Il periodo più bello della vita è la spensierata giovinezza. Osservando i bimbi, ci accorgiamo che dovremmo lasciar loro più tempo per giocare, liberi da quelle preoccupazioni che potrebbero un domani influire negativamente sui loro comportamenti. Rispettiamo quel sabato, auspicato da Leopardi, a cui non dovrebbe seguire troppo presto la domenica anticipatrice di tristezza e noia:
«Godi, fanciullo mio; stato soave,
stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vo’; ma la tua festa
ch’anco tardi a venir non ti sia grave».
Appena adulto, l’uomo comincia a chiedersi il senso della propria esistenza.
Gli scettici sapienti e filosofi sono ancora alla ricerca di una risposta. Il bene e il male, come pure i valori fondamentali, non avrebbero alcun significato se tutto dovesse finire con la morte. L’essere consapevoli degli ideali e impegnarsi a raggiungerli procura, oltretutto, benessere e serenità. Per i credenti, interrogato dal fariseo, è Gesù stesso a indicare la via da seguire: «Maestro, qual è il precetto più grande della legge?». Egli rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei precetti. Ma il secondo è simile ad esso: Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Mt 22, 36-39). Il comandamento è ripreso dall’apostolo Giovanni: «Se uno dice: “Io amo Dio” e poi odia il proprio fratello, è mentitore: chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1 Gv 4, 20). E ancora, nel “giudizio finale” quando tutti gli uomini dovranno rendere conto delle proprie azioni, a coloro che obietteranno sulla Sua trascorsa presenza in Terra sotto le spoglie dei poveri, «il Re risponderà: “In verità vi dico: tutto quello che avete fatto a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l’avete fatto a me”» (Mt 25, 40).
L’amore di Cristo non ammette discriminazioni e diviene reciproco. Lo stesso principio è presente in tutte le religioni. Gandhi (1869-1948), il fondatore della nonviolenza e autore dell’indipendenza indiana, sostiene: «Tu e io non siamo che una cosa sola. Non posso farti del male senza ferirmi». Al nostro tempo, purtroppo, assistiamo a un’inquietante caduta di valori. La prepotenza, la prevaricazione, l’ingiustizia, la crudeltà prosperano dovunque. I valori che i padri custodivano nel cuore rappresentano un mero ricordo. Il legame familiare che costituiva il nostro principale scopo di vivere sta irrimediabilmente per spezzarsi. E’ fra le mura domestiche che abbiamo imparato a scoprire la gioia del donare, del comprendere, del sentirci liberi. Al di fuori della famiglia si è come sperduti nel deserto degli istinti e nel degrado morale che ormai assilla la società. Quest’ultima non è altro che una sovrastruttura della famiglia e finirebbe con il crollare qualora venisse a mancare il sostegno della prima.
Da una recente indagine del Censis l’interesse che rivolgiamo alla famiglia prevale su quello dello Stato. All’Angelus dell’ultimo appuntamento domenicale del 2007 il Sommo Pontefice da Piazza S. Pietro, in diretta televisiva, così ha esortato i cattolici spagnoli: «Il bene della persona e della società è strettamente connesso alla “buona salute” della famiglia: perciò la Chiesa è impegnata a difendere e promuovere la dignità naturale e l’altissimo valore sacro del matrimonio e della famiglia».
Seguendo l’esito della ricerca realizzata dal Censis nell’ambito delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, al secondo posto risulta la Patria, culla della poesia e dell’arte. Il sentimento di orgoglio e amor patrio, molto profondo in passato, è vivo per tanti italiani. La globalizzazione non impedisce di commuoverci nell’ascoltare l’inno nazionale o il coro degli Alpini; un fremito di gioia ci pervade nell’assistere a una parata militare. La lontananza dell’esule o di chi è costretto a lasciare il proprio paese per ragioni di lavoro è ben espressa da Dante quando, nell’ora del tramonto, il navigante è colto dalla nostalgia e si rattrista. La stessa malinconia prova chi, intrapreso un viaggio, avverte un lontano squillo di campana:
«Era già l’ora che volge il disio
ai navicanti e intenerisce il core
lo dì ch’han detto ai dolci amici addio;
e che lo novo peregrin d’amore
punge, se ode squilla di lontano
che paia il giorno pianger che si more» (Purg. VIII, 1-6).
A differenza di quanto avviene, ad esempio, negli Stati Uniti dove la storia è condivisa da tutti i partiti, in Italia ci sono ancora larghe fasce di contestatori.
Non vorremmo ripetere ciò che il 12 aprile 1847 il principe di Metternich (1773-1859) pare abbia scritto all'ambasciatore austriaco a Parigi: «La parola Italia è un’espressione geografica, un concetto che riguarda la lingua, ma che non ha il valore politico che tentano di attribuirle gli ideologi rivoluzionari».
Il termine “patria” con “terra” sottinteso (“terram patriam”) significa “terra dei padri”, che per gli avi non occorreva che fosse in un dato luogo. La patria è un modo sacro di essere, come hanno rilevato i bianchi nel primo incontro con gli Indiani d’America. Alla richiesta di voler comprare la terra, infatti, gli indigeni si sono opposti sostenendo che essa era la loro “madre”.
Sempre secondo la ricerca del Censis, al terzo posto dei valori vi è la “fede”, anche nella forma di tradizione religiosa.
Per gli avi, la preghiera popolare del mattino era tutto un programma:
«Gesù, quando mi alzo la mattina
ditemi come devo comportarmi:
mandatemi l’Angelo come guida,
affinché non cada in peccato mortale». (1)
Nelle modeste abitazioni del passato, costituite in gran parte da una stanza, dopo il duro lavoro dei campi la numerosa famiglia si riuniva a ringraziare il Signore per la felice conclusione della giornata.
Con la parola e con l’esempio si educavano le generazioni al rispetto, all’onore, all’amicizia, alla correttezza.
Il rispetto (dal latino “respectus”, considerazione, rapporto, relazione, riguardo) ha due punti di vista, individuale e collettivo. La vita, che ci è stata donata e che ci costruiamo giorno per giorno, esige comprensione: il suicidio, pertanto, non è una soluzione. Il rispetto per gli altri, che si manifesta in modo prioritario e con l’esempio, costituisce un arricchimento reciproco. Anche gli animali, l’ambiente, le leggi vanno sempre e dovunque rispettati.
Per Immanuel Kant (1724-1804) la legge morale è un “imperativo categorico” che può essere così formulato: “Agisci in modo che la massima della tua azione (soggettiva) possa diventare legge universale (oggettiva)”. Il Bene è ciò che è comandato dalla legge morale.
Il filosofo tedesco nella sua “Critica della ragion pratica” conclude: «Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellatosopra di me, e la legge morale in me». Una persona vale per la sua condotta e il suo carattere, non certo per il suo danaro, il quale può dargli tutto ma non la pace, una famiglia, la conoscenza. Il rispetto spesso è costituito da semplici gesti, come ricorda il poeta della nostra infanzia Angiolo Silvio Novaro (1866-1938):
«Ci vuole così poco
a farsi voler bene,
una parola buona
detta quando conviene,
un po' di gentilezza,
una sola carezza,
un semplice sorriso
che ci baleni in viso.
Il cuore sempre aperto
per ognuno che viene… ».
La reputazione, la dignità, il diritto conseguente al dovere di rispetto rappresentano l’onore. La civiltà del passato era caratterizzata dal profondo senso dell’onore, che nella società borghese si identificava con quello dell’onestà. La locuzione di Cicerone “Civis Romanus sum”, oltre a far valere i privilegi di appartenenza, si ripeteva ad indicare il loro stato di cittadini attivi e responsabili nei confronti della comunità.
Nel mondo contadino, un tempo le transazioni avvenivano in fiducia semplicemente con una parola e una stretta di mano. Il principio di mantenere la parola si riscontra in tutte le culture.
E’ simbolica la vicenda di Attilio Regolo che, fatto prigioniero dai Cartaginesi, fu inviato a Roma per convincere il Senato alla resa. Ma il giovane console, giunto all’assemblea, la esortò a proseguire la guerra. E come promesso tornò dai nemici i quali, avendo appreso i consigli diversi che egli aveva fornito, lo rinchiusero in una botte irta di chiodi e lo fecero precipitare da una rupe. Dopo quella morte crudele i Romani sconfissero il nemico.
In una sua “novella” Gaspare Gozzi (1713-1786) scrive che il fuoco, l’acqua e l’onore avevano fatto comunella insieme. Al momento del congedo convennero come potersi ritrovare. Il fuoco disse: «Se avete bisogno di me, cercatemi dove scorgete del fumo». L’acqua precisò: «Se volete me soffermatevi dove c’è dell’umido o dell’erba verde». A sua volta l’onore avvertì: «In quanto a me, spalancate bene gli occhi e tenetemi ben stretto perché se mi perderete una volta non mi troverete mai più!». (2)
Tornando ai risultati del Censis, la solidarietà e l’onestà vengono considerati valori necessari per migliorare la convivenza sociale.
Sono state formulate tante definizioni sul concetto di onestà.
Marco Tullio Cicerone (106-43 a.C.) scrive: «Non vi può essere niente di onesto se non è conforme a giustizia».
A lottare per una società più giusta è la figura di Cristo e da Lui soltanto possiamo imitare l’esempio. In quanto alla solidarietà, si preferisce la derivazione dal sostantivo francese “solidaire” con il significato etico-sociologico. Alla condivisione di opinioni, propria di chi è solidale, oggi si associa l’attività di volontariato che si esercita durante il tempo libero.
La nostra breve trattazione sui valori non può escludere l’amicizia che, pur non essendo un legame di sangue, ci aiuta ad apprezzare la vita.
Il poeta libanese Kahlil Gibran (1883-1931) dichiara:
«Il vostro amico
è il vostro bisogno soddisfatto.
E' il campo che seminate con amore
e che mietete con riconoscenza.
Egli è la vostra mensa e la vostra dimora
perché, affamati, vi rifugiate in lui
e lo cercate per trovare la pace»
(Da “Il Profeta”).
Nel mondo antico e particolarmente in quello greco e latino, l’amicizia costituiva il sentimento più elevato e altruistico, in contrapposizione a quello odierno legato a rapporti di convenienza.
Cicerone sostiene:
«Solem enim e mundo tollere videntur, qui amicitiam e vita tollunt, qua nihil a dis inmortalibus melius habemus, nihil iucundius».
(Infatti, a mio parere eliminano dal mondo il sole (coloro) che eliminano dalla vita l’amicizia, della quale non abbiamo (avuto) nulla di meglio dagli dei immortali, nulla di più gradevole). (Da “Laelius de amicitia”)
Poiché i valori costituiscono i cardini della nostra vita, è quanto mai attuale l’esortazione che Dante fa dire a Ulisse:
«Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e conoscenza»
(Inf. XXVI, 118-120).
Domenico Caruso
Pubblicato sul mensile "La Piana" di Palmi-RC - Anno XI, n.5 - Maggio 2012.
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