La settimana scorsa vicino all’aeroporto internazionale Dulles mi sono trovato a poco più di una ventina di metri di distanza da un formidabile raggruppamento di 150 intrallazzatori – il Gruppo Bilderberg - la cui capacità di muovere denaro e di influenzare avvenimenti rivaleggia persino con l’imminente riunione del G20 in Messico, con il vertice del G8 dello scorso mese a Camp David e con il convegno militare della NATO a Chicago, il congresso di primavera della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale (FMI) in aprile o il World Economic Forum in Svizzera in gennaio.
I riservati membri del Bilderberg normalmente non calamitano proteste, ma ai miei fini, passando per Washington, questa è stata l’occasione migliore per ascoltare i loro critici dell’area ultraliberale-populista della società civile statunitense. Centinaia di manifestanti si sono accalcati sul marciapiede per tutto il fine settimana, motivati principalmente da una chiamata a “Occupare Bilderberg 2012” su iniziativa di Alex Jones, che ha un pubblico radiofonico di tre milioni e un violento sito web: infowars.com. (“E’ in corso una guerra per la tua mente”).
I manifestanti hanno scagliato insulti creativi alle limousine nere che passavano in direzione dell’ingresso dell’Hotel Chantilly Marriott e, per proteggerle, la polizia ha arrestati alcuni attivisti che avevano osato scendere nella strada. Questi speciali padroni dell’universo si sono incontrati per la prima volta in Olanda nel 1954 in un hotel (il Bilderberg) co-ospitati dai reali olandesi, dalla Unilever e dalla CIA statunitense. Quell’oscura sessione di brainstormingsarebbe diventata un “campo di sperimentazione [annuale ideologico e intellettuale] di nuove iniziative per l’unità atlantica”, secondo lo studioso dell’Università del Sussex Kees van der Pijl, forse lo studioso più rigoroso al mondo delle classi dominanti transnazionali. Spesso paragonato alla Commissione Trilaterale (leader USA, europei e giapponesi), al gruppo di esperti del Consiglio per le Relazioni con l’Estero di New York e alla Bohemian Grove (vicino a San Francisco) come spazio di incontri di lavoro di basso profilo per i protagonisti strategici chiave, il sito web del Gruppo Bilderberg spiega che le sue “discussioni ordinarie, fuori verbale, hanno contribuito a creare una migliore comprensione del forze complesse e delle tendenze principali che hanno interessato le nazioni occidentali nel difficile periodo post-bellico. La Guerra Fredda adesso è finita. Ma in pratica sotto ogni aspetto ci sono maggiori, non minori, problemi comuni, dal commercio all’occupazione, dalla politica monetaria agli investimenti, dalle sfide ecologiche al compito di promuovere la sicurezza internazionale.”
Invitando alcuni esterni all’asse USA-Euro, gli organizzatori del Bilderberg trasmettono segnali su quali regioni sono considerate importanti, e l’Africa non è tra queste. Nell’agenda di quest’anno c’erano le “Relazioni transatlantiche, Evoluzione del panorama politico in Europa e negli USA, Austerità e Crescita delle Economia in Via di Sviluppo, Sicurezza Informatica, Sfide Energetiche, il Futuro della Democrazia, Russia, Cina e Medio Oriente.”
La lista degli ospiti del 2012 ha incluso i dirigenti di vertice di banche internazionali, imprese petrolifere e chimiche, imprese delle alte tecnologie, la Banca Mondiale e l’Organizzazione Mondiale del Commercio, più leader governativi emergenti, filantropi e vecchi imperialisti come Henry Kissinger.
Questa combriccola è destinata ad attirarsi le ire di molte vittime, e tuttavia invece del tipo di proteste Occupy cui ho assistito a Londra nel mese scorso – una marcia attraverso la City con socialisti e anarchici furiosi per le pratiche bancarie parassitarie – o al Parco Zuccotti di Wall Street l’anno scorso e in varie proteste successive contro le banche da parte della sinistra USA, la protesta del fine settimana contro il Bilderberg ha esibito paranoie a proposito delle cospirazioni ordite all’hotel Virginia.
Esse includono di tutto, dalla verifica preliminare delle credenziali dei politici di vertice – dopo tutto Tony Blair, Bill Clinton e Barack Obama sono venuti al Bilderberg per un “provino” quando la loro stella stava sorgendo – all’imposizione delle strategie di sviluppo sostenibile dell’”Agenda 21”, all’organizzazione della potenziale iperinflazione mondiale mediante la prossima tornata di salvataggi del traballante settore finanziario. I discorsi hanno rivelato paura di un governo mondiale che tolga le armi ai patrioti e imponga una soluzione del cambiamento climatico.
Molti di questi ultraliberali ritengono che il cambiamento climatico sia un complotto di Al Gore per imporre tasse mondiali sul carbonio. Se almeno fosse vero, visto che Gore è invece in realtà soltanto un imbonitore interessato del commercio delle emissioni, che sta fallendo miseramente in Europa così come negli Stati Uniti (California esclusa) in seguito alla chiusura del Chicago Climate Exchange.
Attenzione comunque: alcuni di tali teorie cospiratorie sono sufficientemente prossime a una lettura accurata del potere, tanto da risultare semiserie. Ma dovrebbe essere palesemente evidente che almeno dal 1987 – quando i gas ad effetto serra (CFC) dei nostri vecchi frigoriferi e deodoranti sono stati messi al bando dal Protocollo dell’ONU di Montreal in modo da prevenire l’allargamento del buco dell’ozono – tutte le ambizioni successive del governo mondiale di regolamentare l’ecologia, gestire gli scambi, sistemare la finanza, coordinare l’attività militare e affrontare la miriade di altri problemi del mondo sono state dei penosi fallimenti.
E’ a questo riguardo che io mi ritrovo a distinguermi dalla maggior parte dei sostenitori di Jones: mai prima nella storia le élite mondiali sono state tanto tentate di affrontare crisi su scala globale ma – grazie al rapporto di forze negativo rappresentato dall’ideologia neoliberale degli anni ’90, dal neo conservatorismo degli inizi del 2000 e da alcune fusioni delle due cose da quando Obama è salito al potere – mai prima hanno agito in modo così incoerente.
Oggi l’espressione stessa “governo globale” appare una contraddizione in termini. Gli studiosi di questo campo che ho incontrato nel mese scorso al Congresso dell’Università del Sussex sulle “Potenze Emergenti” per una “Rete dei governi del Sud” erano ben consapevoli che il gruppo anti-imperialista costituito da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica non può fare un gran lifting all’imperialismo, anche quando si tratta di quello che è considerato il “bene pubblico globale” – reti finanziarie internazionali che non crollino – attraverso il nuovo salvataggio ad opera del FMI desiderato dal G20 (i BRICS si oppongono a versare la propria quota di 100 miliardi di dollari sui 430 miliardi di dollari che Christine Lagarde ora cerca per i tempi grami dell’Europa).
Lo studio eccezionalmente ricco di Van del Pijl sul Bilderberg e sulle successive manovre geopolitiche statunitensi-europee, ‘The Making of an Atlantic Ruling Class’ [La creazione di una classe di governo atlantica] (che fortunatamente la Verso Press sta per ripubblicare) fornisce le basi teoriche di cui mi pare i seguaci appassionatamente cospirazionisti di Jones abbiano disperato bisogno, se mai mirano a giudicare correttamente le complesse combinazioni delle strutture e dei protagonisti del mondo.
Come ha osservato Marx: “I popoli fanno la propria storia, ma non in condizioni scelte da loro.” Lo sviluppo di un’analisi della struttura politico-economica – le condizioni di sfondo – è l’elemento vitale mancante mandato in corto circuito dalla vuota abitudine della destra ultraliberale di chiamare “Illuminati” quelli del Bilderberg.
Come facciamo allora per capire meglio quelli del Bilderberg? Nei suoi più recenti principali articoli che analizzano il loro programma, in base alla riunione del 2007, van der Pijl insiste: “L’occidente, il capitale e lo stato sono emersi in un processo unico in cui i rapporti reciproci non sono esterni e opzionali, bensì interni, incorporati nelle classi transnazionali.”
Tali reti delle élite sono, ha scritto Antonio Gramsci nei Quaderni dal carcere, simili a partiti politici internazionali che operano in seno a ciascuna nazione con la piena concentrazione delle forze internazionali. Ma la religione, la massoneria, i Rotary, gli ebrei, eccetera possono essere inclusi nella categoria sociale degli “intellettuali”, la cui funzione, su scala internazionale, consiste nel mediare gli estremi, nel ‘socializzare’ le scoperte tecniche che forniscono lo slancio per tutte le attività di dirigenza, nell’ideare compromessi tra le soluzioni estreme e vie d’uscita da esse.”
Analogamente van der Pijl considera il Gruppo Bilderberg come una “Internazionale” del capitale imprenditoriale, anche se dispone di una base più ristretta della cricca di Davos a motivo del suo carattere atlanticista. Per questo la minaccia economica e geopolitica maggiore per i Bilderberg è la Cina. Inizialmente, egli osserva, l’atteggiamento era accogliente perché “la decisione di Pechino di collegare la valuta cinese al dollaro nel 1994 era considerata una mossa per legare più enfaticamente il suo destino all’economia statunitense e un ulteriore impegno a integrarsi nell’occidente in espansione al culmine della spinta di Clinton alla globalizzazione.”
Comunque, prosegue van der Pijl, “la sfida cinese all’occidente e la reazione a essa erano, nel 1996, ancora in una fase benigna e stavano presto cominciando a mutare in una direzione diversa, “cioè mettendo la Cina appena dopo l’Iraq e l’Iran nella lista dei nemici di Washington, grosso modo un decennio fa.
Cinque anni fa, van der Pijl ha identificato le priorità del Bilderberg in una lista annotata da un informatore interno: dividere l’Iraq, invadere l’Iran, controllare altre fonti di petrolio e di gas, creare altre unioni di tipo UE nell’emisfero americano e “parlare della Cina come del prossimo Impero del Male mondiale.”
Retroattivamente, nel 2012, è bizzarro immaginare il potere di Washington che divide l’Iraq e costringe ad altre ‘unioni’ economiche, nel senso di moneta unica, fa cadere barriere commerciali (amplificando il NAFTA) e accresce il coordinamento centralizzato dello stato. Quanto alle altre proiezioni di cinque anni fa, si ricordi che il periodo precedente le crisi economiche delle bolle non era ancora terminato e il Picco del Petrolio era temuto in una data anteriore (prima del boom dell’estrazione del petrolio dalle rocce (fracking)), cosicché la bravata di quelli del Bilderberg non era sorprendente.
Ma erano nervosi anche per una tempesta politica in arrivo, ha osservato van der Pijl. Rappresentando sia la BP e la Goldman Sachs nel 2007, Peter Sutherland (ex direttore dell’Organizzazione Mondiale del Commercio) “risulta aver affermato che era stato un errore tenere referendum la costituzione della UE. ‘Si sapeva che c’era un’ascesa del nazionalismo. Si sarebbe dovuto far ratificare il trattato dai parlamenti e farla finita lì.’ Kissinger si era espresso con parole simili a proposito dell’unificazione delle Americhe, sottolineando la necessità di mobilitare i media illuminati per diffondere l’idea.”
Di quale tipo di tempesta politica hanno chiacchierato quelli del Bilderberg lo scorso fine settimana, dopo così tante rivolte in tutto il mondo? Nel suo documento del 2007 van der Pijl faceva bene ad ammonire contro “gli antiglobalisti di destra con una forte inclinazione alle cospirazioni che considerano il Bilderberg un governo permanente semi-mondiale anziché un punto nodale (assieme a numerosi altri) della classe dominante atlantica nel suo evolversi e nel suo tentativo di elaborare un consenso strategico.”
Ma se quelli del Bilderberg si sono accordati su un consenso strategico, si è trattato probabilmente di neoliberalismo estremo, approfittando della crisi del capitale finanziario per salvare le banche e imporre il programma d’austerità del capitale finanziario. Con la pressione sociale in ascesa in Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Italia, possiamo prevedere molte altre preoccupazioni populiste riguardo all’antidemocraticità del FMI, della Banca Centrale Europea e delle istituzioni finanziarie.
(Per fornire un esempio, nelle vicinanze di dove vivo in Sudafrica, gli uomini misteriosi dell’agenzia di valutazione Moody’s in questo mese stanno esercitando pressione sullo stato per ripristinare una strategia di tariffe autostradali enormemente impopolare nella regione Johannesburg-Pretoria, contro una rivolta sia sindacale sia della classe media bianca.)
Non vi è dunque alcun dubbio che il dominio mondiale dei banchieri – che avrebbe dovuto essere ridotto dal crollo finanziario del 2008-09 – continuerà. Solo occasionali insolvenze sovrane – Argentina (2002), Ecuador (2008), Islanda (2008) e forse l’Europa meridionale quest’anno – o l’imposizione di controlli sui cambi (riscoperti dalla Malesia nel 1998 o dal Venezuela nel 2003) riducono la presa dei banchieri delinquenti.
Tuttavia il timore dei manifestanti ultraliberali nei confronti delle élite ha solo superficialmente qualcosa in comune con il più solido approccio del movimento Occupy. Quest’ultimo vuole un “cambiamento del sistema” che si muova in avanti, come abbiamo sentito da Occupy COP17 a Durban all’esterno del vertice sul clima dello scorso dicembre, mentre il nativismo nazionalistico statunitense non offre basi per alleanze con una base ampia.
Come espresso sabato in un cartello di protesta piuttosto tipico: “Avviso alle società segrete: state sul cazzo ai patrioti statunitensi. Disponiamo anche di mitragliatrici”. La versione macho, autodefinita “paleo-conservatrice” con l’aggiunta di un occasionale antisemitismo di sfondo non un è un linguaggio che si ascolta dall’insieme di Occupy di socialisti, anarchici, liberali, verdi, sindacalisti, attivisti civici, giovani e comunità religiose progressiste.
Lo sforzo politico più intenso di questi dimostranti ultraliberali anti-Bilderberg consiste nel tentare di far eleggere a presidente il membro texano del Congresso, Ron Paul, che con una popolarità del 20% resta l’unico fastidio di Mitt Romney all’interno del partito Repubblicano mentre si avvicina la resa dei conti di novembre con Obama.
Ma con Obama che continua a coccolare Wall Street (ad esempio, niente processi per il grande furto finanziario del 2008-09) e si dichiara apertamente militarista – approvando personalmente assassinii in Medio Oriente tramite droni e dilettandosi con l’attacco informatico Stuxnet all’Iran, secondo il The New York Times della settimana scorsa – echeggia anche la serie di paranoie a proposito della sorveglianza di Washington e della polizia proto-fascista.
Fintanto che lasciano a casa le loro armi auguro loro ogni bene, perché avere attirato una gran quantità di ulteriore attenzione mediatica e di ostilità popolare contro lo 0,0001% riunito al Marriot nello scorso fine settimana è stato un servizio pubblico su cui il resto del nostro mondo può edificare. Ma, si spera, con valori politici più allineati all’arcobaleno che a Rambo.
Patrick Bond dirige il Centro della Società Civile a Durban, Sudafrica
ZNet – Lo spirito della resistenza è vivo
Znetitaly.org
Fonte: http://www.zcommunications.org/bilderbergers-beware-by-patrick-bond
traduzione di Giuseppe Volpe
© 2012 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0
I riservati membri del Bilderberg normalmente non calamitano proteste, ma ai miei fini, passando per Washington, questa è stata l’occasione migliore per ascoltare i loro critici dell’area ultraliberale-populista della società civile statunitense. Centinaia di manifestanti si sono accalcati sul marciapiede per tutto il fine settimana, motivati principalmente da una chiamata a “Occupare Bilderberg 2012” su iniziativa di Alex Jones, che ha un pubblico radiofonico di tre milioni e un violento sito web: infowars.com. (“E’ in corso una guerra per la tua mente”).
I manifestanti hanno scagliato insulti creativi alle limousine nere che passavano in direzione dell’ingresso dell’Hotel Chantilly Marriott e, per proteggerle, la polizia ha arrestati alcuni attivisti che avevano osato scendere nella strada. Questi speciali padroni dell’universo si sono incontrati per la prima volta in Olanda nel 1954 in un hotel (il Bilderberg) co-ospitati dai reali olandesi, dalla Unilever e dalla CIA statunitense. Quell’oscura sessione di brainstormingsarebbe diventata un “campo di sperimentazione [annuale ideologico e intellettuale] di nuove iniziative per l’unità atlantica”, secondo lo studioso dell’Università del Sussex Kees van der Pijl, forse lo studioso più rigoroso al mondo delle classi dominanti transnazionali. Spesso paragonato alla Commissione Trilaterale (leader USA, europei e giapponesi), al gruppo di esperti del Consiglio per le Relazioni con l’Estero di New York e alla Bohemian Grove (vicino a San Francisco) come spazio di incontri di lavoro di basso profilo per i protagonisti strategici chiave, il sito web del Gruppo Bilderberg spiega che le sue “discussioni ordinarie, fuori verbale, hanno contribuito a creare una migliore comprensione del forze complesse e delle tendenze principali che hanno interessato le nazioni occidentali nel difficile periodo post-bellico. La Guerra Fredda adesso è finita. Ma in pratica sotto ogni aspetto ci sono maggiori, non minori, problemi comuni, dal commercio all’occupazione, dalla politica monetaria agli investimenti, dalle sfide ecologiche al compito di promuovere la sicurezza internazionale.”
Invitando alcuni esterni all’asse USA-Euro, gli organizzatori del Bilderberg trasmettono segnali su quali regioni sono considerate importanti, e l’Africa non è tra queste. Nell’agenda di quest’anno c’erano le “Relazioni transatlantiche, Evoluzione del panorama politico in Europa e negli USA, Austerità e Crescita delle Economia in Via di Sviluppo, Sicurezza Informatica, Sfide Energetiche, il Futuro della Democrazia, Russia, Cina e Medio Oriente.”
La lista degli ospiti del 2012 ha incluso i dirigenti di vertice di banche internazionali, imprese petrolifere e chimiche, imprese delle alte tecnologie, la Banca Mondiale e l’Organizzazione Mondiale del Commercio, più leader governativi emergenti, filantropi e vecchi imperialisti come Henry Kissinger.
Questa combriccola è destinata ad attirarsi le ire di molte vittime, e tuttavia invece del tipo di proteste Occupy cui ho assistito a Londra nel mese scorso – una marcia attraverso la City con socialisti e anarchici furiosi per le pratiche bancarie parassitarie – o al Parco Zuccotti di Wall Street l’anno scorso e in varie proteste successive contro le banche da parte della sinistra USA, la protesta del fine settimana contro il Bilderberg ha esibito paranoie a proposito delle cospirazioni ordite all’hotel Virginia.
Esse includono di tutto, dalla verifica preliminare delle credenziali dei politici di vertice – dopo tutto Tony Blair, Bill Clinton e Barack Obama sono venuti al Bilderberg per un “provino” quando la loro stella stava sorgendo – all’imposizione delle strategie di sviluppo sostenibile dell’”Agenda 21”, all’organizzazione della potenziale iperinflazione mondiale mediante la prossima tornata di salvataggi del traballante settore finanziario. I discorsi hanno rivelato paura di un governo mondiale che tolga le armi ai patrioti e imponga una soluzione del cambiamento climatico.
Molti di questi ultraliberali ritengono che il cambiamento climatico sia un complotto di Al Gore per imporre tasse mondiali sul carbonio. Se almeno fosse vero, visto che Gore è invece in realtà soltanto un imbonitore interessato del commercio delle emissioni, che sta fallendo miseramente in Europa così come negli Stati Uniti (California esclusa) in seguito alla chiusura del Chicago Climate Exchange.
Attenzione comunque: alcuni di tali teorie cospiratorie sono sufficientemente prossime a una lettura accurata del potere, tanto da risultare semiserie. Ma dovrebbe essere palesemente evidente che almeno dal 1987 – quando i gas ad effetto serra (CFC) dei nostri vecchi frigoriferi e deodoranti sono stati messi al bando dal Protocollo dell’ONU di Montreal in modo da prevenire l’allargamento del buco dell’ozono – tutte le ambizioni successive del governo mondiale di regolamentare l’ecologia, gestire gli scambi, sistemare la finanza, coordinare l’attività militare e affrontare la miriade di altri problemi del mondo sono state dei penosi fallimenti.
E’ a questo riguardo che io mi ritrovo a distinguermi dalla maggior parte dei sostenitori di Jones: mai prima nella storia le élite mondiali sono state tanto tentate di affrontare crisi su scala globale ma – grazie al rapporto di forze negativo rappresentato dall’ideologia neoliberale degli anni ’90, dal neo conservatorismo degli inizi del 2000 e da alcune fusioni delle due cose da quando Obama è salito al potere – mai prima hanno agito in modo così incoerente.
Oggi l’espressione stessa “governo globale” appare una contraddizione in termini. Gli studiosi di questo campo che ho incontrato nel mese scorso al Congresso dell’Università del Sussex sulle “Potenze Emergenti” per una “Rete dei governi del Sud” erano ben consapevoli che il gruppo anti-imperialista costituito da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica non può fare un gran lifting all’imperialismo, anche quando si tratta di quello che è considerato il “bene pubblico globale” – reti finanziarie internazionali che non crollino – attraverso il nuovo salvataggio ad opera del FMI desiderato dal G20 (i BRICS si oppongono a versare la propria quota di 100 miliardi di dollari sui 430 miliardi di dollari che Christine Lagarde ora cerca per i tempi grami dell’Europa).
Lo studio eccezionalmente ricco di Van del Pijl sul Bilderberg e sulle successive manovre geopolitiche statunitensi-europee, ‘The Making of an Atlantic Ruling Class’ [La creazione di una classe di governo atlantica] (che fortunatamente la Verso Press sta per ripubblicare) fornisce le basi teoriche di cui mi pare i seguaci appassionatamente cospirazionisti di Jones abbiano disperato bisogno, se mai mirano a giudicare correttamente le complesse combinazioni delle strutture e dei protagonisti del mondo.
Come ha osservato Marx: “I popoli fanno la propria storia, ma non in condizioni scelte da loro.” Lo sviluppo di un’analisi della struttura politico-economica – le condizioni di sfondo – è l’elemento vitale mancante mandato in corto circuito dalla vuota abitudine della destra ultraliberale di chiamare “Illuminati” quelli del Bilderberg.
Come facciamo allora per capire meglio quelli del Bilderberg? Nei suoi più recenti principali articoli che analizzano il loro programma, in base alla riunione del 2007, van der Pijl insiste: “L’occidente, il capitale e lo stato sono emersi in un processo unico in cui i rapporti reciproci non sono esterni e opzionali, bensì interni, incorporati nelle classi transnazionali.”
Tali reti delle élite sono, ha scritto Antonio Gramsci nei Quaderni dal carcere, simili a partiti politici internazionali che operano in seno a ciascuna nazione con la piena concentrazione delle forze internazionali. Ma la religione, la massoneria, i Rotary, gli ebrei, eccetera possono essere inclusi nella categoria sociale degli “intellettuali”, la cui funzione, su scala internazionale, consiste nel mediare gli estremi, nel ‘socializzare’ le scoperte tecniche che forniscono lo slancio per tutte le attività di dirigenza, nell’ideare compromessi tra le soluzioni estreme e vie d’uscita da esse.”
Analogamente van der Pijl considera il Gruppo Bilderberg come una “Internazionale” del capitale imprenditoriale, anche se dispone di una base più ristretta della cricca di Davos a motivo del suo carattere atlanticista. Per questo la minaccia economica e geopolitica maggiore per i Bilderberg è la Cina. Inizialmente, egli osserva, l’atteggiamento era accogliente perché “la decisione di Pechino di collegare la valuta cinese al dollaro nel 1994 era considerata una mossa per legare più enfaticamente il suo destino all’economia statunitense e un ulteriore impegno a integrarsi nell’occidente in espansione al culmine della spinta di Clinton alla globalizzazione.”
Comunque, prosegue van der Pijl, “la sfida cinese all’occidente e la reazione a essa erano, nel 1996, ancora in una fase benigna e stavano presto cominciando a mutare in una direzione diversa, “cioè mettendo la Cina appena dopo l’Iraq e l’Iran nella lista dei nemici di Washington, grosso modo un decennio fa.
Cinque anni fa, van der Pijl ha identificato le priorità del Bilderberg in una lista annotata da un informatore interno: dividere l’Iraq, invadere l’Iran, controllare altre fonti di petrolio e di gas, creare altre unioni di tipo UE nell’emisfero americano e “parlare della Cina come del prossimo Impero del Male mondiale.”
Retroattivamente, nel 2012, è bizzarro immaginare il potere di Washington che divide l’Iraq e costringe ad altre ‘unioni’ economiche, nel senso di moneta unica, fa cadere barriere commerciali (amplificando il NAFTA) e accresce il coordinamento centralizzato dello stato. Quanto alle altre proiezioni di cinque anni fa, si ricordi che il periodo precedente le crisi economiche delle bolle non era ancora terminato e il Picco del Petrolio era temuto in una data anteriore (prima del boom dell’estrazione del petrolio dalle rocce (fracking)), cosicché la bravata di quelli del Bilderberg non era sorprendente.
Ma erano nervosi anche per una tempesta politica in arrivo, ha osservato van der Pijl. Rappresentando sia la BP e la Goldman Sachs nel 2007, Peter Sutherland (ex direttore dell’Organizzazione Mondiale del Commercio) “risulta aver affermato che era stato un errore tenere referendum la costituzione della UE. ‘Si sapeva che c’era un’ascesa del nazionalismo. Si sarebbe dovuto far ratificare il trattato dai parlamenti e farla finita lì.’ Kissinger si era espresso con parole simili a proposito dell’unificazione delle Americhe, sottolineando la necessità di mobilitare i media illuminati per diffondere l’idea.”
Di quale tipo di tempesta politica hanno chiacchierato quelli del Bilderberg lo scorso fine settimana, dopo così tante rivolte in tutto il mondo? Nel suo documento del 2007 van der Pijl faceva bene ad ammonire contro “gli antiglobalisti di destra con una forte inclinazione alle cospirazioni che considerano il Bilderberg un governo permanente semi-mondiale anziché un punto nodale (assieme a numerosi altri) della classe dominante atlantica nel suo evolversi e nel suo tentativo di elaborare un consenso strategico.”
Ma se quelli del Bilderberg si sono accordati su un consenso strategico, si è trattato probabilmente di neoliberalismo estremo, approfittando della crisi del capitale finanziario per salvare le banche e imporre il programma d’austerità del capitale finanziario. Con la pressione sociale in ascesa in Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Italia, possiamo prevedere molte altre preoccupazioni populiste riguardo all’antidemocraticità del FMI, della Banca Centrale Europea e delle istituzioni finanziarie.
(Per fornire un esempio, nelle vicinanze di dove vivo in Sudafrica, gli uomini misteriosi dell’agenzia di valutazione Moody’s in questo mese stanno esercitando pressione sullo stato per ripristinare una strategia di tariffe autostradali enormemente impopolare nella regione Johannesburg-Pretoria, contro una rivolta sia sindacale sia della classe media bianca.)
Non vi è dunque alcun dubbio che il dominio mondiale dei banchieri – che avrebbe dovuto essere ridotto dal crollo finanziario del 2008-09 – continuerà. Solo occasionali insolvenze sovrane – Argentina (2002), Ecuador (2008), Islanda (2008) e forse l’Europa meridionale quest’anno – o l’imposizione di controlli sui cambi (riscoperti dalla Malesia nel 1998 o dal Venezuela nel 2003) riducono la presa dei banchieri delinquenti.
Tuttavia il timore dei manifestanti ultraliberali nei confronti delle élite ha solo superficialmente qualcosa in comune con il più solido approccio del movimento Occupy. Quest’ultimo vuole un “cambiamento del sistema” che si muova in avanti, come abbiamo sentito da Occupy COP17 a Durban all’esterno del vertice sul clima dello scorso dicembre, mentre il nativismo nazionalistico statunitense non offre basi per alleanze con una base ampia.
Come espresso sabato in un cartello di protesta piuttosto tipico: “Avviso alle società segrete: state sul cazzo ai patrioti statunitensi. Disponiamo anche di mitragliatrici”. La versione macho, autodefinita “paleo-conservatrice” con l’aggiunta di un occasionale antisemitismo di sfondo non un è un linguaggio che si ascolta dall’insieme di Occupy di socialisti, anarchici, liberali, verdi, sindacalisti, attivisti civici, giovani e comunità religiose progressiste.
Lo sforzo politico più intenso di questi dimostranti ultraliberali anti-Bilderberg consiste nel tentare di far eleggere a presidente il membro texano del Congresso, Ron Paul, che con una popolarità del 20% resta l’unico fastidio di Mitt Romney all’interno del partito Repubblicano mentre si avvicina la resa dei conti di novembre con Obama.
Ma con Obama che continua a coccolare Wall Street (ad esempio, niente processi per il grande furto finanziario del 2008-09) e si dichiara apertamente militarista – approvando personalmente assassinii in Medio Oriente tramite droni e dilettandosi con l’attacco informatico Stuxnet all’Iran, secondo il The New York Times della settimana scorsa – echeggia anche la serie di paranoie a proposito della sorveglianza di Washington e della polizia proto-fascista.
Fintanto che lasciano a casa le loro armi auguro loro ogni bene, perché avere attirato una gran quantità di ulteriore attenzione mediatica e di ostilità popolare contro lo 0,0001% riunito al Marriot nello scorso fine settimana è stato un servizio pubblico su cui il resto del nostro mondo può edificare. Ma, si spera, con valori politici più allineati all’arcobaleno che a Rambo.
Patrick Bond dirige il Centro della Società Civile a Durban, Sudafrica
ZNet – Lo spirito della resistenza è vivo
Znetitaly.org
Fonte: http://www.zcommunications.org/bilderbergers-beware-by-patrick-bond
traduzione di Giuseppe Volpe
© 2012 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0
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