DC 9 ITAVIA, ABBATTUTO IL 27 GIUGNO 1980
di Gianni Lannes
In fondo al Tirreno, ci sono due missili mai recuperati (uno di fabbricazione israeliana e l’altro francese). Ecco le coordinate: 39°43′0″N 12°55′0″E.
I depistaggi classici sono imbastiti mediante omissioni, in questo caso giudiziarie.
La mattina del 22 maggio 1988 il Nautile esplora le profondità tirreniche alla ricerca dei rottami del DC Itavia precipitato il 27 giugno 1980, a causa di un misterioso attacco militare, avvenuto mentre percorreva la rotta Ponza-Palermo sull’aerovia Ambra 13.
Sul minuscolo sommergibile sono imbarcati due operatori dell’Ifremer, la società francese che ha avuto l’incarico di procedere al recupero dei resti dell’aereo. L’area in cui è stato individuato il relitto è a 3.700 metri di profondità. I fari del sommergibile illuminano il fondo che si intravede come una massa grigio brillante nelle immagini trasmesse in superficie alla nave appoggio Nadir. Gli operatori sono immersi in un mondo silenzioso dove sentono solo il ronzio della macchina da ripresa e le loro parole. Alle 11,58 appare sul fondo una forma particolare, che potrebbe essere il corpo di un missile. Uno dei due operatori scandisce il termine: “missile”. Dalla registrazione si sente chiaramente l’inconfondibile pronuncia francese: “misil”.
L’immagine scompare dopo qualche secondo. Continua la monotona visione del fondo marino sabbioso. D’improvviso il nastro si divora una manciata di minuti. Qualcosa è stato tagliato: immagini o parole? L’esplorazione continua. Alle 13,53 s’intravede un’altra classica forma di missile, un trapezio isoscele con un corpo allungato. Alle 14,34 sul nastro scorre l’immagine dello stesso oggetto da un’altra angolazione. Le ricerche dell’Ifremer vengono sospese tre giorni dopo. Il 26 giugno si effettua una verifica sul fondo per prendere nota della quantità di reperti non recuperati. Il direttore tecnico dell’Ifremer, l’ingegner Roux, rivela in un’intervista che lo stop è stato dato dall’ingegner Blasi, il perito incaricato dai magistrati di supervisionare le operazioni di recupero.
rottami del DC9 Itavia- foto Gianni Lannes
I reperti tirati a galla sono stati concentrati in un hangar d'aeroporto dell'Aeronautica militare tricolore (l'Arma azzurra che ha concretamente depistato ed inquinato le indagini). La tecnica più avanzata per risalire alla causa di un disastro aviatorio è quella di costruire una sagoma di legno dell’aereo perduto e di far combaciare i pezzi recuperati. Se questo si fosse fatto subito si sarebbe notata già allora la corrispondenza tra due fori di forma trapezoidale, come se il tratto motore di un missile avesse attraversato l’aereo da parte a parte.
I pezzi del Dc9 recuperati sono rimasti ammucchiati alla rinfusa. Delle due sagome di missili, viste durante le riprese del 22 maggio nell’area marina in cui si trovava il relitto, non c’è traccia fra i rottami. Né vengono fuori tra quelli portati in superficie durante la seconda operazione di recupero, affidata ad una società inglese dopo che si sono scoperti i legami dell’Ifremer con i servizi segreti francesi. Trascorrono tre anni prima che i periti di parte abbiano la possibilità di esaminare i nastri dell’operazione Ifremer: è in questa fase che si notano le due sagome di missili sul fondale subacqueo.
Secondo un primo sommario tentativo di identificazione si tratta di unMatra R 530 di fabbricazione francese e di uno Shafrir israeliano. Quel tipo di Matra è lungo 3,28 metri, ha un diametro di 26 centimetri, con ingombro alare di 110, pesa 195 chilogrammi. L’ordigno è munito di una testata a frammentazione e può colpire il bersaglio a tre chilometri di distanza con la guida a raggi infrarossi e a 15 chilometri con la guida radar semiattiva. L’altro tipo di missile è lungo 2,5 metri, ha 16 centimetri di diametro e 52 di apertura alare, pesa 93 chilogrammi ed ha una gittata di 5 chilometri. Entrambi sono missili usati per la dotazione dei caccia da Paesi occidentalie da Israele.
Quando il volo IH 870 è posizionato a 43 miglia a sud di Ponza, il controllo di Roma Fiumicino autorizza il pilota a prendere accordi con il controllo di Palermo per iniziare la discesa verso Punta Raisi. Sono le 20:56: in quel preciso momento il DC 9 naviga a 25.000 piedi (7.620 metri) e dista ben 129,5 miglia nautiche dal radar di Fiumicino. Tutti gli aerei civili hanno a bordo uno strumento che si chiama trasponder: trasmette automaticamente ai radar del controllo aereo i dati di identificazione e di quota. L’ultimo segnale del trasponder del DC9 riporta alle 20,59 minuti la posizione dell’aereo a 25 mila piedi. Poi il vuoto di informazioni. Il pilota non risponde più alle chiamate del controllo aereo. I servizi radar non ricevono più segnali. La sigla IH 870 rimbalza nell’etere con affannosi appelli che non ricevono nessuna risposta, neppure dal Rescue Coordination Center di Martina Franca, una località in provincia di Taranto, che opsita nelle viscere di un sorvegliatissimo promontorio (mascherato da una riserva naturalistica), un'importante base di comunicazioni, utilzzata sia per il soccorso aereo sia come terminale del NIVS (Nato Integrated Communications System).
La base Imaz, nome in codice di Martina Franca, è uno de centri nevralgici delle rete di comando e controllo della NATO. E' inserita in una maglia di comunicazione che già alora operava attraverso l'integrazione della rete satellitare col troposcatter: un sistema utilizzato per coprire le lunghe distanze mediante la riflessione di onde radio nella troposfera. In atlri termini, le antenne di questo dispositivo militare ascoltano, commutano e rilanciano tutte le informazjoni che transitano per le linee collegate con i comandi NATO in Italia. La base ha anche la funzione di coordinamento della difesa radar nel centro e sud Italia. Il SOC (Sector Operations Center) di Martina Franca ha il controllo operativo sui gruppi radar di Jacotenente (Gargano), Licola (Napoli) e Siracusa che svolgono funzioni di avvistamento e di guidacaccia (Control and reporting Center) nei cieli meridionali.
Oltre ad orecchie finisssime la Puglia vanta un'acutissima vista radar. I suoi potenti e pericolosi (a causa delle radiazioni ionizzanti dal punto di vista sanitario ed ambientale) sensori disseminati fra il centro e il sud sono integrati nel NADGE (Nato Air Defence Ground Environment), l'ombrello radar dela NATO, che assicura una rete dia avvistamento e intercettazione nei cieli europei estesa dalla Norvegia alla Turchia. Nel 1980 l'RCC era comandato dal tenente colonnello Gugliemo Lippolis, che poteva chiedere l'intervento di due sottocentri (RSC) di Ciampino (Roma) e di Elmas (Cagliari), e utilizzare aerei e navi finriti dall'Aeronautica e dalla marina militare.
Una fonte confidenziale che ho condotto a deporre dai magistrati della Procura della Repubblica di Roma, Amelio e Monteleone, all'epoca sottufficiale dell'Aeronautica nel centro radar di Jacotenente mi ha rivelato - fornendo riscontri - che "quella sera c'era la guerra" e che "il Governo USA pagava loro un doppio stipendio in nero per tenere la bocca chiusa e fare cose fuori dal'ordinario". A questa persona in procinto tempo fa di fare rivelazioni scottanti, l'Arma Azzurra ha riservato addirittura un trattamento sanitario obbligatorio, facendolo sparire per un mese senza avertire la famiglia (la moglie aveva sporto denuncia). Inoltre, le forze armate nordamericane, sempre in Puglia aveva a quel tempo una base di intercettazioni del famigerato sistema Echelon, ubicata a San Vito dei Normanni, in provincia di Brindisi.
I rottami del DC 9 Itavia - foto Gianni Lannes
Il giudice Rosario Priore nella sentenza-ordinanza del 31 agosto 1999 ha ricostruito “uno scenario di guerra” per quella sera.
Sono passati 33 anni dalla strage nel cielo di Ustica. Uno di quei due missili che sono ancora in fondo al Tirreno è stato lanciato contro l’aereo civile e l’ha trapassato come un panetto di burro.
Le ultime scoperte dei periti di parte civile hanno confermato definitivamente che il Dc 9 Itavia è stato abbattuto da un missile. La prova è costituita da 31 sferule d’acciaio trovate in un foro vicino all’attacco del flap con la fusoliera dell’aereo. Il flap è il congegno che consente di aumentare la superfice dell’ala durante le manovre di decollo e atterraggio per far fronte alla riduzione di velocità. Nel foro non si era mai guardato. Per la curiosità di un perito si è frugato all’interno e in una delle cellette rettangolari che costruiscono la travatura del flap sono spuntate le 31 sferule del diametro di tre millimetri. La loro presenza può essere spiegata con l’esplosione vicino alla parte anteriore dell’aereo della testata a frammentazione di un missile. Il getto violentissimo di un anello di sferule d’acciaio è il caratteristico effetto di una testata a frammentazione che esplode a distanza ravvicinata. Dall’esame di due fori sulla fusoliera e di alcune deformazioni dell’arredo interno del Dc9 alcuni periti hanno anche tratto la convinzione che dopo l’esplosione della testata di un missile del tipo descritto, il tratto contenente il motore abbia attraversato da parte a parte l’aereo. Il mancato recupero dal fondo del Tirreno dello Shafrir e del Matra ha impedito di fare una verifica probabilmente essenziale per scrivere l’ultimo capitolo del mistero di Ustica.
Sull’aereo viaggiavano settantasette passeggeri e quattro membri d’equipaggio. Tra i passeggeri c’erano undici bambini, dai due ai dodici anni, e due neonati.
Pubblicato da Gianni Lannes
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