Chiedere la verità a gran voce è uno strumento democratico del quale dovremmo iniziare a fare un corretto e concreto uso.
La nostra democrazia è in pericolo, non contro un regime autoritario, non contro un tiranno che tenta di usurpare il potere della Repubblica, bensì contro una lenta, progressiva, insorgente forma di cultura della non cultura, di appiattimento della proprietà di riflessione contro un nulla su cui riflettere.
Non ci stanno dominando, ci stanno indebolendo fino a quando non saremo noi a chiedere di essere dominati.
Nel frattempo coloro che a vario titolo cercano di contribuire alla scoperta delle verità muoiono, fisicamente e socialmente, sono uccisi da mani ignote o da strumenti istituzionali gestiti in modo illecito dalle stesse mani ignote, tali da creare azioni giudiziarie eterodirette, tali da creare delle campagne di delegittimazione feroci, tali da indurre nella collettività una confusione a causa della quale è difficile capire chi è la vittima e chi è il persecutore.
Non sono fatti casuali, sono programmi (non complotti) ben studiati per gestire le masse, per renderle oggettuali ai centri di potere, che non sono solo politici, ma che della politica tentano di fare la propria espressione attraverso la quale non desiderano dominare ma mantenere uno status quo che gli consenta di non cambiare nulla.
Paradossalmente ci usano per rinforzare e difendere i loro interessi, tramite il bombardamento quotidiano dei programmi televisivi che, per quanto opinabili, non hanno nulla di strano se presi singolarmente; ma che trasmessi con questa frequenza, con questa contrapposizione alle notizie di cronaca, con questo preciso ritmo, si trasformano in una vera e propria arma, psicologica, sociale, emotiva.
Stanno cercando non solo di farci credere che “ribellarci” e’ errato invece che identificarci nella debolezza e nella ignoranza più assoluta degli esempi proposti, ma desiderano anche condizionare le nostre emozioni attraverso dei programmi che “formano” le nuove generazioni a vivere delle relazioni di sudditanza e non di crescita.
Ricordiamoci che la “ribellione” ad un tiranno, ad un potere autoritario, non è un’azione avventurosa o eroica, ma è una vera e propria emozione, perché la libertà è una emozione che ci dona benessere, energia, grinta, felicità, crescita.
Occorre fare molta attenzione a quelle attività che ho definito la “tecnica del kapò“, con le quali il tiranno riesce a sviluppare delle contrapposizioni fra i suoi sudditi, come le ronde volontarie, formate da semplici cittadini, spinti solo dalla propria ignoranza o idea politica, intolleranza o desiderio di aiutare, razzismo o accoglienza; mi scuso in partenza ma diffido di chi ambisce ad indossare delle divise ed assumere una sussidiarietà della sicurezza in favore del “padrone”; non voglio offendere nessuno ma la mia esperienza mi impone di riflettere molto bene sulla pericolosità delle “ronde padane” e delle altre associazioni che catalizzeranno tutti i “mancati vincitori di concorso” spinti da frustrazioni e facili da condizionare, compensandoli con il potere che crederanno di avere nel gestire qualche derelitto, qualche clandestino o di aver assunto un ruolo sussidiario di sicurezza, vigilanza o chissà cosa altro.
Ci stanno dividendo, separando, contrapponendo, ci stanno delegando di un nulla da risolvere per non risolvere nulla, per mantenere i motivi per rivolgerci al tiranno e chiedergli di essere aiutati, dolcemente dominati dai sorrisi.
Ci sono due eventi precisi sui quali chiedere a gran voce la verità, le stragi di Falcone e di Borsellino, per capire cosa si è sviluppato da quel momento e cosa stiamo subendo oggi.
Chiunque di noi ha avuto l’opportunità, in forza della propria professione, di indagare, leggere carte d’indagini, ascoltare in cuffia degli intercettati “potenti” ha avuto la piena coscienza dei fatti e soprattutto ha potuto sviluppare un pensiero ben preciso.
Come il mio pensiero, che grido da queste pagine…
“in che mani siamo….”
Fabio Piselli
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