"THE END"

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venerdì 4 marzo 2011

Il capitale del vero e l'allevamento del genio

Da Esonet.it




Il "capitale del vero" e l'allevamento del genio

Osservazioni sugli Scritti filosofici di Ernest Renan
di Riccardo Roni
prodotto per Esonet.it


"L'umanità produce Bibbie e cannoni […].
È democratica, e ha nobili e re;
edifica chiese, e contro le chiese edifica atenei;
trasforma i conventi in caserme,
ma assegna alle caserme cappellani militari."
R. Musil 
[1]

Le regole dell'ordine

Essere liberi corrisponde a un atteggiamento di rifiuto della responsabilità verso i propri sogni. Questa nota corrisponde ad una perfetta radiografia dell'uomo-Renan, ossia dell'uomo comune che presenta l'avvento di un immane eroismo collettivo da formicaio. Se il tempo dei sistemi assoluti è finito, restano gli uomini massa che "sognano" uno scopo ideale dell'universo, che credono in un fine divino, nel trionfo della ragione. Ernest Renan, che ha dimostrato di amare l'uomo-massa con una filosofia pseudo-aristocratica, ha amato raffigurarsi come l'uomo delle differenze, perché credeva che la creazione di masse "organiche" fosse una legittima reazione all'ineluttabile durezza della natura. Perché la naturale inerzia del vivente consiste soprattutto nel saper sopportare il giogo di vivere "nell'ombra di un'ombra" [2], nel saper dominare il vuoto del caso attraverso vecchie credenze, che non sono state mai sostituite.
In questo l'uomo è come una cavia da laboratorio, come quegli animali a cui i fisiologi levano il cervello per sperimentare i nuovi eroi e creare così il loro pubblico. Nella prefazione ai Dialoghi e frammenti filosofici (1876), Renan spiega come l'uomo erede dei sistemi assoluti ormai tramontati, debba sentirsi pronto a lanciare una sfida a se stesso per sviluppare una capacità "sovrumana" di sopportare le conseguenze di un pensiero artificiale. L'universo ha uno "scopo ideale" da raggiungere, e l'uomo deve servirsi della tecnica per conquistarsi in blocco l'esperienza. L'abitudine, o meglio, abituarsi a questa "diversità" artificiale, corrisponde a quel processo di eterno disaccordo e di sconvolgimento di tutti i ritmi, come direbbe Musil, rintracciabile nella vita della grande metropoli, il cui abitante somiglia ad una vescica ribollente posta in un recipiente materiato di leggi, regolamenti e tradizioni storiche ormai logore. Questa novità dell'abitudine e della capacità di abituarsi possiede il potere di mortificare gli istinti vitali "ma questi movimenti istintivi si indeboliranno con il tempo" [3], il cui potere affermativo, per usare le parole di Nietzsche, deve essere duramente contrastato dalla sovranità assoluta di una ragione fantasma. Da non confondersi con quella ragione che, alla maniera di Hegel, si fa soggetto autocosciente attraverso il riconoscimento della libertà dell'altro [4]: "per la piena esistenza della ragione", osserva Renan, "non è affatto necessario che tutti la percepiscano" [5]. Non c'è più spazio per le lotte di riconoscimento, se agli istinti sociali deve essere preclusa qualsiasi aspirazione alla ragione.
"Dio non agisce tramite volontà particolari": il principio della responsabilità individuale dell'agire si sgretola sotto lo spettro di un empirismo radicale che vieta la possibilità di pensare un mondo secondo concetti. Tutto è dato, ma niente è concesso. Dopo Hegel, Renan non può giungere ad un punto di vista spirituale che non copi quello e non sia d'altra parte puramente arbitrario. Il sapere assoluto di Renan si illude di rappresentare la vera essenza dell'uomo, e l'appropriarsi dell'essenza oggettiva ed estraniata dei fenomeni corrisponde soltanto ad una sottrazione di realtà, profilandosi come l'ennesimo tentativo di rappresentare, alla vecchia maniera, un assoluto che "è" ma non diviene. Ciò che Renan descrive non è in genere un processo umano, ma un processo divino nell'uomo, il cui vero soggetto è un'idea astratta di verità. La casistica del soggetto e dello spirito libero è degna di un omerica risata in una notte in cui tutte le differenze svaniscono. Le leggi generali che tutto regolano secondo un ordine vero, bello e buono, in qualità di tecniche di allevamento dell'uomo, non lasciano spazio ad alcun scampo trascendentale: l'uomo agisce come una causa, ma non può ottenere deroghe dai propri creditori dell'aldilà. Subordinato al regno universale dell'ordine, si apre l'oscuro regno di natura, storia e società. Alla maniera degli dei insensibili di Epicuro, le regole universali dell'ordine non condizionano le vicende umane, ma spetta all'uomo stabilire connessioni e relazioni tentando di "corrompere il dio con piccoli doni" [6]. Diversamente dall'essere generico di Marx, che distruggendo i falsi idoli costruiva un mondo in cui l'uomo era padrone di se stesso [7], l'uomo scientifico di Renan, attraverso le sue scoperte fa una "domanda di miracolo" per cambiare l'ordine della natura.
Secondo questa lettura, l'uomo è un formicaio che porta il mondo, perché, come osserverà Nietzsche, se pensiamo un mondo senza soggetto, se eliminiamo il soggetto con il pensiero, resta il mondo delle formiche [8]. Nell'interpretazione di Renan l'uomo sta ai valori del vero, del buono e del bello come la formica è ignara dell'uomo che, più grande di lei, la schiaccia con il suo incedere. È dunque a partire dal sentimento di dolore che il mondo (comprese le formiche) può svilupparsi e crescere su se stesso e il sistema dei bisogni insoddisfatti spingere ciascun essere vivente a produrre una coscienza. Quale natura per questa coscienza? "Non c'è alla portata dei nostri mezzi di osservazione", spiega Renan, "una coscienza superiore all'uomo (voglio dire una coscienza riflessa, finita)" [9], "la coscienza di tutto sembra fino a qui molto oscura, non sembra affatto superare di molto quella dell'ostrica e del polipo, tuttavia esiste; il mondo va verso i suoi scopi con istinto sicuro" [10].
Secondo questa lettura, la coscienza dell'uomo risulterebbe soltanto una forma "raffinata" di istinto, che egli ha in comune con gli animali. Ciò che tuttavia sembra distinguere con maggiore precisione l'uomo dall'animale non è tanto la coscienza quanto la ragione, che Renan identifica con Dio. Dio sta alla coscienza come la ragione all'istinto. Per salvaguardare il loro interesse superiore, gli uomini devono sacrificare la loro comune parentela "di coscienza" con il resto del mondo vivente: "la natura, nelle sue combinazioni, sembra aver mirato molto di più ad uno scopo sociale che alla soddisfazione dell'egoismo degli individui" [11]. Il superamento del mero egoismo avviene su due fronti: da un lato con la sublimazione degli istinti nell'ideologia religiosa ("Dio è la ragione di quelli che di ragione non ne hanno" [12]), dall'altro attraverso una procreazione controllata da "sentimenti contraddittori", che, "come i cordami di un vascello […] servono a tirare, a chiudere, a reprimere, a fermare, a eccitare" [13]. Mediante l'abuso delle pene più crudeli, la natura trasforma l'uomo-formica in uomo-polipo [14], il quale per un verso cerca di salvaguardare la propria specificità con l'atto procreativo e per un altro si edifica con "paradisi chimerici" [15], ai quali a mente fredda non riesce a trovare un'ombra di credibilità. Non è più l'astuzia della ragione a creare le condizioni di sviluppo e di crescita della specie umana, ma il persistente egoismo dell'istinto di autoconservazione, che tramite le unità individuali persegue un fine superiore. "Le credenze della religione naturale, tutte derivanti dall'imperativo categorico, hanno l'aria di una rete che ci prende in trappola, di un filtro che ci seduce": secondo un principio di moralizzazione progressiva, l'istinto di autoconservazione si raffina in istinti filosofici, morali ed estetici per preparare l'uomo a collaborare all'inganno che sta a fondamento dell'universo. Non si cerca più, come insegnava Schopenhauer, di sospendere attraverso l'arte, la morale o l'ascesi, la pulsione egoistica che spinge il mondo ad una affermazione violenta. Renan non nega che i contenuti della cultura consistano in formazioni che rientrano nel dominio di un ideale autonomo, ma non li considera nell'ottica dello sviluppo delle forze del nostro essere, da esse portato avanti e sostenuto oltre la sua condizione meramente naturale. Invano ogni tentativo di sottrarsi all'eterno inganno e al limite di una natura egoista. Alla sua origine, tuttavia, vi è perlopiù la violenza di pochi e la rassegnazione di molti: "La morale si riduce così alla sottomissione. […] Questa rivolta dell'uomo è il crimine per eccellenza." [16]. Unica via di uscita sarà combattere i deboli e obbedire ciecamente ai forti, anche a costo di sacrificare la propria individualità. Toccherà al genio-tiranno rinsaldare la propria complicità con Dio, per portare a compimento la grande opera di "allevamento" dei mediocri attraverso l'inganno pianificato, "predicando agli uomini la virtù, pur sapendo perfettamente che non ne ricaveranno alcun vantaggio personale" [17].

Il "capitale" del vero

Se da un punto di vista epistemologico l'uomo ricava i propri contenuti di vita dal regno di ciò che è valido oggettivamente, da un punto di vista storico egli riceve la maggior parte di essi dal patrimonio di lavoro intellettuale accumulato dalla specie. Si presentano pertanto, come osserverà Simmel, dei contenuti preformati pronti per essere realizzati dalle menti individuali [18].
Così Renan considera il processo di accumulazione del capitale-cultura come una costante storica, dal quale si sviluppa un articolato sistema delle rendite e dei profitti: l'imperativo categorico di Renan prescrive di accumulare tanta più forza intellettuale possibile quanto ampia può risultare l'estensione di valori assoluti.
Il desiderio (désir) di arrivare per primi nella strenua competizione per ottenere rendite che liberino dal peso della necessità, favorisce così un'intima ricerca di paradisi artificiali in cui poter guardare dall'alto il mondo che ha le doglie. Se il dolore della competizione rappresenta la nostra normale condizione naturale, la cultura e la civiltà rompono questo equilibrio [19]. Su questo punto Renan non ammette equivoci. L'equilibrio, ottenuto grazie all'accumulo di immensi capitali e il benessere, ricavato dai vantaggi delle rendite, porteranno il mondo alla morte [20], perché l'inizio della storia o il passaggio dall'animalità all'umanità furono "una brusca uscita da una condizione paradisiaca senza individualità, per passare ad uno stato di guerra, di amore e di odio" [21]. Non esiste dunque civiltà senza individualità. La genesi dell'individualità e la sua evoluzione storica sono debitrici del valore-lavoro. Tuttavia in questo passaggio Renan si contraddice. Perché da un lato esalta il benessere sazio dei protagonisti dei paradisi artificiali dove tutto è vero, bello e buono, e dall'altro ammette candidamente che, nel contesto della civiltà moderna, quell'inerzia e quel fatale equilibrio saranno la morte del mondo. Una profezia sull'avvenire del capitalismo o una mera nostalgia di uno stato di natura? Ebbene, l'una opzione non esclude l'altra. L'economia e lo stile di vita determinati dal denaro causano la continua oggettivazione dei rapporti, l'eliminazione di ogni tinta e orientamento personali. Dunque sembra profilarsi la possibilità di un ritorno ad una dimensione pre-individuale in uno stato di natura rovesciato. In questo modo deve sorgere una barriera interna tra gli uomini, che tuttavia è la sola a rendere possibile la moderna forma di vita, e che, nella psicologia di Renan, sfocerà in un atteggiamento razzista.
Se la vita moderna è caratterizzata dall'allontanamento dalla natura a cui costringe la vita economica e la vita cittadina che ne dipende, è tuttavia solo mediante questo allontanamento che riaffiora il vero e proprio sentimento estetico e romantico della natura. In questo senso può essere inteso il richiamo di Renan a quella condizione paradisiaca senza individualità, un'immagine lontana, che sta davanti come una promessa mai completamente mantenuta. Lo sviluppo dell'economia capitalistica determina dunque un "ritorno" ad una condizione "virtualmente" paradisiaca di un mondo artificiale dalla breve durata: "solamente con la scienza […] comincia veramente il riflettersi dei raggi dell'universo. Si può dire quindi che l'umanità è la più alta espressione, a noi nota, della vita della natura […]. Fra qualche centinaio di migliaia di anni […] allora la Terra sarà come la luna, un pianeta esaurito, che ha compiuto il proprio destino e consumato il suo capitale planetario di carbone, di metalli, di forze vive, di razze. Il destino della Terra non è infinito" [22]. Ma la speranza è l'ultima a morire, perché "lo sviluppo razionale del mondo", chiarisce Renan, "non è subordinato a quello dell'uomo né alle ristrette risorse del globo terrestre" [23]. L'oggettivazione si può impadronire della produzione sia nei confronti del soggetto che produce che nei confronti di quello che consuma. Attraverso questo processo la produzione si trova al di là delle differenze sociali o d'altro tipo: "forse un giorno l'intero universo sarà associato in un'unica compagnia con un unico capitale. Le risorse per lo sviluppo dello spirito saranno allora inesauribili; si intraprenderà la conquista dell'ideale con una disponibilità di mezzi praticamente infinita" [24].
È emblematico come Renan avverta la necessità di salvare la propria teodicea, rilanciando la teoria ben oltre i suoi stessi limiti: "il capitale del vero, benché risulti da piccole economie, aumenta sempre" [25]. Secondo questo vettore si produce, come direbbe Simmel, un avanzamento della cultura delle cose e l'arretratezza della cultura delle persone, che in Renan sfocia in una ideologia razzista: "l'assenza di sane idee sull'ineguaglianza delle razze può condurre ad un decadimento generale" [26]. L'idealizzazione del lavoro costante dell'umanità per la secrezione del vero, alla cui origine vi è lo spettro di una natura matrigna, conduce dal sacrificio delle individualità al colpo di frusta dell'ineguaglianza delle classi. Mentre Schopenhauer cercava di sospendere la lotta di tutti contro tutti, ricorrendo alla morale della compassione, Renan sente il bisogno di inasprire ogni scissione per inaugurare l'ingresso di nuovi tiranni, che vivono delle briciole della tavola del mondo. Questi nuovi detentori di un immenso capitale nonché fruitori beneficiari delle rispettive rendite, avranno il compito di dominare una massa materialistica da loro stessi creata. Quando la sorte del mondo dipende da un solo uomo o da un piccolo numero di uomini, il progresso segna la propria decadenza: è il momento in cui le province insorgono dal loro "letamaio"; l'umanità nel suo complesso non potrà raggiungere alcun equilibrio duraturo se le sicurezze dipenderanno dall'estrazione di un biglietto di lotteria. Il capitalista del vero sarà sempre debitore di indelebili perdite.

I futuristi dell'assoluto

Molte braccia per un solo profitto, infiniti talenti per un unico scopo. Attraverso i sentieri bui della selezione delle coscienze, una nuova aristocrazia di ingegneri di anime eserciteranno un dominio sicuro su una folla disarmata. Scienza e metafisica si fondono e confondono: "bisogna concepire un piccolo numero di saggi che controllano l'umanità con dei mezzi segreti di cui la massa non potrebbe servirsi, perché questi presuppongono una quantità eccessiva di conoscenze astratte" [27].
Renan è costretto a prendere le distanze da quella metafisica del sospetto che cerca le componenti enigmatiche dei fenomeni non nel mondo dell'aldilà, ma dentro le cose, per "santificare" la realtà. Il timore che il proprio itinerario filosofico possa essere equivocato con l'hegeliana ricostruzione dell'assoluto, ("Hegel è morto" [28]) conduce Renan a definire i contorni di una metafisica autoritaria: "l'ideale esiste. Esso è eterno" [29].
Non si tratta, in quest'ultimo caso, di quella metafisica poetica che spinge il filosofo o l'artista a scoprire il mondo come popolato da una folla di cose-cause strane, sconosciute, solitarie, che possono essere tradotte in pittura o descritte in un romanzo filosofico. Perché sarebbe necessaria una grande sensibilità di cui Renan, suo malgrado, non sembra disporre. Georges Sorel lo descrive come "sballottato tra la propria intuizione, quasi sempre meravigliosa, e una filosofia che non può accostarsi alla storia senza cadere nella banalità […], tenuto a ragionare secondo l'opinione scientifica dei suoi contemporanei" [30]. L'atteggiamento idealistico-razionale di Renan non comprende l'idea di una estetica metafisica basata sull'esperienza della vita. Le nozioni renaniane di verità o di bellezza appaiono fredde e impersonali perché fuori contesto e frutto di una serie di astrazioni dagli originari contesti di esperienza. Sono delle vere e proprie immagini motrici come pensò Sorel per i propri miti politici. Nella "nuova metafisica" di Renan, la voglia di mito è efficace solo in quanto funziona, in quanto produce degli effetti, ma resta epistemologicamente inconsistente, né vero né falso. Si passa dunque alla tesi che non esiste una corrispondenza ontologica fra pensiero e realtà e che unicamente il mito dell'assoluto o della ragione che dopo aver organizzato l'umanità, organizzerà Dio [31], può dare un senso a un mondo che in se stesso ne è privo.
Perché una volta raggiunto il suo massimo sviluppo, l'economia capitalistica avrà reso la terra dell'avvenire un pianeta sazio popolato da idioti, "che si scaldano al sole, nella sordida pigrizia di esseri che non mirano che ad avere il necessario per la vita materiale" [32]. Questa profezia, dai toni marcatamente pessimistici, non sembra tuttavia ridursi ad un mero invito alla rassegnazione. La scienza, sfruttando le energie alternative, e l'arte della guerra, come forza militare organizzata in pugno ad una aristocrazia di eletti, rappresenteranno utili misure correttive per contrastare le contraddizioni del capitalismo avanzato. Secondo Renan dunque la scienza non può ammettere esitazioni etiche e tanto meno estetiche. Essa rappresenta la regola dell'ordine e del dominio incondizionato di pochi sulla maggioranza. Scienza diverrà inoltre sinonimo di una coscienza che opererà una radicale riforma del mondo istintivo: "fin qui infatti, i progressi della coscienza si sono avuti solo grazie alle semplici forze della natura, mediante un istinto che differisce di poco da quello che presiede alla nascita ed allo sviluppo degli animali. La riflessione scientifica un giorno vi penetrerà" [33]. La secca rimozione delle pulsioni vitali che spingono il soggetto ad una affermazione creativa all'insegna di un rapporto etico con la natura, determinerà la morte dell'arte: "il progresso dell'umanità non è in alcun modo un progresso estetico" [34]. Il "nuovo" assoluto di Renan non conosce né arte, né religione, né filosofia, ma costruisce le tecniche del sapere e del controllo da applicarsi a quella coscienza che, in molti individui, non è ancora completa: "lo scopo della natura, invero, non è che tutti gli uomini vedano la verità, ma che il vero sia visto da qualcuno e che se ne conservi la tradizione." [35]. Questi infatti non hanno ancora raggiunto un'identità omogenea, tanto definita come quella che si può osservare nei componenti dei gruppi organici. Perché la "vera" coscienza, secondo Renan, "è una risultante di milioni di altre coscienze che concordano in un medesimo scopo" [36]. Occorre pertanto attuare un dispositivo di selezione che operi fra i differenti livelli di coscienza per sfruttare al massimo le costanti dell'ereditarietà e dell'atavismo: "ogni essere ha vissuto nei suoi antenati, ha subito le loro attitudini, ha obbedito ai loro desideri ed ai loro sentimenti dominanti. Il pronipote del servo è ancora curvo" [37]. È a partire da questa ultima nota che Renan giunge a concepire una futura coscienza dell'umanità, in cui tutte le coscienze individuali formeranno una sola coscienza, perché "lo scopo perseguito dal mondo, lungi dall'essere il livellamento delle vette, deve essere al contrario la creazione di dei, di esseri superiori, che il resto degli esseri coscienti adorerà e servirà, felici di servirli" [38].

I nuovi eroi e il loro pubblico

Hegel, nella sua filosofia della storia, definiva le possibilità concrete di liberazione dell'individualità nell'itinerario della storia mondiale, in virtù della capacità, riscontrabile in particolari personalità (a partire dal caso di Socrate), di opporsi allo status quo di doveri, leggi e consuetudini esistenti, per creare un nuovo ordine di cose, oggettivando, per così dire, il contenuto della propria libera autocoscienza [39].
Renan, diversamente da Hegel, punta invece su un esperimento immaginario. Il passaggio dalla coscienza alla ragione è segnato dalla "produzione" dei grandi uomini ad opera di una scienza antidemocratica. Non si tratta più, come voleva Hegel, di rendere possibile il regno della libertà realizzata attraverso la mediazione della coscienza di un popolo, perché nella prospettiva di Renan "l'opera del liberatore sarà compiuta da un uomo, non da una massa" [40]. Questi nuovi eroi sono a loro volta soggiogati da un fine superiore e, sottostandovi, devono rinunciare a se stessi, ottenendo in cambio una poltrona nel parlamento della scienza.
Essi divengono persone giuridiche solo in quanto individui privati. Per questi può valere soltanto una legalità astratta. Questo tipo di uomo disincantato come io, che non fa parte del regno cristiano di Dio e non ha nessun incarico nel regno spirituale del mondo di Hegel, fa intervenire nell'azione concreta soltanto la propria autorità soggettiva del dominio, "così ci si può immaginare il tempo", spiega Renan, "in cui un gruppo di uomini regnerà su tutti gli altri con diritto incontestato" [41]. Completamente ignari della trasparenza di una ragione liberatrice, questi nuovi maghi del consenso esercitano sulle masse un potere virtuale, sostenuto, prima dalla forza della superstizione, poi dalla tecnica scientifica, che disporrà di un inferno reale. Da pura strategia magico-virtuale, appannaggio della pratica religiosa, questo potere si trasforma in sapere tecnico: "i dogmi cristiani hanno avuto la forza di bruciare coloro che li negavano; accadrebbe quindi che i dogmi scientifici annienterebbero direttamente e ipso facto coloro che non vi credessero" [42].
Mentre nello stato di natura la paura era un sentimento naturale, adesso nel mondo creato dalla scienza la paura diventa una creazione artificiale. L'uomo scientifico succede al vecchio Dio creando seconde e terze nature, la cui risultante sarà un'umanità da allevare nelle serre del profitto.
Renan sente da vicino la morte di Dio, da non confondersi con l'esperimento mentale di Hegel, volto a liberare la coscienza infelice del soggetto da uno stato di minorità [43].
Con il passaggio di testimone dalla religione alla scienza (e non dall'arte ad una scienza "gaia", come vorrà Nietzsche), il vecchio sacerdote è soppiantato dal tiranno positivista. Ben lungi dall'incarnare la tensione patetica e romanzesca dell'individuo cosmico-storico di Hegel o la tempra spirituale del superuomo nietzscheano, il tiranno di Renan ben si identifica con il funzionario di apparato. Non c'è più alcuno spazio per le forti passioni e per i grandi ideali di emancipazione nel caso in cui le masse affidano, come vuole Renan, la propria ragione ad una casta di burocrati del vero. Resta in quest'ultimo caso soltanto lo spazio per un potere bieco, sostenuto dalla pratica quotidiana del terrore. Questo potere è esercitato da coloro che favoriscono la persistenza dell'istinto di autoconservazione attraverso la pianificazione razionale di un dispotismo teologico-politico [44]. Obiettivo primario è pertanto la conservazione della specie, anche a costo di sacrificare l'uguaglianza e la dignità degli individui.
In questo regno dell'ordine viene meno qualsiasi corrispondenza ontologica fra soggetto pensante e realtà. Con la creazione di nature artificiali ad opera dello scienziato che sa e che può, l'uomo diventa un essere contro natura, destinato tuttavia a perdere nella sfida evolutiva. Da questa opera di selezione artificiale si dovrebbe sviluppare una razza superiore "con il diritto di governare non solo per la sua sapienza, ma per la superiorità stessa del suo sangue, del suo cervello e dei suoi nervi." [45]. Questi nuovi eroi, in quanto possono vivere soltanto in ambienti artificiali, prima o poi finiscono per cadere, come baccelli svuotati del seme. Renan parla infatti di "difficile conservazione" di simili esseri contro natura [46], perché la "produzione" dei devas è valutata come un "capitale". La scienza deve in questo senso riprendere l'opera della natura per superare i limiti propri del soggetto pensante e creare, in nome del puro potere, attraverso una lunga serie di selezioni e accumulazioni, una razza superiore, con il diritto assoluto di governare.
devas sono infatti esseri contro natura, che hanno sviluppato un organo attraverso l'atrofia di un altro; in essi la forza del pensiero e la magia del concetto sono soppiantate dal potere dell'opinione vana e della superstizione. Per questo sono al contempo esposti al più alto rischio di sopravvivenza.
Per scongiurare l'imminente minaccia di una crisi di potere dei devas, causata dall'impoverimento delle risorse del pianeta e dall'alterazione di qualsiasi equilibrio naturale, il filosofo considera il sistema dei bisogni umani come la sorgente di legittimità per lo strapotere della scienza. Se l'uomo non potrà mai rinunciare ai propri bisogni ("la migliore garanzia è il bisogno" [47]), compito della scienza sarà di rinsaldare la sua dipendenza da questi, con il risultato di un grande centro di potere sempre più universale che pensa (le strategie di consenso) e gode (attraverso i bisogni) in milioni di individui. Un minuzioso ritratto della futura società del capitalismo avanzato. È evidente come nella riflessione di Renan siano maturate molte tendenze che caratterizzeranno la condizione dell'uomo e della natura nella fase matura del capitalismo, in cui l'uomo potente e ricco sacrifica la vita di molti milioni di individui indigenti ("il mondo non è che una serie di sacrifici umani" [48]), per assecondare i propri bisogni artificiali, falsamente creati per legittimare il potere artificiale di pochi sul mondo. "La massa lavora e alcuni svolgono per suo conto le funzioni elevate della vita: ecco l'umanità." [49]. Il lavoro di pochi "che vivono per tutti" non favorisce la liberazione dell'umano dalla dipendenza naturale ma è assunto come un dispositivo di differenziazione sociale. Come un ingranaggio di una grande macchina, ogni classe sociale esegue il sacrificio quotidiano delle unità individuali, lavorando inconsapevolmente a spese dell'avvenire. La profonda immoralità che segna l'itinerario filosofico di Renan è causa della propria stessa disfatta, inaugurata dall'esaurimento del pianeta e dalla cultura della guerra. I pensieri viziati del benessere e del vizio sregolato di una borghesia sazia, si surriscaldano nelle file di un'umanità allevata in serra. È l'artificio a regnare sovrano, con il trionfo della tecnica e il tramonto di quella metafisica che santificava la vita attraverso il riconoscimento delle differenze. Resta, per un verso, lo spazio oscuro di una mondanità accelerata in cui lo scienziato crea chimicamente i sapori artificiali delle cose per il grande pubblico, per un altro, la gerarchia e i sacrifici della società delle divise, che innalza riti a feticci deformi per guadagnarsi una fetta di cielo: "in questa piramide del bene, innalzata dagli sforzi successivi degli esseri, ogni pietra conta. […] Noi viviamo in proporzione alla parte che abbiamo avuto nell'edificazione dell'ideale." [50].
All'interno di questo quadro, non sembra esserci spazio per alcuna forma di coscienza che procede dialetticamente per opposizioni tra il soggetto e tutto ciò che immediatamente differisce per le proprie qualità specifiche. Le limitazioni appartenenti alla dimensione della coscienza e le opposizioni attraverso cui si costruisce lo spazio di autonomia dello spirito libero, inteso hegelianamente come il volere libero, che è per sé unità di spirito teoretico e pratico [51], in Renan sono subordinate all'idea assoluta che richiede la necessità di un atto di fede per un'identificazione totale. Il bisogno universale di crescita si concretizza nel congedo da un assoluto dal volto umano, che è una rinuncia alla libertà razionale.
Il richiamo di Renan alle antinomie della ragione resuscita la possibilità di ripensare il bisogno di assoluto come la condizione di possibilità per una esperienza storica della vita.

I segreti della storia

Renan sente il bisogno della riflessione storica come contrappeso alle speculazioni sempre più astratte, prodotte da una conoscenza sempre più lacunosa. Ma la valutazione del "progresso" storico è destinata a cadere nella trappola di quegli stessi orientamenti teorici che hanno fatto da sfondo alla sua teodicea. Il filosofo ricerca una legge di progresso nella concatenazione dei fatti storici, in cui tutto sembra collegato da una ragione segreta e ogni momento "ha la sua ragion d'essere nel momento anteriore" [52]. L'obiettivo primario dell'indagine storica di Renan consisterebbe nello stabilire una teleologia a ritroso, per andare alla ricerca di un tempo perduto in cui il pianeta Terra non esisteva ancora. Parallelamente alla teodicea cosmica, secondo cui occorreva sacrificare le mere unità individuali per legittimare il potere dell'assoluto, così lo storico non può concepire una storia esclusiva del singolo pianeta Terra, ma occorre piuttosto che si metta alla ricerca di un corpo più esteso in un'epoca anteterrestre, da cui l'individualità di quella deve aver tratto origine. Renan recupera il mito del Sole, con l'implicito riferimento all'idea di bene platonica, o alla stessa divinità di febo Apollo, per affermare la tesi che "la storia del mondo è la storia del Sole" [53] seguita dal corollario secondo cui "il piccolo atomo, separato dalla grande massa centrale attorno alla quale gravita, non conta quasi nulla" [54]. È significativo come in Renan la riflessione storica sia fortemente in debito con la già richiamata teodicea metafisica: "prima che la religione arrivasse a proclamare che Dio deve essere considerato assoluto e ideale", spiega il filosofo, "ossia concepito al di fuori del mondo, un solo culto fu ragionevole e scientifico, il culto del Sole." [55].
Se ciascun ente sulla Terra è debitore dell'energia solare che dà vita e forza a milioni di corpi, così la chimica diventa la storia del più antico periodo del mondo, la storia della fondazione della molecola. La chimica precede pertanto la scienza astronomica per ridurre i corpi complessi alle loro unità semplici e ricostruire (questo è per Renan il vero modo di fare storia) la possibilità di creare un mondo artificiale. Occorre poi spogliare l'ente di ogni qualità chimica per ridurlo, mediante una lenta manipolazione, all'atomo puro, oggetto della fisica meccanica. Il ritorno alla natura sognato da Renan, si concretizza nel recupero di uno stadio primitivo in cui tutto si presenta con il medesimo aspetto e non c'è più spazio per alcuna individualità distinta. Se la ricerca storico-antropologica dimostra che vi è stato uno stadio del mondo in cui la materia è esistita senza qualità intrinseca, senz'altra determinazione che la quantità della sua massa, la meccanica, che studia questi processi potrà risultare determinante nell'approccio all'universo umano. Di fronte al potere della meccanica la ragione si inabissa e perfino la stessa matematica è una forma di metafisica, incapace di rivelare le leggi segrete della natura che si fa storia [56]. Il pragmatismo di Renan si concretizza nell'imporre ai fenomeni un dispositivo di decelerazione, per frenare la continua spinta affermativa che contraddistingue la vita del pianeta Terra. Se il segreto della storia è il progresso, che ha fatto procedere il mondo dall'antico regno della meccanica fino al mondo umano cosciente, l'uomo che vivrà nel pianeta esaurito delle proprie risorse, dovrà saper creare un dispositivo di selezione artificiale per ottenere nuovi equilibri che vadano a sostituirsi progressivamente ai ritmi naturali, fino a varcare realmente i limiti del proprio pianeta ed estendere la sua pulsione distruttiva al di là di esso [57].
"Cosa diventerà il mondo […] quando la chimica, invece di ottant'anni di progresso ne avrà cento milioni? […] Chissà se, possedendo il segreto della materia, un chimico predestinato trasformerà tutte le cose? Chissà se, possedendo il segreto della vita, un biologo onnisciente ne modificherà le condizioni, ed un giorno le specie naturali saranno considerate resti di un mondo invecchiato e inospitale, le cui reliquie si custodiranno con cura nei musei? Chissà, in una parola, se la scienza infinita ci offrirà il potere infinito, secondo il bel motto baconiano: «Sapere è potere»? L'essere che dominerà una tale scienza e un tale potere sarà davvero il padrone dell'universo e supererà i limiti del suo pianeta, poiché per lui lo spazio non esisterà più. Un solo potere governerà concretamente il mondo e sarà la scienza, il pensiero." [58]
All'interno di questo quadro, non è più Dio a fare la storia ma è la storia che costruisce progressivamente un'esistenza totale che diventa sinonimo di divinità. Non è più l'essere eterno, la causa non causata, a creare il divenire ma questa volta è Dio il fine (e la fine) del divenire. Il trionfo dell'assoluto di Renan coincide storicamente con il trionfo del capitalismo con la "capitalizzazione delle scoperte" [59], con l'esaurimento del pianeta e la distruzione chimica dell'uomo. Il raggiungimento dell'essere equivale alla creazione di condizioni di vita per un non essere. La faticosa conquista dell'ideale, condurrà l'uomo al sacrificio assoluto, perché questo ideale corrisponde alla morte dell'uomo: "la coscienza, in effetti, è per noi un risultato e il risultato sparisce con l'organismo da cui deriva, l'effetto se ne va insieme alla sua causa: decomposto il cervello, la coscienza dovrebbe dunque sparire" [60]. Ma che cosa resta di una personalità senza coscienza, come vuole Renan? L'anima, secondo il filosofo, privata della coscienza, è sinonimo di una personalità individuale che "non sta da nessuna parte" [61] fuorché in Dio, il premio per il sacrificio di sé.
L'essere morale dell'uomo descritto da Renan, non è dunque il risultato, come in Hegel, di quel processo riflessivo che determina ed elabora la persona (giuridicamente astratta) come soggetto, il quale rappresenta l'esistenza del concetto di sé (la libertà dell'uomo, il suo volere in qualità di soggetto elaborato) [62]. In Renan, la moralità si conquista attraverso il sacrificio di sé, rimettendosi a Dio, alla "coscienza generale". Non è concesso pertanto alcuno spazio per un percorso di elaborazione personale, orientato a rendere l'individuo autocosciente della possibilità di esistere come soggetto, di esistere effettivamente come causa sui: "la natura non è che un'apparenza e l'uomo non è che un fenomeno. C'è il nucleo eterno, c'è l'infinito, la sostanza, l'assoluto, l'ideale; […]. Ecco il padre dal cui seno proviene tutto e al cui seno tutto ritorna." [63].

Morte metafisica

"Hegel è morto", e l'unica scuola che resta in piedi è quella positiva, che rivendica per sé l'avvenire dopo aver compiuto il "funerale della speculazione astratta". Questa la presa di posizione di Renan. Quali sono le implicazioni di questa svolta antimetafisica, che resta la sua vera intenzione filosofica? L'intenzione di annullare ogni opzione metafisica rende praticabile concretamente l'antropotecnica positiva, perché con la morte del concetto che custodiva l'universo delle possibilità si smascherano i "segreti" contenuti nelle alte speculazioni che, sostenute da un articolato impianto logico, racchiudevano sapientemente le risorse per una percezione e un vissuto del reale anche fuori dal campo ristretto di un mero positivismo. Secondo quell'atteggiamento, era pertanto possibile prendere distanza dai "fatti" in virtù di quel percorso teoretico che presumeva un "ritorno alle cose stesse" al termine del proprio processo di maturazione. Non consistendo in un semplice ritorno all'identico, che avrebbe segnato la fine della vita, quel percorso significava un movimento di autocreazione dell'uomo alla luce della propria crescita razionale (coscienza, autocoscienza, dimensione morale ed etica). Questo era possibile perché l'autocoscienza dell'altro-da-sé garantiva, mediante una sorta di riflesso condizionato, la praticabilità di questo ritorno alla "cosa" stessa, ossia al proprio essere "causa". Il modello di soggettività che scaturiva da quel processo era di un tipo psicologico fondamentalmente predisposto all'utopia, all'immaginazione e al sogno.
La morte metafisica è invece il termine di questo modo di guardare alla storia delle idee [64]; un fenomeno che potremmo assimilare, secondo le parole di Nietzsche, ad un processo di lenta corrosione delle personalità fino all'eterna mancanza del soggetto [65].
Come è accaduto alla stessa filosofia dello spirito di Hegel nella critica dei giovani hegeliani, per Renan, il positivismo di Comte, resta ancora fortemente segnato dalla filosofia della storia ebraico-cristiana e condizionato dalla forma sistematica, dallo spirito geometrico [66]. Dunque egli scarta sia l'opzione metafisica, in quanto pericolosa minaccia per la presunta serietà dell'indagine scientifica, preferendo non attribuirgli un posto di valore nella storia dello spirito umano: "la metafisica somiglia troppo a queisutra buddisti, vasti portici, preamboli senza fine nei quali si annuncia per tutto il tempo una perfetta rivelazione" [67], sia l'argomentazione logica e il rigore geometrico, proprio delle scienze esatte. Quest'ultima nota è gravida di conseguenze. Le vere intenzioni filosofiche devono essere taciute alla maggioranza, che deve sentire l'eco del pensiero senza vedere lo strumento che la emette. Tuttavia ogni intelletto umano ha avuto il suo modo di concepire il mondo ed è stato così uno specchio metafisico dell'universo; elevato al di sopra dei fatti ne ha viste le leggi, la ragione, l'armonia, la bellezza.
Renan intende negare il potere pratico dell'interpretazione, appannaggio di ogni buon filosofare. Benché Renan non si esima dal riconoscere una certa "persistenza del sentimento filosofico" che accomuna filosofi, artisti e poeti, quelli che egli definisce gli interpreti "della grande poesia che nasce dalla natura e dall'anima" [68], la ragione non può creare la verità poiché l'uomo cerca ora il potere della tecnica per ricondurre il mondo fisico ed etico a leggi chimiche, fisiologiche e storiche. Non è più indispensabile che l'individuo biologico si senta a proprio agio nel mondo e che i "suoi" predicati esibiscano la certezza del proprio divenire "soggetto" razionale. La metafisica positiva è la morte della metafisica razionale, perché segna il tramonto della personalità libera e infinita, con la conseguente estinzione del sentimento di felicità etica, ricavato dal costruire l'esperienza della libertà. Se per Renan la storia e la natura non rivelano un piano delineato in anticipo, l'uomo che egli intende delegittimare è colui che, al contrario, possiede in virtù di un a-priori intuitivo la forza e il coraggio di far irrompere nel mondo l'impulso della libertà rischiando perfino la corruzione [69]. Nella prospettiva di Renan, questo processo di alta moralità, orientato a garantire l'estensione del dominio della libertà realizzata, è appannaggio esclusivo del Dio che, immaginato secondo un "antropomorfismo psicologico" [70], esige dalle proprie creature grandi sacrifici. Sugli uomini si applicherà di nuovo una legge, che li costringerà alla disciplina, "quando parla la ragione, noi non abbiamo il diritto di avere un desiderio, ma dobbiamo soltanto ascoltare, pronti ad essere trascinati, legati mani e piedi" [71], similmente a quanto avveniva nell'antico mondo teologico militare anteriore alla Rivoluzione francese, e determinerà secondo rigide norme i loro sentimenti, i loro pensieri e la loro volontà.

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