovo hanno preceduto di poco le nuove azioni della “comunità internazionale”, giustificando così gli incontri drammatici delle Nazioni Unite, le sanzioni, gli embarghi, i bombardamenti, e il rinvio alla Corte Penale Internazionale – Icc. Reale o percepito, l’attacco o la strage pubblicizzata serve sempre a scatenare i mezzi di comunicazione, passando poi alle testimonianze di Ong ad hoc e mobilitare gli ‘opinion leader’.
Quando si studia la cronologia degli eventi che vediamo, la questione del Kosovo è stata sull’agenda degli Stati Uniti fin dall’inizio della guerra, ma è stata tenuta in riserva. Nel 1992, il Congresso degli Stati Uniti ha preso una posizione per la minoranza albanese e ha annunciato l’intervento di Washington nella regione autonoma. Dopo il conflitto di Krajina e della Bosnia, il ministro degli Esteri tedesco, Klaus Kinkel, atlantista, ha annunciato pubblicamente che la questione del Kosovo non sarebbe rimasta un affare interno della Serbia.
Sappiamo che il risultato è stato la creazione di un movimento di mercenari reclutati localmente e all’estero e l’organizzazione di una conferenza internazionale in un Paese con l’obiettivo di imporre un diktat. Il Consigliere Speciale dei separatisti della delegazione albanese a Rambouillet non era altro che Morton Abramowitz, l’uomo che nel Dipartimento di Stato si occupava di operazioni segrete durante la guerra in Afghanistan, avendo a suo tempo fornito i famosi missili terra-aria Stinger ai mujahidin legati a Bin Laden. Quella guerra venne definita da Zbigniew Brzezinski come una guerra per smantellare l’Unione Sovietica, e i volontari islamici che credono nel Jihad sono la punta di diamante di tutte le guerre americane con il supporto delle monarchie arabe.
La messa in scena del cosiddetto “massacro di Racak” (15 gennaio 1999) dove avevamo solo raccolto i corpi sparsi di membri dell’Uck, poi rivestiti facendo credere in un massacro di poveri contadini albanesi, è stata utilizzata per dare il via libera al bombardamento della Nato. Un ruolo in tutta questa messa in scena lo hanno avuto gli “Osservatori” dell’ Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce) e il loro capo, l’americano William Walker, già della Scuola delle Americhe (Soa) e implicato negli squadroni della morte in El Salvador, il quale ha seguito personalmente la messa in scena. Successivamente sono seguiti quasi tre mesi di bombardamenti indiscriminati, l’ingresso delle forze Nato in Kosovo e la pulizia etnica dei serbi. Le “catastrofi umanitarie” albanesi erano solo una farsa.
D: La Nato condusse allora una campagna militare essenzialmente aerea -Operazione Allied Force – durata 77 giorni e terminata il 10 giugno 1999, arrivando a 38 mila missioni in totale, in questo non facendo alcuna differenza tra obiettivi militari e civili, una copia di quello già visto sulla Germania durante la II Guerra Mondiale, usare il terrore delle bombe per cercare di piegare un popolo. In che misura questo riuscì in Serbia?
R: La differenza con i bombardamenti sulla Germania è stata l’evoluzione della tecnologia. Nelle operazioni in corso non sono più i bombardamenti a tappeto, ma gli ‘attacchi chirurgici‘. Bombe e missili hanno una maggiore precisione e grande capacità di distruzione. Un missile è sufficiente per far saltare un grande edificio. Ho vissuto i bombardamenti della Nato. La reazione del popolo serbo è stata esemplare. Dopo il primo momento di incertezza, i serbi si comportava come se nulla fosse accaduto. Il ricorso ai rifugi è diminuito nel corso del tempo e la gente ha cominciato a ballare e cantare sotto le bombe. L’Esercito e la Milizia hanno usato una tattica che si è rivelata molto efficace per evitare di essere colpiti, hanno evacuato le caserme e sono stati suddivisi in piccole unità ad alta mobilità, per cui i bombardamenti hanno avuto poco effetto. Nonostante non fosse modernissima, la Difesa Antiaerea (Pvo) aveva costretto gli aerei nemici a non volare al di sotto dei 5000 metri. I radar montati su vecchi camion sovietici dopo aver agganciato gli aerei della Nato e consentito alla contraerea di aprire il fuoco, in tre minuti potevano cambiare la loro posizione per evitare di essere distrutti dai missili antiradar. Ci sono state poche vittime e gli accordi militari dopo Kumanovo (9 giugno 1999) l’Armata serba del Kosovo si ritirò in buon ordine, con quasi tutto il materiale, al contrario dei civili che hanno dovuto pagare un prezzo molto alto. Si parla di almeno 3.500 morti e non 500 come sostenuto da “Amnesty International”. ‘Solo?”, affermano alcuni, come i soliti sostenitori della “guerra umanitaria” che a loro dire è una guerra pulita(?) che salva le persone. Missili e bombe a guida laser sono certamente molto accurati, ma non sempre funzionano bene e sono a volte deviati dal loro percorso. Si deve aggiungere che questo dato non tiene conto delle migliaia di altre vittime degli effetti dei bombardamenti (o decine di migliaia di serbi uccisi prima e/o dopo il bombardamento da parte della forze Nato in Krajina, Bosnia e in Kosovo).
Va ricordato l’uso di proiettili all’uranio impoverito e l’inquinamento derivante dalla distruzione (volontaria) d’impianti petrolchimici, i cui veleni si sono riversati nell’atmosfera. Esiste una correlazione tra i luoghi più bombardati e i tumori.
Specialisti dell’Accademia Militare di Medicina (Vma), mi hanno riferito dell’uso in cinque diverse località del paese di armi batteriologiche, ma l’Ambasciata degli Stati Uniti ha chiesto al governo serbo di distruggere questo file… Le perdite della Nato sono difficili da stabilire, anche se la Nato ha detto che non ne ha avute, ma vi sono state. Decine di armamenti (elicotteri, aerei e Uav) sono stati distrutti e le forze speciali inglesi e americane che appoggiavano le milizie del “Kosovo-Liberation Army” hanno perso numerosi uomini. Operazioni dell’aviazione serba hanno distrutto decine di aerei a terra degli americani a Tuzla (Bosnia) e Tirana (Albania).
D: In un lucido saggio, dal titolo “La Giustizia dei Vincitori”, Danilo Zolo analizza il vero volto delle “Humanitarian Intervention”, che sono presenti nei documenti preparati dalle massime autorità statunitensi, sia politiche sia militari a partire dal 1980. Proprio George Bush nel 1990, in un suo discorso nel Colorado, parlò delle linee guida di un programma di pacificazione del mondo denominato “ New World Order”; successivamente tale progetto venne perfezionato con la direttiva “ National Security Strategy of the United States“ e ulteriormente sviluppato nel “ Defence Planning Guidance”. La stessa Nato doveva trasformarsi da sistema integrato difensivo contro il Patto di Varsavia in braccio armato per i nuovi interventi, come fu presentata al Vertice di Roma del 1991 la “New strategic concept”. Dott. Batj lei che ne pensa, anche alla luce di quanto sta accadendo in Siria in questi giorni?
R: Io dico: E’ il partito che controlla la pistola. L’esercito è solo l’esecutore. Per imporre il “nuovo ordine mondiale” è stata elaborata una dottrina. Questa è la “Casa del Nuovo Ordine Mondiale.” “R2P”Responsibility to Protect è un’iniziativa delle Nazioni Unite (istituita nel 2005 si basa sull’idea che la sovranità non è un diritto, ma una responsabilità e si sviluppa nella prevenzione di genocidi, crimini contro l’umanità, crimini di guerra ed etnici), in realtà è solo una maschera che rende l’aggressore virtuoso, il trucco delle Nazioni Unite imposto dagli Anglo-Sassoni e dalla struttura globalista di Morton Abramowitz, ex ambasciatore degli Stati Uniti in Turchia, fondatore di International Crisis Group (Icg).
Si possono così presentare come aggressione “umanitaria” dello Zio Sam le spedizioni militari della sua fanteria coloniale. R2P è stata la bandiera agitata contro la Jugoslavia sotto il nome di “giusto” o “dovere di intervenire“ da Bernard Kouchner, il primo rappresentante delle Nazioni Unite come forza di occupazione. Inoltre, non è un caso che la compagna di Kouchner, Christine Ockrent, fosse la rappresentante della Francia per l’ICG o se Martti Ahtisaari, l’editore della separazione del Kosovo, apparteneva anche lui a questa struttura. Personaggi chiave del dispositivo collegato a “Human Rights Watch” (Hrw) e all’”International Crisis Group” (Icg), Gareth Evans (ex ministro degli Esteri australiano), Lee Hamilton (ex Alto Commissario per i diritti umani alle Nazioni Unite), David Hamburg (della Fondazione Carnegie), James Traub (del Council on Foreign Relations). Tutti appartengono al Global Centre for the Responsability to Protect. Questo chiamiamolo pure club anglosassone, al servizio del Anglosfera imperialista che ha imposto R2P presso le Nazioni Unite. Tutte queste persone difendono il cosiddetto “diritto internazionale”, che è una loro interpretazione del diritto e si applica solo in certi luoghi e non in altri. Dopo tre mesi di bombardamenti i serbi avevano accettato la risoluzione 1244 dell’ONU che prevedeva che il Kosovo rimanesse alla Serbia attraverso un “ampia autonomia”. La “comunità internazionale” con Morton Abramowitz ha violato tali accordi con la concessione dell’indipendenza all’entità shiptar (albanesi).
Spinto da una mentalità messianica, questo piccolo gruppo causa le guerre e la distruzione degli Stati indipendenti e sovrani, per imporre quello che loro chiamava la “governance globale”. Nel 1992, il diplomatico americano Strobe Talbott ha riassunto l’idea: “la sovranità nazionale è al termine, erosa pezzo per pezzo, in modo più efficace del vecchio attacco frontale” [...] “la nazionalità sarà obsoleta e tutti gli Stati riconosceranno un’unica autorità globale”. Il termine “cittadino del mondo assumerà poi il suo vero significato.” Ecco le guerre del quarto di secolo per soddisfare questa “agenda”.
D: Uno sguardo alla Serbia di oggi del neopresidente Tomislav Nikolić, che è subentrato a Boris Tadić. Come giudica il mandato di Tadic e invece quali prospettive si possono aprire per Belgrado con Nikolić, sarà anche lui un fautore dell’integrazione europea ? E nei riguardi del problema Kosovo che farà il nuovo esecutivo e qual è il sentire del popolo serbo nei riguardi dell’Ue?
R: La posizione del nuovo presidente serbo è quello di una linea tra due linee. Sì all’integrazione europea e un buon accordo di cooperazione con la Russia. Questa posizione è vista con antipatia dagli ambienti atlantici che temono un riavvicinamento con Mosca. Con l’ex presidente Tadić, Washington e Bruxelles erano sicuri di inserire in un modo o in un altro ambito la Serbia nella sfera “euro-atlantica”. Facendo agire in sinergia questi due centri con la speranza poi di arrivare al riconoscimento dell’”indipendenza” del Kosovo.
Se ci fosse un avvicinamento tra Belgrado e Mosca tutto ciò diverrebbe molto più difficile. Indice di questo nervosismo è stato il violento attacco a mezzo stampa di un certo Michael Morgan dal titolo: “Serbia, lo Stato fantoccio russo nei Balcani”, un articolo pubblicato dalla struttura separatista Slobodna Vojvodina. Dalla scissione del Partito radicale serbo (Srs), il Partito Progressista Serbo (Sns) ha beneficiato di risorse molto ingenti per la campagna elettorale, almeno pari a quelle del Partito Democratico (Ds) di Boris Tadić.
E’ stata abbastanza sorprendente questa affermazione, dato che la sua nascita era recente. Si dice nei media che la Russia ha partecipato al finanziamento di questa campagna. Vero o falso, gli occidentali non possono lamentarsi perché hanno finanziato il Partito Democratico e una miriade di organizzazioni non governative che hanno a suo tempo fatto l’opposizione a Milosevic. La “Fondazione Soros”, il “National Endowment for Democracy” e l’ “Usaid” hanno creato una rete di associazioni e Ong che ricevono ingenti finanziamenti.
Nella composizione del nuovo governo vi è stata la nomina di un ultra-liberale caduto in disgrazia sotto Tadić, Mladjan Dinkic, al Ministero dell’economia e un riallineamento dei socialisti al nuovo regime – che “socialisti non sono” come mi ha detto a Belgrado l’ex ministro francese della Difesa Chevènement – e si pone quindi la questione del compromesso e/o del calcolo. A parte il fatto che molti settori dell’opposizione nazionale ritengono che i capi del nuovo regime, Nikolić e Vucic, hanno tradito Vojislav Seselj, il leader radicale imprigionato a L’Aia, per creare con l’appoggio americano-occidentale un partito sul modello di “Alleanza Nazionale” in Italia. Abbiamo così a che fare con dei nazionalisti moderati ansiosi di risparmiare l’Occidente, una mossa destinata a proteggere il nemico e dare tempo, o facendo il doppio gioco. Il futuro lo dirà…
D: La Russia considerata potenzialmente la nazione più vicina alla Repubblica Serba che ruolo ha giocato fino ad oggi? Il ritorno di Vladimir Putin com’è visto a Belgrado?
R: L’Occidente ha sfruttato la momentanea scomparsa della Russia dalla scena, per attaccare la Serbia con gli effetti che conosciamo. La successione di Vladimir Putin ha avuto luogo quando il gioco per la Jugoslavia era già iniziato e la disgregazione territoriale della Serbia in fase di attuazione. In Bosnia e Kosovo i volontari russi hanno combattuto con i serbi durante la guerra, ma erano iniziative individuali o di gruppi. Il ritorno di Putin al potere è stato ben visto a Belgrado, dove molti intravedono una futura alleanza con la Russia per assicurare l’indipendenza e la sicurezza nazionale. La forza dei filo-russi è dimostrata dal gran numero di associazioni serbo-russe. La cooperazione tecnica militare era già stata sviluppata sotto il precedente regime e i russi l’hanno allargata nell’ambito di una base per le emergenze di protezione civile vicino a Nis, base facilmente convertibile in militare dicono gli analisti occidentali. Quest’ultima non è lontana dal campo base statunitense Bondsteel in Kosovo.
La Serbia è diventata anche un importante collegamento – di ben 450 km – per la geopolitica del gas russo alla rete South Stream. È stato costruito a Banatski Dvor, in Vojvodina, un grande serbatoio in grado di contenere 300 milioni m3 di gas, che può fornirlo ai paesi dell’Europa occidentale per un certo periodo: la Serbia ne controllerà il rubinetto. Sembra che ci sarà un’intensificazione della cooperazione tra i due paesi, e alcuni addirittura parlano di una possibile integrazione della Serbia nell’Unione Eurasiatica di Vladimir Putin.
D: Qual è l’attuale situazione dal punto di vista geopolitico dei Balcani, dopo lo smembramento della Jugoslavia?
R: Il campo di battaglia di ieri della Jugoslavia è ora uno spazio frammentato territorialmente. Sei entità teoriche giocano la commedia dell’indipendenza. Nella ex repubbliche di Jugoslavia gli “Stati” hanno perso il controllo delle loro risorse, e l’agricoltura e i settori industriali sono stati venduti a un prezzo ridicolo agli interessi stranieri grazie alle privatizzazioni. Le banche jugoslave sono stati comperate da banche estere, alcune acque minerali della Serbia e le piante di tabacco sono in mano alla “Coca Cola” e alla “British American Tobacco”. La Dalmazia ha perso alcune delle sue isole vendute al miglior offerente. Costruita dal consorzio americano-turco Bechtel-Enka, l’autostrada Zagabria Adriatico è costata tre volte di più rispetto alla stima iniziale. Come già avvenuto nella Repubblica Ceca e in Polonia, i tedeschi hanno comprato le società dei grandi mezzi di comunicazione. Il resto è sotto il controllo degli americani, mentre i francesi controllano l’industria del cemento con Lafarge. Gli Stati Uniti inoltre controllano l’acciaio serbo e i vari supermercati sono di proprietà straniera. La Navigazione sul Danubio si è ridotta notevolmente, e la Slovenia e la Croazia non hanno più l’autosufficienza alimentare e devono importare il cibo da Germania e Austria. Il Montenegro, dove c’è il filo-occidentale Milo Djukanovic, è diventato la ventesima fortuna nel mondo, quasi tutto è stato venduto all’estero.
La Serba Zastava auto è scomparsa a favore della Fiat, mentre gli amici di George Soros con le miniere di Trpca in Kosovo hanno ingaggiato una battaglia legale per sfruttarle. Lo spazio jugoslavo ha subito il furto e il saccheggio. Al posto di un ex stato sovrano federale ci sono dei mini stati–fantoccio che giocano la commedia dell’indipendenza, con la sola eccezione della Serbia. Nonostante la rimozione di Slobodan Milošević, nonostante il disastroso periodo di “transizione democratica” a tutti i livelli (non dimentichiamo la consegna dei patrioti al Tribunale dell’Aia), lo Stato serbo ha mantenuto una forte identità e una capacità di resistenza elevati. Così non è entrato nella Nato, nonostante la “transizione democratica”, e continua a resistere in Bosnia e in Kosovo … E la Republika Srpska in Bosnia non sarà sepolta in un ente dominato dai musulmani e un giorno vorrà riunirsi alla Repubblica di Serbia. In Kosovo nel Nord vi sono le barricate che esprimono il rifiuto serbo di cedere al potere dei leader albanesi arrivati con la Nato. Questo tipo di resistenza senza leader, al di fuori e al di sopra delle parti, è un modello nel suo genere e la barricata di Kosovska Mitrovica – Ponte sul fiume Ibar, è sorvegliata giorno e notte dai volontari, è un simbolo che la Nato non può accettare e l’attacca cercando di rimuoverla.
D: Infine i rapporti Italia Serbia, che hanno toccano il livello più basso dopo il via libera dato dal governo D’Alema agli aerei Nato della base di Aviano e aerei dell’AMI sono stati impegnati in operazioni belliche. Ora al governo c’è Monti uomo della Goldman Sachs, che ne pensa?
R: D’Alema o Monti, credo che per i serbi non faccia troppa differenza. E’ noto in Serbia come i primi aerei Nato per i bombardamenti, esclusi i missili da crociera sulle navi, siano partiti dall’Italia. Ma questo è secondario, perché tutta l’Europa occidentale è considerata una base Usa. Tuttavia, gli italiani sono visti ancora positivamente. Durante la seconda guerra mondiale l’occupazione italiana di una parte della Jugoslavia non ha lasciato troppi brutti ricordi. All’inizio della guerra (il 1990), Seselj ha chiesto una “frontiera comune con l’Italia” sul lato della Krajina Knin e la Dalmazia! A differenza degli “alleati”, l’Italia non ha chiuso la sua ambasciata durante i bombardamenti della Nato.
Si è rinnovato il legame con la Fiat a Kragujevac, mentre la Peugeot voleva subentrare alla Zastava Fiat, ma alla fine ha vinto il gruppo di Torino. Il comportamento del governo francese è così vile che tutti i prodotti francesi ne subiscono le conseguenze. Presto la Francia produrrà ed esporterà “i diritti umani”. Gli italiani hanno anche costruito un grande ponte sulla Sava, affluente del Danubio a Belgrado, anche se si parla di una tangente di grandi dimensioni sotto il precedente regime.
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