Se c’è qualcosa di poco naturale è il nostro impatto sulla natura. Per quale motivo? Non siamo animali, abituati a prendere la natura come un dato di fatto. Le cose ci piace trasformarle. Il problema semmai sta nel fatto che, quando lo facciamo, non ci chiediamo mai fino a che punto possiamo farlo. E questo non è naturale.
Noi siamo convinti che tutta la natura sia a nostra completa disposizione e non pensiamo mai di dover vivere in maniera conforme a natura, anche se ci diciamo che dovremmo farlo e, a volte, c’illudiamo di farlo davvero nei nostri momenti liberi. Sin da piccoli ci dicono che l’umano è del tutto superiore al naturale, ed è appunto così che diventiamo disumani, nemici non solo della natura, ma anche di noi stessi.
Tuttavia, uno si potrebbe chiedere: perché non sviluppare al massimo le nostre potenzialità quando avvertiamo benissimo di possederle? A una domanda del genere la risposta non può essere data astrattamente, poiché in tal caso sarebbe evidente la sua scontatezza. Sul piano pratico invece dovremmo chiederci: qual è il prezzo che in nome del nostro progresso siamo disposti a pagare? Siamo davvero convinti che il prezzo sia quello giusto? Per noi e per tutti quelli come noi?
In genere siamo poco propensi a considerare che, per qualunque domanda ci poniamo, abbiamo sempre a che fare con uno spazio e un tempo abbastanza determinati. Non possiamo far finta ch’essi siano relativi. Il nostro pianeta ha vissuto un lunghissimo periodo in cui noi non esistevamo, cioè noi siamo venuti al mondo soltanto dopo che le condizioni di abitabilità erano del tutto formate, indipendentemente dalla nostra volontà.
Se fossimo nati quando ancora esisteva la Pangea, sarebbe stato diverso: ci saremmo sentiti più autorizzati a considerare la natura un “nostro prodotto”. In teoria quindi dovremmo avere l’impressione contraria, quella di essere noi un “prodotto della natura”, cioè ospiti in casa sua. Di fatto però ognuno di noi si rende facilmente conto di non poter essere considerato esattamente un “prodotto della natura”. Ovvero, anche supponendo che lo fossimo, dovremmo comunque dire che siamo un prodotto molto particolare, in grado d’incidere in maniera significativa sugli stessi processi naturali.
Insomma, noi dovremmo essere così intelligenti da dire che, pur potendo fare della natura un “nostro prodotto”, ci asteniamo dal farlo, in quanto siamo consapevoli delle conseguenze pericolose connesse a questa pretesa. Invece ci comportiamo come se di queste conseguenze non c’importi proprio nulla.
Una piccola parte dell’umanità, con dei ritmi di crescita incredibilmente spaventosi, ha imposto all’umanità intera delle condizioni d’esistenza che di umano e di naturale non hanno nulla. Per sostenere le esigenze di lusso, comodità, spreco di una piccola parte, si è obbligata l’altra alla fame, alla precarietà, alla miseria. Chi vuol vivere oltre i propri mezzi e le proprie possibilità obbliga tutti gli altri a servirlo come schiavi. Quel che noi padroni chiamiamo “progresso”, per tutti gli altri è solo un insopportabile “regresso” verso la barbarie.
Questo divario così imponente tra alcune aree del pianeta e altre, anche se lo si riducesse, permettendo a quelle in sofferenza di fruire di maggiori comodità e opportunità, non potrebbe mai arrivare a una completa uniformità e omogeneità, cioè a eliminarsi del tutto, proprio perché esso presuppone una differenza sostanziale tra chi può e chi non può. L’attuale progresso delcapitale (perché è di questo che stiamo parlando) sfrutta anzitutto le disuguaglianze in atto e, per sopravvivere, ne produce sempre di nuove: p. es. tra chi possiede beni materiali o conoscenze specialistiche e chi no.
Questo stile di vita planetario porta necessariamente a continui conflitti e rivalità: il fatto stesso che l’umanità abbia già sperimentato due guerre mondiali sta a significare che il nostro stile di vita è stato esportato in tutto il mondo e che non è più possibile risolvere a livello locale i problemi ch’esso è riuscito a creare. Tutto sembra maledettamente interconnesso. Nessuna area geografica è in questo momento in grado di risolvere da sola i propri problemi.
La vita produttiva e riproduttiva è stata completamente sconvolta, tanto che nessuno è più padrone in casa propria. Tutti fanno qualcosa non per se stessi, ma per qualcuno che neppure conoscono e che neppure riescono a vedere come nemico da combattere. “Chi vi ha ridotti così?”, ci stanno chiedendo gli ultimi seguaci di Polifemo, nascosti nelle ultime foreste equatoriali. E noi siamo costretti a rispondere: “Nessuno”.
Se oggi qualcuno arrivasse a dirci che dobbiamo “uscire dal sistema”, potremmo addirittura interpretare la sua richiesta come un invito ad abbandonare il nostro pianeta. Ma se anche questo fosse possibile, il problema è che non possiamo portare lo stesso stile di vita nell’universo. E’ assurdo pensare che quanto non siamo stati capaci di realizzare su questo pianeta, riusciremo a farlo su altri pianeti. Le cose che non funzionano nel piccolo, non funzionano neppure nel grande. Se non siamo capaci di rispettare le regole della nostra sopravvivenza su questo pianeta, non ci verrà naturale farlo in una dimensione extra o ultraterrena.
Dobbiamo necessariamente rieducarci, qui ed ora. Cioè dobbiamo anzitutto capire che le condizioni ambientali del contenitore in cui vogliamo porre i nostri contenuti sono assolutamente prioritarie su tutto. Qualunque sostanza che non rispetti la forma in cui deve esprimersi, va considerata pericolosa, nociva alla salute, ambientale e psico-fisica. Se non si controlla costantemente che questo adeguamento della sostanza alla forma avvenga nel rispetto di condizioni prestabilite, si rischia d’innescare dei meccanismi perversi, che si automatizzano, che si autoalimentano, come una reazione nucleare a catena, sottraendosi a qualunque volontà umana.
Con questo ovviamente non si vuol sostenere che non debba esserci alcun progresso scientifico, ma semplicemente che tale progresso deve rispondere a esigenze determinate dall’ambiente naturale. Oggi il progresso sembra non incontrare ostacoli di sorta, ma ciò avviene perché noi non sappiamo più cosa voglia dire “ambiente naturale”. E la nostra scienza non è certamente in grado di riprodurlo: p. es. anche quando volessimo tornare integralmente all’uso dell’energia solare, lo faremmo con dei materiali così sofisticati che in definitiva risulterebbero del tutto estranei alla natura ed essa non saprebbe come riciclarli.
Siamo arrivati a un punto in cui fermarsi non sembra essere possibile e andare avanti significa soltanto autodistruggersi. Ma è sbagliato pensare che, prima di ricominciare da capo, si debba attendere una nuova catastrofe epocale. Noi dobbiamo assolutamente porre le condizioni per le quali ogni cosa che ci riguarda, ricada direttamente sotto la nostra personale responsabilità.
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Noi siamo convinti che tutta la natura sia a nostra completa disposizione e non pensiamo mai di dover vivere in maniera conforme a natura, anche se ci diciamo che dovremmo farlo e, a volte, c’illudiamo di farlo davvero nei nostri momenti liberi. Sin da piccoli ci dicono che l’umano è del tutto superiore al naturale, ed è appunto così che diventiamo disumani, nemici non solo della natura, ma anche di noi stessi.
Tuttavia, uno si potrebbe chiedere: perché non sviluppare al massimo le nostre potenzialità quando avvertiamo benissimo di possederle? A una domanda del genere la risposta non può essere data astrattamente, poiché in tal caso sarebbe evidente la sua scontatezza. Sul piano pratico invece dovremmo chiederci: qual è il prezzo che in nome del nostro progresso siamo disposti a pagare? Siamo davvero convinti che il prezzo sia quello giusto? Per noi e per tutti quelli come noi?
In genere siamo poco propensi a considerare che, per qualunque domanda ci poniamo, abbiamo sempre a che fare con uno spazio e un tempo abbastanza determinati. Non possiamo far finta ch’essi siano relativi. Il nostro pianeta ha vissuto un lunghissimo periodo in cui noi non esistevamo, cioè noi siamo venuti al mondo soltanto dopo che le condizioni di abitabilità erano del tutto formate, indipendentemente dalla nostra volontà.
Se fossimo nati quando ancora esisteva la Pangea, sarebbe stato diverso: ci saremmo sentiti più autorizzati a considerare la natura un “nostro prodotto”. In teoria quindi dovremmo avere l’impressione contraria, quella di essere noi un “prodotto della natura”, cioè ospiti in casa sua. Di fatto però ognuno di noi si rende facilmente conto di non poter essere considerato esattamente un “prodotto della natura”. Ovvero, anche supponendo che lo fossimo, dovremmo comunque dire che siamo un prodotto molto particolare, in grado d’incidere in maniera significativa sugli stessi processi naturali.
Insomma, noi dovremmo essere così intelligenti da dire che, pur potendo fare della natura un “nostro prodotto”, ci asteniamo dal farlo, in quanto siamo consapevoli delle conseguenze pericolose connesse a questa pretesa. Invece ci comportiamo come se di queste conseguenze non c’importi proprio nulla.
Una piccola parte dell’umanità, con dei ritmi di crescita incredibilmente spaventosi, ha imposto all’umanità intera delle condizioni d’esistenza che di umano e di naturale non hanno nulla. Per sostenere le esigenze di lusso, comodità, spreco di una piccola parte, si è obbligata l’altra alla fame, alla precarietà, alla miseria. Chi vuol vivere oltre i propri mezzi e le proprie possibilità obbliga tutti gli altri a servirlo come schiavi. Quel che noi padroni chiamiamo “progresso”, per tutti gli altri è solo un insopportabile “regresso” verso la barbarie.
Questo divario così imponente tra alcune aree del pianeta e altre, anche se lo si riducesse, permettendo a quelle in sofferenza di fruire di maggiori comodità e opportunità, non potrebbe mai arrivare a una completa uniformità e omogeneità, cioè a eliminarsi del tutto, proprio perché esso presuppone una differenza sostanziale tra chi può e chi non può. L’attuale progresso delcapitale (perché è di questo che stiamo parlando) sfrutta anzitutto le disuguaglianze in atto e, per sopravvivere, ne produce sempre di nuove: p. es. tra chi possiede beni materiali o conoscenze specialistiche e chi no.
Questo stile di vita planetario porta necessariamente a continui conflitti e rivalità: il fatto stesso che l’umanità abbia già sperimentato due guerre mondiali sta a significare che il nostro stile di vita è stato esportato in tutto il mondo e che non è più possibile risolvere a livello locale i problemi ch’esso è riuscito a creare. Tutto sembra maledettamente interconnesso. Nessuna area geografica è in questo momento in grado di risolvere da sola i propri problemi.
La vita produttiva e riproduttiva è stata completamente sconvolta, tanto che nessuno è più padrone in casa propria. Tutti fanno qualcosa non per se stessi, ma per qualcuno che neppure conoscono e che neppure riescono a vedere come nemico da combattere. “Chi vi ha ridotti così?”, ci stanno chiedendo gli ultimi seguaci di Polifemo, nascosti nelle ultime foreste equatoriali. E noi siamo costretti a rispondere: “Nessuno”.
Se oggi qualcuno arrivasse a dirci che dobbiamo “uscire dal sistema”, potremmo addirittura interpretare la sua richiesta come un invito ad abbandonare il nostro pianeta. Ma se anche questo fosse possibile, il problema è che non possiamo portare lo stesso stile di vita nell’universo. E’ assurdo pensare che quanto non siamo stati capaci di realizzare su questo pianeta, riusciremo a farlo su altri pianeti. Le cose che non funzionano nel piccolo, non funzionano neppure nel grande. Se non siamo capaci di rispettare le regole della nostra sopravvivenza su questo pianeta, non ci verrà naturale farlo in una dimensione extra o ultraterrena.
Dobbiamo necessariamente rieducarci, qui ed ora. Cioè dobbiamo anzitutto capire che le condizioni ambientali del contenitore in cui vogliamo porre i nostri contenuti sono assolutamente prioritarie su tutto. Qualunque sostanza che non rispetti la forma in cui deve esprimersi, va considerata pericolosa, nociva alla salute, ambientale e psico-fisica. Se non si controlla costantemente che questo adeguamento della sostanza alla forma avvenga nel rispetto di condizioni prestabilite, si rischia d’innescare dei meccanismi perversi, che si automatizzano, che si autoalimentano, come una reazione nucleare a catena, sottraendosi a qualunque volontà umana.
Con questo ovviamente non si vuol sostenere che non debba esserci alcun progresso scientifico, ma semplicemente che tale progresso deve rispondere a esigenze determinate dall’ambiente naturale. Oggi il progresso sembra non incontrare ostacoli di sorta, ma ciò avviene perché noi non sappiamo più cosa voglia dire “ambiente naturale”. E la nostra scienza non è certamente in grado di riprodurlo: p. es. anche quando volessimo tornare integralmente all’uso dell’energia solare, lo faremmo con dei materiali così sofisticati che in definitiva risulterebbero del tutto estranei alla natura ed essa non saprebbe come riciclarli.
Siamo arrivati a un punto in cui fermarsi non sembra essere possibile e andare avanti significa soltanto autodistruggersi. Ma è sbagliato pensare che, prima di ricominciare da capo, si debba attendere una nuova catastrofe epocale. Noi dobbiamo assolutamente porre le condizioni per le quali ogni cosa che ci riguarda, ricada direttamente sotto la nostra personale responsabilità.
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