di Francesco Perrella
Era solo un venerdì di inizio estate
Come tante storie umane intrecciate alla Strage di Ustica, quella di Francesco Pinocchio nasce da una serie di coincidenze. Nato e vissuto a Monreale, piccolo comune a dieci chilometri da Palermo, Francesco oggi vive a Roma con la sua famiglia. Lui, il 27 giugno 1980, ha perso sua sorella Antonella, di 24 anni, e il fratello minore Giovanni, 12 anni appena. Per la famiglia Pinocchio, tutto comincia per un caso, diremmo oggi usando un’espressione molto in voga, di “malasanità”. “Le racconto in breve la nostra storia: la nostra famiglia era a Bologna perché mia madre doveva subire un intervento per asportare dei calcoli renali; a Palermo l’unica soluzione che le avevano prospettato era l’asportazione di un rene, e fu allora che un amico di mia sorella Antonella, che stava per laurearsi in legge con tesi sul diritto del lavoro, ci consigliò di andare a Bologna. Ed infatti al Malpighi le dissero che sarebbe stato sufficiente una semplice asportazione dei calcoli. Si convincono i miei genitori ed a giugno partono mia madre, mio padre e mio fratello minore Giovanni, mentre io rimasi in Sicilia con mia sorella perché avevo gli esami di licenza media. Il 23 giugno, giorno del mio compleanno, conclusi gli esami, partimmo anche noi per Bologna. L’intervento era andato bene e ci trattenemmo ancora per qualche giorno, ma il 27 mia sorella sarebbe dovuta necessariamente tornare a Palermo per seguire un corso di informatica. Decidemmo quindi che sarei tornato con lei in aereo. Tranne mio padre, nessuno in famiglia aveva mai volato prima di allora. Mio fratello nutriva una passione viscerale per gli aerei; collezionava modellini, libri, foto…ed ovviamente, da grande avrebbe voluto fare l’aviatore. Insomma, quel giorno poteva coronare il suo sogno, volare per la prima volta e voleva a tutti i costi prendere quell’aereo e tornare a Palermo al mio posto. Aveva un carattere a dir poco vivace, ed i miei genitori oltre che mia sorella non erano per nulla propensi a farlo tornare con lei. Ricordo benissimo che quel giorno pranzammo alla Stazione di Bologna e lui non disse una parola, finchè mio padre si convinse e gli accordò il permesso di tornare con nostra sorella, facendogli promettere che si sarebbe comportato bene. Fu così che mio fratello partì al posto mio, e non ci fu nessuna difficoltà a farlo imbarcare con un biglietto fatto a mio nome. La sera, intorno alle undici, ero in albergo con mio padre quando sentimmo dal telegiornale la notizia dell’aereo disperso. Poco dopo telefonò un nostro parente che era andato a Punta Raisi a prendere mio fratello e mia sorella chiedendoci se effettivamente si fossero imbarcati su quel volo di cui non si sapeva più niente. La mattina dopo andai con mio padre all’aeroporto di Bologna per cercare di sapere qualcosa, e non c’era nessuno! Perfino lo sportello informazioni dell’Itavia era chiuso. Ricordo che all’ospedale di Bologna fecero di tutto per impedire che la notizia giungesse a mia madre, che era reduce da quel delicato intervento; staccarono tutte le televisioni ed impedirono a chiunque di entrare nel reparto con un giornale per più di una settimana. E fu proprio il personale dell’ospedale a darle la notizia. Ripeto: noi familiari lo abbiamo saputo dal telegiornale”.
Storia di forti contrasti, quella di Ustica. Di umanità e di indifferenza, di impegno e di disinteresse, di dovere ed irresponsabilità. Pensare alla solitudine in cui può piombare un padre che perde cosi i propri figli è come guardare in un pozzo di cui non si vede il fondo. Mi viene spontaneo chiedere a Francesco quando e come sia arrivata la notifica ufficiale da parte delle forze dell’ordine. “Diciamo che a noi l’avviso ufficiale del disastro è arrivato dopo… – fa come per riflettere – non è arrivato mai! Sa quando siamo stati contattati dai Carabinieri? Circa quindici anni dopo, quando ad indagini terminate ci convocarono ad una stazione di Palermo per consegnarci dei reperti – valigie, magliette, scarpe… – che avremmo potuto prendere se li avessimo riconosciuti come quelli dei nostri familiari. Tra l’altro, quella volta non se ne fece nulla perché il maresciallo ebbe un contrattempo, e ci rimandarono a casa. Alla seconda convocazione decidemmo di non andare”.
Per chi le vive da fuori, la drammaticità di storie come quella di Ustica è che avrebbero potuto coinvolgere chiunque di noi. Le 81 vittime di quella Strage non stavano facendo nulla di straordinario o di illecito. Lavoravano, andavano a trovare i parenti, andavano in vacanza.
La storia di Elisabetta Lachina parte molto lontano rispetto a quella di Francesco Pinocchio. Da Montegrotto Terme, in Veneto. Lei, la sera del 27 giugno, ha perso entrambi i genitori. Le chiedo se vuole parlarmi di un ricordo che ha di quelle ore: “I ricordi custoditi nel mio cuore sono molti – racconta – alcuni vorrei cancellarli. Ricordo con grande amore la frase che mio padre mi disse mentre mi abbracciava prima di partire: “Ricordati che ti voglio bene!” Ricordo il dolce sorriso di mia mamma accompagnato dalle numerose raccomandazioni. Ma ricordo anche molto bene gli occhi terrorizzati di mia sorella, che aveva 13 anni, quando abbiamo appreso la notizia. Il buio mostruoso di quella notte mentre soli e abbandonati aspettavamo di sapere, la paura che avanzava minuto dopo minuto, ora dopo ora, il silenzio assordante che ci stordiva e confermava con totale certezza quello che era successo”. Ed i giorni a seguire, siete stati avvisati da qualcuno della morte dei vostri genitori? “Lei mi chiede come abbiamo vissuto in quei giorni? Abbandonati! Nessuno ci ha contattati nè alla sera, nè il giorno dopo, nè i giorni a venire. Ogni tipo di informazione l’ho appresa dal telegiornale”. Inizio a pensare che prendere il foglio di imbarco del volo Itavia IH870, leggere dove risiedessero quelle 81 persone e telefonare a casa per comunicare che l’aereo su cui viaggiavano era precipitato, doveva essere un lavoro troppo faticoso. “Alla prime luci del mattino – prosegue la signora Lachina – del 28 giugno 1980 erano iniziate le ricerche dei superstiti, la televisione trasmetteva le prime immagini: mostrava pezzi del DC9 e corpi privi di vita che galleggiavano in mare. Malgrado sperassi ancora in una loro telefonata ero incollata alla televisione, osservavo i corpi che mostravano, li scrutavo cercando di capire se era mio padre o mia madre. Certi ricordi restano vivi nella mente anche se vorresti cancellarli… Man mano che le ore passavano mi resi conto che non c’era nessun superstite e il buio della notte spaventoso stava ritornando ad avvolgermi con il suo silenzio tombale. Da quella sera la mia vita è cambiata, in un attimo tutto ha cambiato aspetto; avevo diciotto anni ed ero una ragazzina spensierata con grandi progetti e invece mi sono trovata a dover affrontare una realtà difficile da accettare”.
E’ la solitudine che ti uccide due volte. Anzi, molte di più. Per questo chiedo a Francesco Pinocchio se e quanto è stato importante per i familiari delle vittime essersi aggregati in una “forza comune”: “E’ stato fondamentale, soprattutto per chi è meridionale. La mia idea è che un siciliano sia un’isola nella sua isola, è molto attento alle cose che sono sue e della sua famiglia. In questa maniera, invece, si sono create delle sinapsi, dei collegamenti che ci hanno fatto andare oltre, ci hanno fatto crescere in coscienza civile”.
E’ difficile, quando non ci sei dentro, capire come la tua vita possa cambiare in un istante, e ti ritrovi da un momento all’altro a dover raccogliere ciò che ti rimane e ripartire. Ma il dolore umano è qualcosa che appartiene a tutti. Ai familiari di queste 81 vittime, invece, è stato addossato un peso molto più doloroso. Nei loro confronti è stata perpetrata un’ingiustizia. “Gli anni successivi alla Strage – mi racconta Elisabetta Lachina – sono stati dedicati alla sopravvivenza e alla costante ricerca della verità, 32 anni intrappolati e soffocati da un mare di bugie e depistaggi. Appartenere alla strage di Ustica è come portare un marchio nell’anima”.
Tratto da: USTICA – L’ORIZZONTE DEGLI EVENTI/2 http://www.informarexresistere.fr/2012/06/25/ustica-lorizzonte-degli-eventi2/#ixzz1ymQHBLx5
- Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!
Era solo un venerdì di inizio estate
Come tante storie umane intrecciate alla Strage di Ustica, quella di Francesco Pinocchio nasce da una serie di coincidenze. Nato e vissuto a Monreale, piccolo comune a dieci chilometri da Palermo, Francesco oggi vive a Roma con la sua famiglia. Lui, il 27 giugno 1980, ha perso sua sorella Antonella, di 24 anni, e il fratello minore Giovanni, 12 anni appena. Per la famiglia Pinocchio, tutto comincia per un caso, diremmo oggi usando un’espressione molto in voga, di “malasanità”. “Le racconto in breve la nostra storia: la nostra famiglia era a Bologna perché mia madre doveva subire un intervento per asportare dei calcoli renali; a Palermo l’unica soluzione che le avevano prospettato era l’asportazione di un rene, e fu allora che un amico di mia sorella Antonella, che stava per laurearsi in legge con tesi sul diritto del lavoro, ci consigliò di andare a Bologna. Ed infatti al Malpighi le dissero che sarebbe stato sufficiente una semplice asportazione dei calcoli. Si convincono i miei genitori ed a giugno partono mia madre, mio padre e mio fratello minore Giovanni, mentre io rimasi in Sicilia con mia sorella perché avevo gli esami di licenza media. Il 23 giugno, giorno del mio compleanno, conclusi gli esami, partimmo anche noi per Bologna. L’intervento era andato bene e ci trattenemmo ancora per qualche giorno, ma il 27 mia sorella sarebbe dovuta necessariamente tornare a Palermo per seguire un corso di informatica. Decidemmo quindi che sarei tornato con lei in aereo. Tranne mio padre, nessuno in famiglia aveva mai volato prima di allora. Mio fratello nutriva una passione viscerale per gli aerei; collezionava modellini, libri, foto…ed ovviamente, da grande avrebbe voluto fare l’aviatore. Insomma, quel giorno poteva coronare il suo sogno, volare per la prima volta e voleva a tutti i costi prendere quell’aereo e tornare a Palermo al mio posto. Aveva un carattere a dir poco vivace, ed i miei genitori oltre che mia sorella non erano per nulla propensi a farlo tornare con lei. Ricordo benissimo che quel giorno pranzammo alla Stazione di Bologna e lui non disse una parola, finchè mio padre si convinse e gli accordò il permesso di tornare con nostra sorella, facendogli promettere che si sarebbe comportato bene. Fu così che mio fratello partì al posto mio, e non ci fu nessuna difficoltà a farlo imbarcare con un biglietto fatto a mio nome. La sera, intorno alle undici, ero in albergo con mio padre quando sentimmo dal telegiornale la notizia dell’aereo disperso. Poco dopo telefonò un nostro parente che era andato a Punta Raisi a prendere mio fratello e mia sorella chiedendoci se effettivamente si fossero imbarcati su quel volo di cui non si sapeva più niente. La mattina dopo andai con mio padre all’aeroporto di Bologna per cercare di sapere qualcosa, e non c’era nessuno! Perfino lo sportello informazioni dell’Itavia era chiuso. Ricordo che all’ospedale di Bologna fecero di tutto per impedire che la notizia giungesse a mia madre, che era reduce da quel delicato intervento; staccarono tutte le televisioni ed impedirono a chiunque di entrare nel reparto con un giornale per più di una settimana. E fu proprio il personale dell’ospedale a darle la notizia. Ripeto: noi familiari lo abbiamo saputo dal telegiornale”.
Storia di forti contrasti, quella di Ustica. Di umanità e di indifferenza, di impegno e di disinteresse, di dovere ed irresponsabilità. Pensare alla solitudine in cui può piombare un padre che perde cosi i propri figli è come guardare in un pozzo di cui non si vede il fondo. Mi viene spontaneo chiedere a Francesco quando e come sia arrivata la notifica ufficiale da parte delle forze dell’ordine. “Diciamo che a noi l’avviso ufficiale del disastro è arrivato dopo… – fa come per riflettere – non è arrivato mai! Sa quando siamo stati contattati dai Carabinieri? Circa quindici anni dopo, quando ad indagini terminate ci convocarono ad una stazione di Palermo per consegnarci dei reperti – valigie, magliette, scarpe… – che avremmo potuto prendere se li avessimo riconosciuti come quelli dei nostri familiari. Tra l’altro, quella volta non se ne fece nulla perché il maresciallo ebbe un contrattempo, e ci rimandarono a casa. Alla seconda convocazione decidemmo di non andare”.
Per chi le vive da fuori, la drammaticità di storie come quella di Ustica è che avrebbero potuto coinvolgere chiunque di noi. Le 81 vittime di quella Strage non stavano facendo nulla di straordinario o di illecito. Lavoravano, andavano a trovare i parenti, andavano in vacanza.
La storia di Elisabetta Lachina parte molto lontano rispetto a quella di Francesco Pinocchio. Da Montegrotto Terme, in Veneto. Lei, la sera del 27 giugno, ha perso entrambi i genitori. Le chiedo se vuole parlarmi di un ricordo che ha di quelle ore: “I ricordi custoditi nel mio cuore sono molti – racconta – alcuni vorrei cancellarli. Ricordo con grande amore la frase che mio padre mi disse mentre mi abbracciava prima di partire: “Ricordati che ti voglio bene!” Ricordo il dolce sorriso di mia mamma accompagnato dalle numerose raccomandazioni. Ma ricordo anche molto bene gli occhi terrorizzati di mia sorella, che aveva 13 anni, quando abbiamo appreso la notizia. Il buio mostruoso di quella notte mentre soli e abbandonati aspettavamo di sapere, la paura che avanzava minuto dopo minuto, ora dopo ora, il silenzio assordante che ci stordiva e confermava con totale certezza quello che era successo”. Ed i giorni a seguire, siete stati avvisati da qualcuno della morte dei vostri genitori? “Lei mi chiede come abbiamo vissuto in quei giorni? Abbandonati! Nessuno ci ha contattati nè alla sera, nè il giorno dopo, nè i giorni a venire. Ogni tipo di informazione l’ho appresa dal telegiornale”. Inizio a pensare che prendere il foglio di imbarco del volo Itavia IH870, leggere dove risiedessero quelle 81 persone e telefonare a casa per comunicare che l’aereo su cui viaggiavano era precipitato, doveva essere un lavoro troppo faticoso. “Alla prime luci del mattino – prosegue la signora Lachina – del 28 giugno 1980 erano iniziate le ricerche dei superstiti, la televisione trasmetteva le prime immagini: mostrava pezzi del DC9 e corpi privi di vita che galleggiavano in mare. Malgrado sperassi ancora in una loro telefonata ero incollata alla televisione, osservavo i corpi che mostravano, li scrutavo cercando di capire se era mio padre o mia madre. Certi ricordi restano vivi nella mente anche se vorresti cancellarli… Man mano che le ore passavano mi resi conto che non c’era nessun superstite e il buio della notte spaventoso stava ritornando ad avvolgermi con il suo silenzio tombale. Da quella sera la mia vita è cambiata, in un attimo tutto ha cambiato aspetto; avevo diciotto anni ed ero una ragazzina spensierata con grandi progetti e invece mi sono trovata a dover affrontare una realtà difficile da accettare”.
E’ la solitudine che ti uccide due volte. Anzi, molte di più. Per questo chiedo a Francesco Pinocchio se e quanto è stato importante per i familiari delle vittime essersi aggregati in una “forza comune”: “E’ stato fondamentale, soprattutto per chi è meridionale. La mia idea è che un siciliano sia un’isola nella sua isola, è molto attento alle cose che sono sue e della sua famiglia. In questa maniera, invece, si sono create delle sinapsi, dei collegamenti che ci hanno fatto andare oltre, ci hanno fatto crescere in coscienza civile”.
E’ difficile, quando non ci sei dentro, capire come la tua vita possa cambiare in un istante, e ti ritrovi da un momento all’altro a dover raccogliere ciò che ti rimane e ripartire. Ma il dolore umano è qualcosa che appartiene a tutti. Ai familiari di queste 81 vittime, invece, è stato addossato un peso molto più doloroso. Nei loro confronti è stata perpetrata un’ingiustizia. “Gli anni successivi alla Strage – mi racconta Elisabetta Lachina – sono stati dedicati alla sopravvivenza e alla costante ricerca della verità, 32 anni intrappolati e soffocati da un mare di bugie e depistaggi. Appartenere alla strage di Ustica è come portare un marchio nell’anima”.
Tratto da: USTICA – L’ORIZZONTE DEGLI EVENTI/2 http://www.informarexresistere.fr/2012/06/25/ustica-lorizzonte-degli-eventi2/#ixzz1ymQHBLx5
- Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!
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