La Cina ha fiducia in sé, osa delle riforme e la nuova dirigenza vuole consolidarne il successo
Il contrasto non potrebbe essere più grande: da un lato del Pacifico, la potenza sempre egemone che affronta gravi problemi economici e politici, dall’altro, la superpotenza che batte tutti i record economici, nonostante i profeti di sventura, ed ha piena fiducia nel futuro. Questo non sorprende: tre decenni e mezzo dopo l’avvio della politica di riforma e apertura voluta da Deng Xiaoping, successore di Mao Zedong, questo cambiamento rivoluzionario ha dato frutti in molte aree. Lo Stato dei contadini poveri, con milioni di “formiche blu”, è diventato un Paese moderno con edifici prestigiosi e ha sviluppato l’industria della moda, che ora accede alle “passerelle” di Parigi e Milano.
Anche Hollywood ne è sconvolta poiché, infatti, l’industria cinematografica statunitense ha tutte le ragioni di temere l’emergere di un concorrente serio in Estremo Oriente. Perché? Wang Jianlin, l’uomo più ricco della Repubblica popolare cinese sta costruendo a Tsingtao (ex-colonia tedesca) i più grandi studi cinematografici del mondo. Questo gigantesco progetto costerebbe più di otto miliardi di euro e sarà completato nel 2017. Potremmo anche elencarne molte come questa, a conferma dello sviluppo esponenziale della Cina moderna. Eppure, quando la nuova leadership cinese è salita al potere nel novembre 2012, diverse voci annunciavano l’imminente declino della Cina, la stessa voce, del resto, l’aveva ripetuto precedentemente.
Come il “New York Times” o “Spiegel”, i media occidentali all’unisono evocavano scenari catastrofici: una bolla immobiliare stava per scoppiare, seguita da una bolla del credito, o che poi il Paese sarebbe crollato per la corruzione, mentre l’inquinamento la devastava le persone non avrebbero tollerato le differenze tra ricchi e poveri. Il desiderio generale di libertà avrebbe fatto cadere la leadership comunista, se riforme rapide e ampie non fossero state tradotte in realtà e se la dirigenza non avesse ceduto il monopolio del potere. Niente di tutto ciò è accaduto dopo che Xi Jinping (capo di Stato e del partito) e Li Keqiang (Primo ministro) si sono insediati nel novembre 2012, per rimanervi per dieci anni. Non vediamo il motivo per cui caos politico e crollo economico dovrebbero colpire la Cina nel prossimo decennio, decennio in cui la Repubblica Popolare, secondo l’OCSE, sorpasserà gli Stati Uniti quale prima potenza economica del pianeta. Il nuovo presidente della Banca Mondiale, Jim Yong Kim, ha previsto per la Cina uno sviluppo positivo da metà ottobre:
“La Repubblica Popolare cresce certamente più lentamente, ma continua le riforme. Il Paese s’impone una grande trasformazione, passa da esportatore e investitore a un’economia orientata al consumo. La sua dirigenza ha intenzione di attenersi a questa politica, nonostante le difficoltà. È un modello per gli altri“.
Due nuove istituzioni dovranno contribuire a consolidare la strada scelta dal governo cinese: una sola autorità, soggetta al governo, ha ricevuto la missione, su decisione del Comitato Centrale, “di evitare conflitti sociali e risolverli in modo efficiente“, per garantire la sicurezza interna dello Stato. L’emergere di questa autorità, in primo luogo, è volta a risolvere i problemi che si celano dietro le molte proteste e talvolta violente manifestazioni nel Paese contro gli eccessi di funzionari locali, dall’altra rispondere ad ulteriori sabotaggi, come il recente attentato che ha colpito Pechino. A fine ottobre, davanti la Porta della Pace Celeste, tre uiguri avevano travolto, con la loro auto carica di benzina, una folla uccidendo due passanti con loro. Non possiamo dire con certezza se fosse un piano terroristico islamista, come affermato dal governo. Una cosa è certa: in Tibet come nel Xinjiang, popolato da uiguri, gli incidenti aumentano, mentre gli abitanti di queste vaste regioni si sentono minacciati dalla crescente immigrazione di cinesi Han. La seconda autorità che emergerà, si chiama “Central Management Group” e sarà sottoposta al Comitato centrale del Partito comunista cinese. Supervisionerà e pianificherà le riforme, per garantirne una “profondità complessiva”.
Con queste decisioni, che il Comitato centrale del Partito comunista cinese ha preso all’inizio di novembre 2013, dopo quattro giorni di discussioni, Xi Jinping e il suo compagno d’armi, l’elegante Li Keqiang, hanno imposto la loro politica alle forze ortodosse del partito. Infatti, il testo della risoluzione dice che il mercato non avrà un “ruolo fondamentale”, ma un ruolo “decisivo” nell’allocazione delle risorse. La proprietà dello Stato e la proprietà privata sono ormai componenti essenziali della “economia socialista di mercato”. Importanti riforme sociali sono state decise. Così, la politica del figlio unico verrà allentata, al fine di arrestare il processo d’invecchiamento che ostacola lo sviluppo economico. Finora le coppie che vivono in aree urbane potevano avere un secondo figlio se entrambi i genitori non avevano fratelli. Ora, nelle città cinesi le coppie possono avere un secondo figlio se un genitore non ha né fratello, né sorella. È stato anche annunciata l’abolizione dei campi di lavoro dove, dal 1957, piccoli criminali e oppositori del regime potevano essere “rieducati” per un periodo massimo di quattro anni, senza una decisione del giudice.
Il fallimento del piano di ricostruzione cinese, che causerebbe disordini interni neei prossimi anni, è una chimera spacciata dai media occidentali. Molti cinesi ora beneficiano della politica del governo. Ogni visitatore straniero scopre facilmente, camminando per le strade delle città cinesi, che non sono più soltanto i leader politici comunisti ad aver l’auto con autista. Oggi, milioni di cinesi, orgogliosi, guidano la propria nuova auto statunitense, tedesca, giapponese o sudcoreana. Inoltre, più di 90 milioni di cinesi sono andati all’estero quest’anno. Non sono solo amanti dei paesaggi, ma campioni internazionali di “shopping”. Nel 2012, i turisti cinesi all’estero hanno speso quasi 102 miliardi di dollari, più di qualsiasi altra nazione al mondo.
Praticamente sconosciuta al resto del mondo, Pechino inizia la lotta sul piano energetico. Secondo i media cinesi, il governo prevede per i prossimi cinque anni 280 miliardi di dollari per finanziare le misure per il risparmio energetico e per ridurre gli effetti negativi dell’inquinamento. Questo assieme ai 220 miliardi già investiti nelle energie rinnovabili. Ancora più importante, a medio termine, la leadership cinese vuole liberalizzare lo yuan (la moneta cinese), abbinarlo all’oro e detronizzare il dollaro da valuta globale.
Fortune
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
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