di Daniele Della Bona
Questo post è il primo di una serie dedicata all’analisi storica e politica del mercato del lavoro in Italia. Cercheremo di capire come su di esso abbiano influito i vari shock di politica economica occorsi a partire dall’inizio degli anni ottanta: dal divorzio fra Tesoro e Banca d’Italia all’indomani dell’entrata italiana nello Sistema Monetario Europeo (SME), alle politiche fiscali intraprese dai governi che si sono succeduti, fino alla lunga fase di crescente liberalizzazione del mercato del lavoro.
Sovranità monetaria e politica fiscale
Il punto centrale dal quale parte la Mosler Economics – Modern Money Theory è il concetto di sovranità monetaria. Ossia: 1) lo Stato è la prima entità che emette la moneta nell’atto della spesa pubblica, definendo in questo modo qual è la moneta di Stato e 2) quella valuta fluttua liberamente sul mercato dei cambi, cioè non è vincolata ad alcuna parità di cambio prestabilita e perseguita dalle autorità politiche e monetarie. Ovviamente, come spesso dico, si tratta di un requisito indispensabile per fare in modo che un governo possa applicare una politica fiscale in grado di apportare un beneficio all’intera collettività, cioè si tratta di una condizione sufficiente ma non necessaria: possibilità e volontà politica sono due concetti ben diversi e questo non va mai dimenticato.
Il mercato del lavoro
Facciamo un passo in avanti cercando di capire quale sia il rapporto fra politica fiscale e mercato del lavoro. Una prima considerazione piuttosto banale è che un governo che non dispone della piena sovranità monetaria, che è costretto pertanto a finanziarsi sul mercato, incontra un ostacolo notevole alla sua (eventuale) volontà politica di applicare politiche indirizzate al sostegno sia del livello della domanda in generale che, soprattutto, dei salari dei lavoratori. Per riassumere il concetto: se i soldi devo farmeli prestare e accettare le condizioni di prestito altrui può risultare più difficile proporre un certo tipo di politica economica.Ecco dunque che in una situazione del genere il mercato del lavoro viene lasciato a se stesso e alle sue dinamiche interne.
E per capirne le dinamiche è opportuno cercare di dare una definizione di mercato del lavoro. Come ci ricorda Bill Mitchell, economista dell’Univeristà di Leeds (Australia) e direttore del Center of Full employment and Equity, il mercato del lavoro va considerato prima di tutto come un costrutto sociale, che, in quanto tale, incorpora delle relazioni di potere. Queste relazioni di potere, ovviamente, non sono date e immutabili, bensì esprimono e riflettono il risultato di una “lotta” fra attori economici portatori di interessi diversi. Per dirla con Marx, da una parte abbiamo coloro che che vendono la propria forza lavoro (i lavoratori), dall’altra, coloro che acquistano questa forza lavoro (che possiamo chiamare in via generale capitalisti).
Questo post è il primo di una serie dedicata all’analisi storica e politica del mercato del lavoro in Italia. Cercheremo di capire come su di esso abbiano influito i vari shock di politica economica occorsi a partire dall’inizio degli anni ottanta: dal divorzio fra Tesoro e Banca d’Italia all’indomani dell’entrata italiana nello Sistema Monetario Europeo (SME), alle politiche fiscali intraprese dai governi che si sono succeduti, fino alla lunga fase di crescente liberalizzazione del mercato del lavoro.
Sovranità monetaria e politica fiscale
Il punto centrale dal quale parte la Mosler Economics – Modern Money Theory è il concetto di sovranità monetaria. Ossia: 1) lo Stato è la prima entità che emette la moneta nell’atto della spesa pubblica, definendo in questo modo qual è la moneta di Stato e 2) quella valuta fluttua liberamente sul mercato dei cambi, cioè non è vincolata ad alcuna parità di cambio prestabilita e perseguita dalle autorità politiche e monetarie. Ovviamente, come spesso dico, si tratta di un requisito indispensabile per fare in modo che un governo possa applicare una politica fiscale in grado di apportare un beneficio all’intera collettività, cioè si tratta di una condizione sufficiente ma non necessaria: possibilità e volontà politica sono due concetti ben diversi e questo non va mai dimenticato.
Il mercato del lavoro
Facciamo un passo in avanti cercando di capire quale sia il rapporto fra politica fiscale e mercato del lavoro. Una prima considerazione piuttosto banale è che un governo che non dispone della piena sovranità monetaria, che è costretto pertanto a finanziarsi sul mercato, incontra un ostacolo notevole alla sua (eventuale) volontà politica di applicare politiche indirizzate al sostegno sia del livello della domanda in generale che, soprattutto, dei salari dei lavoratori. Per riassumere il concetto: se i soldi devo farmeli prestare e accettare le condizioni di prestito altrui può risultare più difficile proporre un certo tipo di politica economica.Ecco dunque che in una situazione del genere il mercato del lavoro viene lasciato a se stesso e alle sue dinamiche interne.
E per capirne le dinamiche è opportuno cercare di dare una definizione di mercato del lavoro. Come ci ricorda Bill Mitchell, economista dell’Univeristà di Leeds (Australia) e direttore del Center of Full employment and Equity, il mercato del lavoro va considerato prima di tutto come un costrutto sociale, che, in quanto tale, incorpora delle relazioni di potere. Queste relazioni di potere, ovviamente, non sono date e immutabili, bensì esprimono e riflettono il risultato di una “lotta” fra attori economici portatori di interessi diversi. Per dirla con Marx, da una parte abbiamo coloro che che vendono la propria forza lavoro (i lavoratori), dall’altra, coloro che acquistano questa forza lavoro (che possiamo chiamare in via generale capitalisti).