"THE END"

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martedì 15 maggio 2012

LA "DECADENTE" CIVILTA OCCIDENTALE

“Il lupo della steppa”,  l'opera più audace di Hesse, un atto di accusa contro il suo tempo, una critica alla decadenza della civiltà occidentale.

Leggendo un aforisma di Herman Hesse, un uomo geniale, m'è venuto in mente libro che più mi ha colpito e che mi sono letto e riletto diverse volte dopo Siddharta. Un testo che amo come pochi, si, certo, di libri che mi sono piaciuti e che trovo indispensabili per la cultura di una persona ne ho conosciuti molti, ma questo, Il lupo della steppa di Herman Hesse è l’unico che descrive una parte di noi esseri umani che solitamente facciamo finta che non esista:
La moltiplicazione delle personalità, amare la solitudine, avere un rifugio dove ritirarti se la vita diventa pesante, dentro di te, è una cosa che nessuno ti può togliere, è la sola che davvero possediamo, e pensare che le moltitudini scappano da se stesse cercando la compagnia! Io sono un LUPO ... ma non solo, non è mai così semplice, come il nostro pensiero idiota la vita. 
Copio e incollo i tratti più significativi dell’opera, sintetizzo molto in questo post, ho estratto solo delle frasi e la descrizione iniziale, un breviario delle prime 40 pagine che rende tuttavia l’idea di che meravigliosa opera il lettore abbia davanti. 
Un saluto e buona attraversata ... Hesse era un uomo che attraversava.


By Dioniso777

Il lupo della steppa (1927), l'opera più audace di Hesse, è un atto di accusa contro il suo tempo, una critica della decadenza della civiltà occidentale e svolge, come nota Mittner, "con un procedimento quasi espressionistico il tema della lotta fra la bestialità e la santità di un'anima d'eccezione", fra l'istinto e la ragione, la sensualità e lo spirito.

"Il lupo della steppa"
Dissertazione

C'era una volta un tale di nome Harry, detto il "lupo della steppa". Camminava con due gambe, portava abiti ed era un uomo, ma, a rigore, era un lupo. Aveva imparato parecchio di quel che possono
imparare gli uomini dotati d'intelligenza, ed era uomo piuttostosavio. Ma una cosa non aveva imparato: a essere contento di sé edella sua vita. Non ci riusciva, era un uomo scontento. Ciò dipendeva
probabilmente dal fatto che in fondo al cuore sapeva (o credeva di sapere) di non essere veramente un uomo, ma un lupo venuto dalla steppa … Potrebbe darsi, per esempio,che costui sia stato nella fanciullezza stregato e indomabile e
disordinato, e che i suoi educatori abbiano cercato di ammazzare labestia che aveva dentro e proprio in questo modo abbiano suscitato in lui la fantasia e la credenza di essere effettivamente una bestia,
con sopra soltanto una leggera crosta di educazione e di umanità …Per Harry invece le cose stavano
diversamente: in lui l'uomo e il lupo non erano appaiati e meno ancora si aiutavano a vicenda; al contrario, vivevano in continuainimicizia mortale, e l'uno viveva a dispetto dell'altro, e quando inun sangue e in un'anima ci sono due nemici mortali, la vita è unguaio. Certo, ciascuno ha il suo destino e nessuno ha la vita facile…
quando Harry uomo concepiva un bel pensiero, provava un sentimento nobile e fine o faceva una così detta buona azione, il lupo che aveva dentro digrignava i denti e sghignazzava, e gli mostrava con sanguinoso
sarcasmo quanto era ridicola quella nobile teatralità sul muso d'un animale della steppa, di un lupo che sapeva benissimo quali fossero i suoi piaceri, trottare cioè solitario attraverso le steppe, empirsi
ogni tanto di sangue o dar la caccia a una lupa e, considerata dal punto di vista del lupo, ogni azione umana diventava orribilmente buffa e imbarazzante, sciocca e vana… Così era fatto il lupo della steppa e si può ben immaginare che Harry non faceva una vita assai piacevole e beata…Non si vuol dire però che fosse particolarmente infelice (benché a lui paresse così,come del resto ogni uomo crede che le sue sofferenze siano le più grandi). Di nessuno lo si dovrebbe affermare.


 Anche chi non ha il lupo dentro di sé, non per questo dev'essere felice…Tutti infatti coloro che prendevano a volergli bene vedevano soltanto uno dei suoi lati…e
rimanevano atterriti e delusi quando scoprivano in lui improvvisamente il lupo. E non potevano fare a meno di scoprirlo, perché Harry, come tutti gli esseri, voleva essere amato tutto intero e non poteva quindi nascondere o negare il lupo di
fronte a coloro al cui affetto teneva particolarmente…Ma ce n'erano altri che amavano in lui precisamente il lupo, quella sua libertà selvatica e indomita, il pericolo e la forza…Ma chi credesse di conoscere ora
il lupo della steppa e di poter immaginare la sua vita misera e straziata sarebbe in errore: egli non sa ancora tutto, neanche lontanamente. Non sa che (come non c'è regola senza eccezione, e come in date circostanze il buon Dio
preferisce un unico peccatore a novantanove giusti), non sa che a Harry capitavano anche eccezioni e casi fortunati, che egli sentiva talvolta il lupo, tal'altra l'uomo respirare e pensare dentro di sé
indisturbato e puro, che entrambi, qualche rara volta, facevano persino la pace e vivevano l'uno per l'altro…di modo che l'uno dormiva mentre l'altro vegliava, non solo, ma diventavano più forti
tutti e due sicché l'uno raddoppiava l'altro…Se queste brevi e rare ore di felicità pareggiassero e mitigassero la triste sorte del lupo della steppa in modo da formare un equilibrio tra felicità e dolore, o se addirittura la felicità
breve ma intensa di quei pochi momenti assorbisse tutto il dolore e risultasse positiva, questa è un'altra questione sulla quale possono ponzare a piacimento coloro che non hanno niente da fare…Esistono
non pochi uomini simili a Harry; specialmente molti artisti appartengono a questa categoria. Costoro hanno in sé due anime, due nature, hanno un lato divino e un lato diabolico…Tutti questi
uomini, qualunque siano le loro gesta e le loro opere, non hanno veramente alcuna vita, vale a dire la loro vita non è un'esistenza,non ha una forma, essi non sono eroi o artisti o pensatori come altri possono essere giudici, medici, calzolai o maestri, ma la loro vita è un moto eterno, una mareggiata penosa, è disgraziatamente e
dolorosamente straziata, paurosa o insensata, quando non si voglia trovarne il significato proprio in quei rari avvenimenti e fatti, pensieri e opere che balzano luminosi sopra il caos di una simile
vita. Tra gli uomini di questa specie è nato il pensiero pericoloso e terribile che forse tutta la vita umana è un grave errore, un aborto della Madre primigenia, un tentativo della Natura orribilmente
fallito. Tra loro, però, è nato anche quell'altro pensiero, che cioè l'uomo non è forse soltanto un animale relativamente ragionevole ma un figlio degli dei destinato all'immortalità. Ogni natura umana ha i suoi
 lineamenti caratteristici, il suo marchio, le virtù e i vizi, il suo peccato mortale.  Uno dei caratteri del lupo della steppa era quello di essere un uomo serale. Per lui il mattino era la parte cattiva della giornata che egli temeva e non gli
portò mai alcun bene…aveva tanto bisogno di solitudine e d'indipendenza. Nessuno ha mai avuto un bisogno più
profondo e più appassionato di essere indipendente. Da giovane, quando era ancora povero e faceva fatica a guadagnarsi il pane, preferiva soffrir la fame e andar intorno stracciato pur di salvare un brano della sua indipendenza. Non si è mai venduto per denaro o benessere, non si è mai dato alle donne o ai potenti, e mille volte
ha buttato via e rifiutato quello che secondo tutti sarebbe stato il suo bene e il suo vantaggio, pur di conservare in compenso la libertà…Nessun'idea gli era più odiosa e ripugnante che quella di
avere un impiego, osservare un orario, obbedire agli altri…Ma con  questa virtù erano anche strettamente collegate le
sue sofferenze e la sua sorte…Ogni uomo forte infatti raggiunge immancabilmente ciò che il suo vero
istinto gli ordina di volere…Ce n'era anche un altro: egli faceva parte della categoria dei suicidi. A questo punto dobbiamo osservare che è errato definire suicidi solamente coloro che si uccidono davvero. Tra questi ci sono
anzi molti che diventano suicidi quasi per caso e il suicidio non fa necessariamente parte della loro natura. Tra gli uomini senza personalità, senza un'impronta marcata, senza un forte destino, tra
gli uomini da dozzina e da branco ce ne sono parecchi che commettono suicidio senza per questo appartenere per carattere al tipo dei suicidi…Ma il suicida ha questo di caratteristico: egli sente il suo io, indifferente se a ragione o a torto, come un germe della natura particolarmente pericoloso, ambiguo e minacciato, si reputa sempre molto esposto e in
pericolo, come stesse sopra una punta di roccia sottilissima dove basta una piccola spinta esterna o una minima debolezza interna per farlo precipitare nel vuoto…Di questa sorta di uomini si può dire
che il suicidio è per loro la qualità di morte più probabile, per lo meno nella loro immaginazione…ma, al
contrario, fra i "suicidi" si incontrano nature straordinariamente
tenaci, bramose e persino ardite…così coloro che chiamiamo "suicidi" e sono sempre molto sensibili, hanno la tendenza, alla minima scossa, a darsi intensamente all'idea del suicidio…Ciò che abbiamo
 detto dei suicidi riguarda beninteso soltanto la superficie, è psicologia, vale a dire un settore della fisica…sono quelle
 anime che non considerano scopo della vita il perfezionamento e lo sviluppo di se stesse, bensì il dissolvimento,
il ritorno alla Madre, il ritorno a Dio, il ritorno al Tutto…Ma per noi sono pur sempre suicidi perché vedono la redenzione nella morte invece che nella vita e sono pronti a buttarsi via, ad abbandonarsi, a spegnersi e a ritornare all'inizio…Come migliaia di suoi pari egli faceva dell'idea che la via della morte gli era sempre aperta davanti a sé non solo un giuoco di fantasia giovanile e malinconico, ma precisamente un conforto e un appoggio…L'assiduo pensiero che quell'uscita di soccorso era continuamente aperta gli dava forza, lo rendeva curioso di assaporare dolori e malanni…come si trattasse di un male altrui: "Son curioso di vedere fin dove arriva la sopportazione umana! Una volta raggiunto
il limite del tollerabile mi basta aprire la porta e sono salvo"... Fissò al suo cinquantesimo compleanno il giorno in cui si sarebbe concesso il suicidio…Ci rimane ancora da spiegare il fenomeno singolare del lupo della steppa e particolarmente i suoi singolari rapporti con la borghesia…quel suo rapporto con la vita "borghese"! Secondo le sue convinzioni il lupo della steppa era al di fuori del mondo borghese poiché non aveva né una famiglia né ambizioni sociali…Si sentiva isolato, si considerava un originale, un eremita malato…Aveva in dispregio i borghesi ed era orgoglioso di non essere uno di loro…Oltre a ciò una segreta nostalgia lo spingeva continuamente verso il piccolo
mondo borghese, verso le case tranquille e decenti coi giardinetti ben curati, con le scale pulite e la loro modesta atmosfera di ordine e di vita ammodo…riconosceva sempre, con una metà della sua natura,
ciò che con l'altra combatteva e negava…la "borghesia", condizione immanente nell'umanità, non è altro
che un tentativo di equilibrio, l'aspirazione a una via di mezzo tra gl'innumerevoli estremi e poli contrapposti della vita umana…L'uomo ha la possibilità di darsi tutto allo spirito,
al tentativo di avvicinarsi alla divinità, all'ideale della santità. Viceversa può anche darsi tutto alla vita istintiva, al desiderio dei
sensi, e rivolgere tutte le sue aspirazioni all'acquisto di piaceri fugaci. Una di queste vie porta alla santità, al martirio dello
spirito, all'annullamento in Dio. L'altra porta al godimento, al
martirio dell'istinto, all'annullamento nella putredine. Il borghese cerca di vivere nel mezzo fra l'una e l'altra…Tenta insomma di insediarsi nel mezzo tra gli estremi, in una zona temperata e sana, senza burrasche e
temporali, e ci riesce, ma rinunciando a quell'intensità di vita e di sentimento che offre una vita rivolta all'assoluto e all'estremo. Vivere intensamente si può soltanto a scapito dell'io…il borghese è una creatura di debole slancio
vitale, paurosa, desiderosa di evitare rinunce, facile da governare…per le sue qualità non potrebbe avere nel mondo altra parte che quella d'un gregge di agnelli in mezzo ai lupi in libertà…Eppure la borghesia vive,
è forte e prospera. Perché? Ecco la risposta: per via dei lupi della steppa. Difatti la forza
vitale della borghesia non si fonda sulle qualità dei suoi membri
normali, bensì su quelle degli outsider straordinariamente numerosi che essa per l'elasticità e la nebulosità dei propri ideali è in grado di abbracciare. Nella borghesia c'è sempre anche un gran numero
di caratteri forti e selvaggi. Harry, il nostro lupo della steppa, ne è un esempio caratteristico…Se esaminiamo con questo criterio l'anima del lupo della steppa, vedremo che è un uomo il cui alto grado di individuazione lo
destinerebbe a non essere borghese: poiché ogni individuazione intensa si svolge contro l'io e tende a distruggerlo. Noi vediamo che ha forti tendenze sia alla santità sia al godimento, ma per qualche
debolezza o pigrizia non poté prendere lo slancio verso i liberi spazi del mondo e rimase legato al pesante astro materno della borghesia…Solo i più forti tra loro attraversano l'atmosfera della terra borghese e arrivano al cosmo,
tutti gli altri si rassegnano o stipulano compromessi, disprezzano la borghesia e continuano a farne parte, a rafforzarla, ad esaltarla, poiché in fondo devono pur essere d'accordo con lei se vogliono
vivere…a loro rimane aperto un terzo regno, un mondo immaginario ma sovrano: l'umorismo. I lupi della steppa che sono senza pace, che soffrono continuamente e terribilmente, che non hanno lo slancio necessario per arrivare alla tragedia, per penetrare nello spazio astrale, che sentono la vocazione dell'assoluto eppure non vi possono
vivere: quando il loro spirito si è fatto abbastanza forte ed elastico nella sofferenza, trovano la confortante via d'uscita
dell'umorismo…Chi è posseduto da Dio può benissimo accettare il delinquente e viceversa, ma a tutti e due,
come a tutti gli assoluti, è impossibile accettare ancora quel tepore medio e neutro che è la borghesia…con l’umorismo. E se il lupo della steppa cui non mancano le doti e le attitudini dovesse riuscire nella greve giungla del suo inferno a distillare questa magica bevanda, sarebbe salvo. Ma gli manca ancora molto per arrivarci…Per arrivare a questo scopo o poter addirittura tentare il balzo nell'universo, questo lupo della steppa dovrebbe trovarsi una volta
di fronte a se stesso, dovrebbe vedere il caos nella propria anima e arrivare finalmente a una perfetta coscienza di sé…Mille di queste possibilità lo attendono, il suo destino le attrae irresistibilmente, tutti questi
outsid-er della borghesia vivono nell'atmosfera di queste magiche possibilità. Basta un nulla perché la folgore colpisca.
Tutte queste cose il lupo della steppa le sa benissimo…sopra e sotto esistono soltanto nel pensiero, soltanto
nell'astrazione. Il mondo non ha né sopra né sotto…E così, per farla breve, anche il "lupo della steppa" è una
finzione. Se Harry si considera uomo-lupo e opina di essere composto di due nature ostili e antitetiche, non fa che della mitologia semplificatrice. Harry non è affatto un uomo-lupo…La bipartizione in lupo e uomo, in istinto e spirito, con la quale
Harry cerca di spiegarsi la sua sorte è una semplificazione assai grossolana…Nessun uomo infatti, neanche il negro primitivo, neanche l'idiota è così simpaticamente semplice che si possa spiegarne la natura come una somma di soltanto due o tre elementi principali; spiegare poi un uomo così complicato come Harry con l'ingenua
suddivisione in lupo e uomo è impresa disperata e puerile. Harry non consta di due esseri ma di cento, di mille. La sua vita (come quella di tutti gli uomini) non oscilla soltanto fra due poli, diciamo quelli dell'istinto e dello spirito, o quelli del santo e del gaudente, ma fra migliaia, fra innumerevoli paia di poli…L'uomo non
possiede un'alta facoltà di pensiero e, per quanto sia intelligente e colto, vede continuamente il mondo e se stesso, specie se stesso, attraverso le lenti di formule molto ingenue, semplificanti e traditrici…Infatti, a quanto pare, tutti gli uomini hanno un bisogno innato e impellente di immaginare il proprio io come unità. Per quanto venga scossa anche gravemente, questa illusione rimargina ogni volta. Il giudice che siede di fronte all'assassino e lo guarda negli
occhi e lo sente parlare per un istante con la voce propria (del giudice) e trova anche nel proprio cuore i medesimi istinti, le
stesse attitudini, le stesse possibilità, dopo un solo istante ridiventa lui, è di nuovo giudice, ritorna nel guscio del proprio io
vanitoso, fa il suo dovere e condanna a morte l'assassino…Ma che bisogno c'è di sprecar parole, di dire cose che chiunque pensi trova naturali, che però non sta bene manifestare? Quando dunque un uomo arriva già a sdoppiare la pretesa unità
dell'io è già quasi un genio, in ogni caso però un'eccezione rara e interessante…Nei poemi dell'India antica questo
concetto è assolutamente ignoto, gli eroi dell'epopea indiana non sono persone, ma conglomerati di persone, serie d'incarnazioni. E nel nostro mondo moderno ci sono poemi nei quali, dietro il velame del
giuoco di persone e di caratteri, si tenta di rappresentare, quasi senza che l'autore se ne renda conto, una molteplicità psichica. Volendo capire questo fatto bisogna decidersi a non considerare i personaggi d'una simile opera di poesia come singole creature, ma come parti, lati, aspetti diversi di una superiore unità (sia pure dell'anima del poeta). Chi consideri il Faust in questo modo, vedrà che Faust, Mefistofele, Wagner e tutti gli altri sono un'unità, una
superpersona, e soltanto con questa unità superiore, non coi personaggi singoli, si accenna alla vera essenza dell'anima. Quando Faust pronuncia le parole, celebri fra i maestri di scuola, ammirate con un brivido dai borghesucci: "Due anime, ahimè, son nel mio petto!" egli dimentica Mefistofele e una folla di altre anime che sono anch'esse nel suo petto. Anche il nostro lupo crede di aver in petto due anime (lupo e uomo) e già gli pare di avere il petto molto angusto. Il petto, il corpo è infatti sempre uno, le anime invece che vi albergano non sono due o cinque, ma infinite; l'uomo è una cipolla
formata di cento bucce, un tessuto di cento fili. I vecchi asiatici lo sapevano bene e lo Yoga dei buddhisti ha inventato una tecnica precisa per smascherare l'illusione della personalità. Divertente e molteplice è il giuoco dell'umanità: l'illusione, per smascherare la quale l'India si è affaticata per un millennio, è quella stessa che l'Occidente ha durato uguale fatica a sostenere e a rafforzare… Se consideriamo il lupo della steppa con questo criterio, capiremo perché soffra tanto della sua ridicola duplicità. Egli crede, come Faust, che due anime siano troppe per un solo petto e pensa che lo debbano dilaniare. Sono invece troppo poche e Harry fa violenza alla sua povera anima quando cerca di comprenderla in un'immagine così
primitiva. Benché sia persona così colta, Harry si comporta come un selvaggio che non sappia contare più in là di due. Una parte di sé la chiama uomo, l'altra parte lupo, e con ciò crede di aver finito e di aver esaurito il suo compito. Nell'"uomo" egli caccia tutto quello che ha in sé di spirituale, di sublimato o per lo meno di culturale, e nel "lupo" tutto ciò che ha di istintivo, di selvatico e di caotico. Ma la vita non è semplice come il nostro pensiero, grossolana come il nostro povero linguaggio di idioti…Quello che di volta in volta gli uomini intendono col concetto di "uomo" è sempre una convenzione borghese transitoria…Invece di restringere il tuo mondo, di semplificare la tua anima, dovrai accogliere più mondo e infine il mondo intero nella tua anima dolorosamente ampliata per poter giungere forse un giorno alla fine, al riposo. Questa via fu percorsa dal Buddha…

H. Hesse

4 commenti:

fiore selvatico ha detto...

Scrissi questo breve aforisma dopo averlo letto ,nel 93,ero molto pivello allora,Essere soli con se stessi ,è la cosa piu difficile,di questa breve vita.Superare la solitudine,sentire il contatto umano la unica cura.Io potrei essere un lupo della steppa,ma perche tanta sofferenza?,,,,,,Be oggi ,con la mia maschera giornaliera,una delle mie infinite personalita, Harry non consta di due esseri ma di cento, di mille,ti dico,che l"unica ricetta contro la sofferenza,è rispecchiare il mondo circostante e DIVENIRLO,l"unica ricetta contro la sofferenza,è essere uno specchio che riflette l"infinito spettacolo della vita,allora la stessa diventa davvero un teatro magico,impossibile soffrire o annoiarsi in un teatro magico,ahahah

*Dioniso*777* ha detto...

eSSERE SOLI SPESSO SIGNIFICA ANCHE CRESCERE, SOPRATUTTO DIREI!
Il teatro del mondo ... e non costa niente!

1109 ha detto...

No ve be.. dopo questa dichiarazione d'amore per Hesse non puoi scrivere una ovvietà tanto volgare! È come se da solo sfottessi te stesso... Perde di credibilità il copia e incolla! Il teatro del mondo.. non cosa niente? ???? Essere soli e crescere? ma che c'entra ?

*Dioniso*777* ha detto...

c'è poco da aggiungere, nel tuo commento dimostri TUTTO

LKWTHIN

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