di: Jerome Roos
Non ci devono essere dubbi: viviamo nell’ epoca dell’ Impero Finanziario. A differenza delle conquiste militari che hanno guidato le espansioni territoriali degli imperi del passato, il moderno Impero Finanziario non consiste nell’esercizio visibile dell’ideologia del Grande Bastone (anche se, indubbiamente, l’imperialismo militare continua anche oggi), ma piuttosto assume la forma di una mano invisibile . Mentre alla fine del 19° e all’ inzio del 20° secolo la logica del dominio è stata guidata dal potere strumentale degli stati imperiali, l’Impero del 21 ° secolo non ha più bisogno di alcun bastone per sottomettere gli stati sovrani: attraverso i meccanismi globali di applicazione della disciplina di mercato e dalle condizioni del FMI, il potere strutturale del capitale finanziario ora garantisce che tutti si inchineranno davanti ai mercati monetari.
http://coriintempesta.altervista.org/blog/limpero-finanziario-e-il-carcere-globale-dei-debitori/
E' ufficiale: La politica economica globale è finita nelle mani di pazzi scatenati
di Detlev Schlichter
La lezione del 2007-2008 doveva essere chiara: rafforzare il PIL con l'espansione monetaria – come ha fatto più volte la FED di Greenspan tra il 1987 ed il 2005, e più pericolosamente tra il 2001 ed il 2005 quando per accorciare una lieve recessione ha gonfiato un'enorme bolla immobiliare – può solo portare a boom di breve termine seguiti da bust gravi. Una politica di credito artificialmente a buon mercato non può non provocare sottovalutazione del rischio, cattiva allocazione del capitale ed una struttura finanziaria fortemente squilibrata, tutto questo poi porterà il falso boom ad un brusco arresto. I "bei tempi" dell'espansione monetaria, in gran parte caratterizzati da profitti eccezionali per il settore finanziario e dalla falsa prosperità degli asset finanziari e immobiliari (in gran parte goduti "dall'1%"), devono necessariamente finire con un mal di testa.
La crisi iniziata nel 2007 è stata quindi una grande opportunità: un'occasione per consentire al mercato di liquidare le dislocazioni accumulate e di portare l'economia in equilibrio; un'occasione per riflettere sull'instabilità intrinseca generata dall'attivismo della banca centrale e dalla manipolazione dei tassi di interesse; un'occasione per tagliare un settore finanziario gonfiato dall'influsso di denaro a basso costo; ed un'occasione per tornare al denaro sonante e, beh, al capitalismo. La leggerezza con cui si parla di "crisi del capitalismo" è sconcertante (una sciocchezza veicolata dal presupposto che tutto ciò che viene sostenuto dai banchieri deve essere rappresentativo dell'ideologia del libero mercato), il moderno sistema di "finanziamento delle bolle," del denaro fiat a basso costo e del debito eccessivo ha ben poco a che fare con il vero capitalismo di libero mercato.
Tale opportunità non è stata presa ed ora è persa – magari fino alla prossima crisi, per la quale non ci vorrà molto tempo. In questi ultimi anni è diventato chiaro – ed ancora di più negli ultimi mesi e settimane – che ci stiamo muovendo con una certa velocità nella direzione opposta: sempre più denaro, sempre più credito a basso costo e sempre più mercati manipolati (vi è una notevole eccezione di cui parlerò dopo). I responsabili politici non hanno imparato niente. Gli stessi errori vengono ripetuti e le conseguenze faranno sembrare il 2007/8 un pic-nic.
Da "salvare il mondo" a gonfiare nuove bolle
Non sono mai stato molto ottimista sul fatto che sarebbe stata imboccata la via del ritorno al libero mercato e alla moneta sonante. Nel 2009 ho lasciato il mio lavoro nel mondo della finanza e ho cominciato a scrivere Paper Money Collapse, le autorità avevano già deciso che per affrontare le conseguenze delle bolle finanziate avevano bisogno di più denaro gratis. Il "quantitative easing," gli enormi salvataggi bancari, la spesa a deficit ed i tassi ultra-bassi erano diventati la strategia politica a livello globale. Ma almeno è stata tenuta in piedi per un po' la pretesa che queste erano misure temporanee – brutte e prive di scrupoli, ma necessarie per salvare "il sistema" date le terribili condizioni del 2008. Il primo round di monetizzazione del debito dopo il crollo di Lehman – lo scambio di $1 bilione di titoli garantiti da ipoteca dai bilanci delle banche con riserve bancarie stampate da Bernanke grazie al "quantitative easing 1.0" (QE1) – è stato presentato come misura di emergenza per evitare crolli bancari ed una crisi sistemica.
Non ho mai pensato che questa fosse una logica convincente poiché mi era chiaro che qualunque fossero le dislocazioni accumulate, non vi era alcuna alternativa alla loro liquidazione da parte del mercato. Interrompere, ritardare e sabotare questo processo essenziale di pulizia e ribilanciamento economico avrebbe solo causato nuovi problemi. Anche supponendo che queste erano misure da affrontare con "eventi estremi," non potevo sostenerle né allora né adesso. Ma sta diventando chiaro che queste misure non sono né temporanee né limitate ad evitare corse agli sportelli bancari o il caos sistemico; ora, dopo che la popolazione è diventata abbastanza abituata a tali misure e dopo che il settore finanziario dipendente dal denaro a basso costo ha cominciato ad inserirle nei suoi modelli di business, costituiscono la "nuova normalità" e sono accettate come strumenti "moderni" dei banchieri centrali. I tassi di interesse a zero, i bilioni di dollari in operazioni di mercato aperto per manipolare i prezzi degli asset e per "gestire" la curva dei rendimenti sono ormai solo un altro elemento di ordinarietà nella moderna economia a denaro fiat. Nessuno parla di contenere l'attivismo della banca centrale. Sta crescendo piuttosto la tentazione di utilizzare questi strumenti per avviare un altro boom artificiale.
Nel suo eccellente libro The Great Deformation – The Corruption of Capitalism in America, David Stockman fornisce un resoconto affascinante di come i principi della moneta sonante, i bilanci in pareggio ed una sfera d'azione dei governi più ristretta siano stati progressivamente indeboliti, traditi, danneggiati e alla fine completamente abbandonati nella politica americana (spesso da politici Repubblicani e anche da alcuni dei presunti "eroi del libero mercato" del folklore Repubblicano), e di come il cocktail odierno di bolle finanziarie e deficit da bilioni di dollari rappresentino l'inevitabile sbocciatura di semi distruttivi che sono stati seminati con il New Deal di Roosevelt e con il default di Nixon per il gold exchange standard di Bretton Woods. In un capitolo sulla recente crisi, Stockman sostiene in modo convincente che il vergognoso piano di salvataggio di Wall Street nel 2008, (in particolare di Goldman Sachs, Morgan Stanley e poche altre entità altamente indebitate attraverso il salvataggio del gigante delle "assicurazioni" AIG) è stato venduto al Congresso e alla popolazione con pretese esagerate secondo cui l'economia della nazione era a rischio imminente di crollo. Dalla mia posizione di economista ed operatore di mercato all'epoca di questi eventi, l'analisi e l'interpretazione di Stockman mi apparvero del tutto coerenti e corrette. Ma anche se fossimo stati disposti a dare più credito alle affermazioni degli interventisti, secondo cui la ricaduta per Main Street sarebbe stata notevole, ciò avrebbe solo sottolineato quanto avevano destabilizzato l'economia le precedenti politiche allentate della FED, e sarebbe rimasta ancora aperta la questione se potesse essere un obiettivo ragionevole sostenere queste dislocazioni su larga scala contro le forze di mercato.
Sia come sia, le dislocazioni sono state in gran parte sostenute e se ne sono aggiunte un sacco di nuove. Parlare di "exit strategy" – cioè, di una "normalizzazione" dei tassi di interesse e la contrazione dei bilanci delle banche centrali – ha ormai perso praticamente il senso. I tassi di interesse super-bassi sono ora un tonico permanente per il settore finanziario. Infatti, negli ultimi 15 mesi la natura del dibattito si è spostata sensibilmente poiché sta progressivamente guadagnando adepti questa nuova idea: il nuovo set di strumenti iper-interventista dei banchieri centrali (utilizzato con il pretesto di evitare l'Armageddon finanziario nel 2008) dovrebbe essere utilizzato in modo proattivo per innescare un nuovo boom indotto dall'espansione monetaria, dovrebbero essere impiegate la stampa di denaro e la monetizzazione del debito per generare un nuovo ciclo di crescita. Molti economisti stanno di fatto chiedendo una nuova bolla.
In America, il QE2 era già rivolto ad incrementare i prezzi del debito pubblico e a ridurre i tassi di interesse incoraggiando ulteriori prestiti – il che significa naturalmente più debito, l'opposto di un deleveraging e di un riequilibrio. E il QE3 – che è un esercizio di fissaggio illimitato dei prezzi con l'acquisto mensile di $85 miliardi di titoli ipotecari ed obbligazionari – ha ufficialmente il compito di abbassare il tasso di disoccupazione... i funzionari della FED pensano seriamente che possono creare posti di lavoro (redditizi e duraturi?) manipolando i prezzi degli asset.
La rinascita dei folli monetari
L'aumento della ricchezza reale è sempre ed ovunque il risultato dell'accumulo di capitale produttivo, il che significa risorse reali risparmiate attraverso il non-consumo del reddito reale ed il suo impiego da parte degli imprenditori in mercati competitivi sotto la guida di prezzi non manomessi. Tale processo richiede denaro apolitico, sonante ed internazionale. La svalutazione monetaria ostacola sempre la creazione di ricchezza reale; non la aiuta. La politica monetaria allentata porta a boom e bust, mai ad una prosperità duratura. La politica monetaria allentata non è un gioco a somma positiva e nemmeno un gioco a somma zero. Si tratta sempre e comunque di un gioco a somma negativa.
Sostenere, invece, che le prestazioni dell'economia e la ricchezza della società siano arricchite dal pompaggio di maggior denaro fiat attraverso il sistema finanziario richiede un notevole grado di analfabetismo economico e, sulla scia della recente crisi, un'amnesia selettiva. Non troppo tempo fa, tali affermazioni riguardo ai benefici dell'inflazione e alla stampa di denaro avrebbero chiaramente etichettato i relativi propositori come pazzi. Ma questi ultimi stanno ora guidando la politica monetaria in tutto il mondo, ed i commentatori internazionali sono sia volontariamente complici nel diffondere le sciocchezze economiche sia intellettualmente combattuti quando bisogna esporre l'ingenuità e la sregolatezza di queste politiche.
Il rinnovato predominio della follia monetaria viene accentuato dall'attuale e triste spettacolo in Giappone, un paese che è diventato una potenza economica dopo la Seconda Guerra Mondiale grazie alle antiche virtù capitaliste del duro lavoro, degli alti tassi di risparmio, del forte accumulo di capitale e dell'imprenditorialità innovativa ed orientata all'estero, ma ora prende lezioni dalla politica dell'Argentina e si imbarca in una missione di stampa aggressiva di denaro, di svalutazione della moneta, di manipolazione dei prezzi degli asset e di inflazionismo. I risparmiatori giapponesi stanno già perdendo potere d'acquisto poiché lo yen continua a precipitare nei mercati internazionali.
L'idea che la svalutazione monetaria si tradurrà in crescita duratura e sostenibile è decisamente ridicola. Non ho dubbi che la nuova iniziativa del Giappone di monetizzazione aggressiva abbia il potenziale di migliorare i numeri di una serie di rapporti di guadagni aziendali e persino di dare una spinta a breve termine al PIL. Come la maggior parte delle droghe, la politica monetaria allentata tenta i suoi utilizzatori con la promessa di un'euforia immediata ma di breve durata. Ma qualunque sia lo "stimolo" generato nel breve periodo, è acquistato al prezzo di altri squilibri (sicuramente un indebitamento più elevato) che peserà gravemente sulla popolazione giapponese in futuro. Ancora più preoccupante è che il gigantesco bacino del debito pubblico del Giappone – posseduto in gran parte da una popolazione in invecchiamento come "gruzzolo per la pensione" e dalle banche nazionali nei loro bilanci altamente indebitati – è una vera e propria polveriera, e la nuova strategia inflattiva della Banca del Giappone equivale a giocare col fuoco.
Il mito della deflazione
E' diventato un luogo comune giustificare la "sperimentazione" monetaria del Giappone come risposta alla lunga sofferenza del paese per una deflazione apparentemente "paralizzante." Anche i giornali finanziari e le riviste ripetono pigramente questo ritornello. Si tratta solamente di sciocchezze. Qualunque siano i problemi del Giappone, e sono sicuro che sono numerosi e di considerevoli dimensioni, la deflazione non è uno di essi.
In primo luogo non vi è alcuna logica economica nel presumere che una deflazione moderata e costante (deflazione secolare), che gli analisti affibiano al Giappone e che è il risultato di una moneta stabile e di miglioramenti marginali nella produttività, potrebbe costituire un problema per la performance dell'economia. Tale deflazione è innocua (e addirittura preferibile all'inflazione moderata), e lo spiego in dettaglio nel capitolo 5 di Paper Money Collapse. Non faccio alcuna ostentazione di originalità qui, poiché questa intuizione è stata ampiamente accettata dai più seri economisti mainstream fino al primo terzo del XX secolo, quando divenne tristemente "dimenticata" piuttosto che smentita. Ma se non volete prendermi sulla parola o volete andare a guardare nel mio libro, o se volete avere "prove empiriche," allora potreste ascoltare Milton Friedman (difficilmente un sostenitore del gold standard) che (insieme ad Anna Schwartz) ha analizzato l'economia del tardo XIX secolo negli Stati Uniti, la quale sperimentava una crescita forte ed una deflazione maggiore (in particolare dopo che finì l'era del denaro fiat dopo la Guerra Civile) rispetto al Giappone degli ultimi 20 e rotti anni, e che ha concluso che i dati degli Stati Uniti "gettano seri dubbi sulla validità dell'opinione diffusa dell'epoca (1963) secondo cui la deflazione nei prezzi secolare e la rapida crescita economica siano incompatibili."
In secondo luogo, non c'è deflazione in Giappone. I dati (che sono qui) non supportano tale ipotesi. Sono sicuro che gli economisti della Banca del Giappone impiegano enormi lenti di ingrandimento per rilevare la deflazione nella loro serie di dati. Quello che ha il Giappone è, secondo qualsiasi standard razionale, una stabilità dei prezzi.
Lo scorso Febbraio l'indice dei prezzi al consumo (CPI) era pari a 99.3. Dieci anni prima, a Febbraio del 2003, era pari a 100.3, e dieci anni prima ancora, a Febbraio del 1993, a 99.6. Oltre al fatto che, come per ogni dato nell'indice dei prezzi, la metodologia, l'accuratezza e la pertinenza di queste statistiche è sempre molto discutibile, è chiaro che se prendiamo i dati al valore nominale vediamo un'economia che ha grosso modo goduto di prezzi stabili per due decenni. Infatti, i prezzi sono aumentati marginalmente alla fine degli anni '90, sono rimasti stabili per alcuni anni, e di recente sono scesi marginalmente.
Lo scorso Febbraio il tasso di inflazione era pari a -0.6% anno su anno. Uno dei qualsiasi commentatori che si lamenta della "deflazione paralizzante" del Giappone affermerebbe che un tasso di inflazione del +0.6% anno su anno costituirebbe un'inflazione preoccupante, o meriterebbe addirittura l'etichetta di "inflazione"? Non sarebbe semplicemente definito un errore di arrotondamento? – In confronto, l'inflazione ufficiale del Regno Unito era pari a +2.8% anno su anno lo scorso Febbraio e ha oscillato tra il l'1.1% ed il 5% negli ultimi 4 anni. Quale sistema monetario è più favorevole al calcolo economico razionale ed alla pianificazione? – Quello del Giappone o della Gran Bretagna (vale la pena notare che in quei 4 anni l'economia britannica NON è stata migliore di quella del Giappone, nonostante la sua "meravigliosa" inflazione.)
Quei commentatori che ci dicono che questa "deflazione paralizzante" sta danneggiando l'economia perché la gente rinvia le decisioni di spesa in previsione di prezzi più bassi, vogliono farci credere che il signor e la signora Watanabe quest'anno non compreranno un nuovo tostapane a ¥3,930 perché – ad un tasso annuo di deflazione dello 0.6 – possono ragionevolmente supporre che costerà solo ¥3,906 l'anno successivo. E non lo compreranno nemmeno l'anno successico a ¥3,906 perché l'anno dopo ancora costerà solo ¥3,883. I Watanabe sarebbero così in grado di risparmiare ¥47 in due anni non mangiando pane tostato (e va da sé che possono risparmiare notevolmente di più se non mangeranno affatto pane tostato!) Rinviare per due anni l'acquisto di un elemento di consumo standard si tramuterebbe in un risparmio di – sentite questa! – $0.47 o £0.31 (secondo i tassi di cambio attuali) – 730 mattine senza pane tostato! L'idea che questa deflazione "paralizzante" stia ostacolando la crescita giapponese è semplicemente ridicola, ma in questi giorni difficilmente si può aprire un giornale senza vedere queste sciocchezze presentate come analisi economiche. (Vorrei ricordare che questi esperti di psicologia dei consumatori chiamano il personale di Apple, Samsung e altri fornitori di tablet, smartphone e vari oggetti tecnologici di consumo e dicono loro che stanno ignorando un trucco: è l'aumento dei prezzi che convince la gente ad acquistare, non il calo dei prezzi!)
Finanziamento dello stato
L'argomento deflazione è così fragile da poter supporre che sia solo un comodo capro espiatorio per un programma diverso: protezione del finanziamento dello stato attraverso la stampante. Sotto il nuovo piano di svalutazione monetaria del Giappone, la Banca del Giappone comprerà praticamente l'intera emissione annua di nuovo debito pubblico e quindi finanzierà la spesa eccessiva del settore pubblico tramite la stampante. Il Giappone è notoriamente lo stato più altamente indebitato del mondo con il suo 230% del PIL e ha un deficit di bilancio annuale di circa il 10% del PIL. Anche i membri più in difficoltà dell'UME godono di migliori statistiche di finanziamento.
L'argomento spesso sentito recita che tale dissolutezza non è stata punita dai mercati per anni e decenni, quindi perché il giorno della resa dei conti dovrebbe essere più vicino ora non è convincente. Per anni, la popolazione giapponese ha di fatto risparmiato e ha consegnato fedelmente i suoi risparmi allo stato, che li ha immediatamente sprecati per progetti di "stimolo" Keynesiani che non produrranno mai un rendimento significativo (ponti e strade verso il nulla, piscine pubbliche, sovvenzioni agricole). Per lungo tempo è stata la notevole frugalità privata che ha finanziato l'eccesso pubblico. Ora però il tasso di risparmio è crollato al 2% e vista la contrazione della forza lavoro e l'invecchiamento della popolazione è improbabile che possa riprendersi. I risparmi privati non sono più sufficienti a finanziare l'imprudenza dello stato, così ora spetta alla Banca del Giappone sovvenzionare lo stato e conservare un miraggio di solvibilità. Le implicazioni inflazionistiche nell'enorme finanziamento degli sprechi pubblici attraverso la stampante piuttosto che attraverso il risparmio volontario saranno, ovviamente, notevoli.
Il rischio qui non è che la politica della svalutazione monetaria fallirà nell'aumentare l'inflazione e le aspettative sull'inflazione. L'esito molto più rischioso e più probabile è che questa politica sarà in definitiva un "successo." La popolazione giapponese invecchiante siede su un mucchio enorme di debito pubblico che non è sostenuto da capitale produttivo, ma che viene ancora considerato come "asset pensionistico." Svilire il potere d'acquisto dei flussi di reddito fissi a cui si abbeverano i pensionati giapponesi, finirà per smorzare il consumo interno – la vera componente del PIL che gli inflazionisti pretendono di aumentare con il loro svilimento monetario. Se l'inflazione sale solo dal -0.6% al +1%, l'intera curva dei rendimenti giapponesi finirà "sommersa." Solo le obbligazioni con scadenze molto lunghe forniranno ancora un rendimento reale positivo. Questo danneggerà anche le banche che sono enormi proprietari di debito pubblico. E, naturalmente, una significativa ondata di vendite sul mercato obbligazionario spazzerebbe rapidamente il capitale della banca.
Potremmo non vedere molto presto una tale vendita. All'attuale tasso di inflazione del Regno Unito (+2.8%), anche la maggior parte dei titoli di stato del Regno Unito sono negoziati a rendimenti reali negativi. Infatti, in questi ultimi mesi molti investitori obbligazionari di tutto il mondo hanno mostrato una notevole disponibilità a detenere obbligazioni a rendimenti reali negativi. Sembra come se molti di questi titoli siano diventati, agli occhi dei loro possessori, "liquidi" (ossia, strumenti che sono detenuti per motivi di sicurezza e di liquidità, non per motivi di rendimento). Per quanto le banche centrali possano sfruttare questo fenomeno è incerto, ma così come non possono trasformare l'acqua in vino, non possono trasformare un qualunque asset in denaro (fiat) semplicemente "monetizzandolo." L'unico limite a questa operazione è la volontà della popolazione di possedere questi nuovi asset "monetizzati," e francamente dubito che ci sia una domanda di moneta in Giappone nel range del 230% del PIL. – Lo scopriremo.
La follia monetaria si diffonderà
"L'Abenomics" non risolverà i problemi del Giappone; li peggiorerà e ha il potenziale per innescare una crisi finanziaria possente. Eppure, ciò che è inevitabile potrebbe non essere imminente. Durante i primi tempi della luna di miele tra "l'Abenomics" e la realtà finanziaria, l'idea di stampare denaro per creare prosperità potrà avere imitatori, con il Regno Unito che potrebbe essere un ottimo candidato. In termini di indebitamento totale, il Regno Unito è l'unico paese industrializzato che può competere con il Giappone, il che significa che è nella stessa barca (del debito) con il Giappone. Anche i timidi tentativi del Cancelliere Osborne di abbassare la velocità a cui il governo di Sua Maestà si indebita ulteriormente vengono attaccati dall'opposizione e da gran parte dei media come "austerità" selvaggia. Nell'ultima presentazione del budget ha posizionato le restanti chip su un'altra bolla immobiliare e ha dato alla Banca d'Inghilterra più spazio per ignorare l'inflazione. A Thredneedle Street il Vice Governatore della Banca d'Inghilterra, Paul Tucker, ha apertamente fantasticato su tassi di interesse negativi, il governatore uscente Mervyn King ha votato per più QE (annullato), e il neo-Governatore Mark Carney promette di essere, beh, – flessibile. Morale della favola: la disperazione si sta diffondendo. State all'erta! E' probabile che la Vecchia Signora sia la prossima a mollare qualsiasi residuo di cautela e di sanità mentale monetaria.
Finirà male.
PS: Quanto alle "eccezioni," l'unico posto dove la follia monetaria non è all'ordine del giorno è – la Zona Euro! – Sì, sono serio. – Lo so, lo so. Si tratta di un amalgama di stati semi- socialisti e in semi-bancarotta che condividono la stessa valuta politicizzata ed emessa da una banca centrale che ha già salvato troppe banche, ha manipolato diversi mercati dei titoli di stato e il cui bilancio come percentuale del PIL è più grande di quello della FED. Tuttavia: in un mare globale di follia monetaria ci sono almeno un paio di segni rimanenti di sanità mentale e di disciplina monetaria nella tanto derisa UME. Alla Grecia è stato permesso di andare in default per parte del suo debito, il che significava che gli obbligazionisti hanno dovuto ingoiare le perdite. La più grande banca di Cipro è stata liquidata, il che significa che i depositanti stanno per ingoiare le perdite. C'è una spinta persistente verso "l'austerità." Sul fronte fiscale, la Zona Euro supera facilmente gli Stati Uniti, il Regno Unito e, naturalmente, il Giappone. Mentre la FED ha aumentato il suo bilancio di quasi $300 miliardi nei primi tre mesi del 2013, la BCE ha ridotto il proprio di quasi €400 miliardi nello stesso periodo di tempo. La mia regola è questa: il professor Krugman ha la bava alla bocca e più diviene apoplettico il commento di strateghi, analisti ed economisti nel settore finanziario dipendente dai salvataggi, più sembra che la Merkel & Co stiano azzeccando un paio di mosse.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli
Fonte: http://johnnycloaca.blogspot.com/2013/05/e-ufficiale-la-politica-economica.html#ixzz2St0KYH6x
Non ci devono essere dubbi: viviamo nell’ epoca dell’ Impero Finanziario. A differenza delle conquiste militari che hanno guidato le espansioni territoriali degli imperi del passato, il moderno Impero Finanziario non consiste nell’esercizio visibile dell’ideologia del Grande Bastone (anche se, indubbiamente, l’imperialismo militare continua anche oggi), ma piuttosto assume la forma di una mano invisibile . Mentre alla fine del 19° e all’ inzio del 20° secolo la logica del dominio è stata guidata dal potere strumentale degli stati imperiali, l’Impero del 21 ° secolo non ha più bisogno di alcun bastone per sottomettere gli stati sovrani: attraverso i meccanismi globali di applicazione della disciplina di mercato e dalle condizioni del FMI, il potere strutturale del capitale finanziario ora garantisce che tutti si inchineranno davanti ai mercati monetari.
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http://coriintempesta.altervista.org/blog/limpero-finanziario-e-il-carcere-globale-dei-debitori/
E' ufficiale: La politica economica globale è finita nelle mani di pazzi scatenati
di Detlev Schlichter
La lezione del 2007-2008 doveva essere chiara: rafforzare il PIL con l'espansione monetaria – come ha fatto più volte la FED di Greenspan tra il 1987 ed il 2005, e più pericolosamente tra il 2001 ed il 2005 quando per accorciare una lieve recessione ha gonfiato un'enorme bolla immobiliare – può solo portare a boom di breve termine seguiti da bust gravi. Una politica di credito artificialmente a buon mercato non può non provocare sottovalutazione del rischio, cattiva allocazione del capitale ed una struttura finanziaria fortemente squilibrata, tutto questo poi porterà il falso boom ad un brusco arresto. I "bei tempi" dell'espansione monetaria, in gran parte caratterizzati da profitti eccezionali per il settore finanziario e dalla falsa prosperità degli asset finanziari e immobiliari (in gran parte goduti "dall'1%"), devono necessariamente finire con un mal di testa.
La crisi iniziata nel 2007 è stata quindi una grande opportunità: un'occasione per consentire al mercato di liquidare le dislocazioni accumulate e di portare l'economia in equilibrio; un'occasione per riflettere sull'instabilità intrinseca generata dall'attivismo della banca centrale e dalla manipolazione dei tassi di interesse; un'occasione per tagliare un settore finanziario gonfiato dall'influsso di denaro a basso costo; ed un'occasione per tornare al denaro sonante e, beh, al capitalismo. La leggerezza con cui si parla di "crisi del capitalismo" è sconcertante (una sciocchezza veicolata dal presupposto che tutto ciò che viene sostenuto dai banchieri deve essere rappresentativo dell'ideologia del libero mercato), il moderno sistema di "finanziamento delle bolle," del denaro fiat a basso costo e del debito eccessivo ha ben poco a che fare con il vero capitalismo di libero mercato.
Tale opportunità non è stata presa ed ora è persa – magari fino alla prossima crisi, per la quale non ci vorrà molto tempo. In questi ultimi anni è diventato chiaro – ed ancora di più negli ultimi mesi e settimane – che ci stiamo muovendo con una certa velocità nella direzione opposta: sempre più denaro, sempre più credito a basso costo e sempre più mercati manipolati (vi è una notevole eccezione di cui parlerò dopo). I responsabili politici non hanno imparato niente. Gli stessi errori vengono ripetuti e le conseguenze faranno sembrare il 2007/8 un pic-nic.
Da "salvare il mondo" a gonfiare nuove bolle
Non sono mai stato molto ottimista sul fatto che sarebbe stata imboccata la via del ritorno al libero mercato e alla moneta sonante. Nel 2009 ho lasciato il mio lavoro nel mondo della finanza e ho cominciato a scrivere Paper Money Collapse, le autorità avevano già deciso che per affrontare le conseguenze delle bolle finanziate avevano bisogno di più denaro gratis. Il "quantitative easing," gli enormi salvataggi bancari, la spesa a deficit ed i tassi ultra-bassi erano diventati la strategia politica a livello globale. Ma almeno è stata tenuta in piedi per un po' la pretesa che queste erano misure temporanee – brutte e prive di scrupoli, ma necessarie per salvare "il sistema" date le terribili condizioni del 2008. Il primo round di monetizzazione del debito dopo il crollo di Lehman – lo scambio di $1 bilione di titoli garantiti da ipoteca dai bilanci delle banche con riserve bancarie stampate da Bernanke grazie al "quantitative easing 1.0" (QE1) – è stato presentato come misura di emergenza per evitare crolli bancari ed una crisi sistemica.
Non ho mai pensato che questa fosse una logica convincente poiché mi era chiaro che qualunque fossero le dislocazioni accumulate, non vi era alcuna alternativa alla loro liquidazione da parte del mercato. Interrompere, ritardare e sabotare questo processo essenziale di pulizia e ribilanciamento economico avrebbe solo causato nuovi problemi. Anche supponendo che queste erano misure da affrontare con "eventi estremi," non potevo sostenerle né allora né adesso. Ma sta diventando chiaro che queste misure non sono né temporanee né limitate ad evitare corse agli sportelli bancari o il caos sistemico; ora, dopo che la popolazione è diventata abbastanza abituata a tali misure e dopo che il settore finanziario dipendente dal denaro a basso costo ha cominciato ad inserirle nei suoi modelli di business, costituiscono la "nuova normalità" e sono accettate come strumenti "moderni" dei banchieri centrali. I tassi di interesse a zero, i bilioni di dollari in operazioni di mercato aperto per manipolare i prezzi degli asset e per "gestire" la curva dei rendimenti sono ormai solo un altro elemento di ordinarietà nella moderna economia a denaro fiat. Nessuno parla di contenere l'attivismo della banca centrale. Sta crescendo piuttosto la tentazione di utilizzare questi strumenti per avviare un altro boom artificiale.
Nel suo eccellente libro The Great Deformation – The Corruption of Capitalism in America, David Stockman fornisce un resoconto affascinante di come i principi della moneta sonante, i bilanci in pareggio ed una sfera d'azione dei governi più ristretta siano stati progressivamente indeboliti, traditi, danneggiati e alla fine completamente abbandonati nella politica americana (spesso da politici Repubblicani e anche da alcuni dei presunti "eroi del libero mercato" del folklore Repubblicano), e di come il cocktail odierno di bolle finanziarie e deficit da bilioni di dollari rappresentino l'inevitabile sbocciatura di semi distruttivi che sono stati seminati con il New Deal di Roosevelt e con il default di Nixon per il gold exchange standard di Bretton Woods. In un capitolo sulla recente crisi, Stockman sostiene in modo convincente che il vergognoso piano di salvataggio di Wall Street nel 2008, (in particolare di Goldman Sachs, Morgan Stanley e poche altre entità altamente indebitate attraverso il salvataggio del gigante delle "assicurazioni" AIG) è stato venduto al Congresso e alla popolazione con pretese esagerate secondo cui l'economia della nazione era a rischio imminente di crollo. Dalla mia posizione di economista ed operatore di mercato all'epoca di questi eventi, l'analisi e l'interpretazione di Stockman mi apparvero del tutto coerenti e corrette. Ma anche se fossimo stati disposti a dare più credito alle affermazioni degli interventisti, secondo cui la ricaduta per Main Street sarebbe stata notevole, ciò avrebbe solo sottolineato quanto avevano destabilizzato l'economia le precedenti politiche allentate della FED, e sarebbe rimasta ancora aperta la questione se potesse essere un obiettivo ragionevole sostenere queste dislocazioni su larga scala contro le forze di mercato.
Sia come sia, le dislocazioni sono state in gran parte sostenute e se ne sono aggiunte un sacco di nuove. Parlare di "exit strategy" – cioè, di una "normalizzazione" dei tassi di interesse e la contrazione dei bilanci delle banche centrali – ha ormai perso praticamente il senso. I tassi di interesse super-bassi sono ora un tonico permanente per il settore finanziario. Infatti, negli ultimi 15 mesi la natura del dibattito si è spostata sensibilmente poiché sta progressivamente guadagnando adepti questa nuova idea: il nuovo set di strumenti iper-interventista dei banchieri centrali (utilizzato con il pretesto di evitare l'Armageddon finanziario nel 2008) dovrebbe essere utilizzato in modo proattivo per innescare un nuovo boom indotto dall'espansione monetaria, dovrebbero essere impiegate la stampa di denaro e la monetizzazione del debito per generare un nuovo ciclo di crescita. Molti economisti stanno di fatto chiedendo una nuova bolla.
In America, il QE2 era già rivolto ad incrementare i prezzi del debito pubblico e a ridurre i tassi di interesse incoraggiando ulteriori prestiti – il che significa naturalmente più debito, l'opposto di un deleveraging e di un riequilibrio. E il QE3 – che è un esercizio di fissaggio illimitato dei prezzi con l'acquisto mensile di $85 miliardi di titoli ipotecari ed obbligazionari – ha ufficialmente il compito di abbassare il tasso di disoccupazione... i funzionari della FED pensano seriamente che possono creare posti di lavoro (redditizi e duraturi?) manipolando i prezzi degli asset.
La rinascita dei folli monetari
L'aumento della ricchezza reale è sempre ed ovunque il risultato dell'accumulo di capitale produttivo, il che significa risorse reali risparmiate attraverso il non-consumo del reddito reale ed il suo impiego da parte degli imprenditori in mercati competitivi sotto la guida di prezzi non manomessi. Tale processo richiede denaro apolitico, sonante ed internazionale. La svalutazione monetaria ostacola sempre la creazione di ricchezza reale; non la aiuta. La politica monetaria allentata porta a boom e bust, mai ad una prosperità duratura. La politica monetaria allentata non è un gioco a somma positiva e nemmeno un gioco a somma zero. Si tratta sempre e comunque di un gioco a somma negativa.
Sostenere, invece, che le prestazioni dell'economia e la ricchezza della società siano arricchite dal pompaggio di maggior denaro fiat attraverso il sistema finanziario richiede un notevole grado di analfabetismo economico e, sulla scia della recente crisi, un'amnesia selettiva. Non troppo tempo fa, tali affermazioni riguardo ai benefici dell'inflazione e alla stampa di denaro avrebbero chiaramente etichettato i relativi propositori come pazzi. Ma questi ultimi stanno ora guidando la politica monetaria in tutto il mondo, ed i commentatori internazionali sono sia volontariamente complici nel diffondere le sciocchezze economiche sia intellettualmente combattuti quando bisogna esporre l'ingenuità e la sregolatezza di queste politiche.
Il rinnovato predominio della follia monetaria viene accentuato dall'attuale e triste spettacolo in Giappone, un paese che è diventato una potenza economica dopo la Seconda Guerra Mondiale grazie alle antiche virtù capitaliste del duro lavoro, degli alti tassi di risparmio, del forte accumulo di capitale e dell'imprenditorialità innovativa ed orientata all'estero, ma ora prende lezioni dalla politica dell'Argentina e si imbarca in una missione di stampa aggressiva di denaro, di svalutazione della moneta, di manipolazione dei prezzi degli asset e di inflazionismo. I risparmiatori giapponesi stanno già perdendo potere d'acquisto poiché lo yen continua a precipitare nei mercati internazionali.
L'idea che la svalutazione monetaria si tradurrà in crescita duratura e sostenibile è decisamente ridicola. Non ho dubbi che la nuova iniziativa del Giappone di monetizzazione aggressiva abbia il potenziale di migliorare i numeri di una serie di rapporti di guadagni aziendali e persino di dare una spinta a breve termine al PIL. Come la maggior parte delle droghe, la politica monetaria allentata tenta i suoi utilizzatori con la promessa di un'euforia immediata ma di breve durata. Ma qualunque sia lo "stimolo" generato nel breve periodo, è acquistato al prezzo di altri squilibri (sicuramente un indebitamento più elevato) che peserà gravemente sulla popolazione giapponese in futuro. Ancora più preoccupante è che il gigantesco bacino del debito pubblico del Giappone – posseduto in gran parte da una popolazione in invecchiamento come "gruzzolo per la pensione" e dalle banche nazionali nei loro bilanci altamente indebitati – è una vera e propria polveriera, e la nuova strategia inflattiva della Banca del Giappone equivale a giocare col fuoco.
Il mito della deflazione
E' diventato un luogo comune giustificare la "sperimentazione" monetaria del Giappone come risposta alla lunga sofferenza del paese per una deflazione apparentemente "paralizzante." Anche i giornali finanziari e le riviste ripetono pigramente questo ritornello. Si tratta solamente di sciocchezze. Qualunque siano i problemi del Giappone, e sono sicuro che sono numerosi e di considerevoli dimensioni, la deflazione non è uno di essi.
In primo luogo non vi è alcuna logica economica nel presumere che una deflazione moderata e costante (deflazione secolare), che gli analisti affibiano al Giappone e che è il risultato di una moneta stabile e di miglioramenti marginali nella produttività, potrebbe costituire un problema per la performance dell'economia. Tale deflazione è innocua (e addirittura preferibile all'inflazione moderata), e lo spiego in dettaglio nel capitolo 5 di Paper Money Collapse. Non faccio alcuna ostentazione di originalità qui, poiché questa intuizione è stata ampiamente accettata dai più seri economisti mainstream fino al primo terzo del XX secolo, quando divenne tristemente "dimenticata" piuttosto che smentita. Ma se non volete prendermi sulla parola o volete andare a guardare nel mio libro, o se volete avere "prove empiriche," allora potreste ascoltare Milton Friedman (difficilmente un sostenitore del gold standard) che (insieme ad Anna Schwartz) ha analizzato l'economia del tardo XIX secolo negli Stati Uniti, la quale sperimentava una crescita forte ed una deflazione maggiore (in particolare dopo che finì l'era del denaro fiat dopo la Guerra Civile) rispetto al Giappone degli ultimi 20 e rotti anni, e che ha concluso che i dati degli Stati Uniti "gettano seri dubbi sulla validità dell'opinione diffusa dell'epoca (1963) secondo cui la deflazione nei prezzi secolare e la rapida crescita economica siano incompatibili."
In secondo luogo, non c'è deflazione in Giappone. I dati (che sono qui) non supportano tale ipotesi. Sono sicuro che gli economisti della Banca del Giappone impiegano enormi lenti di ingrandimento per rilevare la deflazione nella loro serie di dati. Quello che ha il Giappone è, secondo qualsiasi standard razionale, una stabilità dei prezzi.
Lo scorso Febbraio l'indice dei prezzi al consumo (CPI) era pari a 99.3. Dieci anni prima, a Febbraio del 2003, era pari a 100.3, e dieci anni prima ancora, a Febbraio del 1993, a 99.6. Oltre al fatto che, come per ogni dato nell'indice dei prezzi, la metodologia, l'accuratezza e la pertinenza di queste statistiche è sempre molto discutibile, è chiaro che se prendiamo i dati al valore nominale vediamo un'economia che ha grosso modo goduto di prezzi stabili per due decenni. Infatti, i prezzi sono aumentati marginalmente alla fine degli anni '90, sono rimasti stabili per alcuni anni, e di recente sono scesi marginalmente.
Lo scorso Febbraio il tasso di inflazione era pari a -0.6% anno su anno. Uno dei qualsiasi commentatori che si lamenta della "deflazione paralizzante" del Giappone affermerebbe che un tasso di inflazione del +0.6% anno su anno costituirebbe un'inflazione preoccupante, o meriterebbe addirittura l'etichetta di "inflazione"? Non sarebbe semplicemente definito un errore di arrotondamento? – In confronto, l'inflazione ufficiale del Regno Unito era pari a +2.8% anno su anno lo scorso Febbraio e ha oscillato tra il l'1.1% ed il 5% negli ultimi 4 anni. Quale sistema monetario è più favorevole al calcolo economico razionale ed alla pianificazione? – Quello del Giappone o della Gran Bretagna (vale la pena notare che in quei 4 anni l'economia britannica NON è stata migliore di quella del Giappone, nonostante la sua "meravigliosa" inflazione.)
Quei commentatori che ci dicono che questa "deflazione paralizzante" sta danneggiando l'economia perché la gente rinvia le decisioni di spesa in previsione di prezzi più bassi, vogliono farci credere che il signor e la signora Watanabe quest'anno non compreranno un nuovo tostapane a ¥3,930 perché – ad un tasso annuo di deflazione dello 0.6 – possono ragionevolmente supporre che costerà solo ¥3,906 l'anno successivo. E non lo compreranno nemmeno l'anno successico a ¥3,906 perché l'anno dopo ancora costerà solo ¥3,883. I Watanabe sarebbero così in grado di risparmiare ¥47 in due anni non mangiando pane tostato (e va da sé che possono risparmiare notevolmente di più se non mangeranno affatto pane tostato!) Rinviare per due anni l'acquisto di un elemento di consumo standard si tramuterebbe in un risparmio di – sentite questa! – $0.47 o £0.31 (secondo i tassi di cambio attuali) – 730 mattine senza pane tostato! L'idea che questa deflazione "paralizzante" stia ostacolando la crescita giapponese è semplicemente ridicola, ma in questi giorni difficilmente si può aprire un giornale senza vedere queste sciocchezze presentate come analisi economiche. (Vorrei ricordare che questi esperti di psicologia dei consumatori chiamano il personale di Apple, Samsung e altri fornitori di tablet, smartphone e vari oggetti tecnologici di consumo e dicono loro che stanno ignorando un trucco: è l'aumento dei prezzi che convince la gente ad acquistare, non il calo dei prezzi!)
Finanziamento dello stato
L'argomento deflazione è così fragile da poter supporre che sia solo un comodo capro espiatorio per un programma diverso: protezione del finanziamento dello stato attraverso la stampante. Sotto il nuovo piano di svalutazione monetaria del Giappone, la Banca del Giappone comprerà praticamente l'intera emissione annua di nuovo debito pubblico e quindi finanzierà la spesa eccessiva del settore pubblico tramite la stampante. Il Giappone è notoriamente lo stato più altamente indebitato del mondo con il suo 230% del PIL e ha un deficit di bilancio annuale di circa il 10% del PIL. Anche i membri più in difficoltà dell'UME godono di migliori statistiche di finanziamento.
L'argomento spesso sentito recita che tale dissolutezza non è stata punita dai mercati per anni e decenni, quindi perché il giorno della resa dei conti dovrebbe essere più vicino ora non è convincente. Per anni, la popolazione giapponese ha di fatto risparmiato e ha consegnato fedelmente i suoi risparmi allo stato, che li ha immediatamente sprecati per progetti di "stimolo" Keynesiani che non produrranno mai un rendimento significativo (ponti e strade verso il nulla, piscine pubbliche, sovvenzioni agricole). Per lungo tempo è stata la notevole frugalità privata che ha finanziato l'eccesso pubblico. Ora però il tasso di risparmio è crollato al 2% e vista la contrazione della forza lavoro e l'invecchiamento della popolazione è improbabile che possa riprendersi. I risparmi privati non sono più sufficienti a finanziare l'imprudenza dello stato, così ora spetta alla Banca del Giappone sovvenzionare lo stato e conservare un miraggio di solvibilità. Le implicazioni inflazionistiche nell'enorme finanziamento degli sprechi pubblici attraverso la stampante piuttosto che attraverso il risparmio volontario saranno, ovviamente, notevoli.
Il rischio qui non è che la politica della svalutazione monetaria fallirà nell'aumentare l'inflazione e le aspettative sull'inflazione. L'esito molto più rischioso e più probabile è che questa politica sarà in definitiva un "successo." La popolazione giapponese invecchiante siede su un mucchio enorme di debito pubblico che non è sostenuto da capitale produttivo, ma che viene ancora considerato come "asset pensionistico." Svilire il potere d'acquisto dei flussi di reddito fissi a cui si abbeverano i pensionati giapponesi, finirà per smorzare il consumo interno – la vera componente del PIL che gli inflazionisti pretendono di aumentare con il loro svilimento monetario. Se l'inflazione sale solo dal -0.6% al +1%, l'intera curva dei rendimenti giapponesi finirà "sommersa." Solo le obbligazioni con scadenze molto lunghe forniranno ancora un rendimento reale positivo. Questo danneggerà anche le banche che sono enormi proprietari di debito pubblico. E, naturalmente, una significativa ondata di vendite sul mercato obbligazionario spazzerebbe rapidamente il capitale della banca.
Potremmo non vedere molto presto una tale vendita. All'attuale tasso di inflazione del Regno Unito (+2.8%), anche la maggior parte dei titoli di stato del Regno Unito sono negoziati a rendimenti reali negativi. Infatti, in questi ultimi mesi molti investitori obbligazionari di tutto il mondo hanno mostrato una notevole disponibilità a detenere obbligazioni a rendimenti reali negativi. Sembra come se molti di questi titoli siano diventati, agli occhi dei loro possessori, "liquidi" (ossia, strumenti che sono detenuti per motivi di sicurezza e di liquidità, non per motivi di rendimento). Per quanto le banche centrali possano sfruttare questo fenomeno è incerto, ma così come non possono trasformare l'acqua in vino, non possono trasformare un qualunque asset in denaro (fiat) semplicemente "monetizzandolo." L'unico limite a questa operazione è la volontà della popolazione di possedere questi nuovi asset "monetizzati," e francamente dubito che ci sia una domanda di moneta in Giappone nel range del 230% del PIL. – Lo scopriremo.
La follia monetaria si diffonderà
"L'Abenomics" non risolverà i problemi del Giappone; li peggiorerà e ha il potenziale per innescare una crisi finanziaria possente. Eppure, ciò che è inevitabile potrebbe non essere imminente. Durante i primi tempi della luna di miele tra "l'Abenomics" e la realtà finanziaria, l'idea di stampare denaro per creare prosperità potrà avere imitatori, con il Regno Unito che potrebbe essere un ottimo candidato. In termini di indebitamento totale, il Regno Unito è l'unico paese industrializzato che può competere con il Giappone, il che significa che è nella stessa barca (del debito) con il Giappone. Anche i timidi tentativi del Cancelliere Osborne di abbassare la velocità a cui il governo di Sua Maestà si indebita ulteriormente vengono attaccati dall'opposizione e da gran parte dei media come "austerità" selvaggia. Nell'ultima presentazione del budget ha posizionato le restanti chip su un'altra bolla immobiliare e ha dato alla Banca d'Inghilterra più spazio per ignorare l'inflazione. A Thredneedle Street il Vice Governatore della Banca d'Inghilterra, Paul Tucker, ha apertamente fantasticato su tassi di interesse negativi, il governatore uscente Mervyn King ha votato per più QE (annullato), e il neo-Governatore Mark Carney promette di essere, beh, – flessibile. Morale della favola: la disperazione si sta diffondendo. State all'erta! E' probabile che la Vecchia Signora sia la prossima a mollare qualsiasi residuo di cautela e di sanità mentale monetaria.
Finirà male.
PS: Quanto alle "eccezioni," l'unico posto dove la follia monetaria non è all'ordine del giorno è – la Zona Euro! – Sì, sono serio. – Lo so, lo so. Si tratta di un amalgama di stati semi- socialisti e in semi-bancarotta che condividono la stessa valuta politicizzata ed emessa da una banca centrale che ha già salvato troppe banche, ha manipolato diversi mercati dei titoli di stato e il cui bilancio come percentuale del PIL è più grande di quello della FED. Tuttavia: in un mare globale di follia monetaria ci sono almeno un paio di segni rimanenti di sanità mentale e di disciplina monetaria nella tanto derisa UME. Alla Grecia è stato permesso di andare in default per parte del suo debito, il che significava che gli obbligazionisti hanno dovuto ingoiare le perdite. La più grande banca di Cipro è stata liquidata, il che significa che i depositanti stanno per ingoiare le perdite. C'è una spinta persistente verso "l'austerità." Sul fronte fiscale, la Zona Euro supera facilmente gli Stati Uniti, il Regno Unito e, naturalmente, il Giappone. Mentre la FED ha aumentato il suo bilancio di quasi $300 miliardi nei primi tre mesi del 2013, la BCE ha ridotto il proprio di quasi €400 miliardi nello stesso periodo di tempo. La mia regola è questa: il professor Krugman ha la bava alla bocca e più diviene apoplettico il commento di strateghi, analisti ed economisti nel settore finanziario dipendente dai salvataggi, più sembra che la Merkel & Co stiano azzeccando un paio di mosse.
[*] traduzione di Francesco Simoncelli
Fonte: http://johnnycloaca.blogspot.com/2013/05/e-ufficiale-la-politica-economica.html#ixzz2St0KYH6x
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