Articolo di Fulvio Grimaldi
http://fulviogrimaldi.blogspot.it/
“Fra pochi giorni Roma sarà teatro di un evento che, molto probabilmente, non passerà alla storia, ma che segna comunque un punto di caduta nella variegata composizione del mondo pacifista e della solidarietà internazionalista italiani.Sabato 16 giugno, si sono dati appuntamento a Piazza del Popolo i sostenitori del regime siriano del clan Assad, adottando come slogan di convocazione dell’adunata il motto “Dio, Siria, Bashar e basta!”. Lo stesso motto degli shabiha, gli squadristi che si occupano del lavoro sporco contro gli oppositori del regime. L’iniziativa ha avuto un prologo interessante lo scorso 31 maggio, quando una cinquantina di italiani e siriani hanno manifestato davanti la sede dell’ambasciata siriana, a pochi passi da Piazza Venezia, ostentando pugni chiusi e saluti romani, amorevolmente l’uno a fianco dell’altro.Non si è trattato di un episodio folcloristico: la blasfema commistione fra neofascisti e sedicenti “antimperialisti” è un dato di fatto, confermato, da ultimo, proprio dalla convocazione della manifestazione del 16 giugno. Le figure, anzi, i figuri di spicco del comitato promotore sono due, entrambi animatori del sito Syrian Free Press: Ouday Ramadan, detto “Soso”, e Filippo Pilato Fortunato.Ouday Ramadan è un siriano che vive in Italia ed è stato consigliere comunale del Partito dei Comunisti Italiani a Cascina, un grosso centro della provincia di Pisa. Non sappiamo se sia tuttora iscritto al partito di Diliberto, ma lui si professa comunista, anzi “stalinista in ogni cellula”, ed è di pochi mesi fa una sua violenta polemica contro Paolo Ferrero, il segretario di Rifondazione Comunista, reo di avere – sia pure timidamente – difeso le ragioni della rivolta siriana. Stando a quel che dice qualche suo sodale, Ramadan è anche il figlio del “capo spirituale” di un’importante comunità alaouita, la stessa setta cui appartiene la famiglia Assad.Filippo Pilato Fortunato, invece, appare come uno schietto fascistone, e basta un veloce giro sulla rete per visualizzare un’incredibile quantità di articoli, interviste, recensioni, ecc., talmente espliciti da togliere ogni dubbio. In ogni caso, a suggellare con il crisma dell’ufficialità le simpatie politiche del Fortunato, nell’agosto dello scorso anno giunge l’iscrizione a Forza Nuova, sezione di Palermo.Il suo “pensiero” è efficacemente sintetizzato in questo stralcio di una sua breve biografia redatta da Giovanna Canzano, che compare al termine di una sua intervista allo stesso Fortunato: “Filippo F.P. reputa di fondamentale importanza comprendere quale sia il maggior pericolo cui l’umanità sta andando incontro e creare una rete di opposizione, di formazione e controinformazione che sappia andare oltre i limiti personali di ognuno, per fronteggiare organicamente quello che egli considera il nemico numero uno: il giudaismo sionista, rabbinico-talmudico, massonico per eccellenza”.Il nerissimo Fortunato ed il “rosso” Ramadan sono uniti dall’amore per il regime nazionale e socialista di Assad, al punto di organizzare e partecipare a delegazioni che si recano fino a Damasco per omaggiare gli esponenti del regime, come avvenuto poche settimane fa. La loro passione per il regime siriano è condivisa da un’area nebulosa che va da formazioni di estrema destra quali, appunto, Forza Nuova, Stato e Potenza, Eurasia, Socialismo Nazionale, il gruppo romano “Controtempo”, CasaPound, i “comunitaristi”, Millennium, coinvolgendo settori consistenti dell’integralismo cattolico, ma anche movimenti trasversali – come “Per il Bene Comune” dell’ex senatore del PdCI Fernando Rossi – e realtà ed individui accreditati a sinistra e nei movimenti contro la guerra.Alla manifestazione di Piazza Venezia dove pugni chiusi e saluti romani convivevano disinvoltamente, hanno preso parte esponenti di un comitato di solidarietà con la Palestina notoriamente schierato a sinistra e della Rete No War, così come ad altre iniziative simili – in solidarietà con il dittatore libico Gheddafi, prima ancora che con il siriano Assad – hanno preso parte il giornalista Fulvio Grimaldi e la collega Marinella Correggia, che scrive anche per il Manifesto. Quest’ultima, anzi, è la punta di lancia della propaganda in Italia del regime di Assad, rilanciando le veline del centro di informazione cattolico integralista “Vox clamans”, gestito da suor Mariam Agnès De La Croix, monaca lèfebvriana in ottimi rapporti con i falangisti libanesi ed i fascisti francesi del Front National di Marine Le Pen. Le veline farneticanti di Marinella Correggia e persino quelle di “Vox clamans” vengono rilanciate come “informazioni indipendenti” anche da radio e riviste on line della sinistra, per quanto questo possa apparire inverosimile.Le adesioni alla manifestazione del 16 giugno confermano il quadro della sconfortante deriva raggiunta da settori – minoritari, fortunatamente – della sinistra e del movimento contro la guerra. A leggere le pagine Facebook dedicate all’evento, a Piazza del Popolo dovrebbero esserci – insieme a tanti camerati entusiasti del nazional-socialista Assad – la sezione milanese della FGCI, un misterioso gruppo “Comunisti Uniti Duepuntozero”, nonché pacifisti a tutto tondo, che hanno tentato (senza successo) di convincere a partecipare anche le associazioni pacifiste riunite nel Forum tenutosi a Roma la settimana scorsa. Anche l’ex segretario della CGIL in Sicilia, Pietro Ancona, ha assicurato la sua adesione. A ben guardare, le adesioni esplicite da sinistra sono poche e marginali, ma il dato preoccupante è rappresentato dal fatto che questi personaggi – che, lo ripetiamo e sottolineiamo, non mostrano alcun imbarazzo a marciare insieme alla peggiore feccia fascista – siano tuttora interni ad organizzazioni, reti e movimenti che dovrebbero avere nell’antifascismo, oltre che nella solidarietà internazionalista, la propria stella polare. /http://vicinoriente.wordpress.com/
I crimini degli Stati Uniti sono sistematici, costanti, feroci, cinici, ma poche persone ne hanno parlato. Dovete ammetterlo: l’America pratica a livello mondiale una manipolazione clinica del potere, mentre si traveste da forza per il bene universale. E’ un brillante, perfino umoristico, atto di ipnosi di altissimo successo.(Harold Pinter, Premio Nobel per la Letteratura)
La nostra società è governata da psicopatici per
obiettivi folli. Credo che siamo gestiti da maniaci per i loro
scopi maniacali e penso di rischiare di essere rinchiuso come matto per
esprimere tale pensiero. E’ questa la misura della pazzia. (John Lennon)
L’unico progetto che ci dà speranza è la
frantumazione della Siria … E’ nostro compito principale prepararci a quel
progetto. Tutto il resto è insensato spreco di tempo. (Zeév Jabotinsky, dirigente sionista, 1915)
Una breve premessa. Seccati dallo
spappolamento dell’apparato di menzogne intessuto a copertura dell’aggressione
alla Siria, alcuni omuncoli e quaquaraquà si accaniscono nello stile
Gasparri-Santanché contro coloro che si permettono di uscire dal rassicurante
(per carriera, prestigio e remunerazione) coro dei lacchè mediatici Nato.
Prendono di mira specificamente me e soprattutto Marinella Correggia, una
giornalista che trovate in rete o sul “manifesto” e che ha lo smisurato merito
di saper scientificamente, da professionista anziché da garzone di bottega,
disintegrare le montature e diffamazioni che l’Impero rovescia – e fa
rovesciare ai suddetti velinari -su governi e popoli da sgretolare e far
scomparire.
(grassetto della redazione)
C’è tale Amedeo Ricucci,
occasionalmente inviato Rai di Minoli, che, savianescamente, prima si
costruisce un piedistallo di credibilità ribadendo alcune, ormai scontate,
smentite circa i crimini Gheddafi, poi colpisce sotto la cintura i boccaloni
con le mazzate del menzognificio imperiale sulla Libia e sulla Siria. Fa
sorridere il suo tentativo di dare a noi dei fanatici di Gheddafi e di Assad, il classico bue che dà del cornuto
all’asino (vedi il suo blog). Poi c’è un Carneade, un ominicchio zavorrato
di trotzkismo d’accatto, che da decenni cerca di emergere a un qualche
significato politico, inventandosi gruppi, comitati, partituccoli che,
inconsistenti come la neve, ci mettono poco a sciogliersi al sole delle cose
serie. Si chiama Germano Monti, lo immaginiamo scrivere a quattro mani con
la splatterona del Tg3 Lucia Goracci, passare per l’OK da Gad
Lerner o Roberto Saviano, farsi dare un buffetto
da Hillary. E’
riuscito a fratturare e inquinare, con un suo Forum Palestina, quello che in
buon parte è un rispettabile arcipelago della solidarietà palestinese.
Meritando querele che ne
demolirebbero quel poco di credibilità e le ambizioni di risalto
politico-giornalistico, questo calunniatore, pur di mettere il culo al caldo
del salotto dei portatori di diritti umani e democrazia tramite genocidi,
frequentato anche da quei dirigenti palestinesi che Israele ha cooptato,
ingiuria Marinella attribuendole “veline farneticanti” (i precisi dati che
demoliscono il pulp anti-siriano dei padrini Nato-Golfo) e, addirittura,
definendola “punta di lancia della propaganda in Italia del regime di Assad”. Insomma una venduta al
diavolo. E’ virulenza viscerale, cattiva coscienza e affannosa captatio benevolentiae quella che anima una
congrega di opportunisti di discendenza PCI. Da “sinistra” lubrificano i cingoli Nato e, nei fine settimana,
recitano sketch alla corte dei monarcodittatori. Il metodo è quello degli arrampicatori sugli specchi: ingiuriare e
calunniare la persona, senza mai saperla confutare nel merito.
Il
salvagente cui alla fine si attaccano è l’accusa rivolta al fronte anti-Nato di
permettere, nella solidarietà alla Siria di Assad, l’osceno connubio tra
fascisti e rossi. Visto che ratti fascisti si sono inseriti nel vuoto
spalancato dalla resa di classe di questi testa-coda, e dalla diserzione
dall’impegno internazionalista per meritarsi il ruolo di paggetti dello
strascico di Hillary Clinton, ecco che la vergogna della commistione rossonera
dovrebbe ricadere non sui disertori, ma su coloro che, per quanto aggrediti e
offesi, si mantengono nella trincea della resistenza all’imperialismo e alle
dittature islamiste, contrastando le infiltrazioni degli eredi
dell’imperialismo cialtrone nostrano. Loro, invece, questo campo lo abbandonano
e lo tradiscono. Più grottesco che paradossale. Noi ci saremo, il 16 giugno in
Piazza del Popolo contro gli antropofagi Nato, il mercenariato Nato-Al Qaida,
le mire di Israele, del resto già assecondate dai referenti palestinesi dei
“rivoluzionari siriani”. Gradito dalla cerchia di gangster del Consiglio
Nazionale Siriano, l’attacco ha voluto minare soprattutto questa manifestazione
(che bandisce i fascisti). E anche sbarazzarsi della prova documentata che la
Flottiglia per Gaza, per la quale tanto si agitano, è pagata dal tiranno
genocida del Qatar, uno che con una mano soffia nelle vele della flottiglia
(tanto finisce come al solito) e, con l’altra, rifornisce di petrolio il
lanciafiamme anti-arabo di Netaniahu. Noi siamo con chi resiste ai mostri e non
si acquatta sotto i loro artigli. Noi saremo a Piazza del Popolo il 16 giugno.
Loro ristagnano nella vergogna. Godetevela, questa vergogna,
in fondo al post.
Shopping
Enzo Apicella
Ricevuti crediti illimitati, dopo i mille
miliardi di euro offerti alle banche a tasso di vasa vasa, le banche si sono
date da fare. Con nelle fauci ancora pezzi di Grecia, Portogallo, Irlanda,
tutta la Libia e tutti i Balcani, si sono comprati per 100 miliardi la Spagna,
persone, soldi, imprese, territorio, sovranità. Nel loro piccolo, ringalluzzito
dall’esempio spagnolo, i
nostri commessi viaggiatori della “Cupola” S.p.A, si sono comprati la RAI. Messi banchieri, speculatori e trafficoni
alla testa del servizio pubblico, sghei e trasmissioni di cazzate obnubilanti e di sogni che impediscano di
svegliarsi diventano affar loro, della “Cupola” e un altro passetto verso la
Dittatura Mondiale Mafio-Militar-Finanziario-Confessionale sarà stato fatto sulla salma di un volgo
disperso che nome non ha. Saranno
ottusi, incompetenti, incolti, lo sono, ma quando hai dalla tua, oltre al
denaro e ai media, una maggioranza che neanche Mussolini, puoi essere scemo
quanto vuoi. A tirarti dietro la
canaglia e la plebe basta la Rai e un po’ di sobria protervia. E di fronte a
tutto ciò, cosa fa la sinistra? Si intruppa nell’indignazione di Monti e del
suo Cottolengo perché una ministra austriaca ha detto quello che tutti
sappiamo: “L’Italia è con l’acqua alla gola e affogherà dopo la Spagna”, e al
tempo stesso si rannicchia convinta sotto la frustrata della Gorgone che
governa l’FMI, Christine Lagarde, quando terrorizza l’Europa dichiarando che
fra tre mesi l’Eurozona va a puttane. Nemico delle sinistre è mica la megera
sionista che, su mandato Usa, fa a pezzi l’Europa e l’euro anti-dollaro.
Macchè, la nemica è la cattivona di Vienna che si permette di esternare su un
altro paese, facendo quello che ha fatto il bimbo di Andersen quando s’è messo
a gridare: “Il re non indossa vestiti” e, così, facendo arrapare i mercati.
Come se Monti non fosse “i mercati”. Come se Monti e corvi vari non avessero
mille volte spaccato le palle ai greci minacciando(ci) che la Grecia sarebbe
finita nel baratro. E noi pure, sempre che non ci facciamo infilare una
flebo che succhia al contrario.
Non ammessi simboli fascisti
Siria, siamo all’Armageddon?
Tra i miei interlocutori
qualcuno ricorderà gli scambi che avemmo circa le finte immagini della
presa di Tripoli intorno al 20 agosto 2011. Io non credevo che si arrivasse a
tanto nella falsificazione della realtà, voi eravate certi che la frode era
stata perpetrata. Avevate ragione voi. E io avrei dovuto essere meno ingenuo
ricordando le finte fosse comuni di Tripoli, il finto attacco di barchini
vietnamiti alla flotta Usa nel Golfo del Tonchino, o quello dei soldati
della Wehrmacht che si travestirono
da polacchi e spararono addosso ai loro camerati per trarne lo spunto
all’invasione. O ancora, e li ero avveduto perché sul posto, la finta presa di
Basra “documentata” da immagini Cnn, o l’aereo della finta fuga di Gheddafi in
Venezuela, o quegli schermi di Rete Globo a Caracas che tracimavano di
manifestanti anti-Chavez, mentre si trattava di un popolo chavista sceso in
piazza contro il golpe Usa…
Il grande inganno per la grande guerra
Stavolta, perciò, do una
certa credibilità al grande giornalista investigativo francese Thierry Meyssan,
in Libia, prima, e ora in Siria, per gran parte del conflitto. Stanno per
ripetere la riuscitissima farsa della Piazza Verde di Tripoli quando, per
demoralizzare e paralizzare la resistenza approntata dai patrioti libici, costruirono e filmarono in Qatar una falsa
Piazza Verde piena di “ribelli” giubilanti e la fecero mandare in onda su tutti
i network del mondo, compresi quelli che si vedevano in Libia (la tv libica era stata, come quella serba e quella di
Saddam, azzerata con taglio di satelliti e bombe). Combinata con il
tradimento e la fuga del comandante di piazza, l’attonimento tra i cittadini e
combattenti di Tripoli fu tale da ritardare ogni reazione e dare il tempo alle teste di cuoio Nato di aprire
la strada ai tagliagole mercenari. Con
susseguente strage di innocenti (che continua).
Ora il giochino – che
meriterà il Premio Nobel per la deontologia dell’informazione – starebbe per
essere ripetuto a Damasco e in altre città siriane. L’operazione è urgente
perché ancora una volta l’esercito siriano ha avuto ragione delle bande di
(s)ventura Nato-Al Qaida e ha ripulito molte loro roccaforti (Homs, Hama,
Deraa…). Gli sguatteri Usa dell’ONU ne hanno tratto pretesto per distribuire
quasi equamente la violenza tra difensori e terroristi. Vorrei vedere come
reagirebbe un qualsiasi Stato della “comunità internazionale”, se rivoltosi
interni e incursori esterni, con tanto di mercenariato al soldo dei divoratori
di nazioni, occupassero con le armi territorio, rapissero, torturassero,
massacrassero cittadini, mettessero autobombe tra le case e facessero saltare
le infrastrutture del paese. E, per colmo di impudicizia, attribuissero queste
facezie al regime. Dopo una serie internazionale di riunioni tra l’opposizione
e i suoi sponsor, corredata dell’expertise di
specialisti della guerra psicologica, all’ordine dell’ambasciatore Usa James,
B. Smith e del principe saudita Bandar bin Sultan, in studi collocati in Arabia
Saudita si sarebbero approntate ricostruzioni di due palazzi presidenziali di
Assad e delle principali piazze di Damasco, Aleppo e Homs. Una volta eliminate
in Siria le comunicazioni tra governo e cittadini, accecandone i satelliti
propri e quelli di servizio (non c’è digitale) e aggiunto sugli schermi siriani
all’Oligopolio occidentale quello delle emittenti arabo-islamiste, si va giù
alla grande. Immagini realizzate in
studio mostreranno massacri imputati al governo, manifestazioni di massa (magari tratte da qualche paese arabo e corrette col
Photoshop, come successo in Libia), ministri e generali che se la danno a gambe, Assad in
fuga o nel “bunker”, i ribelli “Allah U Akbar” che strepitano nelle piazze
siriane agitando i Kalachnikov, qualche burattino che proclama un governo
provvisorio “di unità nazionale”. Sarebbe il via, come a Tripoli, per
l’intervento aereo “per salvare i civili” e, per creare i “famosi corridoi
umanitari”, l’irruzione di soldataglie wahabite da Qatar, Libano, Saudia e da
quel “campo dei 20mila profughi siriani” in Turchia, dove i giornalisti hanno
trovato meno di mille persone, e tutte armate, del Free Syrian Army, pronte
alle incursioni in Siria.
Ma le cose non si mettono
del tutto bene per questo progetto. Intanto qualcosa nella marcia compatta dei
media rompighiaccio della guerra si è inceppato. Ogni giorno, addirittura nei grandi media euro-atlantici, scappano
rivelazioni sulle atrocità compiute dai “rivoluzionari”, le stragi tipo Hula,
talmente grossolane nell’esecuzione e nell’attribuzione al governo, sono state
smentite da una moltitudine di voci, testimonianze, indagini. Nientemeno che
la Frankfurter Allgemeine Zeitung, primo giornale tedesco e organo dell’establishment, ha pubblicato le prove
che il massacro dei 108, bambini, donne, a Hula è stato compiuto dai ribelli su
famiglie inermi dei quartieri schierati con il governo. E io, girando per
le mie presentazioni, trovo sempre più varchi al dubbio nel pubblico comune.
Rafforzando stoltamente l’intimidazione a scapito della propaganda, Londra ha
ammesso di aver sul terreno forze speciali, cosa confermata anche da un sito
dell’intelligence israeliana. Un pezzo
di confindustria siriana all’estero, pregustando cospicue briciole del futuro
banchetto multinazionale, ha promesso 300 milioni ai ribelli, mentre Qatar,
Kuwait ed emirati vari si sono spinti fino ad assicurare armi ai propri
miliziani. Il diritto internazionale giace lacero e sanguinante e ne trae
vantaggio lo schieramento degli Stati che insistono ad opporsi alla distruzione
della Siria, i Brics, la Russia, la Cina, l’America Latina.
Dagli allo zar!
Con Putin, suscitando il rancoroso nervosismo dei succitati violinisti dei diritti umani, la Russia ha drizzato la schiena. Al punto da dare dimostrazione di forza navale e assicurare alla Siria la difesa aerea. Ha anche attivato, oltre all’Organizzazione di Cooperazione di Shanghai che comprende i più grandi paesi asiatici, un nuova struttura di difesa trans-asiatica, che propone l’intervento di suoi Caschi Blu in Siria, l’OTSC (Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva). Sul piano diplomatico ha proposto un Gruppo di Contatto per una conferenza nazionale sulla Siria, che comprenda tutti i paesi vicini e le maggiori potenze. Hillary, a sentire “Iran”, ha avuto una crisi epilettica. Speriamo che la Russia tenga. Da Mosca ci cono venute, dopo il 1922, molte sorprese sgradite. Registro un ultimo elemento positivo. Dopo la defenestrazione di Burhan Ghaliun dal Coniglio (la s non deve esserci) Nazionale Siriano e la parallela frantumazione in sette e cosche di questo grottesco organismo Nato, data la persistente anarchia, lo scoordinamento e le rivalità tra le bande wahabite, vista la spaccatura in Arabia Saudita tra la famiglia reale attorno al prudente re Abdallah I e il clan bellicista filo-israeliano e filo-Usa dei Sudeiri, con i primi contrari a ogni intervento, e udita la fatwa del Consiglio degli Ulema che determina che “la Siria non è terra di jihad”, si può ripetere: grande è il disordine sotto il cielo…” Il seguito lo mettete voi, a seconda dell’ottimismo della volontà, o del pessimismo della ragione.
Con Putin, suscitando il rancoroso nervosismo dei succitati violinisti dei diritti umani, la Russia ha drizzato la schiena. Al punto da dare dimostrazione di forza navale e assicurare alla Siria la difesa aerea. Ha anche attivato, oltre all’Organizzazione di Cooperazione di Shanghai che comprende i più grandi paesi asiatici, un nuova struttura di difesa trans-asiatica, che propone l’intervento di suoi Caschi Blu in Siria, l’OTSC (Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva). Sul piano diplomatico ha proposto un Gruppo di Contatto per una conferenza nazionale sulla Siria, che comprenda tutti i paesi vicini e le maggiori potenze. Hillary, a sentire “Iran”, ha avuto una crisi epilettica. Speriamo che la Russia tenga. Da Mosca ci cono venute, dopo il 1922, molte sorprese sgradite. Registro un ultimo elemento positivo. Dopo la defenestrazione di Burhan Ghaliun dal Coniglio (la s non deve esserci) Nazionale Siriano e la parallela frantumazione in sette e cosche di questo grottesco organismo Nato, data la persistente anarchia, lo scoordinamento e le rivalità tra le bande wahabite, vista la spaccatura in Arabia Saudita tra la famiglia reale attorno al prudente re Abdallah I e il clan bellicista filo-israeliano e filo-Usa dei Sudeiri, con i primi contrari a ogni intervento, e udita la fatwa del Consiglio degli Ulema che determina che “la Siria non è terra di jihad”, si può ripetere: grande è il disordine sotto il cielo…” Il seguito lo mettete voi, a seconda dell’ottimismo della volontà, o del pessimismo della ragione.
Il guaio è che, a persuadere i tonti, sono della
partita, nel campo destro del terreno di gioco, anche i galoppini ONU della
Cupola, i Ban Ki Moon, quella Navi Pilla che, nascondendo i fili che la fanno
muovere dal Pentagono, ha trasformato la Commissione per i Diritti Umani in
commissione dei giustizieri, alcuni osservatori ONU, Amnesty International, e,
nel nostro verminaio, gente rispettabile come Libera, Arci, Tavola della Pace,
pacifinti di ogni denominazione. E’ gente che si inalbera contro Fioroni perché
rifiuta i matrimoni omosex, inneggia a Obama perché onora tutti i GLBT,
straparla ancora di sobrietà dell’accozzaglia di malviventi pasticcioni che
abbiamo in capo, mentre sorvola leggera sulle apocalissi antiumane di cui i
menzionati sono, chi in prima fila, chi nella riserva, o negli uffici stampa,
responsabili. Giorni fa il regime di automi meccanici con le zanne,
intruppandosi al seguito di altri governi democratici e rispettosi della legge,
ha cacciato dall’Italia l’ambasciatore Hassan Khaddour, uomo gentile, di
elevata cultura e, soprattutto rappresentante di un paese che sta subendo la
sorte dei tanto compianti palestinesi. O indiani d’America. Il parassita che si
fa trasportare dal suo vettore. Hanno usato il pretesto della strage più
orrenda fatta dai “ribelli” e attribuita ad Assad per scattare sull’attenti
davanti a Obama e Netaniahu. Addirittura davanti a micro-parastati che a una
costituzione democratica alla siriana guardano come al giudizio universale. Del
resto, c’è tra gli imperiali una coazione a ripetere che si tramuta in
automatismo: prima di ogni aggressione armata parte lo tsunami della
diffamazione e del razzismo; prima di ogni riunione sulla Siria di organismi
ONU, o Nato, o G8, o “conferenza di amici”, o prima dell’anelata No Fly Zone,
esplode un cataclisma assassino in Siria; a ogni minaccia di baratro, default,
apocalissi, segue istantaneamente una stangata e una picconata ai diritti dei
lavoratori; a ogni atto di terrorismo, segue una Legge Reale, una retata
intimidatrice, si potenzia il tintinnar di manette. Ci insegnerà pur qualcosa.
E il papa che fa? Fa il papa.
C’è da dire del papa. I cristiani sono i prescelti,
insieme a sciti e sunniti che non stanno con i carnefici del paese, per le
incursioni, torture, decimazioni praticate dai terroristi e dalle loro “guide
bianche”. Stanno subendo la
notissima sorte di cristiani in altri paesi dove è stata attivata l’anonima
assassini islamisti: centinaia massacrati, case bruciate, donne stuprate,
milioni in fuga. Così
in Nigeria. In Egitto. E’ la collaudata strategia
israeliana della frantumazione per linee confessionali. In Siria sono state
bruciate 150 tra chiese cristiane e scuole per ragazze. Dalla Siria si sprigionano,
grazie a qualche eco onesta e coraggiosa, le voci più autorevoli della comunità
cattolica, priori e superiore di prestigiosi conventi, cattedratici
universitari, centri cattolici di informazione. Sono voci con tanta
disperazione, quanto con ricchezza di dati e testimonianze. Ma il Papa si
affaccia all’Angelus e cosa dice? “Ci rivolgiamo in modo del tutto particolare
alle autorità siriane perché pongano fine alla violenza”. Aveva detto cose
analoghe quando i suoi affini politici stavano sbranando cristiani e “infedeli”
in Libia. Come se si fosse rivolto a Pilato piuttosto che al suo Gesù.
Comunque tout se tien: in questi giorni il
Vaticano si appresta, finalmente, a firmare l’accordo le cui trattative
si trascinavano da anni. L’accordo sancisce l’accettazione da parte della
Chiesa che la legislazione israeliana venga applicata anche ai luoghi e siti
religiosi in Cisgiordania e Gerusalemme. Tutte vaste zone arabe,
occupate nel 1976 e su cui neanche l’ONU aveva riconosciuto le pretese israeliane:
la legge internazionale le indica come occupate. Ecco che il papa manda in
archivio il bla bla sulla soluzione negoziata ed equa del conflitto,
avalla occupazione, violazione del diritto internazionale, risoluzioni
ONU e usurpazione di Gerusalemme. Omaggio alla libertà e all’indipendenza dei
popoli. Come in Libia, come in Siria. Ci voleva Ratzinger.
Libia, stregone e apprendisti
Non se ne parla da un
pezzo. Comunità internazionale e suoi sguatteri e scagnozzi mediatici occultano
crimini e vergogne. La Libia da democratizzare e ornare di diritti umani è
esattamente ciò che i morti viventi Nato si ripromettevano: una fetida palude
in cui sguazzano e si azzannano mercenari islamisti, dopo essere stati
scatenati contro il più avanzato, benestante e giusto paese di tutto il
continente africano. Si tratta di
somalizzazione, detta dai serial killer del Pentagono “caos creativo”. Per il
futuro prevedibile, la Libia non sarà più uno Stato, una nazione. Cesserà di
essere un modello contagioso di sovranità, giustizia sociale, indipendenza,
unità. L’Africa
avrà perso con Gheddafi la forza propulsiva della sua resistenza
all’aggressione economica, militare e subculturale della “comunità
internazionale” e le sue risorse torneranno ad essere predate come e peggio che
nei gloriosi secoli della colonizzazione (20 milioni di ammazzati in Congo dal
Belgio di re Leopoldo). Tuttavia, non tutte le ciambelle riescono col buco.
Quello che era stato programmato, dopo i massacri Nato, come l’autogenocidio
della Libia attraverso reciproche pulizie etnico-confessionali (come da Piano
Yinon elaborato in Israele nel 1982) e la scomposizione del paese in aree di
scarso e di alto interesse strategico ed economico, sta rivoltandosi contro i
suoi autori. Gli apprendisti stregoni di Bengasi, cacciati dalla città i
parenti-serpenti gangster di quel governicchio di Lego affastellato dalla Nato
che in Libia conta quanto Scilipoti in Italia, proclamati l’emirato islamico e
la sharìa, ora si divertono un mondo a prendere a calci le presenze diplomatiche
occidentali e dell’ONU. Non c’è giorno che passa senza che un convoglio o un
consolato, o una sede di impresa occidentali, non vengano presi a fucilate e
mortaiate.
A Misurata i tagliagole
islamisti, installati dalle teste di cuoio anglofrancesi, governano la città
nel terrore e si specializzano in incursioni stragiste contro la popolazione
nera in tutto il Nord. Il “governo” nazionale, che dovrebbe garantire agli
occidentali l’uso del più importante porto della costa, è stato sostituito da
emiri che, più che alla Exxon e ad Africom, danno retta ai padrini di
Qatar e Arabia Saudita. I berberi di Sirtan, padroni saltuari dell’aeroporto di
Tripoli (ne sono stati cacciati giorni fa da combattenti gheddafiani), dopo
averne espulsi i governativi, controllano la frontiera (e il contrabbando) con
la Tunisia e si scontrano con la sicurezza tunisina. Il fratello
musulmano manovrato dall’Occidente alla presidenza della Tunisia non sa più a
quali fratelli in Libia votarsi. Alla “comunità internazionale” i terroristi di
Sirtan hanno rifilato la sberla dell’arresto di quattro inviati della Corte
Burletta Penale Internazionale (quella del lacchè Usa, Ocampo), quando si sono
avventurati da quelle parti con la “pretesa inaudita” di prendere in
consegna l’incriminato figlio di Gheddafi, Seif al Islam. Ma la Resistenza
della Jamahiryia si fa viva un po’ dappertutto, al Nord conta sulla grande
tribù dei Tarhouna, controlla gran parte del Sud, tiene tuttora la grande città
di Beni Walid, ha respinto con una serie di sanguinose battaglie i governativi
dall’area di Kufra in Cirenaica, con gli alleati Tuareg contende agli
infiltrati alqaidisti della Nato il dominio del Nord del Mali dichiaratosi
repubblica indipendente Azawad. A dispetto dell’illimitata disponibilità delle prostitute
del Consiglio Nazionale di Transizione a svendere il paese, le compagnie
occidentali hanno difficoltà a controllare le riserve petrolifere e idriche e
ad avviarne la rapina. Il disordine è grande sotto il cielo.
Elezioni democratiche, dunque sconvenienti
Tsipras, leader di Syriza
Quanta parte dell’opinione pubblica occidentale, che
pure viene subissata giornalmente da cronache splatter sugli “eccidi di Assad”
in Siria, ha saputo delle varie elezioni in Siria? Quanta di quelle in Serbia?
Diciamo lo 0,01%? Qualche embedded nelle redazioni e
cancellerie ha subito provveduto a sistemarle nei cestini. Quanto a quelle
greche, il 17 giugno, se ne blatera invece assai. Ma con colpi di
terrorismo ricattatorio che prefigura ai greci, fattisi sotto come avanguardia
occidentale del controcanto al criminal tango mondialista dei banchieri, il
destino di Atlantide. A pochi giorni dal voto, il consenso per Syriza cresce, a
dispetto dei vergognosi attacchi sia degli stalinisti del KKE, sia dei
collaborazionisti di Sinistra Democratica, tutta gente che se ne è stata
tranquilla alla finestra, ad ascoltare i comizi di Papariga del KKE in piazza
Omonomia, mentre lì accanto, in piazza Syntagma il popolo greco, il più
intelligente e coraggioso d’Europa, guidato da Syriza, resisteva eroicamente ai
macelli degli sgherri della soluzione finale di Bruxelles.
In Siria ha trionfato con
l’89% il referendum per la nuova costituzione iperdemocratica e pluralista. Contro l’opposizione
democratica, articolatasi in una serie di partiti dopo il referendum, ha
stravinto il Fronte Nazionale Patriottico composto dal Baath, dai due partiti
comunisti e da altre forze progressiste e laiche, sia nelle amministrative, sia
in quelle legislative. La partecipazione ha superato il 60%, dato storicamente
fisiologico, ma miracoloso in un paese dilaniato dal terrorismo e dall’impegno
militare contro il terrorismo, nel quale, a macchia di leopardo, gli ascari
Nato-Golfo hanno tentato di impedire con massacri e minacce di votare. Queste,
come le altre elezioni che diremo, sono state tutte seguite da vicino da
osservatori internazionali, tutti unanimi nel dichiararle corrette. E non
c’erano neppure le liste blindate dai capipartito, o la manna dal cielo del
premio di maggioranza, o la decisione dei giudici Usa che danno la vittoria al
candidato presidenziale che ha perso. O i persuasori occulti delle parrocchie.
Così in Algeria. Qualche semisegreto colonnino nel
“manifesto”, dove immancabilmente ci si indigna di “repressione e brogli”,
manco fossimo nella Russia descritta dallo slavofobo Astrit Dakli, o nell’Iran
della rivoluzionaria verde Marina Forti. Speravano nella definitiva
eliminazione di un’Algeria laica e indipendente, ostile allo stupro della
Siria, tramite i fidati berberi del Fronte Socialista, testa di ponte del
neocolonialismo francese, o i fiduciari Usa Fratelli Musulmani, qui denominati
Algeria Verde, metamorfizzatisi da specialisti delle stragi di civili in
competitori democratici. Invece ha stravinto la coalizione patriottica: su 462
seggi, 220 sono andati al Fronte di Liberazione Nazionale e 68
all’Alleanza Nazionale Democratica. Le opposizioni: Algeria Verde, 48, Fronte
Socialista 21. Gli osservatori dell’Unione Europea (dunque Nato), di tutto
imputabili fuorchè di parzialità filoalgerina, non hanno trovato niente da
ridire. Che fare? Zitti e mosca. Il guaio è che, per stavolta, il processo di
islamizzazione affidato dall’Occidente ai Fratelli Musulmani, wahabiti del
Golfo, salafiti e Al Qaida, ha subito una battuta d’arresto. La comunità
integralista islamica, preferibilmente sunnita, cara e affine al Vaticano come
ai teocrati d’Israele e agli ultrà evangelici Usa, disponibile alle forme più
feroci di capitalismo del 3° millennio e alle depredazioni multinazionali,
strumento principe imperialista nella liquidazione degli Stati laici sovrani,
plurietnici e pluriconfessionali, in Algeria, quella comunità s’è vista
sottrarre il boccone per la seconda volta.
In Siria, battuta militarmente e nel voto,
riprovandoci come nell’Algeria degli anni’90, la compagnia di giro
atlantico-islamista chiama Allah a benedire i suoi massacri di civili,
espressamente bambini e donne, e invoca la Nato a sostegno degli inadeguati
aiuti in denaro, armi e mercenari dei petrotiranni. E neanche in Yemen e
Bahrein il ghibli islamista riesce a insabbiare una resistenza nazionale e
democratica, per quanto gli sponsor politici e mediatici in Occidente diano
dell’Al Qaida a chiunque nel mondo alzi la cresta, compresi i combattenti
yemeniti, e dell’agente iraniano ai rivoluzionari del Bahrein e ai rivoltosi in
Arabia Saudita.
Serbi da morire
E poi c’è la Serbia,
vittima dell’automutilazione europea, con bisturi Nato, che deve continuare a
pagare lacrime e sangue perché si obliteri dalla cronaca, dalla storia e dai
tribunali, il nazionicidio inflittole, tra stragi bosniache a Sarajevo, croate
nelle Krajine, UCK in Kosovo, bombardamenti sulla Serbia, farsa di Srebrenica,
un milione di profughi serbi da terre serbe, il cappio al collo dei serbi del
Kosovo, peraltro grandiosamente irriducibili. Ma non solo loro. Lo svampito De
Francesco del “manifesto” può, in coro con tutta la stampa che deve tenere in
piedi il cadavere dell’inganno balcanico, biasimare di “conservatorismo” e
“ultranazionalismo” (è un suo mantra serbo) i serbi che non si allineano con
“l’europeista liberal” Boris Tadic, presidente vendipatria (un suo capolavoro:
Marchionne alla Zastava con 3000 operai al posto dei 36mila della Serbia
libera, salari di fame, turni da collasso, sindacato giallo, niente tasse e esportazione
di tutti gli utili). Questo Tadic che, disonorando una storia nazionale
antifascista tra le più nobili d’Europa, insieme al paese, ne aveva venduto la
dignità, consegnando allo pseudotribunale dell’Aja due eroi della resistenza
serba, Karadzic e Mladic, perchè giudici-boia li sistemino alla maniera di
Milosevic e di altri patrioti serbi. Ebbene, non tutto è perduto nella Serbia.
Molti sono rimasti “ultranazionalisti”. Qualcuno ha finito di sognare e si è
svegliato.
Nelle legislative dei
primi di maggio, con il 29,2%, ha vinto il Partito Progressista Serbo di
Tomislav Nikolic, nato da una scissione dal vecchio Partito Radicale di Seselj.
Il Partito Democratico di Tadic è rimasto al 26,8%. Seguono i socialisti (17,6)
e i democratici di Kostunica (6,9). Stavolta, i miliziani Otpor di Soros e
del National Endowment for
Democracy(leggi
Cia), hanno toppato alla grande. Niente “Primavera di Belgrado”, come
“Liberazione” aveva definito il colpo di Stato Otpor-Nato del 2001. E anche al
ballottaggio per la presidenza, il 20 maggio, chi ha vinto è stato Nikolic, con
il 49,55% contro Tadic (47%) che lo aveva sconfitto due volte e puntava,
accompagnato dai voti UE e Nato, al terzo mandato.
Nella Serbia
dell’abbandono della comunità in Kosovo, del milione di rifugiati, dello
strangolamento da parte di FMI e BM, con lo smantellamento del pubblico,
l’industria rottamata e svenduta a banditi come Marchionne, i licenziamenti di
massa, la disoccupazione al 35% e al 50 dei giovani, la fine
dell’assistenza sanitaria e dell’istruzione gratuita, il Kosovo sotto il
despotismo dei trafficanti di droga e narcotici, non ci sono solo i disperati
resistenti della comunità serba del Kosmet che al 94% hanno votato contro il
riconoscimento del regime Nato di Pristina. Ci sono anche i serbi della
vittoria di un partito che potrà anche essere indigesto al “manifesto”, ma ha
battuto la leadership filo-occidentale, per quanto sostenuta finanziariamente e
politicamente dagli uccisori della Jugoslavia. Un partito, una maggioranza che
rifiutano di entrare nudi nell’UE, che respingono il piano di integrazione
nella Nato (il 70% della popolazione è contrario), che promettono di reagire a
umiliazione, stanchezza e sfinimento e di ridare forza alle sacche di
resistenza disperse tra Serbia e Kosovo Metohija. La rinascita della Serbia può
partire da lì. Forse anche con l’aiuto di quel vento rosso che ha preso a
soffiare impetuoso da sud, dalla Grecia di Syriza. Che potrà anche essere
sconfitta nelle elezioni del 17 giungo, ma di cui il mare di fiamme che ho
visto per due anni mi dice che non finirebbe così.
Bye bye Palestina?
Di un’altra faccenda
elettorale pudicamente non si parla, né nei media della greppia sionista, né
tra i dirittoumanisti compassionevoli della solidarietà alla Palestina. Di
quelle elezioni che avrebbero dovuto sostituire 18 mesi fa, dal gennaio 2011,
il decaduto presidente dell’ANP e quisling palestinese Abu Mazen e la sua
cricca di insaziabili satrapini. Non ne parla neanche Hamas, da quando si è
acconciato a scambiare il quarantennale sostenitore laico e progressista
siriano con l’emiro del Qatar, ufficiale pagatore e fiduciario di Israele e
Nato nell’annientamento delle istanze nazionali e democratiche arabe. Eloquente è stata una mia esperienza
personale. Giorni fa mi ha contattato un gruppo filo-palestinese per un
intervento in occasione del passaggio di una nave dell’ennesima Flottiglia per
Gaza. Mi hanno chiesto di raccontare un po’ di Gaza e Palestina. Quando gli ho
risposto che sarebbe oggi utile e urgente accompagnare la solidarietà per i
palestinesi a quella per libici e siriani, e magari bahreiniti e yemeniti, e
magari proiettare il mio film sulle guerre imperialiste da Gerusalemme a
Damasco, visto che, dopotutto, la Palestina è stata sempre vista come il cuore
della questione nazionale araba, la risposta è stata… zero. Non si sono più
fatti vivi. Preferiscono occuparsi di Palestina e basta.
Cosa dice questa storiella? Dice che è più comodo, per
i solidaristi e le sinistre organizzate tutte, dedicarsi a vittime tutto sommato
ormai inoffensive che a genti non disposte a rinunciare alla lotta. La
solidarietà ha senso quando i solidarizzati lottano. La solidarietà per chi si
limita a essere vittima è lo sparo a salve di una scacciacani. Stare con i
palestinesi e addirittura condividerne i tradimenti nei confronti dei fratelli
siriani, iracheni, libici, yemeniti, oggi è come farsi una canna per scordarsi
della coscienza infettata di viltà e opportunismo. Accanto ai palestinesi ci
saremo sempre, ma meglio quando riprenderanno a lottare. Intanto ci interessa
stare con chi ne ha costituito per mezzo secolo il retroterra e la garanzia del
futuro e per questo viene destinato a morte. E batterci per la libertà di chi
non tradisce: Maruan Barghuti, Ahmed Saadat, i prigionieri in sciopero della
fame.
E’ il morgantinismo (da
Luisa Morgantini, vessillifera del disarmo unilaterale nonviolento) che ha
opacizzato la mobilitazione, un tempo a fianco di popoli combattenti, in mensa
Caritas. E’ la paralisi determinata, anche nei meno proni alle sirene dei
negoziati di pace in salsa Obama-Netanihau-Saviano, dall’osceno
collaborazionismo di un’ANP in fregola di “aiuti” da Europa e Golfo e che oggi
si fa protagonista, sotto il comando dell’ammiraglio Usa Paul Bushong,
addestratore degli sbirri di Abu Mazen, di una repressione feroce di qualsiasi
alito di protesta e resistenza in Cisgiordania. I militanti delle Brigate di Al
Aqsa e di Hamas finiscono, sul modello di Guantanamo, nei centri di detenzione
speciale a Gerico (dove da anni languisce il segretario del FPLP Ahmed al
Saadat), senza processo e senza termine, mentre il silenziatore è imposto
a qualsiasi mobilitazione per Maruan Barghuti, leader verodi Fatah e della seconda intifada e che insiste a
chiamare alla sollevazione popolare, unica arma del riscatto. Eterna
gratitudine dell’ANP per la sfilza di ergastoli rifilatigli da Israele. Ora Abu
Mazen ha fatto sbattere a Gerico anche Zakaria Zubeidi, difensore di Jenin
durante la mattanza nazisionista e animatore del Freedom Theater, Teatro della Libertà,
fulcro della resistenza culturale palestinese, mentre, contrariamente
addirittura al vecchio marpione della Fifa, Blatter, e al sindacato
internazionale dei calciatori, tiene la bocca serrata su Mahmud Sarsak,
calciatore della nazionale palestinese moribondo in carcere, in sciopero
della fame da tre mesi. Anzi, lo sconcio governatore fantoccio di Jenin, Talal
Dweikat, sodale di Abu Mazen, ha dichiarato: “Le campagne di arresti in atto servono la causa dell’indipendenza
palestinese. Stiamo dimostrando al mondo che l’ANP è in grado di dirigere le
istituzioni del futuro Stato di Palestina”. Il mondo ne è convinto,
si rassicuri.
Tutto questo non è
argomento neanche per gli “indignados” per l’Ucraina installati dalla Cupola ai
vertici dell’UE e che boicottano le europartite in quel paese. Indignati perchè
la giustizia ha acchiappato un’amica, alleata, complice: la rivoluzionaria di
velluto Julia Timoshenko, in carcere per avere, da premier, truffato lo Stato e
con alle spalle una storia infinita di malversazioni, ruberie, corruzione. Del
boicottaggio, come del resto di ogni cosa che possa danneggiare popolazioni
slave non simili al georgiano Saakashvili, o al serbo Tadic, si compiace
l’albanese Astrit Dakli, con Gad Lerner uno dei più appuntiti ferri di lancia
allestiti in Occidente contro quel Putin che si permette di alzare la voce
contro le scorrerie genocide della Nato e, addirittura, di sostenere in
diplomazia e in armi il reietto Bashar el Assad. E la gente che vedete qui
sotto, uno per uno più simpatici di Germano Monti o Amedeo Ricucci.
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Utilissimo idiotissimo
E qui affrontate con stoicismo una delle
cose più imbecilli e oscene mai uscite dai neuroni di chi si definisce
comunista. Dopo aver sostenuto
l’annientamento Nato-Al Qaida della libera Libia, Ferrando del Pcl e tutto il
tossico sciame dei tafani trotzkisti di varie etichettatura, a nessuna delle
quali il povero Lev Bronstejn, detto Trotzky, darebbe la qualifica di DOC,
distoltisi un attimo dallo sport preferito di azzannarsi fra di loro, hanno
rigurgitato comunicati, appelli e presidi a sostegno “del vero processo
rivoluzionario in corso in Siria”. Sono talmente scemi che, per l’aiutino,
non dalla Nato ghignante non si fanno neanche pagare. Credo. Leggete,
leggete. Ma munitevi di quei sacchetti che vi danno sugli aerei, per ogni
eventualità… La schifezza mi arriva da un bravo compagno che lo ha
corredato di corretto commento.
Mentre in Libia l’attuale
governo rivoluzionario e le propaggini di Al Qaeda procedono spediti verso il
sol dell’avvenire “rivoluzionario” a suon di pogrom razzisti,
torture,detenzioni di massa, stupri e sparizioni i nostri “rivoluzionari”
nostrani non perdono occasione di lanciare proclami sulla rivolta del popolo
siriano” con lo stesso tono usato mentre sventolavano le bandiere di re
Idris durante i bombaradmenti NATO.
Se per la Libia c’era
l’attenuante di una possibile incapacità di leggere e interpretare quanto stava
accadendo , ivi incluso il legame diretto con la crisi del capitalismo italiano
, con la Siria questa attenuante decade considerando l’esperienza
politica di decenni di gran parte del gruppo dirigente del PCL e di tutta la
galassia dei gruppi che provengono dalla quarta internazionale o fanno parte
delle svariate “quarte internazionali”.
C’è qualche cosa che ci
sfugge? Il riferimento non è ovviamente ai tanti militanti di questi gruppi
che devono ripetere le “pappine” elaborate dai dirigenti: ma è
l’atteggiamento complessivo di essi non solo sulla questione MedioO. ma anche
sul processo rivoluzionario venezuelano, boliviano etc. Si schierano
sempre,anche in loco (vedi Venezuela e Bolivia) con i movimenti di opposizione
anche di destra o ai Governi che cercano di far decollare processi di
trasformazione sociale e politica in contesti niente affatto facili; o contro i
regimi laici antimperialisti che si contrappongono agli interessi occidentali.
Forse sarà utile aprire una discussione che ci aiuti a comprendere cosa spinge
queste forze ad assumere atteggiamenti di questo tipo che guarda caso
coincidono con la politica estera del Centro-sinistra in Italia come in
Francia. Fuori da ogni anatema anti-Trotskista (anche perchè ci sembra che
Trotski avesse le idee certamente più chiare sulle guerre coloniali e
imperialistiche) per capire sulla forte influenza negativa che hanno sui
movimenti in Italia oggi. E non stiamo parlando di “altro” o di cose di poco
conto.
Associazione Pellerossa
Cesena
Un vero processo rivoluzionario sta accadendo in
Siria, il popolo è spinto, sotto il vento delle rivoluzioni arabe, da un
spirito di vendetta causato da anni di oppressione del regime e dai gerarchi
del regime.
La violenza della tirannia siriana che da un anno, oramai, reprime nel sangue la voglia di cambiamento del popolo, non si ferma davanti a niente. Sono migliaia le persone che sono state uccise in Siria da quando è esplosa la rivolta contro il regime di Bashar al Assad. Secondo i media fra le vittime ci sono molti donne e bambini. Non contento di questa mattanza, il despota siriano avrebbe piazzato mine anti-uomo lungo i confini di Libano e Turchia, ovvero nei pressi delle principali vie di fuga per i rifugiati.
L’imperialismo (che vorrebbe sfruttare a proprio vantaggio la situazione) è all’ empasse più totale, sulla questione “siriana” rimane nel limbo. Le potenze imperialiste stanno ancora discutendo come uscirne, non sanno se un intervento militare debba aver luogo e quali ripercussioni l’ipotetico attacco alla Siria avrebbe nella nuova geografia politica, in primis per l’Iran. I veti posti dalla Russia di Putin ad un ipotetico intervento militare dalle potenze occidentali in Siria va letto, esclusivamente, come la volontà del mantenimento dello status quo e non come pensano le varie organizzazioni dell’arcipelago stalinista come una sorta di opposizione all’imperialismo USA. Gli stalinisti applicano sempre lo stesso schema “campista”, che si portano addosso a mo’ di mantra, e che li ha portati in passato ha sostenere in passato i governi borghesi. Noi come PCL, come trotskysti conseguenti, pensiamo esattamente l’opposto: che il governo di Assad vada cacciato e vada costruito un regime realmente socialista basato sui consigli dei lavoratori.
Il popolo siriano è sceso in strada per chiedere pane, democrazia e migliori condizioni di vita; l’unica possibilità che hanno i lavoratori, donne e studenti siriani è di vincere è di cacciare questo oppressore è instaurare un governo dei lavoratori. Non vi sono vie d’uscita diplomatiche, non vi sono scelte di “campo, ma c’è solo la rivoluzione.Contro l’intervento imperialista in Siria!
Per la rivoluzione permanente in Siria!
Per un Medioriente laico e socialista!
La violenza della tirannia siriana che da un anno, oramai, reprime nel sangue la voglia di cambiamento del popolo, non si ferma davanti a niente. Sono migliaia le persone che sono state uccise in Siria da quando è esplosa la rivolta contro il regime di Bashar al Assad. Secondo i media fra le vittime ci sono molti donne e bambini. Non contento di questa mattanza, il despota siriano avrebbe piazzato mine anti-uomo lungo i confini di Libano e Turchia, ovvero nei pressi delle principali vie di fuga per i rifugiati.
L’imperialismo (che vorrebbe sfruttare a proprio vantaggio la situazione) è all’ empasse più totale, sulla questione “siriana” rimane nel limbo. Le potenze imperialiste stanno ancora discutendo come uscirne, non sanno se un intervento militare debba aver luogo e quali ripercussioni l’ipotetico attacco alla Siria avrebbe nella nuova geografia politica, in primis per l’Iran. I veti posti dalla Russia di Putin ad un ipotetico intervento militare dalle potenze occidentali in Siria va letto, esclusivamente, come la volontà del mantenimento dello status quo e non come pensano le varie organizzazioni dell’arcipelago stalinista come una sorta di opposizione all’imperialismo USA. Gli stalinisti applicano sempre lo stesso schema “campista”, che si portano addosso a mo’ di mantra, e che li ha portati in passato ha sostenere in passato i governi borghesi. Noi come PCL, come trotskysti conseguenti, pensiamo esattamente l’opposto: che il governo di Assad vada cacciato e vada costruito un regime realmente socialista basato sui consigli dei lavoratori.
Il popolo siriano è sceso in strada per chiedere pane, democrazia e migliori condizioni di vita; l’unica possibilità che hanno i lavoratori, donne e studenti siriani è di vincere è di cacciare questo oppressore è instaurare un governo dei lavoratori. Non vi sono vie d’uscita diplomatiche, non vi sono scelte di “campo, ma c’è solo la rivoluzione.Contro l’intervento imperialista in Siria!
Per la rivoluzione permanente in Siria!
Per un Medioriente laico e socialista!
Partito Comunista dei Lavoratori
*********************************************************************************************Dai bassifondi imperiali, da dove
sono scaturiti e di cui mi sono arrivati gli effluvii sopra descritti,
trovate invece esempi di onesto giornalismo e di limpido internazionalismo
proletario.
Chi sono gli amici di Assad
giu 13, 2012 by admin
Da Amedeo Ricucci
Com’era già successo con Muammar Gheddafi, anche il dittatore sirianoBachar al Assad è riuscito a imbarcare
nella difesa ad oltranza del suo regime una strana Armata Brancaleone, pittoresca quanto
variegata, che unisce “rossi” e “neri”. Ne hanno smascherato le ripetute malefatte in
tema di propaganda e disinformazione sia Lorenzo Trombetta sul blogSiriaLibano, sia Lorenzo Declich su Tutto in 30 secondi, così come Cristiano Tinazzi su Il Dottor Gonzo. Non è quindi il caso di aggiungere altro, se
non che questi personaggi non solo non hanno occhi per vedere –
accecati come sono dal loro furore ideologico – ma da recidivi
non possono accampare alcuna scusante, anzi, vanno considerati
oggettivamente dei complici degli sgherri di Assad, e quindi anche loro con
le mani sporche di sangue.
Quello che segue è un
post di Germano Monti dal blog Vicino Orientesull’ultima assurda
adunata di questi adulatori di Assad, il
macellaio.
“Fra pochi giorni Roma sarà teatro di un evento che, molto probabilmente, non passerà alla storia, ma che segna comunque un punto di caduta nella variegata composizione del mondo pacifista e della solidarietà internazionalista italiani.Sabato 16 giugno, si sono dati appuntamento a Piazza del Popolo i sostenitori del regime siriano del clan Assad, adottando come slogan di convocazione dell’adunata il motto “Dio, Siria, Bashar e basta!”. Lo stesso motto degli shabiha, gli squadristi che si occupano del lavoro sporco contro gli oppositori del regime. L’iniziativa ha avuto un prologo interessante lo scorso 31 maggio, quando una cinquantina di italiani e siriani hanno manifestato davanti la sede dell’ambasciata siriana, a pochi passi da Piazza Venezia, ostentando pugni chiusi e saluti romani, amorevolmente l’uno a fianco dell’altro.Non si è trattato di un episodio folcloristico: la blasfema commistione fra neofascisti e sedicenti “antimperialisti” è un dato di fatto, confermato, da ultimo, proprio dalla convocazione della manifestazione del 16 giugno. Le figure, anzi, i figuri di spicco del comitato promotore sono due, entrambi animatori del sito Syrian Free Press: Ouday Ramadan, detto “Soso”, e Filippo Pilato Fortunato.Ouday Ramadan è un siriano che vive in Italia ed è stato consigliere comunale del Partito dei Comunisti Italiani a Cascina, un grosso centro della provincia di Pisa. Non sappiamo se sia tuttora iscritto al partito di Diliberto, ma lui si professa comunista, anzi “stalinista in ogni cellula”, ed è di pochi mesi fa una sua violenta polemica contro Paolo Ferrero, il segretario di Rifondazione Comunista, reo di avere – sia pure timidamente – difeso le ragioni della rivolta siriana. Stando a quel che dice qualche suo sodale, Ramadan è anche il figlio del “capo spirituale” di un’importante comunità alaouita, la stessa setta cui appartiene la famiglia Assad.Filippo Pilato Fortunato, invece, appare come uno schietto fascistone, e basta un veloce giro sulla rete per visualizzare un’incredibile quantità di articoli, interviste, recensioni, ecc., talmente espliciti da togliere ogni dubbio. In ogni caso, a suggellare con il crisma dell’ufficialità le simpatie politiche del Fortunato, nell’agosto dello scorso anno giunge l’iscrizione a Forza Nuova, sezione di Palermo.Il suo “pensiero” è efficacemente sintetizzato in questo stralcio di una sua breve biografia redatta da Giovanna Canzano, che compare al termine di una sua intervista allo stesso Fortunato: “Filippo F.P. reputa di fondamentale importanza comprendere quale sia il maggior pericolo cui l’umanità sta andando incontro e creare una rete di opposizione, di formazione e controinformazione che sappia andare oltre i limiti personali di ognuno, per fronteggiare organicamente quello che egli considera il nemico numero uno: il giudaismo sionista, rabbinico-talmudico, massonico per eccellenza”.Il nerissimo Fortunato ed il “rosso” Ramadan sono uniti dall’amore per il regime nazionale e socialista di Assad, al punto di organizzare e partecipare a delegazioni che si recano fino a Damasco per omaggiare gli esponenti del regime, come avvenuto poche settimane fa. La loro passione per il regime siriano è condivisa da un’area nebulosa che va da formazioni di estrema destra quali, appunto, Forza Nuova, Stato e Potenza, Eurasia, Socialismo Nazionale, il gruppo romano “Controtempo”, CasaPound, i “comunitaristi”, Millennium, coinvolgendo settori consistenti dell’integralismo cattolico, ma anche movimenti trasversali – come “Per il Bene Comune” dell’ex senatore del PdCI Fernando Rossi – e realtà ed individui accreditati a sinistra e nei movimenti contro la guerra.Alla manifestazione di Piazza Venezia dove pugni chiusi e saluti romani convivevano disinvoltamente, hanno preso parte esponenti di un comitato di solidarietà con la Palestina notoriamente schierato a sinistra e della Rete No War, così come ad altre iniziative simili – in solidarietà con il dittatore libico Gheddafi, prima ancora che con il siriano Assad – hanno preso parte il giornalista Fulvio Grimaldi e la collega Marinella Correggia, che scrive anche per il Manifesto. Quest’ultima, anzi, è la punta di lancia della propaganda in Italia del regime di Assad, rilanciando le veline del centro di informazione cattolico integralista “Vox clamans”, gestito da suor Mariam Agnès De La Croix, monaca lèfebvriana in ottimi rapporti con i falangisti libanesi ed i fascisti francesi del Front National di Marine Le Pen. Le veline farneticanti di Marinella Correggia e persino quelle di “Vox clamans” vengono rilanciate come “informazioni indipendenti” anche da radio e riviste on line della sinistra, per quanto questo possa apparire inverosimile.Le adesioni alla manifestazione del 16 giugno confermano il quadro della sconfortante deriva raggiunta da settori – minoritari, fortunatamente – della sinistra e del movimento contro la guerra. A leggere le pagine Facebook dedicate all’evento, a Piazza del Popolo dovrebbero esserci – insieme a tanti camerati entusiasti del nazional-socialista Assad – la sezione milanese della FGCI, un misterioso gruppo “Comunisti Uniti Duepuntozero”, nonché pacifisti a tutto tondo, che hanno tentato (senza successo) di convincere a partecipare anche le associazioni pacifiste riunite nel Forum tenutosi a Roma la settimana scorsa. Anche l’ex segretario della CGIL in Sicilia, Pietro Ancona, ha assicurato la sua adesione. A ben guardare, le adesioni esplicite da sinistra sono poche e marginali, ma il dato preoccupante è rappresentato dal fatto che questi personaggi – che, lo ripetiamo e sottolineiamo, non mostrano alcun imbarazzo a marciare insieme alla peggiore feccia fascista – siano tuttora interni ad organizzazioni, reti e movimenti che dovrebbero avere nell’antifascismo, oltre che nella solidarietà internazionalista, la propria stella polare. /http://vicinoriente.wordpress.com/
Tratto da http://www.stampalibera.com/?p=47517
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