"THE END"

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mercoledì 6 marzo 2013

Ci si scanni pure dentro la gabbia, ma guai provare ad uscirne!



Assistiamo da tempo al rimescolamento del quadro politico, un rimescolamento che sembra profondo, ma che in realtà è solo superficiale: che tutto cambi affinché nulla cambi. Nello specifico, che non cambi il vero punto fondamentale: nel capitalismo viviamo e nel capitalismo dobbiamo continuare a vivere.
In Parlamento, in televisione e sulla rete ci si scontra su tutto meno che su questo punto decisivo.
Dentro la gabbia, fioriscono movimenti che buttano l'amo tra i lavoratori: i "grillini", gli "arancioni", "quelli che cambiare si può"... e ce ne fosse uno che non ha in tasca una lista di risposte "pratiche" e "concrete" per risolvere ogni problema! Tutti lì a spiegare ai capitalisti come dovrebbero fare il loro mestiere e a sfornare ricette su come uscire dalla crisi, su come avere maggiore giustizia sociale, su come far funzionare lo Stato, su come far rispettare la Costituzione e così via sognando...
Il "leitmotiv" sociale è semplicissimo: bisogna aiutare i più sfortunati (e ci mancherebbe!!) e per farlo basta far pagare le tasse a tutti, basta sequestrare i beni della mafia, basta eliminare la corruzione e le tangenti; ogni tanto si sentono anche dei "tassiamo i pescecani della finanza" o dei "tassiamo i patrimoni" o dei "tassiamo i redditi sopra a un milione di euro"! Il tutto all'insegna della concretezza (anche se qualche dubbio è lecito guardando la fine che ha fatto in Francia la proposta di Hollande).
Mentre invece il vero dibattito dovrebbe essere questo: questo sistema economico, politico e sociale è in grado di offrire all'umanità benessere, pace, cura della salute, sviluppo culturale e intellettuale, rispetto dell'ambiente?
Anche un cieco vedrebbe che non è così, che stiamo andando, giorno dopo giorno, nell'inferno della devastazione sociale e ambientale.
E allora, come facciamo a non domandarci quale potrebbe essere il sistema economico, politico e sociale che possa sostituirlo?
A qualcuno può sembrare un pensiero troppo rivolto al futuro, poco concreto; in fondo è normale che si combatta per ciò che si desidera nel presente, soprattutto se il presente fa schifo, e non si pensi tanto a ciò che sarebbe auspicabile per il futuro. Ma continuare a guardarsi i piedi si finisce poi per sbattere la testa. Bisogna invece alzare lo sguardo ed affrontare il futuro cominciando anzitutto a guardare il presente con occhi diversi da quelli con cui ce lo hanno presentato fino ad oggi.

Una volta i lavoratori lottavano per ottenere, e talvolta persino ottenevano, miglioramenti in termini di occupazione, pensioni, case, scuole, salute, diritti sindacali, in altri termini, di reddito.
Oggi cosa ci hanno ridotto a "pretendere"? La fedina penale pulita come segno distintivo della "buona politica". La crisi devasta la condizione sociale di milioni di persone, ma noi, le milioni di persone, che cosa chiediamo? Chiediamo l'incandidabilità dei condannati da un qualche tribunale che applica leggi approvate da quegli stessi politici corrotti e incapaci che si vorrebbe non candidare!
È un caso? No, anche questo non è un caso, ma un vero e proprio depistaggio, un depistaggio dei responsabili e un depistaggio degli obbiettivi: ci fanno chiedere una merce immateriale, la legalità, che il sistema può manipolare a proprio piacimento detenendo il monopolio della legge, al posto di merci materiali: salario, casa, pensioni, scuola, che, anche per effetto della crisi, il sistema non sarebbe in grado di offrire.
Quella della legalità è la trincea su tutti vorrebbero che ci attestassimo. Sono convinti che la legge sia uguale per tutti e non è vero. Probabilmente sono anche convinti che sia giusta e questo è ancora meno vero. Nel capitalismo la legge è la legge del capitale, la legge del padrone, ed anche se fosse effettivamente applicata a tutti in modo equo (cosa che non avviene), difenderebbe, comunque e soprattutto, solo il padrone.
Un aggravamento della crisi economica porterà molte persone a sviluppare pratiche di illegalità, o quanto meno di "non legalità", di massa (non pagare le tasse, non pagare il biglietto del treno o del pullman, rubare nei supermercati o nei campi, fare picchetti contro i crumiri e contro le imprese, resistere alla repressione della polizia, occupare le case...). Come si può pensare davvero di poter risolvere i problemi sociali e le conseguenze che ne derivano con la "legalità" (nello stesso modo in cui si pensava di risolvere i problemi posti dall'immigrazione con la "sicurezza")?
C’è anche un’altra cosa molto di moda: il “venire dal nulla” come segno distintivo del non essere stati compromessi con nessuno. Ma in realtà le persone vengono sempre da qualche parte (anche quando fanno di tutto per farlo dimenticare) e, soprattutto, stanno sempre da qualche parte, nel senso che sono di parte. E il “nuovo che avanza” è pura illusione demagogica. Cosa vuol dire essere “nuovi”? Che ogni anno si sforna un nuovo prodotto come si fa con le scarpe e i telefonini? Noi non siamo e non possiamo essere nuovi, perché portiamo dentro di noi tutto il tempo che proviene dalle rivolte degli schiavi antichi e moderni, dalle lotte dei popoli contro il colonialismo e l'imperialismo, dalla resistenza dei lavoratori di tutto il mondo contro lo sfruttamento, dalle rivoluzioni sociali per conquistare il mondo nuovo. Portiamo il peso degli anni che abbiamo trascorso a difendere ogni trincea, a combattere ogni ingiustizia, mentre altri si preparavano ad essere nuovi sedendo dal lato dell'ingiustizia. È questo “vecchio” che ci deve spingere verso le idee, quelle sì, che sappiano prefigurare il nuovo, il non ancora esistente, tra le maglie dell'ancora esistente.
E quelle idee non ci sono.
In questa fase di tramonto dello scenario capitalistico globale, in questo riformismo senza riforme, pieno solo di vuota retorica, incapace di realizzare alcun risultato concreto, tutto preso dalla propria vacua declamazione (vogliamo, vogliamo, vogliamo!!!), nessuno accenna a qualcos’altro, nessuno pensa ad un’alternativa che possa condurci fuori dalla catastrofe sulla strada del superamento di ciò che conduce alla catastrofe.
Tutti parlano della quiete dopo la tempesta, di quello che si potrà tornare ad avere una volta superata la crisi.
Possibile che non si arrivi a capire che, anche se la crisi venisse "superata", noi ci ritroveremo molto più poveri e molto meno liberi di prima?
Possibile che nessuno si renda conto che siamo dentro una gabbia e questo sistema ci tiene rinchiusi in essa alternando digiuno e abbondanza come fossero noccioline e pane secco all’ora dei pasti? E il problema di chi sta dentro alla gabbia non è quello di stare meglio o peggio, il problema è come uscirne!
Non c’è bisogno di trovare modi per far funzionare il capitalismo, bisogna solo farlo smettere di funzionare perché è proprio il capitalismo il problema che abbiamo di fronte ogni giorno negli uffici o nelle fabbriche, a Pomigliano o in Val di Susa, nelle "cooperative" o all'Ilva, a Fukushima o a Falluja..., il problema che distrugge la nostra vita oggi e, con la devastazione della natura, la vita dei nostri figli domani.
E per impedire che la devastazione sociale ed ambientale vada avanti indisturbata, ci vogliono proposte autenticamente alternative, non prospettive miracolose colluse al sistema. Ci vuole determinazione a costruire assieme un luogo entro cui ciascuno possa offrire il proprio contributo affinché nessuna energia, neppure la più piccola, debba andare dispersa.
Per essere più "in" di questi tempi vorremmo poter dire che questa proposta "proviene dal basso". Ma non è vero: è una proposta che proviene dall'alto, dall'altissimo: è una proposta che proviene dalla più grande delle ambizioni, dall'ambizione di trasformarci e di contribuire alla trasformazione del mondo in cui viviamo, senza arrenderci all'esistente. Perché una cosa deve essere ben chiara: saremo anche "ingenui", "sognatori" e "utopisti", ma un mondo nel quale i comici guadagnano milioni di euro per raccontare due barzellette o le veline ne prendono centinaia di migliaia per sgambettare sul tavolo, mentre milioni di lavoratori, precari, pensionati si sbattono ogni giorno per sbarcare il lunario con pochi euro, costretti ad accettare mille umiliazioni e tanti morti, feriti e ammalati per lavoro... non è certo il mondo che vogliamo.
Postato 4 hours ago da Gianna Bonacorsi
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